Se basta la sindrome di down per non essere cittadini

Italia-razzismo
Il percorso per ottenere la cittadinanza italiana è articolato, complesso e dall’esito, fino all’ultimo istante, incerto. Sembra essere questa la morale suggerita da recenti fatti di cronaca. È accaduto, infatti, che il passaggio che prevede il giuramento di fedeltà alla Repubblica, a seguito della concessione di cittadinanza, sia stato cruciale per un uomo di origine marocchina e per un diciottenne albanese.

Nel primo caso il richiedente, in Italia da 21 anni, non è riuscito a leggere il testo del giuramento in quanto analfabeta e, quella che sembrerebbe una semplice formalità, è stata posticipata di sei mesi per consentire al signore di imparare a leggere. Nel secondo caso il limite è stato determinato dalla sindrome down da cui è affetto il giovane colombiano, considerato come soggetto incapace di intendere e di volere e, dunque, non in grado di prestare il giuramento. Qui, evidentemente, il fatto che si tratti di una persona nata a cresciuta in Italia, non ha avuto alcun valore. Nel primo come nel secondo caso ci sarebbero i termini per diventare cittadini, ma la formula di rito pare essere decisiva, come prevede l’articolo 10 della legge 91/92 sulla cittadinanza: “il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la costituzione e le leggi dello Stato”. Le due situazioni, nonostante il finale coincida, sono in realtà molto diverse tra loro. La storia di Cristian, questo è il nome del giovane colombiano,  è quella di una persona che ha sempre vissuto in Italia. Proprio per il fatto di essere nato qui, al compimento del diciottesimo anno di età, può richiedere la cittadinanza direttamente al comune di residenza. E invece, a interrompere il suo processo di integrazione, interviene un pregiudizio in questo caso doppio: verso lo “straniero” e verso l’ “handicappato”. Ma c’è un punto che è risolutivo, o quantomeno, che potrebbe suscitare qualche riflessione. La Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, infatti, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18 del 2009, potrebbe rivelarsi uno strumento concreto per combattere le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani nei confronti di persone come Cristian. Anche perché, nel testo della Convenzione, si precisa che esse hanno “il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non devono essere private della cittadinanza arbitrariamente o a causa della loro disabilità”.
In ogni caso, la storia di Cristian, scopre un’altra lacuna della normativa italiana sulla cittadinanza che speriamo venga colmata, insieme alle altre, nella prossima legislatura. Nel frattempo, ci siamo rivolti al ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, perchè, come ha chiesto anche la deputata Maria Antonietta Farina Coscioni, la domanda di cittadinanza di Cristian sia immediatamente accolta.
l'Unità, 31-01-2013

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