Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 dicembre 2011

 

«Riparta il Trattato Italia-Libia»
Avvenire, 01-12-2011 
BARBARA UGLIETTI
Un discorso programmatico che ha toccato tutti i principali nodi della politica internazionale, riconfermando sfide e impegni che il nostro Paese è chiamato ad affrontare. A pochi giorni dalla nomina, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha parlato ieri davanti alle Commissioni riunite Affari esteri di Camera e Senato soffermandosi in particolare sulle crisi aperte, dalla Libia all'Iran. Ha annunciato innanzitutto un suo prossimo viaggio a Tripoli per confermare la partnership con il Paese nordafricano. Il ministro ha sottolineato che Roma sostiene con convinzione il nuovo governo libico, ma ha anche ribadito la necessità di «riattivare» il trattato di amicizia siglato con la Libia nel 2008 (e sospeso in primavera dopo l'inizio del conflitto), un'opportunità «cruciale» perché consentirà di «rivitalizzare» le relazioni bilaterali. «Appena il nuovo governo del premier al-Keib, che riscuote la nostra fiducia, sarà pienamente funzionante - ha detto Terzi - conto di recarmi a Tripoli per avviare forme di cooperazione a tutto campo». Il capo della Farnesina ha quindi parlato delle altre crisi calde: Siria («È chiaro che Bashar al-Assad ha perso ogni credibilità e legittimità») e Iran («Gravissimo e intollerabile» l'attacco all'ambasciata britannica, ha detto Terzi, annunciando che il governo valuterà la chiusura della nostra rappresentanza a Teheran). Poi l'Afghanistan, fronte delicatissimo per la forte presenza italiana. «Anche dopo il progressivo e concordato ritiro militare non dobbiamo abbandonare il nostro impegno civile», ha detto il ministro, spiegando che «lasciare l'Afghanistan a se stesso pregiudicherebbe la nostra sicurezza», e che «si rischierebbe di sperperare i successi ottenuti negli ultimi dieci anni nella lotta al terrorismo internazionale». Terzi ha quindi annunciato che sarà a Bonn il 5 dicembre per la Conferenza internazionale sull'Afghanistan. «Ho appena consultato la mia controparte pachistana - ha aggiunto -, alla quale ho espresso il mio rammarico per la decisione di non partecipare al vertice» (Islamabad l'altro ieri ha annunciato il boicottaggio della Conferenza in segno di protesta per l'attacco Nato sul suo territorio di sabato scorso che ha causato la morte di 25 soldati pachistani). Il ministro degli Esteri ha poi, tra le altre cose, citato la Russia, «per noi un partner strategico sotto tutti i profili». L'Italia, ha concluso, continuerà a sostenere il Consiglio Nato-Russia.
 
 
 
UNA VERA FOLLIA non riconoscerli italiani
Famiglia Cristiana, 01-12-2011 
Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità». Come non condividere l'auspicio del presidente Napolitano? Eppure, c'è chi resiste e obietta. Anche in modo rozzo. Per lucrare residui consensi elettorali. A spese dei bambini, figli di stranieri, che di fatto sono già italiani. Sono nati nel nostro territorio, parlano la nostra lingua e anche i dialetti. Amano l'Italia e vi si riconoscono. Senz'altro, più di quelli che gli negano la cittadinanza. Vogliono che il loro futuro sia nel nostro Paese. Dove i loro genitori pagano le tasse. Sono, soprattutto, una "rlsorsa demografica". Per un Paese vecchia, senza più bambini, E un futuro incerto, con poche speranze.
Negare un diritto, solo perché la cittadinanza ai bambini stranieri non è nelle priorità del nuovo Governo, è assurdo. Un vergognoso alibi. Rimasuglio di una politica miope. E autolesionista. Senza ideali e un progetto per il Paese. La ripresa dell'Italia è da programmare non a prescindere, ma a partire da questi "nuovi italiani". Sono il nostro futuro. La speranza di crescita. Per dirla con Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione e integrazione, l'Italia ha bisogno di una visione strategica, «di cui l'integrazione degli immigrati è un capitolo importante».
L'ha spiegato bene il capo dello Stato. Riconoscere la cittadinanza alle «centinaia di migliaia di bambini che frequentano le nostre scuole» non è soltanto «diritto elementare, ma dovrebbe corrispondere a una visione della nostra nazione, acquisendo nuove energie per una società invecchiata, se non sclerotizzata». Gli ha fatto eco il nuovo governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: senza «meccanismi efficaci di Integrazione» per gli studenti figli dì cittadini stranieri «la dotazione di capitale umano del nostro Paese, già su bassi livelli, rischia di essere ulteriormente penalizzata*.
L'auspicio del Colle ha trovato la contrarietà di chi continua ad alimentare la politica della paura e dell'odio sociale. E parla di «stravolgimento dei princìpi della Costituzione». Il Paese è chiamato a un salto di qualità. A una scelta di civiltà. Forse, tardiva, ma non più rinviabile. E alla "moratoria" di una politica di "bassissima lega". Che non fa onore al Paese, nella stragrande maggioranza accogliente e solidale. Basta con l'"asse del Nord", che ha soggiogato e ricattate l'Italia. E via con l'"asse del Paese". Con una nuova musica. E note di civiltà i coesione,
Con la speranza che il forte richiamo di Napolitano non cada nel vuoto. Ma "obblighi" il Parlamento a legiferare con urgenza. Per
tramutare quei bambini, nostri "fratellini d'Italia" in "nuovi italiani".
 
 
 
Fassino: "Diamo il voto ai giovani immigrati per le amministrative"
La Stampa, 01-12-2011
MARIA TERESA MARTINENGO
TORINO - Mosaab Hmad, egiziano, papà pizzaiolo, studente dell’Avogadro. Zineb Hajli, marocchina, laureanda in Pianificazione urbanistica e operatrice di call center nei weekend. Ergys Jera, albanese di Scutari, studente di Lingue e organizzatore di feste e tornei («Non devi finire a fare il muratore come me, che sono muratore da quando avevo 13 anni», gli ha sempre raccomandato il padre). Landu Tresor, primo bambino nero nato a Carmagnola, studente del Politecnico. Cynthia Salinas Galindo, venuta da Lima per raggiungere la mamma, laureata in Studi Internazionali. Salat, rifugiato, fuggito dalla guerra civile somala, studente di Scienze Politiche. L’elenco dei ragazzi del Servizio civile Giovani immigrati 2011 del Comune comprende 26 nomi e altrettante storie mai banali di traversate, approdi, scoperta di nuove culture e modi di vivere, punteggiate di ostacoli, cambiamenti di rotta, di sorprese. Tutte con un denominatore comune: l’amicizia con Torino, di cui sono diventati cittadini.
Il loro impegno (dal 2005 altri 96 li hanno preceduti, di 14 nazionalità) in questa città si tradurrà in tirocinio formativo in vari ambiti-chiave per il fenomeno migratorio: la Questura, la Casa del quartiere di San Salvario, lo sportello di corso Palermo del progetto Urban e altri.
Ieri il sindaco Piero Fassino ha voluto conoscere i 26 giovani e ha raccontato loro un po’ di storia di questa città nel dopoguerra, quella che ogni giovane dovrebbe aver chiara per comprendere il presente di Torino. Fassino ha ricordato «che oggi 130 mila residenti sono di origine straniera, quasi il 15%. Sono 15 mila gli studenti stranieri di Università e Politecnico, mentre il 20% dei mutui al di sotto dei 150mila euro è contratto da stranieri e sono 6 mila le aziende artigiane di immigrati».
I ragazzi, seduti intorno al tavolo della Sala Congregazioni, hanno rivolto al sindaco domande sul governo della città, sul lavoro, sul futuro dei giovani. Anche sulla possibilità di votare. «Io credo che sia auspicabile risolvere il problema del voto amministrativo», ha risposto Fassino. «È giusto che i residenti in una città, così come contribuiscono alla vita della comunità possano anche contribuire alla scelta di chi guida quella città». Ai giovani del Servizio Civile - che oggi debuttano con l’assessore all’Integrazione Ilda Curti, alla presentazione della guida in italiano, cinese e arabo «Torino è la mia città» - il sindaco ha sottolineato: «Quello del voto è un tema molto importante, soprattutto alla luce del fatto che in Italia l’8% della popolazione è straniera, dato doppio al Centro-Nord. C’è innanzitutto il problema della cittadinanza, come ha sottolineato il presidente Napolitano. È sempre meno giustificato che chi nasce qui non ce l’abbia. Serve una nuova legge. Anche il diritto di voto è un problema legislativo e va risolto con una norma nazionale».
 
 
 
Padova, eletta la Consulta comunale degli Immigrati extra-comunitari
Presidente della Consulta è stato eletto il cinese amico del consigliere anti-rom: avrà diritto di parola in Aula e nelle Commissioni.
Agora Vox, 01-12-2011
Sergio Bagnoli
L’esperimento è il primo in Italia: il comune di Padova ha concesso ai suoi residenti immigrati extra-comunitari la facoltà di eleggere una Consulta di rappresentanti che affianchi nei propri lavori, avanzando proposte soprattutto in merito alle politiche cittadine relative all’integrazione, il Consiglio Comunale e le sue Commissioni. Gli aventi diritto al voto erano circa diciottomila e di essi si è recato alle urne, aperte presso il Polo fieristico, circa il 16%.
Gli extra-comunitari sono nella città antoniana il 70% di tutti gli stranieri residenti, gli altri sono in stragrande maggioranza polacchi e rumeni, segno della grande attrazione che esercita una città a pieno titolo inserita nel “miracolo economico del Veneto”. Più di un quarto degli extra-comunitari padovani è moldavo, proviene cioè dalla povera repubblichetta ex-sovietica che sino a settant’anni fa era parte integrante della Romania.
A seguire troviamo nigeriani, marocchini, albanesi, filippini e cinesi tanto per citare solamente quelle comunità che superano le millecinquecento unità. Colpiscono a Padova due dati in controtendenza rispetto alla situazione nazionale: il fatto che gli albanesi non la facciano da padrone ma siano solamente la quinta nazionalità straniera residente in città ed il basso numero di residenti sudamericani. In effetti a far le badanti, mestiere molto in voga tra le ecuadoregne e le peruviane, a Padova bastano rumene, moldave ed ucraine.
Le elezioni della Consulta sono state vinte da un cinese, ristoratore in Via Marsala. Jing Wen Xia il suo nome. Il nuovo Presidente della Consulta è amico di quel Vittorio Aliprandi che un giorno ebbe a definire sulla sua pagina di Facebook gli immigrati rumeni con un particolare accento nei confronti dei cittadini neo-comunitari di etnia Rom, come "persone vomitevoli". Per questa sua presa di posizione Aliprandi, consigliere comunale del Pdl, venne prima sprangato da un gruppo di facinorosi ruotanti attorno ai centri sociali cittadini e poi condannato da un Tribunale della Repubblica italiana per razzismo.
Oggi confessa di apprezzare molto invece il neo-eletto giacché “si tratta di una persona seria che lavora”. Dal canto suo pure Wen Xia confessa di ammirare molto Aliprandi. Ci si domanda ora se lo seguirà pure nei suoi discorsi rumenofobi anche perché, come in una sorte di catarsi, quando andrà in Consiglio Comunale si troverà a sedere accanto al Consigliere del Partito Democratico, lei si con diritto di voto, Nona Euvghenie, rumena al cento per cento.
Dopo il ristoratore cinese tra i più votati troviamo tre filippini, un marocchino ed un bengalese che sono entrati a far parte della Consulta comunale che conta diciassette membri. Altri eletti provengono da Moldavia, Nigeria, Albania ed Ucraina. L’ultima di essi è la sudamericana Edith Elisabeth Cervantes che da sola è chiamata a rappresentare tutti gli immigrati provenienti dal Continente d’oltre- Oceano.
Per il Sindaco patavino Flavio Zanonato l’elezione dell’organo da parte di più del 15% degli extra- comunitari residenti in città è un fatto molto positivo, per gli oppositori della Lega Nord, ovviamente, è solo propaganda. Rimane l’incognita legata al fatto che in tale Organo consultivo municipale coesistono persone molto diverse che non sono legate tra di loro da alcunché ma che, anzi, rappresentano, certe volte, nazionalità tra di loro confliggenti.
Non essendo accomunate dalla cittadinanza né italiana né europea saranno comunque in grado di essere di valido aiuto al Consiglio comunale e condivideranno certi valori di rispetto, laicità e democrazia propri della politica negli stati occidentali? E’ la grande sfida che i membri della Consulta neo- eletta della città veneta sono chiamati a vincere. Comunque un esperimento da seguire con attenzione in una città che, al di la dei facili luoghi comuni sul Veneto leghista ed oscurantista, in materia d’integrazione è all’avanguardia in tutt’Italia.
 
 
 
IMMIGRAZIONE: CGIL AL GOVERNO, SERVE DISCONTINUITÀ CON IL PASSATO
(AGENPARL) - Roma, 30 nov -  “L'immigrazione è una risorsa importante per il nostro Paese e le politiche per l'immigrazione hanno bisogno di una seria discontinuità con il passato”. E' quanto dichiarano Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil, e Pietro Soldini, responsabile dell'ufficio immigrazione del sindacato di corso d'Italia, che sottolineano anche gli interventi in merito del presidente della Repubblica Napolitano, e di quello della Banca d'Italia Visco. “Le dichiarazioni di questi giorni sull'argomento da parte del Ministro dell'Interno Cancellieri, del Ministro alla Cooperazione e l'integrazione Riccardi ed anche del direttore del Dipartimento immigrazione del Ministero del Lavoro e del Welfare, aggiungono Lamonica e Soldini, sembrano aver colto questa necessità, ma a questo punto è auspicabile che si apra un tavolo di confronto sul merito fra Governo e parti sociali per non improvvisare e partire con il piede giusto. Per esempio, sul decreto flussi, discutere se farlo o no, sarebbe un'improvvisazione sbagliata. Occorre invece approfondire: 1. I flussi così come sono stati gestiti rappresentano un fallimento e quindi bisogna ripensare lo strumento in modo che sia più efficace, rapido e funzionale al mercato del lavoro in un'ottica di programmazione triennale. 2. E' vero che per effetto della crisi ci sono molti lavoratori che hanno perso il lavoro, gli stranieri più degli italiani (9% e la disoccupazione media mentre per gli stranieri supera il 12%) quindi occorre evitare che questi lavoratori scivolino nella clandestinità con un provvedimento che aumenta la durata del permesso di soggiorno di attesa occupazione dagli attuali ed insufficienti 6 mesi almeno fino alla durata degli ammortizzatori sociali. 3. Occorre affrontare il tema della regolarizzazione degli immigrati irregolari che sono super sfruttati nel lavoro nero. Un provvedimento di questo genere oltre a legalizzare lavoro sommerso, farebbe bene al mercato del lavoro riducendo il dumping alla crescita (1 punto di Pil nel triennio) e porterebbe risorse (dai 3 ai 6 miliardi) nelle casse dello Stato. 4. Occorre con urgenza un intervento per trasformare la confusione dei centri, in un vero sistema di accoglienza e dare risposte di stabilità e sicurezza agli immigrati Tunisini e Libici con un permesso umanitario convertibile in permesso di lavoro. “Con questo respiro, concludono Lamonica e Soldini, va affrontata la scadenza del Decreto Flussi, altrimenti sia il blocco, che la reiterazione non faranno altro che aumentare contraddizioni, confusione, tensioni ed irregolarità”.
 
 
 
Emergenza Nord Africa: si all’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari o in attesa della protezione temporanea.
La possibilità di richiedere l’iscrizione anagrafica temporanea è stata disposta con ordinanza 23 novembre 2011 del Presidente del Consiglio dei ministri.
Immigrazione oggi, 01-12-2011
Con la pubblicazione in GU dell’ordinanza del PCM del 23 novembre 2011, potranno chiedere l’iscrizione anagrafica nello «Schedario della popolazione temporanea» i cittadini stranieri nord africani titolari di un permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 aprile 2011 e quelli che hanno chiesto la protezione internazionale e sono in attesa della relativa decisione da parte delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. La domanda di iscrizione dovrà essere presentata all’ufficio anagrafe del comune presso il quale il cittadino straniero ha la sua dimora. I cittadini stranieri ospitati presso un centro governativo o altro centro comunque presente sul territorio nazionale, dovranno allegare alla domanda la dichiarazione del responsabile del centro presso il quale lo straniero dimora.
 
 
 
Il bando “Mecenati” del Ministero della gioventù, di 40 milioni di euro, aperto anche agli stranieri.
Intervento dell’Unar: il vincolo della cittadinanza discriminatorio verso i giovani non comunitari ed i servizi ad essi offerti.
Immigrazione oggi, 01-12-2011
“Grazie all’intervento dell’Unar e alla collaborazione del Dipartimento della gioventù, anche i giovani stranieri potranno usufruire dei benefici in materia di istruzione, formazione ed inserimento lavorativo previsti dal cosiddetto bando “Mecenati”". È quanto si legge in una nota dell’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni, che informa sulla rimozione della clausola discriminatoria effettuata dal Dipartimento della gioventù su richiesta dell’Unar in merito ai beneficiari finali del Fondo istituito con decreto del Ministro della gioventù del 12 novembre 2010 e regolamentato dall’avviso pubblico emanato il 4 luglio 2011.
“L’Unar – ha dichiarato il direttore Massimiliano Monnanni – nell’ambito della consueta attività di monitoraggio delle potenziali discriminazioni istituzionali aveva autonomamente rilevato una clausola discriminatoria che impediva ai giovani stranieri non comunitari di usufruire delle agevolazioni previste dal Fondo Mecenati, finanziato dal Ministero della gioventù con ben 40 milioni di euro”.
“Il vincolo della cittadinanza italiana applicato all’avviso pubblico in questione – aggiunge l’Unar – peraltro produceva un ulteriore effetto discorsivo e di amplificazione della discriminazione, in quanto le fondazioni e gli enti per poter accedere ai contributi statali, previsti nella misura massima del 40% delle spese sostenute, erano in pratica indotte a vincolare ai soli ragazzi italiani anche l’accesso alle proprie risorse private, per un importo complessivo di ulteriori 60 milioni di euro di fondi”.
 
 
 
Adama è uscita dal Cie Ora sarà protetta
La donna aveva denunciato le violenze del suo convivente, ma era stata rinchiusa nel centro di detenzione per immigrati perché era senza permesso di soggiorno. Per la sua liberazione si era mobilitata gran parte della società civile bolognese
la Repubblica, 01-12-2011
ILARIA VENTURI e ENRICO MIELE
Adama è uscita stasera dal Cie. E immediatamente è stata portata via. Perché la sua vita possa ricominciare in un luogo segreto e sicuro. Sono le donne della rete Migranda, che hanno denunciato il suo caso proprio nella Giornata contro la violenza alle donne, ad abbracciarla prima di consegnarla a chi la proteggerà. E’ la fine di un incubo per la donna senegalese senza permesso di soggiorno, e per questo reclusa al Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei dopo che aveva denunciato alle forze dell’ordine le violenze subite da parte dell’ex convivente nella casa a Forlì.
Le sue prima parole: «Non immaginavo questo calvario ero semplicemente andata a denunciare ai carabinieri la violenza di cui ero stata vittima - le sue prime parole - qui dentro è stato terribile, una grande sofferenza, i primi giorni stavo male e non ho mangiato. Ringrazio chi mi ha aiutato dandomi forza. Ora sono felice». 
E' stata proprio la Procura di Forlì a dare il via libera al rilascio di Adama, dopo che la questura di Bologna aveva girato il caso ai giudici romagnoli. Adama è stata  rilasciata in virtù dell’articolo 18 della legge Bossi-Fini, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Un provvedimento riservato alle donne che subiscono violenza.
“Grande soddisfazione per questo primo passaggio che consentirà ad Adama di poter ottenere quella giustizia che saranno i tribunali a doverle riconoscere”, commenta a caldo l’avvocato Andrea Ronchi. E’ stato lui ad incontrare per primo la sua assistita al Cie. “E’ il minimo, per una donna che ha subito così gravi violenze. Così potrà ricercare la giustizia senza il timore di essere espulsa domani”, aggiunge.
Esultano le donne della rete Migranda, che in pochi giorni hanno raccolto oltre mille adesioni all’appello per Adama, anche di europarlamentari. “L’enorme mobilitazione ha fatto in modo che la sua storia avesse visibilità e che Adama potesse così uscire in tempi così rapidi dopo il nostro appello”, commenta Paola Rudan, voce di Migranda. “E’ una vittoria sua e di chi l’ha sostenuta. La storia di Adama parla di tante altre storie di donne nelle sue condizioni, della legge Bossi-Fini da cambiare: di questo  continueremo a parlare, a difesa delle donne migranti”.
Bologna non è rimasta indifferente. “Una vergogna” l’aveva definita il sindaco, e tutta la sinistra si è mobilitata. Dopo la denuncia di Migranda  è intervenuto il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri promettendo una “verifica scrupolosa” e un approfondimento in tempi rapidi.
Adama era arrivata in Italia quattro anni fa, aveva un lavoro da operaia, per mantenere i quattro figli lasciati in Senegal con la madre. Ma quel compagno che l’aveva accolta ben presto si è trasformato, nei suoi drammatici racconti riportati nella denuncia presentata alla Procura di Forlì, in un aguzzino che usa la legge sull'immigrazione come arma di ricatto: “Sei clandestina, nessuno ti può aiutare”. E quando la donna, ferita da colpi di coltello, trova la forza di chiamare i carabinieri, finisce al Cie perché straniera irregolare. E’ il 26 agosto, e solo il 24 ottobre il suo legale, con i medici, riesce a incontrarla. 
Poi l’appello. E la sua liberazione.
 
 
 
Bulli con lame e catene , i Latinos cambiano pelle: ora «arruolano» anche gli italiani
Sparite le bande storiche, restano i teppisti di strada  I gruppi si formano su Facebook con sigle «usa e getta»
Corriere della sera, 01-12-2011
Alessandra Coppola Gianni Santucci
MILANO - Due denti saltati, un labbro spaccato. Passava per caso, in viale Monza. Il pugno l'ha colpito in piena faccia. L'aggressione di lunedì pomeriggio, tre Latin King contro un diciottenne italiano, racconta come stanno cambiando i gruppi violenti di ragazzi sudamericani. Le ultime vittime: un pensionato e un uomo di 40 anni picchiati e rapinati dai 26 adolescenti arrestati ad aprile scorso dal commissariato Mecenate (erano di due pandillas , bande: Dangerz e Los brothers ). Ancora: giovani donne che rientravano in casa, pistola contro il finestrino, rapinate delle borse e delle auto; due arrestati a giugno, ex Latin Forever . Vicende diverse dalla catena di attacchi e ritorsioni che ha avvelenato gli scontri tra gruppi per tre o quattro anni, fino al 2008.
VECCHIE E NUOVE BANDE - Alcuni ragazzi, dopo un passaggio all'interno delle bande, spesso anche in ruoli di primo piano, hanno preso una deriva criminale che con le pandillas non ha più niente a che fare. Altri sono usciti e si sono rifatti una vita normale. Oggi le strutture sono sfaldate. Gli stessi nomi delle bande sono spesso «usa e getta», vessilli momentanei per adolescenti che si perdono dietro l'adrenalina della calle , la strada, con le sue leggi. La storia delle gang milanesi era una contrapposizione anche di nazionalità: all'inizio degli anni 2000, Latin King ecuadoriani contro Comando peruviani. Oggi non più, i gruppi aggregano italiani, asiatici, giovani dell'Est europeo.
I Dangerz , dopo l'arresto di buona parte dei ragazzi, quasi tutti minorenni, sono un'altra cosa rispetto a sei mesi fa. I muri di Milano raccontano pezzi di storie scomparse: i graffiti dei Diamantes in fondo a viale Sarca sono tracce sbiadite di un gruppo che non esiste quasi più. Così pure i trifogli dei Trebol, intorno al primo tratto di via Padova; o i segni dei Flow in zona Maciachini; il nome dei Latin Revolution che ancora compare in qualche angolo intorno al parco Trotter.
LA MITOLOGIA - L'impasto resta simile: «soldati» con una mitologia potentissima del «gruppo padrone» della strada; adolescenti che non hanno mai conosciuto la violenza vera e la sperimentano come rivalità fra gang; figli di genitori immigrati che lavorano dalla mattina alla sera, spesso lasciati da bambini con le nonne, portati in Italia già grandi, finiti fuori dal controllo della famiglia. Ragazzi fragili che non trovano un posto nella città e si collocano nel gruppo, escono con catene o coltelli nello zaino, si fotografano in posizioni da gangster accompagnate da insulti su Facebook . 
Difficile oggi identificare gruppi organizzati stabili, con capi riconosciuti e rapporti con le bande nazione in Ecuador e in Salvador: si erano formate, a Milano; ora sono sbriciolate (gli stessi Latin King sono divisi in sottogruppi). Su quelle gang la sezione specializzata della Squadra mobile ha fatto un lavoro che ha portato in carcere i responsabili di pestaggi feroci, a volte stupri, omicidi. La Ms 13 salvadoregna, ad esempio, è quasi scomparsa.
RAGAZZI DI SECONDA GENERAZIONE - Esiste invece una sorta di bullismo generalizzato tra adolescenti di seconda generazione che si incanala nell'immaginario della pandilla . «Costruzione di identità nella devianza», dicono i sociologi. La gang è un'etichetta che rischia di semplificare. Ecco perché Milano si trova oggi a dover contrastare una catena di episodi criminali di superficie che nascondono un problema sociale molto più vasto. 
Le istituzioni sono impreparate: «Negli ultimi anni - dicono dal Comune - è stato fatto molto poco, partiamo quasi da zero. Per ora si fanno interventi con il servizio degli adolescenti in difficoltà su casi individuali. Bisogna collaborare con i consolati e le comunità straniere, per progetti di prevenzione e mediazione, non di repressione.
L'ESEMPIO DI GENOVA - Guardiamo al "modello Genova", dove le bande sono diventate un canale di integrazione». Non è detto che funzioni. Anzi. José Galvez, direttore di Impresa etnica, ecuadoriano, già responsabile dei migranti presso il consolato di Quito, spiega: «Quel modello non ha funzionato, a Milano non abbiamo associazioni delinquenziali organizzate, ma gruppi di ragazzi che fanno bravate, anche molto gravi, che si sciolgono e riuniscono molto in fretta. L'unica strada è la formazione, soprattutto nelle scuole: far capire a questi ragazzi, spesso soli, quali sono i rischi reali che si corrono, spiegare come il carcere, i precedenti penali, per giovani ragazzi stranieri può diventare un marchio da cui poi è difficilissimo staccarsi».
 
 
 
Immigrazione tutta da ridere quando l'"altro" diventa commedia
Esce in Italia "Almanya", film turco campione di incassi in patria. A dodici anni da "East is East", una delle prime pellicole ad affrontare la multiculturalità con leggerezza. In mezzo, tanti titoli che hanno raccontato le storie di famiglie che si dividono o si uniscono fra cultura d'origine e nuovo ambiente. Con ironia
la Repubblica, 30-11-2011
CHIARA UGOLINI
IN principio fu East is east. La commedia inglese del 1999 è stata una delle prime ad affrontare il tema della multiculturalità con ironia e leggerezza. Costata meno di due milioni di sterline, ne ha incassate solo in Inghilterra dieci milioni. Dodici anni dopo arriva il turco Almanya, campione di incassi in patria con oltre 11 milioni di euro al box office e in uscita in Italia il 7 dicembre. E se nella commedia anglo-pakistana tutto ruota intorno al padre George Khan, emigrato dal Pakistan vent'anni prima e sposato a una donna inglese, ma ancora profondamente legato alla cultura e all'educazione del suo paese di origine, in quella tedesca è Hüseyin, il patriarca della famiglia Yilmaz, arrivata in Germania dalla Turchia negli anni Sessanta, a muovere i destini dei familiari.
C'è modo e maniera, dunque, di affrontare il tema dell'immigrazione. Controverso e drammatico, spesso, nella realtà, così come si rispecchia in tante pellicole. Ma c'è anche una declinazione più leggera, anch'essa appartenente alla vita quotidiana dei milioni di immigrati che nel mondo si spostano da una parte all'altra e in tanti casi riescono nella missione di integrarsi con la realtà acquisita pur senza dimenticare quella d'origine. E spesso è proprio quell'integrazione, e il percorso verso di essa, a regalare a registi e sceneggiatori spunti validi per fotografare la vita degli "altri" e restituirne al pubblico dettagli di comicità. Ne sono esempio tanti film usciti negli anni recenti, il più delle volte piccoli prodotti destinati però a incassi degni di un blockbuster grazie al passaparola del pubblico.
Così potrebbe andare, ad esempio, per Almanya. In cui Hüseyin, deciso a rientrare nel paese dei suoi antenati, vuole farsi accompagnare da figli e nipoti in questo viaggio che dovrebbe essere il grande ritorno dell'emigrato che ha fatto fortuna e invece si rivela un'epopea tragicomica, tra disguidi e ricordi. La regista turco-tedesca Yasemin Samdereli ha scritto il film insieme alla sorella Nesrin ispirandosi alla propria esperienza familiare: "Tempo fa abbiamo iniziato a notare che molte persone trovavano divertenti i racconti della nostra infanzia, due bambine di origine turca nate a Dortmund. Basti pensare che una di noi andava alla scuola cattolica, passando i mercoledì a cantare inni in chiesa, mentre l'altra suonava il flauto in una banda. E ancora c'è chi crede che noi turchi non ci siamo dati da fare per integrarci".
Ma non è questo l'unico film nelle sale italiane ad affrontare il tema dell'immigrazione con leggerezza. C'è anche Miracolo a Le Havre 4, di Aki Kaurismaki, storia di un ex scrittore ora lustrascarpe e della sua amicizia con un ragazzino del Gabon, scappato da un container di clandestini sbarcato nel porto, arrivato in Francia per cercare di raggiungere la madre in Inghilterra.
In questi dodici anni, si diceva, sono tanti i film che hanno scelto di sorridere sul tema dell'altro, della famiglia che si divide o si unisce tra cultura d'origine e nuove realtà, tra seconde generazioni (o persino terze come nel caso di Almanya) e conflitti culturali. C'è stato lo svedese Jalla! Jalla! del regista di origini libanesi Josef Fares, storia d'amore contrastata tra l'arabo Roro e la svedesissima Lisa, e la commedia romantica di Ken Loach Un bacio appassionato con l'anglo-pachistano Kasim in lotta con la sua famiglia. Lui è innamorato della bionda inglese Roisin, ma il padre vuole che porti all'altare con la cugina Jasmine in arrivo dal Pakistan. Spesso c'è un matrimonio al centro delle commedie multietniche, un amore contrastato, un padre patriarca che non vuole sentire ragioni. 
Come in Mississippi Masala di Mira Nair. Con Denzel Washington, Romeo afroamericano innamorato di un'indiana nata in Uganda ed emigrata negli Stati Uniti. E se il film della Nair oscilla tra commedia e melodramma (come anche Cous cous del franco tunisino Abdellatif Kechiche), Il mio grosso grasso matrimonio greco tocca invece la comicità pura. Ragazzona trentenne di origine greca si innamora di un americano che dovrà passare sotto le forche caudine della numerosissima famiglia di lei (con tanto di battesimo greco ortodosso e banchetto di agnello per un vegetariano). Il classico fenomeno del passaparola. Senza mai essere primo al box office è arrivato ad incassare più di 240 milioni di dollari. Ottima risposta di pubblico e di critica anche per Soul Kitchen del regista turco-tedesco Fatih Akin che, dopo i drammatici La sposa turca e Ai confini del paradiso ha scelto i toni della commedia per raccontare le vicende di due fratelli di origine greca nell'Amburgo di oggi.
In queste famiglie emigrate, divise tra radici e nuovo ambiente, c'è spesso un fratello o una sorella maggiore che cerca l'amore e un adolescente che lotta per integrarsi. Come nella commedia inglese Sognando Beckham con una giovanissima Keira Knightley 5. La vera protagonista però è Jess, diciottenne indiana che i genitori spingono verso la cucina tradizionale, mentre lei ha il sogno di giocare a calcio.
Sul fronte italiano non sono molti gli autori che hanno deciso di raccontare l'emigrazione sfruttando il sorriso. Ci ha provato Cristina Comencini con Il bianco e il nero, commedia sentimentale con Fabio Volo e Ambra Angiolini, storia di una coppia che scoppia quando lui si innamora di un'africana, in Italia per seguire il marito che lavora per un'organizzazione pro Africa. Ambra è una donna che ha fatto della lotta al razzismo e al pregiudizio la sua professione ma quando la "nera" gli ruba il marito anche le convinzioni più profonde vanno in crisi. Convivenza con difficoltà, ma anche inaspettati scambi ed amicizie, in Into Paradiso con Peppe Servillo, storia dell'incontro tra uno scienziato napoletano e un ex campione di cricket originario dello Sri Lanka, come era stato anche con L'ospite inatteso (là erano un professore di economia e un  musicista siriano), in cui sembra che i due non abbiano a che fare l'uno con l'altro salvo rivelarsi anime gemelle.
Ha fatto molto discutere Cose dell'altro mondo con Diego Abatantuono, storia surreale (ma neppure tanto) ambientata nel nostro Nord Est. Presentato alla ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia 7 è stato al centro di una polemica animata dalla Lega Nord. Perché racconta di un industriale xenofobo che, dagli schermi di una piccola emittente del posto, auspica la sparizione di tutti gli extracomunitari, e il giorno dopo il desiderio si avvera. Genntado nella disperazione la popolazione locale. Che si rende conto di quello che non sospettava nemmeno: cioè che l'Italia, senza immigrati, non può andare avanti.
 
 
 
COMUNICATO STAMPA  Firenze, 1 dicembre 2011
CAMPO ROM IN CENTRO A FIRENZE, EVERYONE CHIEDE AIUTO A AUTORITÀ CITTADINE
EveryOne Group
Firenze, 1 dicembre 2001. 30 romeni di etnia Rom si sono accampati da ieri nel tardo pomeriggio, mercoledì 30 novembre, in piazza Santissima Annunziata a Firenze, proprio di fronte all'Istituto degli Innocenti, nel pieno centro del capoluogo toscano. "Invitiamo le autorità cittadine, dal sindaco Renzi al Questore Zonno, dal presidente della Provincia Barducci al prefetto Padoin," dichiarano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione umanitaria EveryOne, "a comprendere il dramma di queste famiglie: si tratta di cittadini comunitari che non hanno un posto dove ripararsi dal freddo di questi giorni. Molti di essi sono malati e necessitano di assistenza, altri sono affamati e infreddoliti, spaesati a causa dell'esclusione che li colpisce. Cercano solo mani tese disposte ad accoglierli in qualche struttura di emergenza-freddo della città, chiedono solo dei pasti caldi e la possibilità di un letto sotto un tetto, nulla di più. Chiediamo alla città di non avere paura di aiutare persone innocenti e in difficoltà" continuano gli attivisti, "e dimostrare che un'accoglienza è possibile, nel pieno rispetto dei diritti dell'altro".
EveryOne chiede al Sindaco, al Prefetto e al Questore di Firenze di non ordinare alcuna azione di sgombero del campo Rom improvvisato in città fin tanto che i 30 occupanti non saranno inseriti in una struttura di prima accoglienza che consenta loro di non vivere per strada, sottoposti a un clima rigido che ha già mietuto, mesi or sono, una vittima tra i membri della comunità Rom romena fiorentina. In piazza Santissima Annunziata è inoltre presente l'attivista umanitario Marcello Zuinisi (Nazione Rom), che sta monitorando le condizioni dei Rom accampatisi e cercando di instaurare un dialogo costruttivo con la forza pubblica, per evitare azioni di polizia che minerebbero il diritto fondamentale all'assistenza sociale di tale gruppo di persone.
 
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