Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 maggio 2013

Lo ius soli e l’incapacità degli italiani a pensarsi “diversi”
Corriere della sera, 17-05-2013
Marco Antonsich
Da una parte c’è un signore genovese con i capelli bianchi che chiede un referendum sullo ius soli. Dall’altra c’è un governatore pugliese che rimanda accuse di fascista a chi nega il diritto di cittadinanza alla nascita. In mezzo, o più spostato verso Genova, c’è un nutrito gruppo di fazzoletti e camicie verdi che chiamano in causa il ministro Kyenge ogni qualvolta un nero in Italia compie qualche atto criminoso – come se la povera neo-ministra fosse il rappresentante dei neri in Italia e non di tutti gli italiani, quale che sia il loro colore, che in Parlamento l’hanno eletta. Da oscura rivendicazione, relegata tra le seconde generazioni, lo ius soli sta emergendo come la nuova star dello scontro politico in Italia. Non credo che questo sinceramente gli faccia bene.
Spostarlo dal terreno moderato di una legittima rivendicazione giuridica, fatta propria anche dal Presidente della Repubblica, a quello infuocato dello scontro politico rischia di fargli perdere consensi. E sì che secondo un sondaggio Istat del 2011 ben il 72% degli italiani lo riteneva richiesta accettabilissima. Fosse fatto oggi credo che il sondaggio darebbe ben altro esito. Il problema è che oggi lo ius soli (seppur temperato) non è più visto come la concessione benevola da parte di un buon pater familias italiano verso alcuni dei suoi figli meno fortunati o illegittimi, ma la richiesta di un ministro ‘straniero’, nero per di più, che lo rivendica come diritto sacrosanto.
    Addio 72%…
Ma, ripeto, non è questo il punto, pur con tutta la mia simpatia verso coloro che giustamente chiedono una riforma dell’attuale legge sulla cittadinanza. Il punto è invece che tutto questo gran clamore attorno allo ius soli rischia di spostare l’attenzione da quello che è il vero problema. L’incapacità degli italiani a pensarsi ‘diversi’. Scrive Grillo sul suo blog che lo ius soli è “una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese”. Ma caro signor Grillo non vede che questa geografia è già cambiata, con buona pace dello ius soli?
    Oggi in Italia gli stranieri sono circa il 7,5% della popolazione totale. A Milano la cifra sale al 14%. Una proiezione demografica Eurostat afferma che tra cinquant’anni, i residenti in Italia con almeno un genitore straniero saranno tra il 30% e il 40%.
Cosa vogliamo fare, continuare a lacerarci le vesti sullo ius soli o cercare di portare avanti una seria riflessione, nel dibattito politico, nelle scuole, e nella sfera pubblica più in generale, per comprendere come declinare “Italia” e “italiano/a” al plurale (e in diversi colori)? Ci piaccia o no questa è la realtà. E sarà bene guardarla in faccia e discuterla al di là di un mero dibattito legalistico sullo ius soli; buono forse questo per ottenere consenso elettorale, nell’uno e nell’altro campo, ma incapace di rispondere all’Italia che oggi è già cambiata e domani cambierà ancor di più. È la nazione che deve essere ripensata.
    “Noi” chi siamo?
Credo che questo sia il vero problema che rischia di passare sotto silenzio nel gran clamore che circonda oggi lo ius soli.



Perché lo ius soli è una scelta di futuro
l'Unità, 17-05-2013

Marco Pacciotti
?L’IMMIGRAZIONE RIMANE PER L’ITALIA UN ARGOMENTO DI CONFRONTO «NUOVO » E MOLTO OSTICO, A VOLTE CON EFFETTI PREOCCUPANTI.La difficoltà più evidente è di lettura del processo migratorio e delle sue implicazioni nella trasformazione della società italiana. Quasi sempre
lo si affronta come fosse un fenomeno circoscritto nel tempo e nello spazio e di conseguenza come argomento di nicchia.
Credo invece che l’immigrazione sia un dato strutturale e irreversibile, da affrontare fuori dalle ideologie. Bisognerebbe fare un salto di qualità nell’approccio, considerandolo una chiave di lettura per comprendere meglio i mutamenti avvenuti nel nostro Paese e per
comprendere meglio cosa avverrà in futuro.
Un approccio ben diverso quindi, una piccola rivoluzione copernicana nell’impianto culturale di quelle classi dirigenti politiche, economiche e della comunicazione che finora sembrano essere «spiazzate» dalla centralità che va assumendo questo tema. Un tema sempre
meno circoscritto e sempre più diffuso.
Basterebbe visitare un asilo o una scuola per intuire la portata storica e gli enormi potenziali benefici per la nostra
società. Benefici che non sono automatici, mache andrebbero accompagnati da un dibattito culturale maturo e consapevole
e da leggi tanto necessarie quanto efficaci. Leggi necessarie non ai migranti o ai loro figli, ma all’Italia per crescere come Paese in grado di stare al passo con la globalizzazione e i suoi effetti. Lo ha compreso perfettamente il presidente Napolitano, quando ricevendo una delegazione di ragazzi di origine straniera nati o cresciuti in Italia, li definì «energia vitale» per il nostro Paese.
Stabilizzare questa presenza, circa un milione, significherebbe dare loro serenità e prospettiva. Questo renderebbe il nostro Paese più forte in termini di coesione sociale e in grado di affrontare le sfide future. In primis sul piano dell’innovazione e competitività nei
mercati, dove solo la capacità di produrre nuove idee renderà i nostri prodotti richiesti. E da sempre le idee migliori nascono dall’incontro e la sintesi fra culture diverse, rispetto alle quali questi ragazzi sono un «ponte» naturale. In secondo luogo l’invecchiamento della società italiana necessita di questi ragazzi e dei loro genitori per poter mantenere in equilibrio ad esempio il sistema pensionistico.
Basti ricordare come ad oggi vengono versati all’Inps dai loro genitori circa sette miliardi l’anno di contributi. Una tendenza destinata a rafforzarsi , al punto che il nostro sistema previdenziale rischierebbe il collasso senza la presenza di questi ragazzi e di quanti ne nasceranno ancora. Credo che dovremmo ripartire da questa consapevolezza per affrontare correttamente il dibattito sul cosiddetto ius soli. Solo così potremo evitare di incagliarci negli scogli di discussioni piegate a calcoli politici cinici e strumentali, che vivono fuori dalla realtà di un Paese che invece si dice disponibile per oltre il 70% ad accettare una legge sulla cittadinanza che tuteli questi ragazzi. Una percentuale di italiani trasversale agli schieramenti e che dimostra di avere posizioni più avanzate a una parte dei propri rappresentanti.
Di recente invece in risposta alle affermazioni del ministro Kyenge di arrivare in questa legislatura all’approvazione di una legge che aggiorni le attuali norme di ottenimento della nazionalità per chi nasce o cresce in Italia, si è assistito all’ennesima levata di scudi.
Un inasprimento dei toni non solo sbagliato ma a volte inaccettabile. Definire vergognose le affermazioni fatte da alcuni esponenti di spicco della Lega è poco, ma non sorprende il pulpito da cui provengono. Quello che sorprende è la discussione sullo ius soli nei media. A mio avviso falsata in partenza da due presupposti errati. Il primo lo ha introdotto indirettamente chi continua impropriamente
a definire con il termine ius soli le proposte sull’ottenimento della nazionalità per i bimbi di origine straniera.
Il secondo gettato nell’arena mediatica da Grillo parlando di Europa, facendo così passare l’idea implicita che esista un modello europeo di riferimento.
Due presupposti errati che convergono evitando che si entri nel merito della proposta, costituendo di fatto un formidabile «fuoco di sbarramento». Ritengo invece che sia utile e necessario affrontare la questione nel merito, rimuovendo le incrostazioni ideologiche
e le furbizie. La prima cosa da riaffermare con nettezza è che in Europa non esiste un modello legislativo uniforme e che probabilmente così sarà ancora per molti anni. Questo in virtù delle peculiarità storiche, culturali e geografiche di ciascun Paese, prerogative queste che ne determinano l’approccio legislativo.
Possiamo quindi affermare che chi fa appello all’Europa per questo specifico aspetto, lo fa volendo rimandare alle calende greche la questione. Rimosso questo primo elemento di confusione, è chiaro che l’Italia se vorrà modificare l’attuale legislazione, non potrà appellarsi a un modello uniforme, ma procedere basandosi sulla propria storia e contemporaneità, che suggeriscono realismo
e lucidità nell’approccio.
Due criteri adottati nella proposta depositata pochi giorni fa in Parlamento a firma Bersani, Kyenge, Chaouki, Speranza. In essa si dice chiaramente che chi nasce in Italia ha diritto ad essere italiano se almeno uno dei due genitori è residente regolarmente da cinque anni.
La proposta si articola poi in diverse opportunità per l’ottenimento della nazionalità, compresa quella che prevede che essa si ottenga per quei minori stranieri che abbiano compiuto almeno un ciclo scolastico completo nel nostro Paese.
Proposte che fotografano con realismo la necessità per l’Italia di riconoscere la possibilità di essere italiani a oltre un milione di ragazze e ragazzi che lo sono di fatto. Condividendo con i nostri figli studi, passioni e obiettivi. Una proposta ben diversa quindi dallo ius soli propriamente detto, quello di stampo anglosassone in uso ad esempio negli Stati Uniti, dove è sufficiente nascere
sul suolo di quella nazione per diventarne cittadini. La proposta in discussione in Italia invece, come abbiamo visto, tiene
conto della nostra realtà. Se volessi essere provocatorio direi che essa rappresenta una forma di ius sanguinis mitigato,
adeguato ai mutamenti demografici e sociali già in corso da anni e quindi perfino tardivo. L’elemento positivo è nell’approccio non ideologico quindi, determinato dalla consapevolezza che una legge cosi rappresenterebbe uno straordinario fattore di modernizzazione
e crescita sociale indispensabili all’Italia.



Italeñas, storia di due italiane a metà: un video per lo ius soli.
Parte la campagna di Zalab “Insieme per lo ius soli”. A supporto un breve documentario di David Chierchini, Matteo Keffer e Davide Morandini.
Immigrazioneoggi, 17-05-2013
Melina è una ragazza diciannovenne nata in Italia cui è stata rifiutata la cittadinanza perché si è trasferita in Ecuador (il Paese di origine dei suoi genitori) per meno di un anno quando ne aveva quattro. Domenica, una giornalista peruviana che vive in Italia da 22, non può diventare direttrice di una testata perché cittadina straniera.
Le loro storie, accomunate da un’ingiustizia subita a causa delle storture della legge italiana sulla cittadinanza, sono raccontate nel video Italeñas di David Chierchini, Matteo Keffer, Davide Morandini, l’ultima delle Schegge di Za, una serie di documentari brevi prodotti da ZaLab con il sostegno di Open Society Foundations sulle più gravi emergenze democratiche dell’Italia di oggi.
Lo scopo delle Schegge è raccontare le molte violazioni di diritti fondamentali che attraversano il Paese e raccogliere la voce di chi le vive sulla propria pelle.
Italeñas nasce a supporto del lancio della campagna “Insieme per lo ius soli”, un appello alla società civile e alle associazioni per chiedere una nuova legge sulla cittadinanza.
Si può aderire all’iniziativa diffondendo il video di Italeñas sulla rete e utilizzando il semplice claim comune Insieme per lo ius soli (hashtag #proiussoli).



La Destra: “Prima gli italiani”. Ma i manifesti li attaccano gli immigrati
Il partito di Storace vuole dare la precedenza agli autoctoni nell’accesso agli asili nido e ai servizi sociali. I lavoratori stranieri sono però indispensabili per la campagna elettorale a Roma
Stranieri in Italia, 16-05-2013
Roma – 16 maggio 2013 - Francesco Storace e il suo partito, La Destra, lo chiamano “Quoziente Italia”. È il sistema con cui ad esempio vorrebbero sbattere i figli degli immigrati in fondo alle classifiche degli asili nido, garantendo i primi posti agli italiani di origine controllata. Ragionamento identico per l’accesso ad altri servizi sociali e alle case popolari.
“Quoziente Italia” è anche una delle parole d’ordine della campagna elettorale de La Destra per le prossime comunali a Roma, dove il partito sostiene la rielezione del sindaco Gianni Alemanno. Curioso che ad attaccare quei manifesti, come documenta un video de Il fatto Quotidiano tv, siano operai immigrati. Possibile che Storace e i suoi non siano riusciti a trovare volenterosi militanti italiani?
 


Ius soli, si smarcano tre senatrici 5 Stelle: proposta di legge col Pd
Corriere della sera, 17-05-2013
MILANO — Ancora una volta contro la linea del leader. Ancora una volta uno smarcamento. I parlamentari Cinque Stelle riaprono la querelle sullo ius soli: Alessandra Bencini, Manuela Serra e Paola De Pin risultano tra i cofirmatari di una legge che ne prevede l'introduzione. Il disegno di legge, l'atto numero 17 del Senato, è stato depositato a Palazzo Madama lo scorso 15 marzo. Un progetto a firma Pd, dato che il primo firmatario è Ignazio Marino, proprio quell'Ignazio Marino candidato sindaco al Campidoglio che sfiderà tra gli altri il pentastellato Marcello De Vito. Le tre senatrici del Movimento hanno aggiunto la loro firma al testo lo scorso 7 maggio, tre giorni dopo Grillo — che ieri è tornato sul tema immigrazione con un post provocatorio dal titolo «Kabobo d'Italia» — interviene nella questione, dando vita a una ridda di polemiche. Il capo politico del Movimento afferma che l'introduzione dello ius soli può avvenire «solo attraverso un referendum». E prende le distanze da qualsiasi testo (compreso quello delle «sue» senatrici) sia al vaglio dell'Aula: «Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari», si legge nell'intervento del 10 maggio. Parole che hanno provocato anche qualche malumore in seno a deputati e senatori, pronti — come ad esempio Alessandro Di Battista — a ribadire le proprie convinzioni personali (favorevoli) in tema di ius soli. L'idea del leader aveva trovato sponda, invece, in Ignazio La Russa: «Finalmente una posizione chiara e condivisibile da Grillo: no allo ius soli salvo referendum».



Un ministro del culto, di rito bianco
Persino un prete s'è scagliato contro la "nera" Kyenge, dimenticando che tanti santi, pure patroni di Padania, erano clandestini di colore
Sette, 17-05-2013
Cesare Fiumi
Prima Ie ha dato la sua "inimicizia" su Facebook, chiedendosi infastídito: «C'era proprio bisogno di un ministro di colore?». Poi, dall'interrogativo è passato all'esclamativo: «Con tutto il rispetto per la signora, è sempre un'extracomunitaria!». Per chiudere con una pacata riflessione: «Non sono razzista, ma mischiare le razze può essere pericoloso». Amen. La signora in questione - tutt'altro che rispettata, a dispetto della presunta intenzione - come avrete capito dal malinconico accatastarsi di dichiarazioni xenofobe all'indomani della nomina, è il ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge. Epperò, il latore del post (e tenutario del profilo da cui tanta fraternità è fuoriuscita viscida e maleodorante) non è, come si potrebbe immaginare, il parlamentare europeo Mario Borghezio («Kyenge è una scelta del cazzo e questo è un governo del bonga-bonga») o il parlamentare italiano Matteo Salvini («Solo qui fanno ministri i clandestini») o l'ex parlamentare italiano ed europeo Ermínio Boso («Deve stare a casa sua in Congo. Sono razzista, non mi farei mai curare da un medico come lei»). No, non è farina del "trio polenta" della Lega che, per altro, non ha minimamente spaventato la dottoressa Kyenge che ha troppo visto e studiato - una laurea sudata al Sacro Cuore a Roma, mica comprata in Albania - per piegarsi alla solita Campagna a difesa della "razza taragna".
SANTA GIULIA TUNISINA... L'uomo di Facebook, che se l'è presa con il ministro dell'lntegrazione, si chiama Alessandro Loi. Ed è ministro pure lui. Del culto. Vive in Sardegna e di mestiere fa il prete: è parroco di Lotzorai e dice messa nella chiesa di Santa Elena Imperatrice. Quella che domenica scorsa, dopo il suo messaggio apostolico all'indirizzo della Kyenge, con tanto di benedizione ecumenica per tutti gli uomini di buona volontà (a patto che ogni «razza» stia negli appositi insediamenti e continenti, of course) i suoi parrocchiani hanno disertato, lasciandolo a dir messa per pochi intimi, indignati da quello che avevano letto sul profilo dei loro pastore ché, quando le pecorelle sono nere - e pazienza se Kyenge è pure cattolica -, non è il caso di darsi troppa premura: meglio un gregge che più bianco non si può, a costo dei dileggio. Il vescovo di Lanusei, monsignor Piseddu, dopo aver letto il post nella sua interezza («A quando un ministro italiano in Congo? Il ministro Kyenge sogna un'Italia di immigrati») ha convocato il sacerdote e dichiarato tutta la sua disapprovazione: «La nostra diocesi è multiculturale e le parole di don Loi non esprimono né il mio pensiero né quello della comunità».
...E SAN ZENO MAURITANO. Ben detto, ma è la storia di Santa Romana Chiesa, alla quale il don si appiglia nei suoi mi piace su Facebook, che non solo lo smentisce, ma lo irride pure. A cominciare da Sant'Antíoco, patrono della sua Sardegna, un santo martire ma anche un santo nero - come il ministro Kyenge -, per proseguire con Sant'Elena Imperatrice, a cui è intitolata la sua parrocchia: santa di natali turchi e, secondo gli studiosi, pure "concubina" di Costanzo Cloro prima della conversione. Per non dire di Sant'Alessandro, di cui don Loi porta il nome, che era egiziano e anche lui di pelle scura.
Anzi, a pensarci bene, tre città care al "trio polenta" e alla Padania leghista - e cioè Bergamo, Brescia e Verona - hanno tutte un patrono nero e, ai tempi dello sbarco sulle nostre coste, pure clandestino: perché Sant'Alessandro l'egiziano è anche il patrono di Bergamo, cosi come la tunisina Santa Giulia, "prostituta ferita" nell'iconografia Cristiana, è la patrona di Brescia e San Zeno, nero africano di Mauritania, è il protettore della Verona di Tosi. E San Vittore l'africano? E San Nicola, non esattamente di Bari, essendo nato e morto in Turchia, che è il protettore di un bel po' di comuni padani, dal Vercellese al Verbano, dal Mantovano alla Bergamasca, dal Cuneese al Padovano? Se tanti ex clandestini d'antan, tutti di pelle nera, sono diventati santi meritevoli di devozione (e pure Dottori della Chiesa come l'algerino Sant'Agostino), un'ex clandestina d'oggi (dottore in oculistica) può fare benissimo il ministro dell'lntegrazione. Con buona pace dei don Loi pronti a farne "lotta di razza" - mentre di etnia si tratta, caro don Alessandro, ché di razza ce n'è una sola ed è quella umana - in quanto residuati, bellicosi, di "moglie&buoi dei paesi tuoi".



Islam, la rivolta delle donne "Ci hanno negato la piscina"
Salta l'accordo con l'Acquapark e scatta la lettera a Napolitano Il direttore dell'impianto: "Razzismo? Solo un affare impossibile"
il Giornale, 17-05-2013
Maria Sorbi
Quello che sembrava solo un accordo commerciale andato a monte è diventato un caso nazionale. È diventato una denuncia di razzismo da parte della comunità islamica, con tanto di lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e minaccia di manifestazioni in piazza.
Tutto comincia con una telefonata. I rappresentanti della «Halal consumer», associazione che certifica la qualità dei prodotti e degli alimenti secondo i dettami della religione islamica, chiamano i responsabili dell'Acquaneva, un parco acquatico a Inzago, vicino a Milano. Vogliono avere un preventivo per organizzare un evento dedicato a donne e bambini. Normali trattative tra privati. Almeno all'inizio.
«Avevamo preso accordi con la struttura - denuncia la presidente di Halal, Basma Farrag - sia sul prezzo, sia sul giorno dell'evento e anche sull'uso degli impianti. Ma, da un giorno all'altro, il proprietario ha cominciato ad assumere un atteggiamento arrogante nei nostri confronti e a cambiare continuamente le carte in tavola. Fino ad aumentare il prezzo stabilito. Poi, quando abbiamo accettato le nuove tariffe, ci ha detto che non potevamo usare gli scivoli».
Dal canto suo Luigi Riva, direttore della struttura Acquaneva, dà la sua versione dei fatti e si scrolla di dosso l'accusa di razzismo. «Hanno montato un caso sul nulla - replica - L'associazione chi ha chiesto che la struttura fosse riservata esclusivamente al suo evento ma, se chiudiamo il parco al pubblico, ovviamente non possiamo abbassare il prezzo più di un tot». Riva spiega anche che aver negato l'uso degli scivoli non è stato uno sgarro per scoraggiare la prenotazione: «Questione di manutenzione. Apriamo gli scivoli all'inizio di giugno». L'acquapark si stava anche organizzando per «arruolare» bagnine donne e rispettare la richiesta dell'associazione. «Il razzismo non c'entra proprio nulla. Per tutta la stagione abbiamo tra i nostri clienti donne islamiche che fanno il bagno vestite e nessuno dice niente». Eppure il risentimento per il mancato contratto si è trasformato in una voglia di rivalsa da parte dell'associazione islamica. Ed è arrivato alle orecchie del dirigente della comunità islamica italiana Sharif Lorenzini, che subito ha commentato: «Avrebbe dovuto essere un giorno di festa ma si è trasformato nell'ennesimo atto di discriminazione e di razzismo contro i musulmani». Lorenzini parla di un «episodio spiacevolissimo» e lo considera una specie di goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da qui la decisione di impugnare carta e penna e scrivere al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «per concordare una linea atta a equilibrare e rasserenare il clima sociale e concordare una serie di azioni per risolvere le questioni della comunità islamica». Insomma, Lorenzini denuncia il disagio e la frustrazione della comunità che rappresenta, soprattutto quando scatta qualche blitz contro presunte cellule terroristiche, come accaduto in Puglia qualche giorno fa con l'arresto dell'ex imam Andria. «Operazioni come queste - commenta - portano poi gli operatori ad assumere atteggiamenti come quello del proprietario dell'Acquapark». Adesso la associazione «Halal consumer» sta valutando se intraprendere un'azione legale nei confronti dell'acquapark davanti alla cui sede potrebbe organizzare una manifestazione di protesta. Ma si parla anche di una manifestazione d'avanti al Quirinale. Tuttavia il coordinamento delle associazioni islamiche a Milano prende le distanze dal gruppo che muove accuse di razzismo: «La discriminazione su base religiosa non può essere tirata in causa ogni qualvolta si presenti un inconveniente che coinvolge i musulmani perché in questo modo si alimenta un vittimismo che non deve appartenere alla nostra comunità».

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