Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

4 maggio 2011

Immigrazione, Ue: sì controlli temporanei frontiere interne
Reuters Italia 4 maggio 2011
La Commissione europea pensa di rintrodurre controlli alle frontiere interne dell'area Schengen, sia pure limitati e contenuti nel tempo, per "circostanze eccezionali", nell'ambito di un pacchetto di proposte per gestire meglio il flusso di migranti verso l'Unione.
Lo ha detto oggi il commissario europeo alla Sicurezza interna, Cecilia Malmstrom, in un comunicato diffuso dall'esecutivo Ue.
"Per salvaguardare la stabilità dell'area Schengen potrebbe essere necessario anche prevedere la temporanea reintroduzione di limitati controlli alle frontiere interne in circostanze particolarmente eccezionali, come quando una parte delle frontiere esterne siano sottoposte a una pressione inattesa", ha detto Malmstrom.
"I recenti eventi (in Nord Africa) hanno anche provocato preoccupazioni sul funzionamento del sistema Schengen. Il libero movimento di persone attraverso i confini europei è un risultato importante che non deve essere rovesciato, ma piuttosto rafforzato", ha affermato il commissario.
Secondo i dati Ue, oltre 25mila migranti, provenienti soprattutto dalla Tunisia, sono giunti dall'inizio dell'anno sulle coste italiane (in particolare a Lampedusa) e a Malta.
La Commissione, dice il comunicato, propone alcune misure per migliorare la gestione dell'immigrazione, che saranno discusse al consiglio straordinario Giustizia Affari Interni del 12 maggio e poi al Consiglio europeo del 24 giugno, dedicato in particolare all'immigrazione.
Bruxelles chiede prima di tutto di completare il sistema comune di asilo europeo entro il 2012. Poi, di rafforzare il controllo dei confini e la gestione del sistema Schengen per affrontare il problema dell'immigrazione irregolare, "per garantire che ogni stato membro controlli effettivamente la sua parte delle frontiere esterne della Ue in linea con le regole e lo spirito della normativa Ue sulla gestione dell'immigrazione".
La commissione suggerisce anche "un approccio strategico con i paesi terzi sulle questioni legate alle migrazioni, per facilitare il movimento delle persone attraverso aumentate possibilità di immigrazione legale, combinate con misure per impedire l'immigrazione irregolare".


Immigrati, sciopero della fame
Slogan e striscioni a Ventimiglia

la Repubblica di Genova 4 maggio 2011
Una cinquantina di immigrati tunisini fermi alla stazione ferroviaria di Ventimiglia hanno proclamato lo sciopero della fame. Espongono striscioni in tre lingue, italiano, francese e arabo, per rivendicare il diritto alla libera circolazione in Europa. In gran parte si tratta di profughi, con permesso di soggiorno, che sono stati respinti dalle autorità francesi perchè senza sufficiente denaro per espatriare. "Libera circolazione in Europa e permesso di lavoro in Italia...no umanitario", è uno degli slogan esposti dai migranti.  Le autorità francesi continuano a respingere i profughi sprovvisti dei 62 euro richiesti per varcare il confine con la Francia. Intanto a Genova, l'apertura straordinaria dell'ufficio Immigrazione, disposta dalla Questura di Genova per la consegna dei permessi di soggiorno temporaneo, è stata disertata dai profughi tunisini. Sono solo 7, al momento, i documenti consegnati e fuori dall'ufficio non si registrano code. Sono quasi 250 i documenti pronti per essere consegnati.


Crolla il mito del celodurismo della Lega
il Riformista 4 maggio 2011
Ritanna Armeni
e volessimo usare il linguaggio leghista a volte truce, a volte greve, spesso franco, dovremmo dire che «Umberto Bossi si è calato le braghe». Siccome quel linguaggio non ci piace diciamo più pacata¬mente che nella controversia sull'intervento armato in Libia il Senato è tornato indietro, ha ac-cettato di fatto le posizioni di Berlusconi, si è riappacificato con lui e continuerà a sostenere il governo. È molto probabile che questa rinun¬cia sarà accompagnata da qualche muso lungo, qualche battuta battagliera, qualche finta minaccia, ma la sostanza non cambia: la Lega non se l'è sentita di fare la battaglia fino in fondo e di mettere in crisi la maggioranza.
Crolla un mito. Un mito al quale persino un pezzo di sinistra aveva creduto. Quello del "celodurismo" del partito di Bossi, l'organizzazione pura e dura, certo un po' razzista e xenofoba, ma capace di mantenere le sue posizioni, di avere una linea, un capo capace di coniugare tattica e strategia, dirigenti che sapevano   rappresentare  piena¬mente il loro popolo e non lo dimenticavano mai. «Come una volta il vecchio Pci» diceva qualcuno con rimpianto. Invece no. Neppure Bossi è stato capace di resistere ala sirena del potere e di Silvio Berlusconi. La mozione che verrà votata sull'intervento in Libia è un capolavoro di ipocrisia. Non c'è niente di veramente preciso, a nessuna delle richieste della Lega è stata data una risposta. Le missioni devono avere un termine, aveva chiesto soprattutto Bossi, e gli hanno risposto che il termine sarà concordato con gli alleati. Una risposta ovvia e che rispetto alle aspettative leghiste lascia il tempo che trova. Accettarla per buona significa semplicemente abbassare il capo.
Ora resta da chiedersi se questa resa del Senato porterà ad una ricomposizione duratura, se preannuncia un lungo periodo di bonaccia e se le tensioni sono finite. Probabilmente no. Le tensioni ci sono ancora tutte, l'imminenza delle elezioni amministrative e soprattutto della competizione milanese stanno rinviandone l'esplosione, ma la novità di questi giorni è proprio l'indebolimento della Lega, la sua caduta di credibilità nonché le prime discrepanze fra i vertici e la base, fra gli uomini che sono al governo e i militanti del partito. Le tensioni che, crediamo, presto o tardi esploderanno faranno i conti con questa novità. Mentre fino a qualche tempo fa esse avrebbero comunque avvantaggiato il partito del Senato oggi non è più detto.
Nella Lega il dissenso e il disagio vanno avanti da qualche mese e si possono far risalire ai sommovimenti dei paesi del Maghreb, alla guerra in Libia e al conseguente arrivo di migliaia di immigrati e rifugiati sulle coste italiane. Il ministro Maroni ha cercato di giocare per settimane la cinica carta del "tanto peggio tanto meglio". Non ha provveduto al minimo dei servizi essenziali neh" emergenza per evidenziare il disastro provocato dall'immigrazione, nello stesso tempo, si è lanciato in previsioni apocalittiche sull'arrivo di "clandestini".
Il risultato di questa politica è stato disastroso. Il governo si è mostrato inefficiente nelle risposte all'emergenza e incapace di impedire gli sbarchi. Sono cominciati allora i mugugni e i sospetti della base. I leghisti avrebbero voluto i respingimenti. Sono arrivati i permessi di soggiorno temporanei, nell'illusione che gli odiati immigrati varcassero i confini per andare in Francia e Germania e che l'Europa fornisse al governo italiano aiuti concreti. Non è avvenuto nulla di tutto questo. L'Europa non ha mostrato alcuna disponibilità, la Francia ha ipotizzato di sospendere Schengen. Berlusconi ha abbozzato e ha ingoiato il rospo. La Lega ha urlato, minacciato improbabili uscite dalla Ue e, alla fine, anch'essa ha abbozzato. E qui la frattura con la sua base si è approfondita Certo i ministri e i dirigenti della Lega sono gente esperta, man mano che saliva lo scontento sono saliti in toni delle loro minacce al governo. Ma ad un certo punto la "tecnica", anche la più sperimentata, non basta più, la chiacchiere - come si dice - stanno a zero. Se Berlusconi subisce le decisioni dell'Europa e di Sarkozy e Bossi rimane alleato di Berlusconi anche Bossi è subalterno alle direttive di altri. Il leghista non va per il sottile, non ama la retorica, non si lascia infinocchiare dai diplomatismi e dai balletti della politica.
L'affondo sulla Libia è stato l'ultimo tentativo di essere un partito di lotta e di governo. Di accarezzare il pelo del popolo leghista, di mostrare la faccia dura, e nello stesso tempo confermare una forte presenza nell'esecutivo. Non è riuscito. Chiunque si rende conto che quella mozione non è una vittoria e neppure un compromesso onorevole, ma una resa. Che anche il duro Bossi si è adeguato ai voleri dell'imperatore, alle regole della politica romana, ai documenti e alle mozioni confuse. La favola del partito capace di stare a Roma senza essere subalterno alla politica romana, di sostenere Berlusconi ma mantenendo fermi i suoi obiettivi si è infranta.
E - ironia della sorte o astuzia della storia - sono stati i migranti del Maghreb e il pericolo dei rifugiati libici la causa dell'incrinarsi dei suoi rapporti col capo del governo e forse l'inizio di un possibile declino della Lega.


Il nuovo rito ambrosiano: 200 clandestini liberi
il Giornale 4 maggio 2011
Luca Fazzo
Milano L'ordine è partito ieri mattina con un dispaccio inviato da Vitaliano Esposito, procuratore generale della Cassazione, a tutte le procure del Paese: «Liberateli». A meno di una settimana dalla sentenza con cui la Corte di giustizia europea ha bocciato le norme italiane sull'immigrazione clandestina, le porte delle carceri italiane si stanno aprendo percentinaia e centinaia di stranieri irregolari. In alcune città, come Milano, i magistrati non hanno nemme¬no aspettato l'ordine della Cassazione. Il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati e il procuratore generale Manlio Minale - attraverso la sua «vice» Laura Bertolè Viale - hanno fatto scattare un piano per ridare immediatamente la libertà a tutti gli extracomunitari detenuti nelle carceri milanesi per avere violato il quinto comma dell'articolo 14della cosiddetta legge «Bossi Fini»: ovvero per essere rimasti in Italia anche dopo avere ricevuto l'ordine di espulsione. Il quinto comma è la norma che la Corte di giustizia europea ha spazzato via dal nostro ordinamento, considerandola una inaccettabile violazione dei diritti umani dei «migranti». «Abbiamo dovuto provvedere in tutta fretta - spiega al Giornale una fonte giudiziaria - perché dopo la decisione dell'Alta Corte tutti questi stranieri erano di fatto in carcere senza motivo, e se non li avessimo immediatamente liberati avrebbero potuto denunciare lo Stato italiano e chiedere un risarcimento dei danni». Secondo un primo calcolo, nel solo distretto giudiziario di Milano sono stati scarcerati in queste ore trai centocinquanta e di duecento clandestini, tutti già condannati con sentenza passata in giudicato. Gli uffici matricola delle carceri lombarde si sono visti piovere addosso una valanga di fax tutti uguali: «ordine di scarcerazione». Centinaia di detenuti - quasi tutti, racconta chi lavora in carcere, assolutamente impreparati alla notizia - si sono visti invitare a raccogliere le loro cose e ad accomodarsi all'uscita. Da oggi sono di nuovo uomini liberi. Sono ancora clandestini a tutti gli effetti, perché la sentenza della Ue non è una sanatoria. Ma se verranno fermati nuovamente il peggio che potrà toccare loro è di finire in un Cpt, in attesa di un rimpatrio forzato che non avverrà mai.
Per stilare gli elenchi delle per-sone da liberare è stata necessaria una attenta verifica, condotta a tempo di record, di una massa imponente di fascicoli. A venire scarcerati sono stati infatti non solo i detenuti condannati unicamente per violazione del quinto comma, ma anche quelli che erano finiti in cella per più reati, ma cui restava da scontare solo la quota di condanna relativa al reato bocciato dai giudici di Lussemburgo.
Già da alcuni mesi a Milano su decisione del procuratore Bruti Liberati il quinto comma non veniva più applicato, in ossequio a decisioni precedenti della giusti¬zia europea. Ma nelle carceri di San Vittore, Opera e Bollate era ancora folta la colonia di irregolari arrestati e condannati nei mesi precedenti. E sono questi clandestini, se non detenuti per altri motivi, a lasciare in queste ore le loro celle. Devono ringraziare uno di loro: Soufì Karini, il giovane algerino condannato l'anno scorso a Trento per essersi ben guardato dall'abbandonare l'Italia nonostante un ordine di allontanamento, e per questo condannato a un anno di carcere. Ma Soufi Karim non s'è dato per vinto, ha presentato ricorso all'Alta Corte europea, con l'appoggio della Corte d'appello di Trento. E la sentenza che il 28 maggio ha accolto il suo ricorso ha travolto di fatto l'intero reato di clandestinità.
Non sempre le decisioni della giustizia europea vengono applicate così rapidamente. Main questo caso la Procura generale della Cassazione ha ritenuto che non fosse necessario aspettare altro. La decisione della Corte di Lussemburgo crea la situazione che l'articolo 673 del codice di procedura penale prevede «nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice»: e cioè la scarcerazione immediata.



La Ue chiede chiarimenti sui permessi
il Sole 24 Ore 4 maggio 2011
Una lettera «amministrativa» che «non ha nulla a che vedere con l'avvio di una procedura di infrazione». Così Marcin Grabiec, portavoce della commissaria agli Affari interni, Cecilia Malmstrom, ha definito la lettera inviata venerdì scorso all'Italia per chiedere informazioni e chiarimenti sul decreto con il quale è stato istituito il titolo di viaggio per gli immigrati in arrivo dal Nord Africa.
In particolare, la lettera ha l'obiettivo di ottenere informazioni e chiarimenti sulle procedure seguite per l'applicazione del decreto che ha deciso la concessione dei permessi di soggiorno provvisorio di sei mesi ai migranti irregolari, il modo in cui è stata accertata l'identità e la nazionalità dei richiedenti, se sono state fatte verifiche e controlli nell'ambito del sistema d'informazione di Schengen, quanti documenti di viaggio sono stati forniti agli immigrati, oltre al permesso temporaneo, e sulla base di quali criteri. L'Ue chiede aU'amministrazione italiana di sapere anche che cosa accadrà alla scadenza dei sei mesi di validità dei permessi di soggiorno provvisori. Ora l'Italia ha due settimane di tempo per fornire la sua risposta.
La Commissione ha inviato una lettera analoga anche alla Francia, anche se in questo caso si chiede di precisare in quali zone presso la frontiera e con quale frequenza sono stati effettuatii controlli dipolizia per individuare gli immigrati tunisini provenienti dall'Italia.
Al Viminale, poi, si continua a lavorare per la messa a punto del decreto che servirà a ripristinare l'espulsione diretta dei clandestini dopo la sentenza del¬la Corte di Giustizia europea. Che ha bocciato nei giorni scorsi la norma sul reato di immigrazione  clandestina contenuta nel "pacchetto sicurezza". «Gli uffici legislativi - spiegano dal ministero - sono al lavoro per approntare il testo del decreto in modo da presentarlo, come aveva annunciato il ministro Roberto Maroni, al prossimo Cdm».
Il presidente francese Nicolas Sarkozy, intanto, in un'intervista pubblicata sul settimanale L'Express ha affermato che «l'Europa deve aiutare l'Italia» a risolvere il problema dei migranti tunisini. A questo riguardo, prosegue il capo dello Stato, «la Francia, il Paese più generoso in materia d'asilo, farà delle proposte al consiglio europeo di giugno» a Bruxelles. E a proposito della possibile revisione del Trattato di Schengen, Sarkozy ha aggiunto che «se un Paese europeo non può gestire le sue frontiere, la questione della sospensione provvisoria di Schengen deve poter essere posta senza tabù». Sulla revisione di Schengen la commissaria Uè agli Affari interni Cecilia Malmstrom presenterà oggi le sue proposte, tra cui quella di reintrodurre - ma solo in casi eccezionali - le frontiere interne all'Europa.
Intanto in Italia è stato dato il via al piano di trasferimento di circa 2.500 profughi africani fuggiti da guerra e persecuzioni nelle strutture messe a disposizione da diverse Regioni (tranne Abruzzo, Molise e Sicilia). In Toscana arriveranno 118 profughi, mentre 250 sono quelli assegnati al Piemonte, 500 alla Lombardia, al Lazio circa 290, quasi 300 in Campania, 188 in Puglia e 232 in Veneto.


 


E tra i romeni cresce il sogno di avere una casa in Italia
Il Secolo d'Italia 4 maggio 2011
Désirée Ragazzi
Il sogno di una casa di proprietà ha conta-giato anche gli stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese. Secondo un'indagine del broker on line Mutui.it 111,04 dei preventivi per l'acquisto della prima abitazione è compilato da cittadini di nazionalità straniera e in testa alla classifica, con il 32,4 per cento di richieste sul totale, c'è la comu-nità rumena molto cresciuta negli ultimi anni e ora la prima in Italia, immediatamente seguita da¬gli albanesi. Un dato significativo che per Ramona Badescu, consigliere gratuito del sindaco Gianni Alemanno per i Rapporti con i rumeni, «sfata i molti luoghi comuni che esistono sulla comunità rumena in Italia. I rumeni che vivono qui, lavora¬no, guadagnano e parteci¬pano attivamente alla vita del Paese. Le statistiche di¬cono chiaramente che con il loro contributo aiutano ad aumentare il Pil italia¬no».
—? Come mai i rumeni sono in cima alla clas¬sifica  per  l'acquisto della casa? L'idea di mettere la prima pietra nel posto dove si vi¬ve è un desiderio forte nella mentalità rumena. Nel no¬stro popolo è radicata la vo¬glia di vivere in una casa che possibilmente non sia in affitto. —? Quindi l'integrazione sta funzionando? Certo. In Italia vive oltre un milione di rumeni e so¬no persone ormai radicate nel tessuto sociale ed economico del Paese.
—? Il binomio negativo "rumeni-delinquenza" è ormai tramontato?
Quello è stato un periodo nero. Con la libera circo-lazione in Europa è chiaro che tra le persone per¬bene s'infiltra anche chi spesso non fa onore al no-stro Paese. In molti vengono in Italia con l'idea che qui sia più facile delinquere. Ma tra ottobre e no-vembre entrerà in vigore un decreto Ue che stabili¬sce che chi compie reati potrà o dovrà scontare la pena nel Paese d'origine. E da noi le carceri sono molto più dure.
—? Com'è cambiato il volto dell'immigrazione rumena in Italia?
Ormai possiamo parlare di seconda generazione di rumeni. I primi flussi migratori risalgono al 1990 dopo la rivoluzione di Bucarest. Prima di al¬lora era molto difficile uscire dal Paese. Limita¬zioni che anch'io ho vissuto direttamente sulla mia pelle: pur essendo figlia di un membro del Partito comunista potevo fare le mie tournée sol¬tanto nei Paesi comunisti. Dopo il '90 la gente ha cominciato a fare le valigie con il sogno di lavora¬re all'estero per guadagnare un gruzzoletto di sol¬di e poi tornare a casa. Ma poi molti si sono fer¬mati lì dove hanno trovato lavoro. Anch'io avevo questo pensiero, ma adesso vivo qui da ben ven¬tuno anni. E anch'io ho un mutuo sulle spalle. Ma non è tutto oro quello che luccica...
—? In che senso?
Qui le case costano tanto e solo chi ha un lavoro ed è contrattualizzato può permettersi questo privile¬gio. In realtà se le cose fossero diverse i rumeni con la casa di proprietà sarebbero molti di più. Moltis-sime persone che lavorano qui non conoscono i lo¬ro diritti. Spesso si gioca sull'idea della precarietà del soggiorno di uno straniero e così non ci sono le regolarizzazioni in campo lavorativo. Nel mio uffi¬cio in Campidoglio incontro i miei connazionali con i quali parliamo di vari problemi e quello della man¬canza di un contratto è il più frequente. Questo si-gnifica, chiaramente, che chi non ce l'ha non può prendere neanche un mutuo per l'acquisto della ca¬sa o un prestito per la macchina. Tanti non sanno, per esempio, che i contributi vengono versati nelle pensioni rumene. Questa novità è scattata da quan¬do la Romania è entrata a pieno titolo in Europa. È un aspetto importante perché con la regolarizzazione del rapporto di lavoro si dà dignità al lavoratore.
—? Il suo ufficio come si sta muovendo?
Sto lavorando per trovare un accordo con le banche in modo tale che i miei concittadini possano avere agevolazioni bancarie, non solo per la casa ma an¬che nello sviluppo delle loro imprese. Sono molti quelli che, partiti da zero, ora hanno costituito pic¬cole imprese.
—? Perché si sono radicati l'Italia?
Il vostro Paese è il nostro fratello maggiore, quello più ricco, più bello, quello che offre maggiori possi¬bilità. Un po' come era l'America per voi negli anni dell'emigrazione.


IL silenzio sospetto degli imam di casa nostra
il Giornale 4 maggio 2011
Francesco De Remigis
Di fronte all'esultanza dei musulmani americani, gli islamici d'Italia rispondono alla morte di Bin Laden con più cautela. Colpisce soprattutto che la grande moschea di Roma abbia tenuto nel cassetto le dichiarazioni del suo frontman spirituale, l'imam egiziano al Gobashi. «Visto il ruolo, non può entrare nel discorso politico», hanno spiegato i vertici del centro islamico di Monte Antenne, la più grande moschea d'Europa e l'unica riconosciuta dallo Stato italiano come «ente morale». Invece proprio per il ruolo che rico-pre, di guida spirituale che nell'islam assume anche con-torni politici, sarebbe impor-tante sentire da Gobashi una parola sull'uccisione dello sceicco del terrore, se non una netta presa di distanza. È lui che si rivolge ai fedeli, lui che parla dei fatti del mon¬do ogni venerdì di preghiera. Perché dunque confinare il suo pensiero illuminato tra i mosaici di un tempio ai Pario-li capace di ospitare fino a mille persone? Si interrogano anche i servizi d'intelligence, a conoscenza di un fatto, che offre una possibile spiegazione: il silenzio del¬l'imam servirebbe a non interferire «politicamente» con le manovre in corso da circa quattro mesi in alcune moschee fai-da-te. I contatti tra musulmani estremisti e i nuovi gruppi salanti attivi nel Paese sono infatti in aumento. E la rete consolare marocchina - che supervisiona la moschea - sta cercando di dar vita ad una federazione dell'islam di cui faccia parte anche Monte Antenne; già finanziata dal Marocco, che ha coperto il suo recente buco di bilancio. In questo nuovo soggetto islamico potrebbe annidarsi anche l'ideologia più estremista al momento in circolazione: quella salatila del gruppo marocchino Al Adi Wal Ihsan, Giustizia e Misericordia. Perché il progetto riguarda  tutti  i  marocchini d'Italia.
Uno strano silenzio, dunque, quello dell'imam Gobashi, che fa crescere i timori di molti musulmani che frequentano Monte Antenne e dei membri moderati della Consulta islamica del Viminale. Personaggio schivo, Gobashi fa parte di un sistema che lo vede impegnato sul delicato fronte della predicazione presso «l'ente morale» che potrebbe far parte della nascente Federazione. Il suo silenzio sembra un tentativo di accattivarsi le simpatie delle ali estreme. Organizzazioni fai-da-te che accettano anche le frange più estreme dell'islam. I servizi non escludono l'annidarsi di fondamentalisti in questo progetto, perché la diplomazia marocchina non verifica l'effettiva preparazione né la provenienza ideologica degli interlocutori.
Come denuncia Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis, una delle principali associazioni islamiche del Paese, «in Italia purtroppo non ci sono moschee che abbiano la capacità di declinare la loro spiritualità in modo dignitoso, per colpa di alcuni
individui che vogliono strumentalizzare l'islam per finalità fondamentaliste». E nei colloqui promossi dai diplomatici marocchini in alcune moschee del Veneto, c'erano anche musulmani salafiti di stanza a Treviso, Bergamo, Verona e Bologna. Silenzio sulla fine di Bin Laden anche da quelle parti d'Italia.
I primi a parlare sono stati gli islamici di Viale Jenner in cerca di credibilità, dopo che Wikileaks ha raccontato che l'istituto milanese era stato usato per il reclutamento jihadista. Per Abdel Shari, presidente del centro, Bin Laden è «meglio morto che in prigione». Altri si sono aggiunti all'elenco, con il presi¬dente dell'Ucoii, Izzedine Elzir, che spera «si apra una pagina nuova». Intanto bisogna capire quale strada sceglierà la grande moschea di Roma. Due giorni fa, dal Cairo, sono arrivate dichiarazioni ambigue su Bin Laden e sulla sua sepoltura in mare. Per Mahmoud Ashour dell'accademia delle ricerche islamiche di Al Azhar, è stato un «peccato» non rispettare la sharia per lo sceicco del terrore.
Silenzio dall'imam di Ro¬ma Gobashi, che al Cairo, ad Al Azhar, ha pure studiato. Mentre Pallavicini, imam e italiano riflessivo studioso, ha parlato solo oggi. E aragio-ne: «Dobbiamo tenere alta la guardia».




PRESENZA STRANIERI IN LOMBARDIA +183% DAL 2001
Agi 4 maggio 2011
Un aumento complessivo del 183% dal 2001 della presenza di stranieri in Lombardia (erano 1,2 milioni, 424mila quelli presenti in Provincia di Milano al primo luglio 2010), con picchi del 330% e del 320% nelle province di Lodi e Pavia. Numeri, tra gli altri, analizzati nel XII Rapporto sull'immigrazione straniera in povincia di Milano, redatto per La Provincia di Milano, dall'Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicita' e la Fondazione Ismu che sara' illustrato domani. Nel corso della presentazione, verranno forniti i dati relativi alle presenze regolari e irregolari a Milano e Provincia, alle diverse etnie, alla distribuzione anagrafica, al tasso di scolarizzazione, all'indice di integrazione, alla fede religiosa, all'occupazione degli stranieri. Il rapporto ha anche indagato il senso di appartenenza nazionale tra i giovani stranieri.

 
In Danimarca hanno capito che senza immigrazione si risparmia
l'Occidentale 4 maggio 2011
Antonio Scafati
Calcolatrice alla mano, il governo danese si è fatto due conti analizzando costi e benefici delle politiche sull’immigrazione dell’ultimo decennio. Scoprendo che il risparmio per le casse statali è stato di 5,1 miliardi di corone ogni anno. Dal 2001 il governo di centro-destra ha reso sempre più severe le leggi che regolano l’accesso degli stranieri, riducendo soprattutto il numero di immigrati provenienti da paesi non occidentali: il risultato è stato un risparmio complessivo di oltre sei miliardi di euro. I dati sono stati pubblicati in un rapporto che mostra come gli immigrati non occidentali costino alle casse statali 15,7 miliardi di corone all’anno; al contrario, quelli che provengono dai paesi occidentali contribuiscono alla ricchezza del paese con 2,2 miliardi.
Il ministro dell’Immigrazione Søren Pind, che già aveva promesso politiche sull’immigrazione più severe condannando il multiculturalismo, ha commentato che “ora è chiaro come abbia importanza chi entra nel paese”, aggiungendo che si impegnerà per “limitare ulteriormente l’accesso a coloro che potrebbero diventare un peso per la Danimarca. Sarò invece felice di accogliere chi contribuirà allo sviluppo della nostra economia”. Soddisfatti dei risparmi anche i socialdemocratici, che guidano l’opposizione e che hanno già detto che non cambieranno le attuali leggi sull’immigrazione se dovessero vincere le prossime elezioni, cercando invece di migliorare laddove i conservatori avrebbero fallito e cioè nell’integrazione.
Chi ha gongolato sfogliando il rapporto è stato il Partito Popolare Danese, che sostiene il governo e che è l’ispiratore delle leggi sull’immigrazione degli ultimi anni. I risultati del rapporto saranno la carta in più che il Partito Popolare Danese giocherà per chiedere un’ulteriore inasprimento di norme che in fatto di immigrazione e asilo sono già le più severe d’Europa. La Danimarca ha sempre tenuto sotto controllo l’immigrazione, regolando gli accessi. Leggi estremamente rigide hanno drasticamente ridotto l’afflusso negli ultimi anni. Una norma del 2008 vieta agli ostelli per i senzatetto finanziati dallo Stato di dare ospitalità agli stranieri che non hanno regolare permesso di soggiorno. E se si è trovati senza permesso scatta l’espulsione immediata.
Se un danese e uno straniero vogliono sposarsi, entrambi devono avere minimo 24 anni. Ma non finisce qui. Il diritto al ricongiungimento familiare e alla residenza per i cittadini extracomunitari è disciplinato da un sistema a punti piuttosto complesso che assegna un tot a fattori come l’età, le esperienze professionali, l’educazione, le competenze linguistiche. Se non si raggiunge un livello minimo, niente permesso di soggiorno. In più lo straniero che aspira al ricongiungimento familiare deve dimostrare la propria indipendenza finanziaria depositando in banca una sorta di caparra per eventuali spese pubbliche. Il risultato è che negli ultimi anni in Danimarca sono entrati più immigrati in cerca di lavoro rispetto a quelli per motivi umanitari o familiari.
Molte organizzazioni umanitarie denunciano violazioni dei diritti civili, ma il governo e soprattutto il Partito Popolare Danese vanno avanti per la propria strada. Gli uomini della euroscettica Pia Kjærsgaard vorrebbero addirittura un impegno del governo a rivedere l’accordo di Schengen, per tornare ai controlli alle frontiere. “Abbiamo problemi con i cittadini dell’est Europa che stanno venendo qui e corriamo il rischio di avere gli stessi problemi con quelli dal Nord Africa” dice la Kjærsgaard: “I controlli alle frontiere sono un diritto per i nostri cittadini”. Difficile che il governo si impegni su questo fronte. Più probabilmente accoglierà altre richieste. Il Partito Popolare Danese chiede ad esempio che le autorità locali incoraggino a tornare nel proprio paese tutti gli immigrati che non trovano lavoro.
Un ulteriore giro di vite ci sarà poi sulla prova di lingua danese, che sarà resa più severa a soli sei mesi dall’introduzione del nuovo sistema a punti. Il governo e il Partito Popolare Danese hanno presentato una proposta per rendere il test ancora più selettivo, innalzando i livelli minimi di sufficienza. La prova dovrà essere superata entro tre mesi dall’arrivo in Danimarca e studiare sarà responsabilità dell’immigrato: nessun obbligo di cumulare un certo numero di ore. L’Istituto danese per i diritti umani ha detto che a questo punto gli stranieri dovranno cominciare a studiare la lingua già prima di entrare in Danimarca. È facile prevedere che il numero di ricongiungimenti familiari calerà ancora.

 


Pietralata, ultima stazione Rom Vivere aspettando lo sgombero
Gioia Salvatori
l'Unità 04 Maggio 2011
Il playground dei bambini è un piazzale d’asfalto impolverato e assolato, al centro di tre ex magazzini in muratura. Il cortile è lo spazio fervido di vita dove, il più possibile similmente a una casa vera, i piccoli scorrazzano coi racchettoni in mano, qualche famiglia pranza a tavola, qualche donna stende i panni e qualche altra si affanna a spazzare via terra e polvere in mattine di fine aprile piene di paura. Fuori la scritta di vernice rossa sulla cassetta della posta recita “Alina” civico 102 di via delle cave di Pietralata. Roma est. Per una novantina di rom a rischio sgombero questo potrebbe essere l’ultimo indirizzo conosciuto in Italia. Il sindaco Gianni Alemanno, infatti, dopo l'occupazione pasquale della basilica di San Paolo da parte di rom e associazioni, colpito dalle critiche della comunità di Sant'Egidio e di Amnesty, ha fatto retromarcia e annunciato una moratoria sugli sgomberi fino alla beatificazione di Giovanni Paolo II.
TREGUA SANTA
Un’indulgenza di una settimana per i campi irregolari, poi però si riprende con le «bonifiche» e quella di via delle cave di Pietralata era una di quelle sospese. I rom, nelle mattine di fine aprile della loro primavera di paura, sanno che dopo il deflusso dei pellegrini toccherà a loro andarsene. Lo sa Alina, che ha sei anni, un vuoto al posto degli incisivi, i capelli biondi e la pelle scura. La sa anche Doro, che di anni ne ha 12 e ripete quello che dicono i grandi «Se ci sgomberano torniamo in Romania, anche se io non voglio». Conviene, meditano gli adulti nella loro primavera di paura, i fagotti pronti, la tensione che diventa rabbia e li fa diffidare anche degli amici. A Roma ultimamente tira una brutta aria, 1000 persone sgomberate dai primi di aprile, nessuna sistemazione alternativa proposta, davanti la prospettiva di andare raminghi da un ponte all'altro, «ti pare che risparmiano proprio noi?», fa una donna; «Giornalista, tu puoi restare, parlare con noi, solo se prometti che non ci cacciano via», dice un'altra. «Noi lavoriamo, magari in nero e senza dire che abitiamo al campo, i bambini vanno a scuola, sono 6 o 7 anni che stiamo in Italia; per una vita migliore abbiamo lasciato le nostre case in Romania, dove una casa ce l'avevamo», racconta Nina, badante in nero, moglie in una famiglia di musicisti. Fa capire che in Italia vogliono starci, ma non ad ogni condizione, soprattutto se una condizione diversa è stata possibile fin'ora. In questo angolo di Roma ai margini della campagna, dove i baraccati delle rive dell'Aniene di pasoliniana memoria c'erano fino a 60 anni fa, infatti, si è lavorato per inserire i rom: 800 romani la domenica di Pasqua hanno firmato contro lo sgombero del campo. Non basta a consolare, la paura resta: «Signora, come facciamo se ci portano via mentre i piccoli sono a scuola? Dopo tornano e non trovano nessuno», e così nella settimana tra il 25 aprile e il primo maggio le mamme si sono tenuti i figli stretti. Anche Alina è rimasta a casa, lei che a lezione ci va volentieri perché «più di tutto mi piace scrivere ogni giorno» e da grande forse vuole fare la scrittrice.
Hanno paura, i rom romeni di via  delle cave di Pietralata, anche perché sanno cos'è lo sgombero. Ne sono stati già vittime nel Natale 2006 quando, giunta Veltroni, dovettero lasciare un edificio di proprietà delle Ferrovie perché veniva coinvolto nella riqualificazione della stazione Tiburtina. Si sparpagliarono in campi abusivi fino ad occupare col sostegno delle associazioni, il 14 febbraio 2008, i magazzini in disuso di via delle cave di Pietralata 102, zona di confine tra campagna e città. Anche il parroco di zona, oltre che la comunità di Sant' Egidio, dice che lì è stato fatto un importante lavoro di integrazione. «L' anno scorso i rom hanno anche aperto il campo al quartiere con una festa musicale. Vorremmo capire meglio perché li sgomberano. Gira voce che al posto del campo sorgerà una strada contemplata nel progetto di riqualificazione dell'area, che comprende la costruzione di edifici per uffici ministeriali (Sdo) e campus universitario. Ma, nonostante le nostre richieste, non abbiamo mai saputo ufficialmente dall'attuale giunta come intende realizzare questi vecchi importanti progetti », protesta Marina Aquilanti, che milita nel circolo Pd di zona e presiede la locale associazione Crocevia. Al campo non si fidano di nessuno, non parlano volentieri, qualcuno si rintana dietro le porte delle stanze ricavate dentro i magazzini in muratura. Ogni porta è segnata col sinistro presagio di un numero, ogni porta una famiglia, fuori i tavoli, dietro i giacigli, l'odore di tanti panni usati. Alla retromarcia del sindaco Alemanno qui non ci credono e l'uovo di Pasqua donato dal Papa non serve a consolare. Nonostante tutto, però, il playground dei bambini, circondato da cartoni e carrelli della spesa pieni di fagotti, ferve di vita, palloni che ruzzolano, gridolini e sogni.

 

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