Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 aprile 2014

 Sicilia, boom di sbarchi Allarme fughe di massa dai centri d'accoglienza
In sole ventiquattro ore salvati 1.200 migranti. Salvini (Lega) contro Mare nostrum: «Sospendere immediatamente i soccorsi»
Il Messaggero, 22-04-2014
Lucio Galluzzo
IL CASO
POZZALLO Era facile stabilire chi fossero gli "ultimi" e a loro è dunque toccato l'onore di condurre sulle spalle la statua del Cristo incontro a quella della Madre. Nei giorno di Pasqua sono stati dunque i "clandestini" di religione Cristiana a sfilare sotto il peso del fercolo tra due ali di fedeli, nel rispetto di una tradizione di Pozzallo che risale alla notte dei tempi. Ed è stata, questa scelta, anche un modo per dire che la cittadina portale ragusana è investita dalla pressione degli arrivi che non conosce sosta e alla quale fa fronte con civile solidarietà. Frattanto questa costante pressione dell'immigrazione è tornata ad essere al centro dello scontro politico na- zionale. II segretario leghista Mat-teo Salvini chiede 1'immediata so- spensione dell'operazione "Mare nostrum", spalleggiato da settorí di Forza Italia e preannuncia la presentazione di una mozione ad hoc in Parlamento.
L'OPERAZIONE
Domenica le navi militari dell'operazione "Mare nostrum" hanno condotto a terra 818 migranti salpati dalla Libia, alcuni dei quali agganciati a 50 miglia a sud di Lampedusa. Altri 300 sono stati soccorsi ieri e giungeranno domani nel porto di Augusta (Siracusa). Giunti a terra, ricevuta la prima assistenza, i "clandestini" - che ormai è impossibile definire tali, perché sbarcano sotto protezione della bandiera italiana - sono stati distribuiti in vari centri di accoglienza dell'isola. Ma un gruppo di 300 eritrei, destinato all'ex Centro di sperimentazione agricola regionale della vicina Comiso ha optato per la libertà immediata e durante la notte ha fatto perdere le tracce. Ora, ciascuno per proprio conto e con i propri soldi, è di nuovo sulla strada che conduce a Nord. La Sicilia è solo una tappa intermedia del viaggio iniziato nel Corno d'Africa. La destinazione finale è un Paese europeo dove riceveranno assistenza da amici e parenti che li hanno preceduti. I profughi eritrei si allontanano subito dopo lo sbarco anche per evitare di essere identificati. Durante la traversata spalmano i polpa- strelli con colori densi per rendere difficile il rilievo dattiloscopico. Sostengono che il regime dal quale fuggono compie atroci ritorsioni sulle famiglie rimaste a casa di coloro che lasciano il Paese di nascosto. Altre 38 donne eritree ed 8 minori erano inoltre scomparsi alla vigilia di Pasqua dalla Enas, una residenza protetta della Caritas diocesana di Sora-Aquino-Pontecorvo, nel Frusinate.
LE FUGHE
Ma glí eritrei sono in buona compagnia: ormai le fughe in massa si susseguono, non solo in Sicilia, non solo da tutti i Centri di accoglienza, ma addirittura dai pullman civili che trasferiscono gli sbarcati dal porto alla destinazione assegnata dalla Questura locale. Alcune sono particolarmente preoccupanti come quella avvenuta dieci giorni fa ad Augusta, dove 130 minori non accompagnati di varie nazionalità durante la notte sono evasi. Di loro non si è saputo più nulla. E, per altro, a fronte delle fughe dai Centri le questure si limitano a darne notizia al Viminale. Ma non solo: lo svuotamento parziale e "autogestito" dei Centri ha sino ad ora limitato un sovraffollamento che resta comunque dietro l'angolo se la pressione dell'immigrazione proseguirà con il trend in atto: 20 mila arrivi in circa 6 mesi.
LA POLEMICA
Tutta questa materia connessa agli sbarchi e la stessa operazione "Mare Nostrum" tornerà comunque all'attenzione del Parlamento e non soltanto perché lo chiede la Lega. «Un check up per tracciare un primo bilancio è necessario - avvisa Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato - La Marina italiana, seppur animata dalle migliori intenzioni, non può certo diventare uno strumento indiretto per agevolare i loschi traffici degli scafisti libici». E Roberto Maroni, che ha legato il suo nome alle politiche di contrasto, sostiene che l'assistenza in mare ai migranti costituisce «un irresistibile richíamo per i clandestini» e dunque il Governo dovrebbe fare passi indietro. Contro i leghisti scende in campo Ncd, il partito di Alfano, accusandoli di essere «disposti a dire qualsiasi cosa, incuranti dei morti e dei sacrifici dei nostri militari, pur di raccattare quattro voti"



Centri di accoglienza al collasso. «E il governo non paga i fondi»
Il Mattino, 22-04-2014
Gigi Di Fiore
Non c'è solo Mare nostrum, non basta intercettare e salvare i migranti con le navi della Marina militare. I problemi arrivano soprattutto dopo, quando le competenze passano dal ministero della Difesa a quello dell'Interno. Da ottobre a oggi, secondo i dati ufflciali della Marina militare, 19641 immigrati sono stati messi in salvo in mare. E portati nei porti siciliani di Porto Empedocle, Pozzallo, Catania, Augusta. Un flusso, senza precedenti, con la necessità di identificare, assistere, ospitare i di- sperati in fuga dagli orrori nei loro Paesi. Secondo il ministero dell'Interno, lo scorso anno (agosto 2012 - agosto 2013) sbarcarono 24277 clandestini. L'anno prima erano stati 17365.
Fuga dalla guerra, fuga dalla morte, fuga dalla disperazione. Anche a costo di pagare agli scafisti, criminali senza scrupoli, un biglietto illegale di transito da 3mila euro. Su carrette pericolose, in spazi angusti, senza cibo né acqua. Umanità e accoglienza. Conl'Italia costretta a fare assai spesso da sola, nell'assenza del resto dell'Europa. Il 20 marzo scorso, a tutte le Prefetture italiane è arrivata da Roma una circolare «urgentíssima». Era la presa d'atto, con conseguenti soluzioni, del nuovo allarme sull'emergenza sbarchi. Fino a un mese fa, in Italia erano già aperte 115 strutture provvisorie di accoglienza tra Sicilia, Puglia e altre regioni, per ospitare 5500 stranieri. Strutture che si sono aggiunte a quelle stabili esistenti da anni. Ma, con quelle circolare, il ministero dell'Interno annunciava un piano di sistemazioneperaltre 2390 persone. E scriveva alle Prefetture: «In via d'urgenza vanno assicurate tali accoglienze, compresa la copertura del trasporto e dei luoghi scelti":
Dunque, le navi militari intercettano i barconi. Con i loro radar e sonar, attraverso gli elicotteri in perlustrazione o su segnalazione di familiari  organizzazione umanitarie via telefono. Arrivati a barconi disastrati o  gommoni antiquati, salvano e prelevano in mare i disperatí in fuga. Mentre cercano gli scafisti criminali, i militari sbarcano gli extracomunitari in fuga sulle coste siciliane. Qui, l'unico centro di prima accoglienza stabile è rimasto a Pozzallo, in provincia di Ragusa, nell'ex dogana portuale. C'era anche Lampedusa, ma è chiuso da gennaio per lavori di ristrutturazione. Cosi, ormai Pozzallo scoppia. Potrebbe ospitare 170 persone, da tempo ne transitano in media non meno di 300. Dal 2011, nell'ex dogana, ben due rivolte e più ospiti in fuga. Con parte della gente del posto che continua a lamentarsi per lapresenza degli immigrati. Come il presidente dell'Ascom locale, Gianluca Manenti: «Molti immigrati fuggono e si riversano in città senza alcun lavoro».
Nel centro, arrivano soprattutto eritrei, somali, siriani e tunisini. Gli immigrati vengono identificati, vengono raccolte le loro impronte digitali. Schedati. Dovrebbero rimanere li dentro non più di 48 ore, prorogate a 72. Ma, per le continue difficoltà a trovare per loro subito delle sistemazioni in attesa di chiarire le loro posizioni, i migranti vengono tenuti a Pozzallo per diversi giorni. Nei centri, stabili o provvisori, il turn over è contínuo. E le Prefetture devono inventarsi ci contínuo modi e luoghi di accoglienza. L'emergenza assume cosi anche il volto delle tende comparse sul porto di Trapani, del centro nel porto di Pozzallo, della masseria San Pietro tra Comiso e Ragusa di proprietà della Regione Sicilia. Proprio da questa masseria, che potrebbe ospitare non più di 70 persone, già centro sperimentale per l'agricoltura siciliana, sono scomparsi in 300. Usciti, come è consentito a tutti gli ospiti, per una passeggiata, non sono più tornati. E da immigrati in attesa di identificazione si sono trasformati in clandestini. I centri di prima accoglienza, in prevalenza provvsori esaltuari, sono quelli dei soccorsi iniziali. Poi ci sono i nove centri di accoglienza stabili, divisi tra Sicilia, Puglia, Calabria, Friuli e Roma. Ma anche i centri per i migranti che chiedono asilo politico. Una tipologia in incremento, che ha modificato la qualità dell'immigrazione in Europa. Per chi ha diritto all'asilo politico, il ministero dell'Interno ha dovuto cosi aumentare i posti disponibili nei centri da 9400 a 19000. È l'effetto di una migrazione per paura e rischio di vita, che arriva dall'Eritrea, dalla Siria, dal Centrafrica, da Mali. Dai posti caldi delle guerre tribali e dell 'instabilità politico-militari. Quasi tutti chiedono asilo politico, in tanti documentano un concreto pericolo di vita. Di fatto, dopo la momentanea chiusura dei centro di Lampedusa e l'intensificarsi dell'operazione Mare nostrum, la porta per l'Europa sembra diventare soprattutto Pozzallo. Dice il sindaco Luigi Ammatuna: «Quasinessuno dei migranti vuole restare in Italia. Per questo fuggono dai centri di accoglienza, hanno paura che, una voltai dentificati, si possa impedire loro di arrivare in un Paese del nord Europa"
Far funzionare il centro di Pozzallo, costa 500mila euro solo per 5 mesi, come conferma l'ultima assegnazione degli appalti a tre ditte siciliane per la pulizia, i pasti e l'assistenza degli ospiti. I soldi che il ministero passa al Comune attraverso la Prefettura non sono da poco: 635mila euro per gli anni 2011 e 2012. In totale, in quattro anni e circa 5mila migranti transi tati nel centro, sono stati. spesi un milione e 700mila euro. Con problemi di gestione quotidiana continui.
Qualche mese fa, la parlamentare grillina Marialucia Lorefice, fece visita al palazzetto dello sport di Pozzallo, utilizzato come struttura provvisoria di accoglienza. E denuncio: «I migranti dormono su materassini Sottili, attaccati tra loro, con coperte inadeguate. Molti non sono abituati a mangiare pasta e hanno sofferto problemi intestinali"
Problemi gestiti da protezione civile, volontari, funzionari ministeriali. Già 4 anni fa, la prefettura di Ragusa predispose un «piano provinciale di soccorso e assistenza in emergenza sbarchi». Sono linee guida di competenze, dirette a 8 comuni e forze dell'ordine sui 111 chilometri della costa ragusana. Ormai inadeguata la classificazione dell'emergenza. Attualmente, ci si trova sempre di fronte alla «tipologia 3», quella che prevede sbarchi di oltre cento persone. E indica gestioni «adeguatamente rinforzate".
Dai centri di accoglienza, si arriva all'identificazione e poi al trasferimento successivo in due diversi tipi di strutture sparse in piü regioni: i 9 «Cara», che sono centri per chi chiede asilo politico, e i 10 «Cie» centri di identificazione ed espulsione, Nei «Cie» la permanenza non può superare i 18 mesi. Quanto costa tutto questo apparato, insieme umanitario a repressivo? Solo per rimpatri forzati 6 milioni e 490mila euro. Per i vari tipi di centri di accoglienza, nel 2011 venenro impegnati 158 milioni e 601mila euro. Non si tratta di somme da poco. E neanche certe, se per gli sbarchi continui le strut-
ture devono essere sempre riviste e ampliate. Anche se spesso con soluzioni tampone, per periodi di particolare afflusso di mi- granti. Un mese fa il ministero dell'Interno chiedeva nuovi sforzi organizzativi alle Prefetture calcolando «ulteriori arrivi di 1300-1500 persone, in aggiunta ai 3273 degli sbarchi attuali».
Un numero, come si è visto poi, troppo ottimistico. Non ci sono molti soldi e, nella circolare, il ministero ha imposto di non superare, nell'affidamento degli appalti sui servizi nei centri temporanei di accoglienza, la data del prossimo 30 giugno. Più migranti in fuga dalle guerre e il ministero ha calcolato altri 2390 posti (40 in ogni província italiana) per chi ha diritto di asilo politico. Per i centri loro destinati, fino allo scorso anno, il governo aveva destinato 5 milioni di rimborsi ai comuni. Basteranno? Sugli immigrati, fare tutto da soli senza l'aiuto dell'Europa sta diventando davvero troppo costoso.



Migranti: lo sbarco di Pasqua
Corriere.it, 21-04-2014
Marina Terragni

Il viaggio dei migranti eritrei  non è durato giorni o settimane. Il viaggio è durato mesi e mesi. Passando per Khartoum, Sudan, dove i più fortunati sono riusciti a trovare un lavoro per racimolare almeno parte della somma necessaria a pagare il “passaggio” sui barconi: gli altri soldi li hanno avuti dai parenti già emigrati in Europa, o sono un “investimento” dalle famiglie, un’assicurazione sul futuro. Poi da Khartoum la traversata del deserto fino alle coste libiche, dove i migranti in arrivo dal Corno D’Africa o dalla Siria vengono catturati, imprigionati in campi di detenzione, picchiati, torturati, le donne violentate: l’organizzazione criminale ramificata che specula sulla disperazione è uno dei principali business della Libia di oggi. Vogliono soldi, tutti quelli che riescono a estorcere, per assicurare il viaggio verso le coste nord del Mediterraneo.
L’esodo di Daniele, 22 anni -si è dato un nome italiano per facilitarci- è durato 8 mesi. Il passaggio sul barcone gli è costato 1650 dollari. Con quelle 4 parole italiane che ha a disposizione dice che in Libia sono “tutti ladri”, continua a ripetere che erano anche poliziotti e militari, ma “con maschera”, in faccia non li ha visti. Nei campi di detenzione, in attesa di imbarcarsi, è rimasto tre settimane. Tanto “picchiare”, un pane e un po’ di acqua quanto meno per tenerli vivi.
Nave San Giorgio ci sbarca ad Augusta. Dopo i recuperi biblici del 7-8-9 aprile, quasi 7 mila persone, il traffico si è momentaneamente fermato. Le condizioni del mare sono state proibitive. Anche per la settimana entrante si prevede tempesta. Ma a Sabato Santo e a Pasqua il maltempo ha dato una breve tregua. Veniamo avvisati che gli scafisti potrebbero approfittare di questa breve finestra di mare buono per far partire dei barconi. Attendiamo ad Augusta, finché non arriva la conferma: due barconi sono in viaggio, la fregata Espero e il pattugliatore Cassiopea si stanno dirigendo a recuperarli. Sbarcheranno a Pozzallo, nel Ragusano, estremo sud della Sicilia.
Ci trasferiamo da Augusta a Pozzallo e la mattina presto una motovedetta della Capitaneria di Porto ci permette di raggiungere la nave Espero, all’ancora con il suo carico umano a poche miglia dal porto. Il pilota della motovedetta taglia corto: “Ce lo lascerebbe, lei, un bambino di un anno ad affogare in mare?“. In prossimità della nave sentiamo un canto. La folla dei migranti -433, di cui 75 donne, 4 incinte, 3 bambini piccoli e decine di minori non accompagnati, migranti ragazzini- è assiepata sul ponte: un’altra notte all’addiaccio dopo la giornata e la nottata sul barcone, sull’Espero non c’è altro posto dove metterli. Hanno mangiato un po’ di pasta, ci sono pentoloni di the caldo e merendine. Non stanno cantando. Stanno pregando. Sono quasi tutti cristiani, è Pasqua anche per loro.
Bisogna vederlo il mare di notte, i fuochi tetri delle piattaforme petrolifere della Libia, per capire quanta paura puoi provare quando ti stipano su quei pezzi di legno che dovranno affrontare centinaia di miglia. Certe volte, dicono i marinai di Mare Nostrum, sono gommoni semi-sgonfi e talmente affollati che vedi solo un grappolo umano in mezzo al mare, come se galleggiasse senza natante. Devi scappare da una paura ben più grande per riuscire ad affrontare quella. Lo chiedo a Daniele: “Non hai avuto paura a salire sul barcone?”. “No” mi risponde. “Mi aiuta Dio, e Santa Maria”. Ce l’ha anche scritto sul corpo, “God”, un piccolo tatuaggio sul collo. La Madonna addolorata delle processioni che il Venerdì Santo in tutta la Sicilia piangono la morte di Gesù deve aver pregato anche per loro. Quando scendono dalla grande chiatta che li scarica in porto si inginocchiano e toccano la terra con la fronte, e poi la baciano tre volte. Il rituale rallenta le operazioni di sbarco -il passaggio ai metal detector, la foto per una prima identificazione- ma le forze dell’ordine, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, medici e volontari della Protezione Civile, attendono rispettosamente che possa compiersi.
Il medico dà l’autorizzazione allo sbarco. C’è un uomo febbricitante che trema a terra, quasi tutti hanno una tosse straziante, viaggiano praticamente nudi, con una T-shirt o una camicina, nessun bagaglio, niente di niente, i più fortunati hanno un cappello e una felpa. Da Cassiopea è stato trasportato in elicottero un diabetico in coma iperglicemico, ma stavolta gravi problemi sanitari non ce ne sono stati. Il dottore si avvicina a una ragazza incinta al settimo mese, è talmente minuscola che la pancia quasi non si vede: le palpa l’addome, le donne lanciano un piccolo grido di allarme, questa intimità fisica sembra una violazione. Cerchiamo di tranquillizzarle: “He’s a doctor. He’s papa“, non le sta facendo del male. I bimbi, non più di due anni, corrono sul ponte con un pallone. Nebi non apprezza le nostre carezze di donne. E’ piuttosto macho, preferisce farsi delle passeggiatine per mano a un omone in tuta mimetica del battaglione San Marco.
Quando la grande chiatta carica di umanità si stacca dalla nave, i generosi marinai di Espero che si affacciano per assistere alle operazioni, i migranti esplodono in uno, due, tre applausi. Di ringraziamento, di sollievo, di speranza. Ci sarà ancora da tribolare ma forse il peggio è alle spalle. Lì proprio non riesco a trattenermi, le lacrime bagnano la mia mascherina sanitaria. Penso ai bastimenti dei miei trisavoli che approdarono a Ellis Island, New York. Il loro nome è ancora sui registri. Stessa carne, stessa umanità bisognosa.
Le operazioni di sbarco sono lunghe e complesse, il caldo africano arroventa la banchina. I migranti sono destinati al centro di prima accoglienza di Comiso, vari pullman sono in attesa. Le donne fanno resistenza. Si accucciano quiete e caparbie, non vogliono salire. Non intendono venire separate dai loro compagni di viaggio. Dico ai poliziotti che forse ci vorrebbero delle donne per accompagnarle, che vedere tanti uomini in divisa può spaventarle. Alla fine si convincono e salgono a bordo. I ragazzini sono i più eccitati: quei pullman con l’aria condizionata sembrano navicelle spaziali, si accomodano ai loro posti con gli occhi che brillano. Alcuni possibili scafisti vengono intercettati.
La carovana parte: pullman, camionette della polizia, la nostra auto al seguito. Un’oretta di viaggio nella campagna ragusana, tra i carrubi e i muri a secco, mentre i siciliani siedono a tavola per il pranzo pasquale. In prossimità del centro la carovana rallenta e poi sosta per qualche minuto. E’ un attimo: una dozzina di migranti balza fuori dal finestrino dell’autista, una corsa disperata tra i campi assolati per paura di chissà che cosa, per andare chissà dove. C’è anche una ragazza che corre come una giovane gazzella. I poliziotti non riescono a fermarli. Ne acchiappano uno che resta qualche minuto a terra, una smorfia di dolore, come Gesù caduto sotto la sua croce.
Il centro è accogliente, decoroso, ristrutturato da poco. Piccole casette, materassi di gommapiuma allineati ordinatamente nelle stanze, lenzuola ancora nei cellophane, coperte, bagni puliti. Nel cortile viene distribuito il pasto: conchiglie al pomodoro, carne, patate, acqua. Qualche cagnetto randagio circola sperando di intercettare un boccone. Ci sono già ospiti: giovani nigeriani e ghanesi lindi nelle loro tute nuove: i siciliani sono disperati per quello che sta capitando nella loro isola eppure sempre pronti a soccorrere, a condividere, a portare abiti e scarpe smesse. Fanno quello che possono. Un giovane nigeriano si avvicina. Mi dice in inglese che lui e i suoi compagni stanno lì da 17 giorni: solo mangiare e dormire, non è vita, così finiremo per ammalarci. Siamo venuti qui per lavorare. Scambio uno sguardo con un poliziotto: lavorare? Il poliziotto allarga le braccia: ormai anche per i lavori agricoli stagionali si fanno sotto i siciliani. Gli ospiti del centro chiedono tutto: sigarette, euro, poter telefonare in Nigeria o in Norvegia dove hanno qualche parente a cui riferirsi.
La Marina Militare con la missione Mare Nostrum fa splendidamente il suo lavoro: 28 mila persone tirate su dal mare in 6 mesi, tante donne e bambini, anche partoriti sul barcone. Un modello di accoglienza e di efficienza a cui il mondo dovrebbe guardare. I problemi cominciano a terra. Cosa fare di tutta questa gente, dove sistemarla, come aiutarla a campare. Il resto d’Europa se ne lava allegramente le mani. Ad Augusta, per esempio, c’è una scuola che ospita 80 minori non accompagnati. Stanno lì da mesi. Girano per la città come cuccioli randagi. Quello che è capitato a Lampedusa, che momentaneamente ha chiuso a nuovi arrivi, oggi sta capitando in tutta la Sicilia.
Chiudo con i numeri di ieri: più di 800 migranti recuperati da Espero e Cassiopea con l’aiuto del mercantile Red Sea. A cui è seguito nelle ultime ore il soccorso di altri 400 migranti presi a bordo da nave San Giorgio: dopo le prime cure da parte del personale sanitario, tra cui i volontari della Fondazione Francesca Rava (con il supporto di Wind), oggi saranno trasferiti su Espero che li sbarcherà da qualche parte. 1200 persone in poche ore. Appena le condizioni del mare lo consentiranno, con il buon tempo di maggio, giugno, luglio, gli sbarchi riprenderanno a ritmo esponenziale: non è detto che il canale umanitario di Mare Nostrum abbia risorse per continuare a lungo la missione, e questo potrebbe provocare un esodo biblico dalle coste sud del Mediterraneo. Secondo il ministro Alfano ci sarebbero 600 mila persone in attesa di imbarcarsi.
Le prossime settimane potrebbero essere drammatiche.
C’è bisogno di tutto. E di tutti. Nessuno escluso.

 

VIAGGIO DI OTTO MESI, UNA SORELLA STUPRATA I RACCONTI DEI MIGRANTI
Corriere della sera, 22-04-2014
Marina Terragni

Ambeba e Yonas aspettano il loro primo figlio. Lei è al quinto mese e dice che vuole far nascere il bambino in Norvegia.
La meta di Saia, 17 anni, è la Germania, dove la sorella è bigliettaia sui bus. Saia è sola. In Libia la sua bellezza l’ha pagata cara: i criminali che gestiscono il traffico umano –un enorme business, capitolo della tratta degli schiavi- non si sono accontentati dei soldi.
Daniele mastica un po’ di italiano e traduce con pudore la testimonianza della “sorella”. In Libia “tutti ladri”, dice, vogliono soldi, picchiano, stuprano. Anche per lui un viaggio di 8 mesi e le terribili ultime settimane nei campi libici. Usano le scosse elettriche se esiti a salire sui barconi, nel mare nero e gonfio della notte. Ma la paura da cui stai fuggendo è ben più grande di quella di affrontare il mare aperto.
Se ce l’hanno fatta ad arrivare fino a qui dall’Eritrea, via Khartoum, la traversata biblica del deserto e poi gli schiavisti libici, se ora sono a Pozzallo (Rg) e baciano la terra uno a uno, rito che rallenta le operazioni di sbarco, l’ultima tratta del viaggio non sarà poi così dura. Troveranno sempre qualcuno che gli darà un paio di scarpe, una caciotta, un frutto.
Qui in Sicilia, che è ormai un’enorme Lampedusa, la gente è spaventata. Si mettono le mani nei capelli: “Come faremo?”. Ma poi quando c’è da fare fanno. Se c’è da andare in mare a tirare su la gente, vanno. Anche bambini morti, come è capitato su Espero, una delle navi della missione Mare Nostrum che in 6 mesi ha salvato 28 mila naufraghi: solo grazie a questo il Mediterraneo non è una fossa comune.
Il comandante di Espero dice che sono stati loro i primi a ripescare i morti dopo la tragedia di ottobre a Lampedusa. Anche piccoli di un anno. Non erano ancora attrezzati e neanche il loro cuore lo era. A bordo giusto qualche mascherina sanitaria. Le salme le hanno distese sul ponte della nave.
Su questo stesso ponte la mattina di Pasqua 433 migranti cantano le lodi del Signore. Quasi tutti eritrei e cristiani: 75  donne, quattro incinte, 3 bambini, decine di minori soli, ripescati nel corridoio umanitario garantito dalla missione Mare Nostrum in un’area di 71 mila km quadrati dove si muovono 5 navi con 779 militari, elicotteri, gommoni, 1 drone e altri mezzi, in collaborazione con forze dell’ordine e magistratura (78 scafisti arrestati). Unità mediche coadiuvate dal personale sanitario volontario della Fondazione Francesca Rava. Una straordinaria macchina di sorveglianza e di accoglienza che solo tra il 7 e il 9 aprile ha salvato 6769 migranti. E a Pasqua e Pasquetta -breve finestra di mare calmo- altre 1200 persone accolte da Espero, Cassiopea, San Giorgio e dal mercantile Red Sea.
Un prodotto d.o.p. tutto italiano, questa missione, che dovrebbe costituire un modello da esportare e che invece non gode di attenzione né di sostegno da parte del resto d’Europa: 9 milioni al mese, fondi stornati dalle ordinarie attività della Marina Militare e che ormai non bastano più.
Appena il mare si calmerà i barconi arriveranno a centinaia: 600 mila persone attendono di salpare, secondo il ministro dell’Interno Alfano. “Noi siamo solo l’aspirina” dice l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, Comandante in capo della Squadra Navale “e non la cura della malattia. Il problema dei flussi va affrontato dalle Nazioni Unite con Ue e Unione Africana, con programmi di sviluppo e repressione di chi lucra sulle vite umane”.
Quando la chiatta affollata di migranti si stacca da Espero per raggiungere Pozzallo, il popolo dei salvati fa esplodere un applauso di ringraziamento, a Dio e agli uomini, al tè caldo e ai 60 chili di pasta all’olio.
Il problema sarà il pane di domani.   



Quanto è dura non morire fino a primavera
l'Unità,22-04-14
Flore Murad-Yovanovitch
L’accoglienza può fare impazzire. Riduce ad oggetto, a destinatario di una fasulla carità bianca, ai bisogni, mentre hai l’esigenza di una vita tua, libera, come la nostra. Nei corridoi vuoti e cadenti del centro per richiedenti asilo filmato da Camilla Ruggiero, emergono tutte le contraddizioni e l’ipocrisia di questo sistema distruttivo. Certo la colpa principale è del Regolamento di Dublino, che respinge, espelle, deporta nel cuore dell’Europa persone, trattate come meri corpi. Mentre quei profughi avrebbero diritto di asilo, vengono deportati tra paesi firmatari, spediti e rispediti dove hai messo piede per la prima volta sul territorio dell’Ue. In un limbo giuridico, che genera nel frattempo un’apolidia di fatto. Un limbo, fatto di neon, pasti e psicofarmaci.
Un limbo che svela “Non morire fino a primavera”, da cui sembra impossibile uscire, mentre i volti carini delle assistenti sociali cercano di convincerti del contrario. Che qui potrai rifarti una vita. Mentre nemmeno loro sono informate dell’unica risposta vitale per te: quale sarà l’esito della tua richiesta d’asilo, e il tempo di attesa, settimane mesi o anni? Loro, i rifugiati, hanno i volti increduli di fronte a tanta violenza burocratica. Chiedono di essere trattati come esseri umani, mentre è proprio quest’identità a venir negata. Nel paese da cui sono fuggiti avevano già sofferto, persecuzioni, torture... «Non siamo noi, è l’Europa che decide in che posto tu devi stare», risponde un’operatrice in un lapsus rivelatore. Un misterioso deus ex macchina mostruoso, che stritola le non-vite da dubliners. Strappati dalla terra come radici secche, esclusi dalla vita, e i bambini sottratti alle loro scuole. Ed eccoli, nei corridoi vuoti del centro barcollare con le cuffie. A giocare senza gioia senza un paese, senza compagni.
Di quali traumi si macchiano questi centri, quale trauma subiscono quei richiedenti asilo respinti?
Camilla Ruggiero, si è infiltrata, per mesi nel centro A.M.I.C.I di Roma gestito dall'Università Cattolica di Roma in collaborazione con la Croce Rossa. Ha piazzato la telecamera tra gli operatori di quel centro, i medici e i profughi. Finto il rituale, finti i sorrisi, mentre il foglio d’espulsione è vero: una spada di Damocle sopra la loro teste. Finta la dolcezza, la presunta sensibilità etnico-religiosa… che mal celano l’asimmetria totale dei rapporti. Loro migranti non liberi, resi “pazienti”, prigionieri di parole incancrenite di buonismo e di interpretazioni che di psiche umana sembrano non capire nulla. L’uso della psicologia come un’altra forma di controllo. I sorrisi sembrano aver per unico scopo quello di lenire la giusta rabbia, di calmare, fare crollare la capacità di reagire. Rendere buoni. Con gli psicofarmaci somministrati in grande quantità in tutti quei centri. Non morire fino a primavera (da un proverbio curdo), perché potrebbe succedere che ti appendi al termosifone o ti getti dalla finestra, come succede, a volte, in quei angoli bui dell’informazione, in quei luoghi di attesa senza fine. Il documentario di Ruggiero coglie cosa avviene alla mente di queste persone trattenute de facto. E indaga su chi si arroga il diritto di «aiutare». E cade allora la maschera. Il fare impazzire gli «altri», orchestrato dal sistema Europa, inizia solo ad essere raccontato.



6 scuole statali inglesi «islamizzate» di nascosto
Avvenire, 22-04-2014
Elisabetta Del Soldato
Dovrebbero essere come tutte le altre scuole secondarie statali del regno, stesso curriculum, stesso metodo di insegnamento, invece l’ispettorato dell’Istruzione, il cosiddetto “Ofsted”, ha scoperto qualche giorno fa che almeno sei scuole pubbliche di Birmingham applicano regole molto diverse dalle altre: segregano le ragazze negli ultimi banchi; costringono le professoresse a indossare il velo e se nelle altre scuole si cerca di insegnare almeno le basi di tutte le religioni, in nome della tolleranza, in queste sei scuole si parla solo di islam, anche con gli studenti che sono palesemente cristiani.
Qualche giorno fa un’inchiesta pubblicata sul Daily Telegraph ha rivelato i nomi degli istituti: si tratta di Park View, Golden Hillock, Nansen, Oldknow, Saltley e Alston, tre dei quali gestiti dalla stessa persona: Tahir Alam, attivista, tra l’altro, del controverso Muslim Council of Britain. È quasi certo, ha dichiarato ieri un portavoce di Ofsted, che l’ispettorato deciderà di rimuovere Alam dalla sua posizione e che le scuole citate «saranno messe sotto osservazione per un periodo non ancora determinato».
Ma ancora non si capisce, scriveva il Telegraph, come sia stato possibile trasformare queste scuole statali nel giro di pochi mesi in vere e proprie istituzioni coraniche. «Si tratta dell’ultimo affronto alla comunità cristiana – ha detto a Avvenire Andrea Williams dell’associazione per la difesa dei diritti cristiani, Christian Concern –. E non mi stupirei affatto se il numero di queste madrasse in incognito fosse molto più alto». A Park View, le studentesse erano obbligate a sedere in fondo alla classe mentre i maschi dominavano le prime file.
A Golden Hillock e Alston era stato invece spesso invitato a parlare agli studenti come ospite d’onore Shady al-Suleiman, un predicatore estremista, anti-semita e con simpatie dichiarate per al-Qaeda. In tutte e sei le scuole le insegnanti erano costrette a indossare il velo islamico e tutti gli studenti devono imparare l’arabo, anche quelli cristiani e cominciare e finire ogni lezione con una preghiera musulmana.
Durante l’ispezione Ofsted ha anche scoperto che diverse persone dello staff avevano legami di parentela con il direttore Tahir Alam. E poco meno di un mese fa la preside di Park View, Lindsey Clarke, si è licenziata perché non aveva più alcun potere decisionale nonostante due anni prima la sua gestione dell’istituto fosse stata reputata «ottima» da Ofsted.

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