Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 febbraio 2014

L'ULTIMO VIAGGIO
NEL "DEPOSITO DI UOMINI" DA CUI SI PARTE PER L'ITALIA  
il Giornale, 27-01-2013
Gian Micalessin
La porta si schiude, un volto nero e due occhi candidi ti scrutano sospettosi. I tuoi si spingono oltre, incrociano la disperazione. Alle nostre spalle ci sono Tripoli, il quartiere di Shura Ashuk, le facce pazienti degli africani
allineati agli incroci in attesa di qualcuno disposto a comprare un'ora del loro lavoro. Qui oltre il cemento cariato di questa palazzina fatiscente, oltre il suo portone rugginoso si muove l'umanità in attesa del grande balzo oltre il Mediterraneo. Nel cortile assolato e polveroso vagano uomini vestiti di stracci, ruzzolano bimbi di tutte le età, sciacquano il bucato decine di donne avvolte in scialli a fiori.
Tutt'attorno l'odore di urina e sudore si mescola all'aroma vaporoso del cibo ribollito. Trasuda da dietro le tende sistemate alla meglio per chiudere le otto stanzucce trasformate in gironi dell'attesa. Prima quelle degli uomini soli, poi quelle per le famiglie infine quella delle donne . Dal girone delle famiglie s'affaccia il volto scavato di Ibrahim. E' scappato dall'Eritrea nel 2007 ha attraversato il Sudan e il Sahara. Il passar degli anni e dei deserti è disegnato nelle rughe scavate sul suo volto.
Ibrhaim ti fa segno d'entrare. Sulla stuoia sudicia è raggomitolata Lettenzi, sua sorella. Ha 38 anni, un'accettata di dolore le taglia la schiena, la piega al pavimento.
"L'Italia –sussurra Ibrahim - è la sua ultima speranza, qui non la cura nessuno se non ci mettiamo su una barca la perderò". Come tutti i duecento e passa inquilini di questa palazzina parcheggio attendono solo la traversata per l'Italia e l'Europa. Con loro ci sono Danait, Mikias e Zara. Hanno dieci, otto e tre anni,
sono i figli messi al mondo da Lettenzi e dal marito durante gli anni della transumanza. Il marito e i due rampolli più grandi, Nardos di 17 e Miral di 19, sono a lavorare, a raggranellare il malloppo per il viaggio. "Ci vogliono 1600 dollari a testa per me, Lattanzi e suo marito. I figli non pagano, ma sono comunque tanti soldi e ci vorranno ancora dei mesi. Partiremo tra giugno e luglio quando il mare e più calmo". Ibrahim e Lettenzi condividono lo stesso sogno delle migliaia di clandestini che affollano gli appartamenti di questo quartiere dormitorio. Un quartiere trasformato in redditizio deposito d'umani dai trafficanti d'uomini e diventato un polmone di quest' economia sommersa. Un angolo di questi stanzoni luridi costa quasi cento dollari a testa. Moltiplicati per duecento e passa fanno la fortuna del proprietario. Moltiplicati per le decine di dormitori lager di Shara Ashuk rappresentano un'autentica economia parallela.
Ma qui, almeno, c'è l'impressione di attendere in libertà. Più in basso nella scala dell'attesa ci sono i centri di detenzione o le galere. I centri di detenzione - condannati a suo tempo come orrori gheddafiani o spacciati come le conseguenze dei patti anti immigrati stretti dai governi italiani con il Colonnello - sono ancora lì. Attorno a Tripoli funzionano a pieno ritmo quelli di Gharyan e di Towisha. Oggi a differenza del passato oggi puoi chiedere di visitarli ufficialmente. Ma, com'è successo a "Il Giornale", il permesso non viene poi rilasciato. Più in basso nella scala dell'orrore ci sono le galere delle varie "khatibe". Le milizie non paghe di contendersi con le armi il controllo di città e territori si spartiscono anche immigrati e prigionieri. "Ho passato quattro mesi nella galera di una milizia e mi sono pentito di esser fuggito dalla Somalia. Neanche in mezzo alla guerra, neppure tra gli shebab ho visto cose del genere - racconta Omar arrivato fin qui da Kisimaio - se uno di loro veniva ferito ci portavano all'ospedale e ci costringevano a donare il sangue. Io ho la sfortuna di poterlo dare a tutti e una volta mi hanno succhiato mille centimetri cubici. Poi mi hanno riportato in cella e sono finito in coma. Di notte bevevano, si ubriacavano e per divertirsi sparavano con i kalashnikov nelle celle". In mezzo a questa umanità sfruttata e dissanguata non si muove una sola organizzazione umanitaria. Le organizzazioni non governative presentissime a Lampedusa, l'Alto Commissariato dei Rifugiati sempre in prima linea nel puntare il dito contro l'Italia, l'Unione Europea sempre puntuale nell' accusarci qui non muovono un dito. L'unica a curarsi di questi disgraziati, a portar loro medicine e aiuti è madre Emma Moja, una suora spagnola delle figlie della Carità.
E' arrivata in Libia 14 anni fa, lavora con il vescovo Giovanni Martinelli e due volte alla settimana bussa alle porte di questi dormitori dimenticati, cerca posto negli ospedali per malati e sofferenti. "Qui c'è di tutto, dalla scabbia alla polmonite, vivono uno accanto all'altro e si contagiano a vicenda eppure - sussurra - nessuno fa nulla, queste creature sono abbandonate e disperate".
L'unico modo per sottrarsi a questa disperazione è affrontare l'ultimo viaggio. Uno dei blocchi di partenza è Zwara, un porto 75 chilometri ad ovest di Tripoli, centro della tratta di uomini. Per capirlo basta avvicinarsi alla città. Parcheggiate nel piazzale di un cantiere marino ci sono le carene in costruzione dei barconi usati per raggiungere Lampedusa.
"Ufficialmente vengono costruite per la pesca, ma ormai il principale mercato è la tratta degli umani. Vengono registrati in Tunisia e poi riportati qui per usarli nella tratta degli immigrati" - spiega un ufficiale di polizia di Zwara che si rifiuta di dare il proprio nome, ma si lamenta di non avere né mezzi, né strutture per fermare il traffico di umani. "La spiaggia da cui partono la conosciamo tutti è quella di Bukeshfa cinque chilometri a ovest dalla città.
Voi italiani invece di spendere tanti soldi con le vostre navi dovreste darci un paio di elicotteri e di barche. Poi i clandestini ve li fermiamo noi." – assicura l'ufficiale. Da quella spiaggia partiranno tra qualche settimana o mese anche Ibrahim, Omar e tutti gli altri ospiti dei lager dormitorio di Shrura Ashuk. Ma differenza di un tempo quel viaggio non fa più paura. "Una volta era rischioso, moriva tanta gente, ma ora non è più così il vostro governo e la vostra marina ci aiutano - spiega Ibrahim. I nostri compagni quelli che sono già partiti ce l'hanno spiegato, basta chiamare un numero di telefono e voi mandate le barche a salvarci. Per questo non abbiamo più paura e aspettiamo solo di trovar i soldi per partire."



Sbarchi a ripetizione emergenza minori
Avvenire, 27-01-2013
Alessandra Turrisi
Un centinaio di brandine blu allineate sul campo da gioco, pa­sti freddi, notti trascorse all’umidità sotto una tensostruttura nata per avvolgere il tifo appassionato per la squadra del cuore, non i pianti di chi è fuggito dalla propria terra. La frontiera dell’emergenza migrazioni si è spostata dall’estremo sud alla costa orientale della Sicilia, meta ormai degli sbarchi assistiti organizzati dall’operazione Mare Nostrum. Un territorio che sta facendo fronte come può alla marea umana che a ogni sbarco si riversa sulle banchine, ma le cui forze non reggeranno a lungo. I primi a farne le spese sono già gli stranieri più giovani che mettono piede sul suolo siciliano e trovano ad accoglierli locali assolutamente inadeguati e tempi burocratici lunghissimi.
Nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa, dal mese di ottobre, sono approdati oltre cinquemila migranti recuperati sulle carrette del mare dalle navi della Marina Militare e condotti sulla terraferma. Il dieci per cento circa sono minori stranieri non accompagnati. Cinquecento ragazzi e ragazze tra i 16 e i 18 anni che hanno trovato come primo tetto un palazzetto dello sport, il Pa­lajonio, tempio della squadra di calcio a 5 in A1, in attesa di essere destinati in comunità alloggio per minori. Un cen­tinaio di essi si trovano ancora in quella tensostruttura del Comune di Augusta, attualmente amministrato da tre commissari straordinari e sull’orlo del dissesto finanziario. Gli uffici comunali, le forze dell’ordine, le parrocchie, i volontari si stanno facendo in quattro per garantire una vita dignitosa a questi giovani africani che dovrebbero stare in questa struttura appena due giorni e si ritrovano lì da settimane. «Stiamo facendo l’impossibile. Le parrocchie hanno fornito coperte, vestiti, scarpe. Ma la tensostruttura è usurata e non si può lasciare il carico di questa emergenza sul­le spalle di questa città» è il grido d’aiu­to di don Angelo Saraceno, parroco di Santa Lucia e coordinatore della Caritas della città. Il sacerdote racconta di una decina di famiglie «che si sono aperte all’affido di alcuni stranieri. Anche nel- la nostra parrocchia abbiamo accolto due ragazzi del Senegal e uno della Guinea. In passato abbiamo avuto tre somali. Ma abbiamo numeri altissimi di arrivi. Non si fa in tempo a trovare loro una sistemazione che arrivano altre migliaia di persone».
Una volontaria della parrocchia San Giuseppe Innografo di Augusta, Cinzia, in una lettera ad Avvenire, racconta il suo shock nel visitare la struttura: «L’assistenza igienico-sanitaria non mi è sembrata per niente adeguata, direi anzi che si può e si deve definirla disumana. La struttura sportiva viene contemporaneamente usata da ragazzi augustani che si allenano per il campionato. E mentre vedo i volontari sacrificarsi e mettere a rischio la loro salute per aiutare questi giovani e farli sentire meno abbandonati, sento forte la solitudine a cui le istituzioni, il Comune, lo Stato, l’Europa o non so chi altri condanna non solo i profughi, ma anche chi ha nel cuore il forte desiderio di accoglierli. Inoltre, adesso, qui c’è anche il timore è che la popolazione, stanca dell’assenza totale delle istituzioni, possa reagire».
Il problema reale è che i minori stranieri non accompagnati, dal loro arrivo a carico dei servizi sociali del Comune, dovrebbero rimanere al Palajonio appena un paio di giorni, per poi essere trasferiti alla comunità di seconda accoglienza Papa Francesco a Priolo e successivamente nelle comunità alloggio sul territorio siciliano e nazionale. Ma i tempi sono lunghissimi e «le comunità sul territorio sono già piene. Inoltre, poiché questi ragazzi sarebbero a carico dei Comuni in cui risiedono le comunità alloggio, i sindaci, in difficoltà coi bilanci, si rifiutano di accoglierli» racconta il commissario del Comune di Augusta, il prefetto Maria Carmela Librizzi. «Siamo pienamente consapevoli che il Palajonio non è adeguato, ma l’alternativa sarebbe stata lasciare questi ragazzi per strada – aggiunge il commissario, che loda l’impegno della popolazione di Augusta –. Abbiamo trasferito i gio­vani affetti da malattie infettive in due locali del Comune. Stiamo cercando strutture alternative, ma l’amministrazione è in dissesto». Così l’appello a Roma. «Questa è una emergenza che non si fermerà, le navi della Marina continueranno a portare qui migliaia di profughi e centinaia di minori, che resteranno a carico del Comune che ha scarse risorse per entrare in contatto con altri Comuni per pianificare l’accoglienza di questi ragazzi. Così – propone il commissario Librizzi –, abbiamo scritto al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, informando anche il ministero dell’Interno, perché si crei una cabina di regia centrale, che possa regolamentare lo smistamento dei minori in comunità del territorio nazionale. Sappiamo che questa proposta è al vaglio del ministero».



Profughi. Unhcr al governo: "Urgente riforma dell'asilo"
L'alto commissariato della nazioni unite per i rifugiati: "Intervenire su accoglienza e inserimento sociale. Gli arrivi via mare non possono essere affrontati solo con misure emergenziali"
stranieriinitalia.it, 27-02-2014
Roma - 27 febbraio 2014 - Servono riforme incisive per l'accoglienza e l'integrazione di rifugiati e richiedenti asilo in Italia, anche per fronteggiare in maniera strutturale l'arrivo sulle coste italiane di persone in fuga da guerre e persecuzioni che chiedono protezione.
È l'appello lanciato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) algoverno apperna insiedatosi guidato da Matteo Renzi.
L’UNHCR ribadisce l"’importanza di compiere una riforma strutturale del sistema di accoglienza, con l’introduzione di misure di sostegno all’inserimento sociale, al fine di colmare le gravi lacune che attualmente costringono molti beneficiari di protezione internazionale a vivere in condizioni di marginalità e disagio". E ritiene che "la gestione degli arrivi via mare, composti in gran parte da persone in cerca di protezione, debba essere pianificata strategicamente a lungo termine, evitando il susseguirsi di misure emergenziali e stati di allarmismo".
Nei prossimi mesi, ricorda l'organizzazione internazionale, l’Italia sarà chiamata ad inserire nel proprio ordinamento le direttive europee sull’asilo, un’importante occasione per introdurre riforme essenziali ed improcrastinabili. “Queste riforme rappresentano il presupposto essenziale per poter invocare il sostegno dell’Europa sui temi dell’ asilo e sulla specificità degli arrivi via mare che interessano l’Italia” afferma Laurens Jolles, Delegato UNHCR per il Sud Europa.
L’UNHCR auspica quindi che il governo condivida la necessità di impegnarsi concretamente, includendo il tema dell’asilo nel proprio programma, al fine di riconoscere non solo i diritti fondamentali di rifugiati e richiedenti asilo ma anche l’importanza dell’integrazione per promuovere la convivenza civile.



Gli immigrati: “Non siamo criminali e non vi rubiamo il lavoro”
Lecconotizie.com, 27-02-2014
di A.b.
LECCO – Non è sempre facile il processo di integrazione degli immigrati nella società italiana, ancor di più in questo contesto di crisi economica che accentua le difficoltà. Anche Lecco non fa eccezione e per alcuni diventa poi facile, a fronte di eventi di cronaca (furti, scippi e rapine), quando effettuati da stranieri, puntare il dito e fare di tutta l’erba un fascio.
Lo sanno bene gli stessi immigrati che vivono nel capoluogo manzoniano che sentono quotidianamente crescere la tensione intorno a loro: “Immigrato uguale criminale? Non è così – spiega Isjlda Armando, referente lecchese dell’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere – E’ vero, siamo nella fascia più vulnerabile, perché scappiamo da situazioni drammatiche e partiamo alla ricerca del sogno di dare qualcosa di più ai nostri figli. Siamo più ricattabili per il permesso di soggiorno. Ma proprio perché abbiamo fatto un grande sforzo per uscire da quelle situazioni sappiamo di essere esposti agli occhi di tutti anche come rappresentanti del nostro Paese di origine. Siamo consapevoli e siamo attenti, ci sentiamo responsabili”.
“Gli stranieri non sono certo immuni  alla criminalità, ma le statistiche di dicono che non c’è maggiore dedizione al crimine da parte dei migranti, anzi è minore l’incidenza rispetto all’italiano perché genericamente chi viene nel nostro Paese per lavoro ha maggiore attenzione e timore della legge – ha ribadito Guerrino Donega’, dal comitato Noi Tutti Migranti – Purtroppo c’è rappresentazione mediatica che disegna lo straniero sempre in mezzo a queste situazioni; bisogna anche dire che la condizione di clandestinità è ancora un reato e questo innalza i dati sulla criminalità straniera, quando almeno il 50% stranieri presenti oggi in Italia e regolari sono entrati da clandestini, spesso unico modo per poter raggiungere la nostra penisola, ed ora sono qui e non delinquono”.
La questione è stata affrontata nella mattinata di mercoledì, in una conferenza stampa per annunciare un’iniziativa di sostegno e di sensibilizzazione verso le tematiche dell’accoglienza e dell’integrazione ed anche per denunciare come la crisi stia colpendo duramente la popolazione straniera residente nel lecchese.
Permessi di soggiorno non rinnovabili in mancanza di lavoro o rinnovabili solo per pochi mesi, lontananza dalle reti parentali, sentore di essere soli e meno protetti dalle difficoltà, sono solo alcuni degli aspetti messi in luce dai relatori. Un esempio di queste situazioni giunge dall’associazione sportiva dilettantistica C.F.S. di Monte Marenzo che raggruppa diversi giovani africani.
“Promuoviamo l’impegno nel mondo dello sport per questi ragazzi ma mi trovo con 25 di loro che hanno difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno – ha spiegato uno dei referenti della società Sanogo Albubakar Sidik – Sono preoccupato per il loro futuro, se andrà avanti così li troveremo in strada a spacciare”.
Molti degli immigrati si trovano a chiedere aiuto e non sempre la porta è aperta: “Sono persone che vivono nel nostro Paese, che hanno pagato le tasse, allora perché non devono essere assistiti? Perché gli si deve dare un calcio anziché permettergli l’accesso al nostro sistema di protezione sociale? – si è chiesto Donegà – Dare diritti agli stranieri non lede ai diritti degli italiani, il fatto è che questo sistema di protezione sociale è inadeguato anche per noi. E’ un problema che riguarda tutti trasversalmente, tanto che sempre più nostri connazionali si rivolgono ad enti come la Caritas o le parrocchie, quando questi aiuti dovrebbero arrivare dalle istituzioni”.
“Inoltre – ha proseguito Andrea Panizza di Les Cultures – gli stranieri contribuiscono al PIL Italiano con una quota superiore rispetto alla spesa pubblica a cui hanno accesso, il 10% contro il 7%. Si pagano quindi l’assistenza statale e danno un apporto a beneficio anche degli italiani”.
Il comitato sta portando avanti la sua battaglia da oltre cinque anni anche con la richiesta al Comune di Lecco di un locale che possa essere luogo di incontro per le diverse comunità e associazioni di stranieri presenti in città. Richiesta rimasta ancora senza una risposta.
“C’è chi dice che rubiamo il lavoro agli italiani, è una falsa questione – ha proseguito Isjlda Armando – Il mercato è aperto e chiunque può proporsi per un posto di lavoro, italiano o non italiano. Altra cosa è il lavoro in nero che va combattuto perché porta via i diritti agli stranieri quanto agli italiani”.
Il momento difficile ha spinto il comitato a proporre un evento che vuole essere un momento di condivisione tra le diverse comunità straniere presenti a Lecco e aperto a tutta la cittadinanza: il 1 marzo si svolgerà prima un presidio alle 17 in piazza Diaz (di fronte al Comune) e alle 19 una cena etnica all’Officina della Musica di Pescarenico.
“Un’iniziativa per valorizzare la presenza  dei tanti immigrati provenienti da tutto il mondo, che consideriamo come cittadini italiani a tutti gli effetti  - ha concluso dall’Arci, Davide Ronzoni – anche se i loro diritti non sono uguali ai nostri”.



Immigrati, l’Ue punisce la Svizzera Studenti fuori dal progetto Erasmus
La scelta dopo il il referendum sui frontalieri. Dal prossimo anno accademico gli allievi resteranno fuori dal programma di scambio. Penalizzati i ricercatori
La Stampa, 26-02-2014
Niente Erasmus per gli studenti svizzeri a partire dal prossimo anno accademico 2014/2015. E le domande che i ricercatori svizzeri presenteranno per avere accesso ai fondi del programma Horizon 2020 «saranno trattate come quelle di Paesi terzi», cioè piazzate in fondo alla lista. Sono le prime serie conseguenze della “guerra” tra Ue e Svizzera per il referendum del 9 febbraio, quando il 50,3% ha chiesto a Berna di tornare a chiudere le porte all’immigrazione e imporre “quote” annuali di permessi di lavoro.
Già due giorni dopo il voto Bruxelles aveva annunciato la sospensione delle trattative sui negoziati in corso, oggi è scattata la prima rappresaglia concreta. E mentre Laszlo Andor, Commissario per il lavoro e gli affari sociali, l’annunciava alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, il leghista Mario Borghezio ha inscenato una clamorosa protesta. Sventolando una grande bandiera elvetica, si è parato davanti allo sbigottito Andor gridando: «E no, l’Europa deve rispettare la volontà del popolo sovrano. Sì al referendum, sì alla libertà del popolo. Basta con la dittatura europea sui popoli». Un gesto per esprimere «il pieno consenso della Lega» al senso del referendum e dimostrare che la Ue «prona ai diktat dei poteri finanziari» è «impermeabile ai principi di democrazia» della antica Confederazione elvetica.
«Pacta sunt servanda», aveva detto Andor, ricordando che la libertà di circolazione è «un diritto non negoziabile» e che se da una parte è vero che il governo di Berna ha tre anni per applicare il dettato del referendum, dall’altra è obbligata a firmare il protocollo per la liberalizzazione degli ingressi ai croati, entrati nella Ue come 28/o paese il primo luglio scorso. Non lo facesse, creerebbe una disparità «assolutamente inaccettabile» tra i cittadini di una Ue fondata sul principio della libertà di movimento.
Berna si è data tempo fino ai primi di aprile per chiarire se potrà firmare o meno con i croati. Ma finora non ha chiarito un bel niente. Invece «bisogna fare presto», ha ammonito Andor. E siccome i piani per Erasmus+ e Horizon 2020 bisogna farli ora, ecco scattare l’esclusione. Primo assaggio di quello che potrebbe succedere al rapporto con la Svizzera che, pur non essendo membro della Ue, fa parte dello «spazio economico europeo» Efta e da essa dipende per il 78% delle importazioni ed il 57% delle esportazioni. «450.000 svizzeri lavorano nella Ue, un milione e duecentomila europei lavorano in Svizzera e ogni giorno sono 250.000 i pendolari», ha elencato Andor prima di annunciare lo stop a studenti e ricercatori. Interrotto da Borghezio, fermato dai commessi ed espulso.

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