Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 settembre 2013

“Inevitabile la mescolanza dei popoli per questo io dico sì allo ius soli”
la Repubblica, 18-09-2013
Carlo Annovazzi e Zita Dazzi
Cardinale Angelo Scola, nella sua Lettera pastorale definisce «un balbettio» la voce di Milano. A due anni dal suo arrivo, che città è Milano?
«Oggi c’è chi afferma che saremmo di fronte al termine del processo di secolarizzazione. I tentativi che si sono succeduti, a partire dalla modernità, di trovare un significato comune per tutti non sono riusciti. Siamo alla ricerca di un nuovo senso. Potremmo dire di un nuovo umanesimo che deve ancora vedere la luce. La parola balbettio la uso positivamente, come una promessa ».
E questo umanesimo può partire da Milano?
«A Milano, e nell’area metropolitana lombarda, ci sono germogli promettenti di un nuovo umanesimo. Il tessuto sociale documenta, in molte forme, tentativi di risposta alla ricerca di senso e di speranza per la vita, luoghi di costruzione della vita buona e di buon governo. Anzi, quest’estate davanti allo Shard (la Scheggia), il grattacielo-simbolo di Londra, mi veniva in mente il più alto dei
grattacieli di Milano, che in forme moderne ripropone, con la sua freccia, una guglia del nostro Duomo. E pensavo: se l’emblema della Londra contemporanea registra la figura dell’umanità di oggi, che sembra un agglomerato di schegge di verità, quello di Milano con la sua guglia lanciata verso il cielo, verso Dio, può diventare simbolo della costruzione del nuovo umanesimo che ci attende».
Perché allora l’allarme di un “ateismo anonimo”?
«Io vedo un Duomo pieno di gente, così anche le parrocchie. Milano non è Parigi, Londra o Berlino. C’è ancora un cattolicesimo di popolo. Siamo allora al riparo a differenza del resto d’Europa? No, perché c’è una sorta di “ateismo anonimo” nel senso che molti cristiani hanno perso la percezione della presenza concreta di Dio nel quotidiano».
Lei ha coniato la definizione di “meticciato” e parla spesso della nostra società plurale. Oggi è più che mai attuale il tema del diritto di cittadinanza per i bambini figli di immigrati ma nati in Italia. Che ne pensa?
«Io istintivamente sono a favore dello ius soli, però anche questo va studiato e regolamentato con grande attenzione e realismo, perché in una situazione come quella attuale, non si può sancire meccanicamente il diritto per chiunque venga in Italia, anche per poco tempo, di fare un figlio, fargli ottenere la cittadinanza, e poi andarsene».
Ma proprio qui nella diocesi lombarda c’è chi chiede leggi più restrittive sull’immigrazione e chi ritira i figli da scuola per la presenza degli stranieri.
«Il mescolamento dei popoli è un processo. E i processi non ci chiedono il permesso di capitare: avvengono. Saggezza chiede che cerchiamo di orientarli al meglio, puntando all’integrazione. È di capitale importanza però distinguere i ruoli. La Chiesa è chiamata a fare una cosa, la società civile è chiamata a farne altre, la politica altre ancora. Quando il Papa va a Lampedusa, testimonia che la Chiesa deve farsi carico del bisogno nella sua immediatezza. Arriva da noi gente che sta male: la si accoglie, la si aiuta. Poi però la politica deve fare la sua parte. Sull’immigrazione è necessaria una politica capace di interpretare e di gestire le istanze che nascono dalla società civile, compresa la paura della gente».
Come sta vivendo i primi mesi dopo l’arrivo di papa Francesco? Dialoga con i non credenti, come nella lettera inviata a Eugenio Scalfari e a Repubblica. Vuole aprire i conventi ai rifugiati...
«Il Papa, con la sua personalità e il suo stile, ha testimoniato con forza e freschezza l’essenza del fatto cristiano. Senza dubbio papa Francesco rappresenta per tutta la Chiesa — e in particolare per noi europei, stanchi e affaticati perché abbiamo portato sulle spalle il peso della complessità moderna — una provocazione salutare, una scossa, uno shock benefico. Dobbiamo tutti seguirlo. La
vivacità dello stile personale e la sapienza di papa Francesco ci invitano a semplificare, ad evitare il rischio di troppa organizzazione. Mi viene in mente Michelangelo e penso al metodo con cui creava i suoi capolavori: di fronte al blocco di marmo vedeva la forma della statua e per lui scolpire era anzitutto tirar via».
Lei invita la Chiesa a «non richiudersi nei recinti» e a dialogare con il mondo, cercando un «confronto leale» anche con chi la pensa diversamente.
«Se voglio capire le ragioni di uno che non crede, devo ascoltarlo e confrontarmi, ed anche lui deve ascoltare e confrontarsi con le mie ragioni. Questo non solo è inevitabile, ma è anche l’aspetto affascinante di una società plurale. Visioni diverse si confrontano e talora si scontrano per arrivare ad un riconoscimento reciproco. Occorre superare il limite umano che si radica nel pregiudizio: se non lo faccio non sono capace di autentica critica».
Oggi il lavoro è un problema drammatico a Milano come in Italia. Come si esce da questa crisi economica?
«Non si capisce questa crisi economico-finanziaria se non inserendola nel travaglio dell’epoca in cui stiamo vivendo. La finanza ha potuto prendere certe strade proprio a causa di quella “scheggiatura” culturale di cui ho parlato. Se ci fosse stato un umanesimo unitario di riferimento, pur nella pluralità, forse certi eccessi sarebbero stati impediti. A questo punto dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di cambiare. La prima cosa, la più urgente, è condividere il bisogno dei giovani che non trovano lavoro e dei quarantenni e cinquantenni che lo perdono. Qui a Milano la Chiesa sta dando un contributo con il Fondo Famiglia Lavoro ».
Torniamo a Milano. L’Expo può rappresentare un’occasione di rilancio?
«L’Expo è un catalizzatore, cioè un potenziale fattore di unità. Il suo tema, “Nutrire il pianeta”, è bello, ha a che fare con tutti e tre gli aspetti della vita dell’uomo: affetti, lavoro, riposo. Inoltre a noi cristiani questo tema sta particolarmente a cuore perché il centro della nostra vita quotidiana è l’Eucaristia, cioè mangiare il corpo di Cristo. Io credo che se lavoreremo bene, Milano farà sentire la sua voce in tutto il mondo mostrando il suo contributo a quel nuovo umanesimo di cui parlavamo».



Movimenti, sindacati, parlamentari: «Cambiare la legge sul caporalato»
L'appello / DA ROSARNO A SALUZZO, PIÙ DIRITTI AI MIGRANTI
Interrogazione al ministro della giustizia Cancellieri sulla mancata attuazione e il miglioramento del decreto anti-sfruttamento
il manifesto, 18-09-2013
Roberto Ciccarelli
Un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per verificare quante volte la magistratura e le forze dell'ordine hanno applicato il decreto anti-caporalato (il Decreto legislativo 109 del 2012) che permette ai migranti irregolari sfruttati di denunciare i datori di lavoro ottenendo il permesso di soggiorno. L'hanno presentata ieri in una conferenza stampa che si è tenuta alla Camera dei Deputati un vasto schieramento di forze sociali e parlamentari a cui partecipano movimenti sociali come Action e il centro sociale «Ex Canapificio» di Caserta, l'Associazione studi giuridici immigrazione (Asgi), la Cgil, i coordinamenti dei migranti di Caserta e delle comunità Sikh e africane del sud Italia insieme ai deputati Pd Cesare Damiano (presidente della Commissione Lavoro), Marco Miccoli e Marco Paciotti, quelli di Sel Ileana Piazzoni e Titti Di Salvo, il 5 Stelle Walter Rizzetto e Adriano Zaccagnini del gruppo misto.
Stando ai primi dati, il bilancio del decreto che avrebbe dovuto segnare una svolta nella lotta contro il caporalato è negativo. Le denunce sono state poche decine e, al momento, si conta una sola inchiesta condotta dalla Procura di Palmi. I promotori dell'iniziativa hanno verificato una serie di lacune fatali: «Il decreto non prevede, ad esempio, un meccanismo che permetta al lavoratore di restare in Italia senza essere espulso fino a quando il giudice concede il permesso - afferma Salvatore Fachile dell'Asgi - e prevede il permesso solo quando lo sfruttamento avviene nei confronti di 4 o più stranieri non regolari o quando lo sfruttamento arriva ad un punto tale da mettere in pericolo la vita. Così facendo, a differenza della direttiva europea 52 del 2009 recepita nel Decreto, si escludono le ipotesi più frequenti di sfruttamento». Il progetto è di presentare entro novembre una serie di emendamenti che rendano più adeguato il quadro normativo contro lo sfruttamento dei migranti senza permesso di soggiorno.
I promotori intendono proporre modifiche anche al testo unico sull'immigrazione. La condizione degli irregolari sfruttati tocca diverse normative e settori produttivi diversi dall'agricoltura. «Ci sono l'edilizia, il commercio e il turismo - afferma Marco Miccoli (Pd) - E poi le badanti, che non rientrano nella tipologia di sfruttamento del decreto 109 perchè lavorano singolarmente, e non possiamo dimenticare la situazione dei minori. Insomma, è necessario formulare una nuova legge quadro».
Giovanna Cavallo (Action) si è soffermato sul modo in cui sarà organizzato il percorso: «Organizzeremo delegazioni composte da movimenti, associazioni, sindacati e parlamentari che andranno nei campi dove lavorano i migranti a Saluzzo, Rosarno, Foggia o CastelVolturno. Chiederemo l'avvio di un monitoraggio sulle loro condizioni, un tavolo di confronto con le istituzioni interessate, oltre che una revisione dei controlli nei luoghi di lavoro. Abbiamo diffuso un appello affinché questo percorso - che è molto difficile - diventi uno strumento di dibattito pubblico».
La condizione di irregolarità è una fase attraversata dalla quasi totalità dei migranti. La crisi economica ha allungato questo periodo a tal punto che alla fine del 2011 non erano stati rinnovati 263 mila permessi di soggiorno. Questa condizione di invisibilità ha peggiorato nettamente il lavoro nelle campagne e nelle periferie delle nostre città. «O si aggiusta il tiro riformando un decreto che non funziona - conclude Fachile (Asgi) - oppure è giusto riaprire una procedura di infrazione contro l'Italia. Il Dl 109 potrebbe essere corretto sulla base della stessa delegata già avuta dal governo, quindi senza bisogno di passaggio parlamentare, entro agosto del 2014».



Arrivati a Catania 149 immigrati soccorsi da mercantile nel canale di Sicilia
Catania Today, 18-09-2013
Tra gli extracomunitari una quarantina di minorenni, alcuni neonati e tre donne incinte, una delle quali in avanzato stato di gravidanza, trasferita in ospedale. Gli altri sono stati condotti nel PalaCannizzaro di Aci Castello
Sono sbarcati questa notte, nel porto di Catania, i 149 migranti, per la gran parte siriani, soccorsi ieri in acque maltesi da un mercantile, dopo una segnalazione della Guardia costiera.
Il natante si è fermato in rada e il trasbordo a terra è avvenuto con una motovedetta della guardia costiera. Tra gli extracomunitari una quarantina di minorenni, alcuni neonati e tre donne incinte, una delle quali in avanzato stato di gravidanza, trasferita in ospedale. Gli altri sono stati condotti nel PalaCannizzaro di Aci Castello.



Servizio Civile. Bando in arrivo, di nuovo esclusi i figli degli immigrati
Nonostante la sentenza di Milano, anche stavolta c’è il requisito della cittadinanza italiana. Le “piste” battute da Kyenge erano vicoli ciechi: “Bisogna prima modificare la legge”
Stranieriinitalia.it, 17-09-2013
Elvio Pasca
Roma – 17 settembre 2013 – Quindicimila giovani volontari impegnati in attività di utilità sociale, tra disabili e anziani, nei musei, nelle scuole, nei parchi nazionali. Anche stavolta, però,  dovranno essere tutti italiani doc: i figli degli immigrati, anche se sono nati e cresciuti qui,  se per la legge sono ancora stranieri dovranno rimanere a casa.
Il nuovo bando per il Servizio Civile Nazionale, atteso a giorni, è un muro di gomma sul quale rimbalzano le aspirazioni delle seconde generazioni. Secondo le anticipazioni raccolte da Stranieriinitalia.it, tra i requisiti ci sarà di nuovo la cittadinanza italiana, come recita  l’articolo 3 della legge che disciplina il SNC  (d.lgsl. 77/2002). E con buona pace dell’ormai famosa sentenza del giudice di Milano , confermata in secondo grado, che ha definito quel requisito una “discriminazione” nei confronti dei ragazzi stranieri.
Il problema è che per l’avvocatura dello Stato quella sentenza non fa testo, anche perché ce n’è almeno un’altra di segno opposto. Quel che vale è la legge e finchè questa non cambia i bandi saranno solo per italiani. Una "linea" che ha dovuto digerire anche la ministra dell’Integrazione Cècile Kyenge, che dopo le dimissioni di Josepha Idem ha ereditato la delega al Servizio Civile Nazionale. Eppure, a fine luglio, parlando proprio di un’eventuale apertura alle seconde generazioni, Kyenge era stata possibilista.  “La discussione è in corso – aveva detto la ministra-  il nodo centrale è che dobbiamo iniziare a parlare di persone residenti in Italia, di cittadini residenti che vogliono dare un contributo di volontariato a un servizio che esiste già. Qualunque ragionamento deve partire da questo. Stiamo esaminando tutte le piste, tutte le vie”.
Tutte quelle strade, a quanto pare, erano vicoli ciechi. “Nel nuovo bando sarà richiesta ancora la cittadinanza italiana. Nonostante la volontà della ministra di ammettere anche i ragazzi stranieri cresciuti in Italia non è possibile eliminare quella clausola, bisognerebbe prima cambiare la legge” confermano a Stranieriinitalia.it dall’entourage di Kyenge.
Il passaggio per il Parlamento viene quindi considerato obbligatorio.  E le speranze, a breve termine, sono poche. Alla Camera i deputati del Pd Marina Sereni, Khalid Chaouki e Francesca La Marca hanno presentato due proposte di legge per aprire il Servizio Civile alle  seconde generazioni, ma mentre ci si interroga sul futuro della legislatura, l’esame di quei testi non è neanche iniziato.



«Via il velo in tribunale» Vacilla il modello inglese
Giovane islamica obbligata a scoprirsi in aula
Corriere della sera, 18-09-2013
Fabio Cavalera
LONDRA — «In un’aula di tribunale, durante la deposizione, il niqab è vietato». Il giudice Peter Murphy, della «Crown Court» di Blackfriars a Londra, ha portato la questione al tavolo del governo e del parlamento: per lui una donna musulmana non può coprire il volto quando è chiamata a testimoniare o a discolparsi. E la motivazione è che «vedere la persona citata in giudizio risulta cruciale al fine di valutare la sua deposizione».
Per ora, il giudice è ricorso a un compromesso (niente niqab, semmai uno schermo alle spalle per impedire al pubblico e agli avvocati di guardare) ma trattandosi di una soluzione provvisoria ha sollecitato Westminster ad approvare una legge con le linee guida per rispondere alla domanda: quando e dove è giusto chiedere a una signora o a una ragazza islamica di togliere il velo e di mostrare la faccia?
Tema delicato che costringe a riflettere e a definire una soluzione «per chiudere le falle ultrasecolari del sistema giudiziario» (parole del magistrato). Downing Street è già intervenuta. David Cameron non ritiene opportuna una decisione del Parlamento «su che cosa una persona debba indossare o non indossare nelle strade». Però, una volta garantito il principio generale, è ipotizzabile e necessario in determinate circostanze che vi sia qualche deroga, ad esempio negli ospedali, nelle scuole, nei tribunali. I laburisti e i liberaldemocratici sono sulla stessa lunghezza d’onda: nessuna imposizione e rispetto delle scelte religiose ma va concessa la delega alle singole istituzioni affinché valutino se e come disciplinare l’uso del niqab o del burqa.
Downing Street e Westminster non sono del parere di percorrere la strada francese, il divieto per via legislativa, ma ritengono che una risposta vada comunque data. Le donne musulmane che nel Regno Unito si velano sono una «minoranza nella minoranza», come annota il Consiglio della associazioni islamiche, ma in continuo aumento, specie fra le giovani generazioni, fra le figlie degli immigrati, nate e vissute in Gran Bretagna, richiamate o da una certa interpretazione della fede o dai costumi imposti dalle famiglie o magari solo per emulazione delle amiche. Molte scuole e università si chiedono se negli istituti e nelle ore di lezione sia consentito o no. In un college universitario di Birmingham nei giorni scorsi è scattato il divieto, poi momentaneamente sospeso. Adesso tocca a una corte di giustizia.
Peter Murphy deve risolvere il caso di una ventiduenne (identità non rivelata ufficialmente, nome in codice «D») accusata di intimidazioni. La giovane si è presentata con un vestito nero, guanti neri e il niqab nero. Gambe coperte. Bocca, naso e capelli nascosti. Più che il reato contestato, la vera controversia è diventata l’abbigliamento dell’imputata. «È mio diritto manifestare il credo religioso, lo dice l’articolo nove della Convenzione Europea sui diritti umani». Per niente intenzionata a togliere il velo ha costretto il giudice a valutare il modo migliore di procedere. «La corte ha il massimo rispetto di tutte le fedi, delle tradizioni, delle pratiche religiose» resta comunque il problema contingente: è possibile giudicare la credibilità di un’imputata o una testimone senza avere la possibilità di vederle il volto e le espressioni?
Il magistrato ha adottato un compromesso. Via il niqab e volto libero davanti ai magistrati. Ma ha deliberato che alla prossima udienza, in novembre, la ventiduenne «D» possa avere alle spalle uno schermo per essere protetta dallo sguardo del pubblico e dei ritrattisti (in Gran Bretagna i fotografi non sono ammessi nei tribunali). Soluzione moderata. La prima del genere per il sistema di giustizia britannico. Accompagnata da un appello dello stesso magistrato: siano il Parlamento e l’Alta Corte a stabilire una regola certa sul velo islamico. «È una questione fondamentale», scrive Peter Murphy. L’orientamento politico è quello di dare alle singole istituzioni (scuole, tribunali e ospedali) la facoltà di scegliere. Soluzione o scaricabarile? Dibattito aperto.



Quei piccoli fantasmi spariti nel nulla centinaia di minori in fuga dai centri
Le strutture di accoglienza non riescono a trattenerli. E i ragazzi fanno perdere le proprie tracce
la Repubblica, 13-09-2013
ANTONIO FRASCHILLA
Quei piccoli fantasmi spariti nel nulla centinaia di minori in fuga dai centri Ragazzi immigrati al centro di Pozzallo
Scompaiono nella notte, scavalcando il cancello verde di una villetta nelle campagne di Priolo. A prenderli certe volte spunta fuori un'auto bianca. Munsa, Hammed, Moussa, i loro nomi. Hanno tra i 10 e i 16 anni, e sono arrivati dall'Eritrea, dalla Libia e dalla Siria. Sbarcati nei giorni scorsi sulle coste di Siracusa, delle loro vite non si sa più nulla.
E come loro, sono decine i ragazzi fantasma. Perché nell'accoglienza dei minori in questo pezzo d'Italia, tra Pozzallo e Siracusa, il diritto internazionale e nazionale sembra scritto sulla sabbia.
Assad sta seduto su un materasso per terra nella palestra adibita a struttura d'accoglienza del centro d'identificazione di Pozzallo. Viene dal Sudan, ha 16 anni e si è rasato i capelli facendosi scrivere sulla testa il nome di Balotelli. "Voglio diventare un calciatore come lui, ho scritto una lettera, spero di potergliela inviare da qui, anche se non so come si fa", dice.
È partito a gennaio dal suo villaggio, è risalito verso la Libia e poi si è imbarcato per le coste italiane, dove è approdato dopo quattro giorni di mare in tempesta. Trasferito al centro di Pozzallo per l'identificazione, non sarebbe dovuto rimanere in questa struttura per più di 72 ore: il tempo previsto dalla legge per trovare una casa famiglia, oppure qualcuno che se ne prenda la tutela. Invece è rinchiuso qui da tre mesi. "Ogni tanto mi fanno uscire per giocare a pallone, oppure per fare un bagno, non so dove mi manderanno, intanto rimango qui", dice.
E con lui da tre mesi ci sono altri sessanta minorenni non accompagnati, chiusi in questo centro che in certi giorni arriva ad ospitare anche 400 migranti, quando al massimo ne potrebbe accogliere 190. Per loro solo un pasto e un materasso per terra.
Impossibile programmare attività per persone che, formalmente, devono rimanere in questi centri al massimo per tre giorni. "Non nascondiamo che qualche problema nell'accoglienza dei minori c'è", ammette a denti stretti il prefetto di Ragusa, Annunziato Vardè, al deputato di Sel Erasmo Palazzotto, che ha voluto vedere con i suoi occhi lo stato dell'arte nei centri di accoglienza.
Ma il centro di Pozzallo è un albergo di lusso, si fa per dire, in confronto a quello di Priolo, che non si capisce bene giuridicamente cosa sia. Con la scusa dell'emergenza sbarchi, per evitare che troppi minori rimanessero a Pozzallo in queste settimane nelle quali sono arrivati oltre 600 migranti con meno di 18 anni e non accompagnati, a decine sono stati trasferiti in massa in una villetta alle porte di Priolo, messa a disposizione da un imprenditore locale nel settore della sicurezza e vigilanza, che ha pure messo in piedi una cooperativa che si chiama "Papa Francesco".
In cento sono ospitati nella villetta dell'imprenditore, fuori da ogni controllo: "Non abbiamo elenchi, ci avevano dato dei nomi che poi non corrispondevano a delle persone fisiche, facciamo il possibile, ma gestire questa situazione da soli per giunta senza risorse, visto che nessuno, né il Comune né la Prefettura ci ha dato un euro, è impossibile", dice Simona Princiotta, volontaria della onlus "Papa Francesco" e consigliera comunale a Siracusa. Sulla carta un minore vale 70 euro al giorno. Sulla carta, perché non si capisce bene chi dovrebbe pagarlo, se il Comune o la Prefettura, che nel dubbio ha già scritto che non è compito suo, salvo però autorizzare i trasferimenti dei minori in questa struttura.
Senza controllo, succede che i minori scappino: "Negli ultimi tre giorni ne sono scappati almeno una decina, ma noi che ci possiamo fare?", aggiunge la Princiotta. Nei giorni scorsi una macchina bianca di notte ha fatto capolino all'ingresso del cancello della villa: "Ci siamo insospettiti, perché più volte abbiamo visto salire dei ragazzini in macchina e poi l'auto tornava vuota, allora abbiamo preso il numero di targa e chiamato subito i carabinieri", dice Daniele Carrozza, altro volontario della onlus.
Il via vai dei bambini e dei ragazzini continua senza sosta. La villetta è cadente. Su due piani, potrebbe ospitare non più di una trentina di persone, invece in certi giorni ce ne sono oltre cento: non solo minori non accompagnati, ma anche famiglie con bambini, soprattutto siriane. Due bagni, tutto è improvvisato. Moussa Huesein, 16 anni, somalo, è qui da tre settimane: "Sto male, mi danno da mangiare sempre pasta, ho bisogno di latte, ho chiesto di andare in ospedale", dice.
Sulla struttura di Priolo, Palazzotto presenterà un'interrogazione urgente alla Camera: "Abbiamo avuto la conferma di come i minori vengano ospitati nei centri in condizioni di promiscuità per periodi superiori a quelli previsti dalla legge  -  dice  -  come a Pozzallo. Oppure affidati a strutture che operano in condizioni d'incertezza normativa, come nel caso di Priolo ". Una seconda interrogazione la presenterà Sofia Amoddio del Pd.
Nei giorni scorsi in questo triangolo dell'immigrazione è arrivato il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Ha annunciato un piano straordinario per migliorare l'accoglienza. Intanto i minori continuano a sparire.

 

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