Togliersi la vita dopo sei mesi trascorsi nel Cie

Italia-razzismo
Questa è la storia di un egiziano recluso nel centro di Ponte Galeria, ma potrebbe essere, se non per il tragico epilogo, la storia di molti altri reclusi nei Cie di tutta Italia. Era uscito da poco dal Cie, quel cittadino egiziano, perché in quel luogo aveva già trascorso il massimo del tempo previsto: 180 giorni.

È in questi lunghi giorni che le autorità italiane non sono riuscite a realizzare il processo di identificazione per poi procedere all’espulsione. Giorni che devono essere stati davvero interminabili per un giovane egiziano provato dallo stress da reclusione, al punto di dover assumere dosi massicce di  tranquillanti. Storie consuete in luoghi di reclusione ed esclusione da qualsiasi attività che alimentano di fatto (indipendentemente dalla professionalità e dalla sensibilità degli operatori o della questura di riferimento, come nel caso di quella di Roma) noia, disperazione, inedia.
Ed è probabilmente per questo che sono in molti a tentare la fuga, come ha fatto anche quell’egiziano. Tentativo non riuscito che ha fatto sì che l’ultimo periodo di permanenza a Ponte Galeria si sia rivelato il più duro. Una volta uscito non è andata meglio: dopo qualche giorno di tranquillità è ripiombato nella depressione. Il suo avvocato, Serena Lauri, non si è sorpreso di questa reazione perché, quel ragazzo da solo non sarebbe riuscito ad affrontare le difficoltà che comporta la condizione di  persona immigrata e irregolare: continue incomprensioni a causa di una lingua sconosciuta, problemi nella ricerca di un alloggio, di un lavoro e di un sostegno psicologico. Avrebbe avuto bisogno di un supporto. Forse, se non fosse stato così solo, non sarebbe arrivato a compiere il gesto estremo di togliersi la vita.
l'Unità, 17-03-2012

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