Come funziona la macchina dell'accoglienza dei migranti

Valentina Brinis
Zeroviolenza, 26-03-2015
La notizia per cui tra i migranti in arrivo via mare in Italia ci sarebbero anche terroristi pronti a colpire è l'ennesimo "al lupo al lupo", che aumenta immotivatamente lo stato di allarme e tensione verso le persone straniere. Si tratta, infatti, di un fenomeno che non è stato confermato e di cui non si è avuto ancora un solo caso. La realtà, per ora, è un'altra: la composizione di quei flussi è data da persone che fuggono da paesi in stato di guerra e che tentano, sapendo di avere scarse possibilità di riuscita, di salvare la propria vita emigrando altrove.

La precarietà è determinata dalle condizioni in cui affrontano quei viaggi di cui la traversata  in mare é solo l'ultimo tratto. La partenza dal paese di origine è ormai lontana, e la strada fatta è stata caratterizzata da violenze, ricatti e minacce. A gestire i viaggi, come è ormai noto, sono veri e propri trafficanti di uomini che, con un'acribiosa organizzazione, coprono l'intero tragitto, suddividendolo in più parti la cui percorrenza è soggetta a un preciso tariffario. E questa è una delle ragioni per cui la durata è molto lunga e difficile da velocizzare.
Una volta approdati sulle coste italiane, però, la situazione di certo non migliora. Il primo servizio che viene offerto si può definire quasi di ristoro perché permette alla persona di recuperare le energie necessarie ad affrontare l'impatto con il paese di accoglienza. È un momento molto importante nella vita di un migrante perché, se in questa fase non si recepiscono le giuste indicazioni su dove andare, cosa fare e come farlo, è molto probabile che il progetto di vita immaginato al momento della partenza venga compromesso. Ecco perché si rivela cruciale fornire alle persone appena giunte tutte le indicazioni giuridiche, psicologiche e sociali utili ad orientarsi. Ed è proprio ciò che dovrebbero fare i centri mettendo in atto così il vero senso del termine accoglienza.
Il sistema finora adottato ha dato risultati parziali rispetto allo scopo prefissato. Ovvero quello di rendere autonomi i rifugiati al termine del percorso svolto. Il motivo dell'insuccesso sta nel fatto che oltre al vitto e all'alloggio in alcune situazioni non è stato fornito altro, cioè tutti quei servizi come l'insegnamento della lingua italiana e l'assistenza psicologica, necessari a far sì che una persona abbia gli strumenti giusti per poter cercare un lavoro e affittare una  casa. Fino a gennaio del 2014 i posti disponibili nel sistema di accoglienza così detto integrato, lo Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati), erano appena tremila e solo nell'ultimo anno, in seguito a un aumento dei fondi disponibili, sono stati aumentati, arrivando ad essere poco meno di ventimila.
Ciò nonostante è ancora alto il numero di chi rimane escluso da tale percorso e che pertanto si trova ad essere accolto in altri circuiti in cui vengono offerte meno possibilità. La criticità che si rileva a distanza di un anno da quel provvedimento è legata non solo alla scarsità di posti ma anche alla scelta delle persone da inserire. Infatti, anche se il sistema Sprar prevede l'accoglienza di rifugiati, ovvero di chi ha già ottenuto una protezione e dunque un permesso di soggiorno, la maggior parte degli aventi accesso a quei centri sono richiedenti asilo (cioè chi ha appena presentato la richiesta e non sa che tipo di protezione riceverà).
L'effetto principale è l'esclusione di chi già sa che rimarrà in Italia e che, avendo completato l'iter per l'ottenimento del permesso di soggiorno, si trova in una condizione psicologica tale da poter intraprendere il percorso di formazione. Un passo in questo senso è già stato fatto in seguito al 10 luglio, data della stipula di un patto tra lo Stato e le regioni, in cui si è dato il via alla creazione di centri di prima accoglienza in cui, da un paio di mesi, è possibile impartire lezioni base di italiano ai richiedenti asilo.
Ma il punto vero della questione è che si manifesta in maniera sempre più urgente la necessità di una riforma dell'intero impianto dell'accoglienza in Italia. L'occasione è offerta da due direttive europee che l'Italia dovrà recepire entro luglio. Una riguarda le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale (direttiva procedure) e l'altra il sistema di accoglienza (direttiva accoglienza). Con una corretta trasposizione di quest'ultima nell'ordinamento italiano si potrebbero mettere in atto una serie di soluzioni vantaggiose non solo per chi è accolto ma anche per la società intera.
Ne riporto due: il superamento dei CARA (centri di accoglienza richiedenti asilo e rifugiati) le cui dimensioni e la loro gestione hanno manifestato una serie di problemi, che hanno portato ad una preoccupante riduzione negli standard d’accoglienza. E il rafforzamento dell’accoglienza diffusa che dovrebbe, in linea di principio, garantire, alla luce dell’esperienza dello SPRAR, una presa in carico qualitativamente più adeguata dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
Un'ultima raccomandazione riguarda il monitoraggio e il controllo della qualità delle condizioni d’accoglienza. È soprattutto questo, come è stato dimostrato dalle recenti vicende di cronaca, il tassello mancante.

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