Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
1972, la polizia uccide a bastonate Serantini
Oreste Pivetta
Sarebbe oggi vicino ai sessant'anni. Era nato a Cagliari il 16 luglio 1951, morì a Pisa il 7 maggio del 1972, dopo lunga agonia, ammazzato dai colpi di manganello, dai pugni, dai calci di alcuni agenti della Celere di Roma, dall'indifferenza di medici, carcerieri, magistrati...
"Il posto dove fu colpito a morte è sul Lungarno Gambacorti di Pisa, tra via Toselli e la via Mazzini. Si lascia sulla sinistra, venendo dal ponte di Mezzo, il palazzo del Comune e si cammina lungo una ininterrotta serie di piccole botteghe che forse esistono da secoli e hanno mutato soltanto il nome e il genere dei loro minuti commerci...". Così comincia il libro di Corrado Stajano, "Il sovversivo", dove si racconta "vita e morte dell'anarchico Serantini". In copertina il volto forte, quadrato,  di un giovane, incorniciato dai capelli folti, lunghi, ondulati, un ritratto virato in rosso di Bruno Caruso. Riletto quasi trentacinque anni dopo la pubblicazione e trentasette dopo
quei fatti di Pisa dà la sensazione tremenda di una cronaca d'oggi o solo di pochi mesi fa: tra quelle pagine in Lungarno Gambacorti sembra d'essere a Genova nei giorni del G8, Franco Serantini pare Federico Aldrovandi o assomiglia, ancora più vicino a noi, a Stefano Cucchi, l'ultimo. "Una morte questa di Stefano - dice ora Corrado Stajano - che sarebbe passata nel silenzio, se non ci fosse stata una sorella combattiva, se non ci fosse stata quella famiglia che ha avuto il coraggio di opporsi, di pretendere la verità o, almeno, la ricerca della verità. Come la madre di Federico, un ragazzo pestato a sangue in strada. Contro la verità, mi pare d'assistere a storie, che ho già vissuto, di deviazioni e di bugie".
La morte di Serantini non passò sotto silenzio. Ai suoi funerali (e sono tra le pagine più belle e commoventi del libro), il 9 maggio, un fiume di gente: "Ci sono i ragazzi delle manifestazioni, delle marce, dei sit-in, della protesta, coi maglioni, i blue-jeans, le barbe, i berretti cinesi, ci sono gli anarchici di tutta la Toscana, alcuni, i più anziani, con i cravattoni neri, ci sono il sindaco, i deputati della sinistra, i sindacalisti, i comunisti, i socialisti, i giovani repubblicani...". Ci sono i fiori. I detenuti del carcere Don Bosco, dove Serantini aveva trascorso le ultime ore, inviarono un mazzo di margherite.
Franco Serantini era nato senza famiglia, abbandonato in un brefotrofio.  Stajano ricorda che in quei giorni un giornale aveva pubblicato una novella di uno scrittore romagnolo, Francesco Serantini. Chissà che non l'avesse letta anche l'ufficiale dell'anagrafe che aveva dovuto certificare la comparsa di un figlio di nessuno.
Serantini fu dato in affidamento a una famiglia siciliana, visse in istituto a Cagliari. Quando arrivò ai diciassette anni, un'esistenza di solitudine, decisero che "siccome la personalità del giovane appare gravemente disturbata per assoluta carenza affettiva e lunga istituzionalizzazione" si rendeva utile il ricovero in riformatorio.  Serantini era soltanto chiuso di carattere, soffriva l'autorità (o l'autoritarismo), ma non aveva mai commesso un reato: tuttavia fu così destinato... Serantini passò il mare, approdò a Civitavecchia, giunse a Firenze (all'Istituto di osservazione per i minori scoprirono che il suo quoziente di intelligenza era 1,02, quando la media è di 0,70), venne dirottato al centro di rieducazione maschile Pietro Thouar di Pisa, in semilibertà: di giorno poteva uscire. Il riformatorio è la via della maledizione: Serantini si salvò. "Se Franco Serantini - scrive Stajano - si è salvato dalla delinquenza, lo deve certo alla
sua natura non violenta, ma lo deve soprattutto alla passione per la politica, che in quegli anni, dopo il maggio francese, con i giovani di Pisa ha incendiato anche lui".
Era il Sessantotto quando Serantini arrivò a Pisa. Serantini si lasciò prendere dalla politica, cominciò a partecipare alle assemblee degli studenti, si fece amici e almeno conobbe persone che rispondevano al suo saluto, iniziò a leggere, trovò persino un lavoro. Prese la licenza media e cominciò a frequentare un istituto professionale. Divenne anarchico, perchè non gli piacevano i "capetti" di Lotta Continua, e frequentò il circolo degli anarchici di Pisa. Aveva contribuito a organizzare il mercatino rosso del Cep, il quartiere delle case popolari, dove alcuni ragazzi vendevano a prezzi ridotti la frutta e la verdura, che comperavano direttamente in campagna. L'aveva colpito la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli e ne discuteva con gli insegnanti. A Pisa giravano squadracce fasciste (non solo di italiani, anche di greci che spiavano i loro connazionali democratici): "Le violenze dei picchiatori, gli assalti ai circoli democratici, le
spedizione punitive, le sparatorie, gli attentati formano un lungo elenco...". Le aggressioni si ripetevano, ma la polizia caricava gli antifascisti, quando protestavano. Accadde anche alla fine del '69. Ad una manifestazione antifascista, un gruppo di Potere operaio si staccò per presentarsi sotto la sede del Msi. La polizia reagì, sparò i suoi lacrimogeni. Uno di questi raggiunse al cuore un giovane che tornava a casa dopo la manifestazione autorizzata (dove aveva parlato il sindaco): si chiamava Cesare Pardini e morì poco dopo. La polizia disse che era questione di infarto. Un'altra tragedia dopo quella a inizio d'anno della Bussola, quando un gruppo di giovani manifestò davanti al locale di Viareggio per i morti di Avola, due braccianti assassinati dalla polizia. La polizia sparò ancora e colpì Soriano Ceccanti, un ragazzo di sedici anni, che rimarrà paralizzato per tutta la vita. Soriano e il fratello Sauro diventeranno amici di Serantini.
La politica nelle strade era anche questa. A Roma, al governo si era esaurita l'esperienza del centrosinistra, Leone era diventato nel 1971 presidente con i voti del Msi e Leone sciolse le camere. Le elezioni furono indette per il maggio dell'anno successivo, il 1972.  Il 5 maggio Giuseppe Niccolai, deputato missino, avrebbe dovuto tenere il suo comizio conclusivo della campagna elettorale in Largo Ciro Menotti, "una piazzetta che sembra un cortile, circondata da una ragnatela di vie tortuose e strette, ideale per la guerriglia urbana". Il Pci chiese che i comizi si tenessero in luoghi meno centrali, più aperti. Missini e monarchici, alleati, e la stessa Dc respinsero l'idea. Niccolai avrebbe parlato in Largo Ciro Menotti, nonostante le tensioni alle stelle di quei giorni, nonostante Lotta continua avesse avviato contro di lui una dura campagna: "il ducetto... protetto dagli industriali".
Per quella giornata, il 5 maggio, arrivarono a Pisa rinforzi di polizia, anche ottocento agenti del I Raggruppamento celere da Roma. Più cinquecento carabinieri, più cento carabinieri paracadutisti, più i reparti della ps di stanza in città. Che fu una città sotto assedio, che mi ricorda Genova, la zona proibita, i muraglioni alzati con i container, le inferriate ovunque...
"Una trappola - dice Stajano - per i trecento che avrebbe messo in piazza Lotta continua per impedire il comizio...".
"Mi immagino - racconta Corrado Stajano - Serantini solo in mezzo alla strada. Questo dicono tutte le testimonianze. Solo e inerme in Lungarno Gambarcorti. Sarebbe potuto fuggire come gli altri quando la polizia aveva sfondato la barricata. Ma non si mosse, invece. Invece lo assalì un nugolo di agenti, che lo massacrarono di botte, con ferocia, con crudeltà. Un ragazzo che non aveva alzato neppure una mano...".
Come a Genova, anche se a Genova erano a migliaia i manifestanti...
"Quando in autostrada vedo il cartello che indica l'uscita di Bolzaneto, sempre ritorno a quel massacro, a quella violazione di diritti civili e comunque di umanità. Violazione alla fine della quale ci fu e c'è ancora impunità. Per omertà di chi era presente, per le complicità delle istituzioni, per scelte politiche. A Pisa qualcuno tentò di intervenire. Il commissario Pironomonte cercò con l'arresto di sottrarre Serantini alla furia degli agenti e pochi giorni dopo si dimise. Lo ritrovai quando cominciai le ricerche per il libro in un ufficio statale. Lo sentii al telefono. Ma la telefonata fu breve. Mi disse poche cose e mi diede un appuntamento. Poi si negò. Si giustificò sempre sostenendo che non poteva riconoscere agenti che non erano dei suoi, con il casco in testa e il fazzoletto sul volto per sopportare il puzzo dei lacrimogeni. Almeno lui ebbe una crisi di coscienza di fronte a quel massacro. Dagli altri nulla, neppure un segno. Spirito
di corpo. Lui non riusciva a spiegarsi perchè Serantini si fosse fermato, solo...".
Pironomonte fu un'eccezione...
"Una volta andai in Questura a Milano. Per entrare presentai i miei documenti. L'agente di servizio li guardò e sussurrò tremebondo: lei è quello del libro sul ragazzo. Pironomonte non era l'unica eccezione. Ma gli altri...".
Gli altri... Non solo i poliziotti che picchiarono. Anche il medico che visitò Serantini all'ingresso in carcere e che non ordinò il ricovero di un ragazzo che non si reggeva in piedi con la testa sfondata, il magistrato che continuò a interrogarlo in quelle condizioni, i secondini che non intervennero malgrado i richiami del compagno di cella di Serantini. Persino gli 'scopini' del Don Bosco chiesero alle guardie di far qualcosa...
"A proposito di Genova... Anche a Genova si presentarono quelli del I Raggruppamento celere di Roma. Non erano gli stessi, ovviamente. Per una questione di anni, di età. Però la stessa violenza: fa pensare. Vuole dire che l'educazione era la stessa: fascista".
Anche il quadro politico del 2001 poteva assomigliare a quello del 1972: nel '72 la svolta fu a destra e Andreotti riportò al governo liberali e socialdemocratici con il Psi all'opposizione, corteggiando il Msi, nel 2001 gli eredi del Msi erano alleati di governo con Berlusconi...
"Certo. Sta di fatto che tutto si ingarbugliò tra reticenze, bugie, conflitti giudiziari, quando avocazioni e trasferimenti di magistrati intervenneroi pesantemente sull'inchiesta. In questo senso credo che Serantini sia stato ucciso due volte: una dalla polizia, la seconda dalle istituzioni che non gli hanno reso giustizia. Con un bravo giudice istruttore, Paolo Funaioli, in conflitto con il procuratore generale di Firenze, Calamari, che io definisco un personaggio da vetrata medioevale. Sarebbe bastato leggere le perizie medico legali...".
Che lesse invece Dario Fo...
"Il libro venne pubblicato nel 1975. Cinquantamila copie. Lo decise Cerati, che allora era il direttore commerciale della Einaudi. Lo presentammo alla palazzina Liberty, a Milano. C'erano Einaudi, Terracini, che aveva con estrema durezza denunciato le violazioni con un articolo su Rinascita, e Dario Fo. Dario lesse soltanto i risultati dell'autopsia. Area ecchimotica... voluminosa raccolta ematica... vistoso ematoma... focolai emorragici... emorragia epicardica... Basta l'elenco a dare certezza e contorni alla tragedia di Franco Serantini".
Due pagine del libro, che sono la narrazione della macelleria di quel giorno.
"Presentammo il libro anche a Pisa, alla Sapienza, con Lelio Basso e Nuto Revelli. Mi ricordo nelle prime file D'Alema e Fabio Mussi e tutti i capi del movimento e soprattutto quella sala strapiena".
I funerali a Pisa come per i morti della Banca dell'agricoltura a Milano in piazza del Duomo?
"Ho una immagine: il verde di piazza dei Miracoli, il bianco della cattedrale, il corteo di popolo, che esprimeva pietà e chiedeva giustizia. Giustizia non è stata fatta".
L'ex democristiano Giovanardi ha detto che Stefano Cucchi è morto perchè era drogato e anoressico...
"I periti scrissero che Franco era portatore di una voluminosa milza, da bambino aveva avuto la malaria, aveva le ossa della testa più sottili del normale e quindi aveva una minore resistenza ai colpi".
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