Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 ottobre 2013

Lampedusa, arrestato il 'capitano': "Fa parte dei trafficanti di esseri umani"
Bensalem Khaled prelevato dal centro accoglienza e portato in carcere: tra le accuse dei pm di Agrigento l'omicidio plurimo e il naufragio. A incastrarlo il racconto di diversi testimoni: "Ci ha prelevato dal deserto libico e portato a Misurata. E lui ha appiccato il fuoco a bordo"
la Repubblica.it, 08-10-2013
FRANCESCO VIVIANO
LAMPEDUSA - Il 'Capitano' Bensalem Khaled, tunisino di Sfax, l'uomo che era al comando del peschereccio affondato davanti alla costa di Lampedusa, provocando oltre 300 morti, è stato fermato e accusato formalmente di omicidio plurimo, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e naufragio.
Polizia e carabinieri lo hanno prelevato all'interno del Centro di accoglienza dell'isola, dove era attentamente sorvegliato, e trasferito nel carcere di Agrigento. Non è stato invece ancora identificato 'l'assistente' del Capitano, che probabilmente si trova ancora all'interno del centro di accoglienza. I due venivano chiamati dai 500 disperati che si trovavano sul barcone della morte come "White Man" (uomini bianchi).
Il provvedimento di fermo è stato firmato dal procuratore di Agrigento, Renato Di Natale, dall'aggiunto, Ignazio Fonzo e dal pm Minardi. A incastrare lo scafista la testimonianza di una decina di sopravvissuti che non hanno avuti dubbi nel riconoscere Bensalem Khaled come "il Capitano" che faceva parte di una organizzazione libica che gestisce il traffico di uomini dalle cost libiche a quelle italiane.
Interrogati dagli investigatori della squadra mobile e dai Pm, i testimoni hanno fornito una serie di particolari e dettagli, sull'organizzazione e sul viaggio verso Lampedusa, che hanno provocato lo stato di fermo dello scafista. B.A., eritreo, ed altri suoi connazionali sopravvissuti alla strage hanno riferito agli investigatori che Bensalem Khaled era tra gli organizzatori del viaggio e che si era occupato, sin dalle prime battute, di trasferire i 500 eritei che erano "prigionieri"
in un capannone nelle campagne libiche, fino alla spiaggia vicino Misurata.
"A gruppi di 20-30 ci hanno prima messi su delle piccole barche trasferendoci poi sul peschereccio più grande che si trovava al largo". Il viaggio è stato faticoso, i 500 "passeggeri" erano costretti a stare in piedi perché erano stipati nella stiva, sul ponte e sul piano superiore del peschereccio come delle sardine. Tutti i testimoni hanno riferito che Bensalem Khaled era sempre al timone aiutato dall'altro "White Man"; i due erano gli unici che dormivano in una cabina con due cuccette. Sempre i testimoni hanno riferito che sarebbe stato lo stesso "capitano" a dare fuoco a una coperta per tentare di segnalare la presenza del peschereccio e che le fiamme hanno investito il barcone che ha preso fuoco facendolo affondare con il suo carico di vite.



Dal mare ancora corpi. E gli sbarchi non si fermano
Ieri 200 profughi arrivati nel ragusano, altri 155 siriani a Siracusa. Domani la visita di Barroso sull'isola
il Giornale, 08-10-2013
Non si ferma il lavoro dei sommozzatori nelle acque davanti a Cala Croce, per cercare di recuperare i corpi delle vittime del naufragio di Lampedusa.
Ieri, nonostante le condizioni del mare fossero rese difficili dal maltempo, i sommozzatori hanno recuperato altri trentotto corpi: il bilancio provvisorio della tragedia sale così a 232 vittime. Dopo avere lavorato nella zona del cassero dell'imbarcazione, i sommozzatori devono ancora entrare nella stiva. E se oggi a Lussemburgo i ministri degli Interni discuteranno della tragedia (per l'Italia ci sarà Alfano), è prevista per domani la visita sull'isola del presidente della Commissione Ue Barroso (con lui anche il commissario per gli Affari interni, Cecilia Malmstrom): un viaggio per «vedere con i miei occhi» che cosa è successo e che cosa «possiamo fare assieme» per risolvere la situazione, ha detto ieri. «La mia visita a Lampedusa ha lo scopo di mostrare solidarietà e capire cosa possiamo fare, sempre tenendo a mente che si tratta di una competenza nazionale - ha aggiunto Barroso - Penso che potremmo fare di più se gli Stati membri fossero d'accordo a voler fare di più». Anche alla plenaria del Parlamento europeo di domani si discuterà di Lampedusa, ma è già stato annunciato un rinvio: il voto su una risoluzione per cambiare le politiche europee e la condivisione di responsabilità è stato rimandato alla seconda plenaria di ottobre (21-24), cioè dopo la relazione di Barroso e Malmstrom.
Ieri a Palazzo Chigi c'è stato un vertice sull'immigrazione e l'emergenza sbarchi. Dopo la tragedia di Lampedusa infatti non si sono fermati gli arrivi di immigrati sulle nostre coste: l'altra giorno a Siracusa in tarda serata sono sbarcati 155 profughi siriani, tutti in buone condizioni, in maggioranza donne e bambini. E ieri altri due barconi sono giunti all'alba a Pozzallo, nel Ragusano, con a bordo duecento extracomunitari, fra cui molte donne e molti bambini. Sono stati tutti portati nel centro di prima accoglienza di Pozzallo. Intanto il Vaticano ha fatto sapere che a Lampedusa è rimasto, dall'altro giorno, l'Elemosiniere Pontificio, monsignor Konrad Krajewski, come «inviato» del Papa (per tenerlo informato e per dare un aiuto concreto ai sopravvissuti): ieri mattina era sul gommone della Guardia costiera impegnato nel recupero dei corpi delle vittime.



Legge sui rifugiati e accoglienza il piano per cambiare la Bossi-Fini
Primo vertice a Palazzo Chigi. Più fondi per i Comuni
La Repubblica, 08-10-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA— Legge organica sull'asilo. Più fondi ai comuni per l'accoglienza dei rifügiati. Controlli Ue (Frontex) rinforzati alle frontiere marittime dell'Italia. Ritocchi alla Bossi-Fini. La road map per riscrivere le regole dell'immigrazione è tracciata. Un pacchetto di quattropunti, elaborate ieri in un vertice a palazzo Chigi, per rispondere ai morti di Lampedusa.
Sul tavolo, un intervento in tempi brevi che non alteri gli equilibri del governo Letta, ma si muova su un terreno più stabile, puntando su alcune modifiche condivise. Insomma, non si discute la riscrittura da capo a piedi della legge Bossi-Fini (come molti nel Pd vorrebbero, a partire dal ministro per l'lntegrazione Cécile Kyenge), né la cancellazione con un colpo di spugna del reato di clandestinità (frutto del passato accordo Pdl-Lega). Si tratta, in primo luogo, di mettere mano a una legge organica sull'asilo, per rispondere a caldo all'indignazione internazionale per la tragedia di Lampedusa e alle ripetute richieste del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Dal governo si fa poi notare che l'emergenza oggi sono i rifügiati, mentre sempre meno sono i migranti economici che entrano e restano in Italia (sempre più Paese di transito dei flussi). Da qui la proposta, che verrà discussa in settimana in un vertice ministeriale tra Enrico Letta, Angelino Alfano, Fabrizio Saccomanni, Emma Bonino, Mario Mauro ed Enzo Moavero: una legge organica sul diritto d'asilo. Nei caso di Lampedusa infatti siamo di fronte a migranti in fuga da zone di guerra (Síria) o da Paesi dove rischiano comunque persecuzioni (Corno d Africa). Insomma tutti potenziali richiedenti asilo in base alla Convenzione di Ginevra del 1951, alla quale l'Italia ha aderito insieme ad altri 143 Paesi. «Peccato però - spiega Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifügiati - che mentre abbiamo un testo unico sull'immigrazione, sull'asilo abbiamo solo una giungla normativa di decreti e circolari e nulla di organico. Non solo. Il nostro sistema di accoglienza, diviso tra comuni e Cara, manca di una cabina di regia che elimini sprechi e inefficenze. Per non parlare dell'assenza di integrazione. E ancora: bisognerebbe rendere possibile presentare la richiesta di asilo già all'estero, per esempio alla rappresentanza diplomatica italiana a Tripoli. Ben venga dunque u intervento in tal senso».
Tutto questo tenendo presente che il nostro Paese non è sotto assedio. Una prova? L'ltalia nel 2012 ha ricevuto 15.715 richieste d'asilo: molte meno di Germania (77.500), Francia (60.600), Svezia (43.900), Gran Bretagna (28.200) e Belgio (28.100).
Nel pacchetto messo a punto dal governo, si prevede poi la concessione di nuovi fondi (2300 milioni), entro la prossima settimana, ai comuni impegnati nell'accoglienza dei rifugiati, in modo da alleggerire anche il peso su Lampedusa. Sul fronte europeo si chiederanno non tanto nuovi finanziamenti (l'Italia è già tra i principali beneficiari dei fondi europei sull'immigrazione), ma un rafforzamento dei rapporti con i Paesi d'origine dei flussi, a partire dalla Libia, per fermare le rotte della morte e un maggiore impegno di Frontex in Italia (agenzia europea per il pattugliamento delle frontiere esterne Ue), oggi troppo sbilanciato sul fronte spagnolo.
E ancora: il governo intende recepire in anticipo tre direttïve europee sull'immigrazione che scadono nel 2015 (e invece po- trebbero essere approvate nel pacchetto entro fine anno): le direttive "Qualifiche", "Accoglienza" e "Procedure" proprio sul diritto di asilo. Infine la Bossi-Fini: la legge del 2002 ha più a che fare con i cosiddetti migranti economici, cioè colora che scelgono di lasciare volontariamente il proprio Paese d'origine per cercare un lavoro, che con rifugiati. Anche per questo il governo prevede per ora solo dei ritocchi alla legge, per armonizzarla con le nuove norme in arrivo. Altro punto dolente è il regolamento di Dublino che affida al Paese di primo ingresso, ossia all'Italia, tutto il carico dei migranti.
Intanto proprio sull' asilo qualche proposta già avanza in Parlamento: il presidente del gruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, assieme ai deputati Antonello Giacomelli e Khalid Chaouki, ha pronto un testo di legge per dare «finalmente completa attuazione all'articolo 10 della Costituzione». Un altro testo prende invece di mira il reato di clandestinità. A presentarlo è il Senatore Pd, Luigi Manconi: «Quello è un reato orribile che punisce non perciò che si fa ma per ciò che si è. Non per un delitto commesso, ma per una condizione di vita: migrante, fuggiasco, povero. E questo contribuisce a riportare il nostro ordinamento giuridico a una condizione precedente l'affermazione dello stato di diritto. Una ragione in più per abrogare una norma inutile, tanto più che la Corte costituzionale nel 2010, ha dichiarato illegittima l'aggravante di clandestinità».



Manconi (Pd): "Abolire reato di clandestinità. Perché tacciono i garantisti del Pdl?"
Dopo la tragedia di Lampedusa, il senatore democratico presenta un disegno di legge per l'abrogazione di quello che definisce un "presupposto perverso", che trasforma automaticamente l'immigrato in un criminale
la Repubblica.it, 08-10-2013
MONICA RUBINO
ROMA - "Un reato orribile, che punisce non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Non per un delitto commesso, ma per una condizione di vita: migrante, fuggiasco, povero". A dirlo è il senatore del Pd Luigi Manconi, che ha presentato un disegno di legge per l'abrograzione del reato di clandestinità all'indomani della tragedia di Lampedusa.
Manconi, ci spieghi il senso di questa proposta.
"Il reato di clandestinità è inutile e mette l'immigrato appena sbarcato sulle nostre coste in una condizione criminale per il solo fatto di esistere e non perché abbia commesso qualcosa di contrario alla legge. Si è criminali in automatico nel momento in cui non si hanno documenti regolari. E la cosa pazzesca è che le sanatorie avvenute negli ultimi anni, compresa quella di più ampie dimensioni voluta dal governo Berlusconi, hanno portato a regolarizzare persone che adesso lavorano nel nostro Paese e che sarebbero state passibili di essere incriminate di clandestinità. L'ingresso regolare in Italia è sempre più difficile e sottoposto a vincoli sempre più restrittivi. Se non si consentono in prima battuta ingressi legali, si chiudono subito tutte le altre strade conformi alla legge, compresa la ricerca del lavoro. E si fornisce facile manovalanza alle organizzazioni criminali".
Quindi, prima ancora di riformare la legge Bossi-Fini, bisogna abolire il suo "presupposto", ossia il reato di clandestinità
"Certo, perché è un presupposto perverso due volte. In primo luogo perché è un'utopia negativa e ridicola pensare di fermare i flussi migratori intensificando i pattugliamenti e aumentando il numero di motovedette. In secondo luogo cercare di bloccare queste persone che scappano da massacri, dittature, guerre tribali, persecuzioni religiose significa violare il diritto internazionale".
Ci spieghi meglio.
"Il governo Berlusconi nel 2012 è stato condannato dalla Corte euopea dei diritti dell'uomo per un respingimento collettivo di 24 eritrei avvenuto nel 2009, vanto dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni. Quegli eritrei vennero rimpatriati e successivamente incarcerati e venivano da un paese che aveva pieno titolo per chiederci il diritto d'asilo. Inoltre, l'ingresso e la permanenza irregolari nel territorio dello Stato rischiano di sottrarre l'imputato alle garanzie previste dalla direttiva rimpatri che non si applica, appunto, alla materia penale. Infine, è fin troppo evidente che quel reato non contribuisce in alcun modo a contenere i flussi migratori, mentre aggrava ulteriormente il contenzioso giudiziario penale".
Quindi il reato di clandestinità per lei è una violazione dello stato di diritto.
"Si, contribuisce a riportare il nostro ordinamento giuridico indietro di un secolo e mezzo. Sono sorpreso che i tanti garantisti presenti nel Pdl non siano finora insorti contro una norma così regressiva e liberticida. E si tratta di un reato assai pericoloso perché rappresenta nell'immaginario collettivo l'immigrato come un nemico. Una ragione in più per abrogare una norma ottusa, tanto più che la Corte Costituzionale, nel Luglio del 2010, ha dichiarato illegittima l'aggravante di clandestinità".
La sua proposta non ha suscitato nessuna reazione nel Pdl?
"No, i garantisti, o coloro che si spacciano per tali, tacciono. Solo uno di quei due o tre liberali veri che esistono in Italia, ovvero il deputato pidiellino Antonio Martino, ha sempre ripetuto che le grandi nazioni democratiche si sono sviluppate grazie all'immigrazione irregolare. E ha dichiarato più volte di tenere di più alla libera circolazione degli essere umani che delle merci".



Cancellare subito lo scandalo della Bossi-Fini
la Repubblica, 08-10-2013
Stefano Rodotà
LE TERRIBILI tragedie collettive sono ormai diventate grandi rappresentazioni pubbliche, che vedono tra i loro attori i rappresentanti delle istituzioni, ben allenati ormai nel recitare il ruolo di chi deve dare voce ai sentimenti di cordoglio, dire che il dramma non si ripeterà, promettere che «nulla sarà come prima». Il pellegrinaggio a Lampedusa era ovviamente doveroso, arriverà anche il presidente della Commissione europea Barroso, si è già fatta sentire la voce del primo ministro francese perché sia anche l’Unione europea a discutere la questione. Sembra così che sia stata soddisfatta la richiesta del governo italiano di considerare il tema in questa più larga dimensione, guardando alle coste del nostro paese come alla frontiera sud dell’Unione.
Attenzione, però, a non operare una sorta di rimozione, rimettendoci alle istituzioni europee e non considerando primario l’obbligo di mettere ordine in casa nostra. Lunga, e ben nota da tempo, è la lista delle questioni da affrontare, a cominciare dalla condizione dei centri di accoglienza dove troppo spesso ai migranti viene negato il rispetto della dignità, anzi della loro stessa umanità. Ma oggi possiamo ben dire che vi è una priorità assoluta, che deve essere affrontata e che può esserlo senza che si obietti, come accade per i centri di accoglienza, che mancano le risorse necessarie. Questa priorità è la cosiddetta legge Bossi-Fini.
LA BOSSI-FINI è quasi un compendio di inciviltà per le motivazioni profonde che l’hanno generata e per le regole che ne hanno costituito la traduzione concreta. Per questa legge l’emigrazione deve essere considerata come un problema di ordine pubblico, con conseguente ricorso massiccio alle norme penali e agli interventi di polizia. All’origine vi è il rifiuto dell’altro, del diverso, del lontano, che con il solo suo insediarsi nel nostro paese ne mette in pericolo i fondamenti culturali e religiosi. Un attentato perenne, dunque, da contrastare in ogni modo. Inutile insistere sulla radice razzista di questo atteggiamento e sul fatto che, considerando pregiudizialmente il migrante irregolare come il responsabile di un reato, viene così potentemente e pericolosamente rafforzata la propensione al rifiuto. Non dimentichiamo che a Milano si cercò di impedire l’iscrizione alle scuole per l’infanzia dei figli dei migranti irregolari, che si è cercato di escludere tutti questi migranti dall’accesso alle cure mediche, pena la denuncia penale.
In questi anni sono stati soltanto i pericolosi giudici, la detestata Corte costituzionale, a cercar di porre parzialmente riparo a questa vergognosa situazione, a reagire a questa perversa “cultura”. Già nel 2001 la Corte costituzionale aveva scritto che vi sono garanzie costituzionali che valgono per tutte le persone, cittadini dello Stato o stranieri, “non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”, sì che “lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato ha il diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili e urgenti”. Un orientamento, questo, ripetutamente confermato negli anni seguenti, motivato riferendosi all’“insopprimibile tutela della persona umana”. Le persone che ci spingono alla commozione, allora, non possono essere soltanto quelle chiuse in una schiera di bare destinata ad allungarsi. Sono i sopravvissuti che, con “atto dovuto” della magistratura”, sono stati denunciati per il reato di immigrazione clandestina. Di essi non possiamo disinteressarci, rinviando tutto ad una auspicata strategia comune europea. I rappresentanti delle istituzioni, presenti a Lampedusa o prodighi di dichiarazioni a distanza, non possono ignorare questo problema, mille volte segnalato e mille volte eluso. Così come non possono ignorare il fatto che lo stesso soccorso “umanitario” ai migranti in pericolo di vita è istituzionalmente ostacolato da una norma che, prevedendo il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, fa sì che il soccorritore possa essere incriminato. A tutto questo si aggiunge la pratica dei respingimenti in mare, anch’essa illegittima e pericolosa per i migranti, sì che non deve sorprendere che proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa abbia definito sbagliate e pregiudizievoli le politiche italiane nella materia dell’immigrazione.
L’unica seria risposta istituzionale alla tragedia di Lampedusa è l’abrogazione della legge Bossi-Fini, sostituendola con norme rispettose dei diritti delle persone. Contro una misura così ragionevole e urgente si leveranno certamente le obiezioni e i distinguo di chi invoca la necessità di non turbare i fragili equilibri politici, di fare i conti con le varie “sensibilità” all’interno dell’attuale maggioranza. Miserie di una politica che, in tal modo, rivelerebbe una volta di più la sua incapacità di cogliere i grandi temi del nostro tempo. Siano i cittadini attivi, spesso protagonisti vincenti di un’“altra politica”, ad indicare imperiosamente quali siano le vie che, in nome dell’umanità e dei diritti, devono essere seguite.



La Bossi-Fini, una legge da cambiare in ogni caso
Una riforma politicamente incandescente. Intanto si ragiona sulla modifica del diritto di asilo
Europa, 08-10-2013
Fabrizia Bagozzi
Con l’ultima – e la più grave – tragedia di Lampedusa il pervicace accanimento della legge Bossi-Fini e dei seguenti pacchetti sicurezza targati Maroni (a cui si deve, per esempio, il reato di ingresso illegale) c’entra solo in parte. E non è un caso che il presidente della repubblica ancora ieri da Cracovia ricordava che le questioni che Alfano porrà oggi a Lussemburgo, al vertice dei ministri degli interni e della giustizia Ue, riguardano il diritto di asilo e non l’immigrazione tout court.
Le vittime della strage non erano immigrati “economici”, ma profughi, persone con diritto alla protezione garantita dalle convenzioni internazionali. Ed è incredibile ma vero che sono indagati proprio grazie al reato maroniano, ma, come spiega il ministro Cancellieri, fino a quando non faranno la richiesta d’asilo (la cosa non rende del resto meno grave l’esistenza di questa fattispecie penale che penderà comunque sul capo di quanti non si vedranno riconosciuta la protezione e diventeranno così automaticamente sans papier).
Le questioni a cui mettere mano in via prioritaria hanno a che fare con il potenziamento del soccorso in mare, con quelli che è lo stesso ministro Kyenge a definire «corridoi umanitari» da gestire a livello multilaterale, con l’Europa che deve sostenere la sponda sud assediata, con gli accordi coi paesi di provenienza, con una riforma importante del sistema di asilo nel nostro paese.
Ciò non toglie che la Bossi-Fini rimanga comunque da riformare: non consente l’ingresso in Italia per ricerca di lavoro (si può entrare solo se si ha un contratto), di fatto facendo crescere l’irregolarità, accentua le pastoie burocratiche per i regolari, estende a 18 mesi la permanenza nei Cie, prevede appunto il reato di ingresso e permanenza clandestina, rende più difficoltoso accedere al diritto di asilo. Il frutto avvelenato della stagione del leghismo al potere (ma evidentemente non solo) che con ragione il centrosinistra vuole rimettere in discussione da capo a piedi. E che andrebbe ridiscussa per dare per acquisita una volta per tutte l’immigrazione come un fatto strutturale.
Ma ancora oggi quella riforma è materia politica incandescente. A maggior ragione in una fase di larghe intese con un Pdl sull’orlo di una crisi di nervi nel quale gli orientamenti paraleghisti sull’immigrazione non sono così minoritari. Non è una caso che il ministro dell’interno e vicepremier Alfano, che di suo anche qui non è annoverabile fra i falchi, insista così tanto sul ruolo dell’Europa. Toccando la Bossi-Fini si tocca il già fragilissimo equilibrio del suo partito, per non parlare dei rapporti con la Lega, schierata a testuggine in difesa.
Sicché è realistico pensare che se qualcosa di quella stagione si arriverà a cambiare, sarà la disciplina del diritto di asilo. Per rendere più semplice accedervi, aumentare le commissioni territoriali che esaminano le pratiche, accelerare i tempi, sostenere i comuni che si trovano a dover dare ospitalità ai rifugiati. Ieri a palazzo Chigi c’è stato un primo incontro tecnico fra i ministeri interessati. Entro la settimana si vedranno i ministri. La questione del reato di ingresso e permanenza illegale aleggia, ma rimane delicatissima.



Non solo Lampedusa
Da Gorizia a Bari, la mappa dei luoghi di speranza diventati inferni
Rifugiati: i centri di accoglienza, un grande scandalo a cielo aperto
Abissi italici Centri di accoglienza
Vergogna di Stato: 45 euro a migrante per tenerli in gabbia
il Fatto, 08-10-2013
Antonello Caporale
Sigillate le bare dei morti, dovremo scoperchiare quelle dei vivi, degli immigrati detenuti nei centri di accoglienza temporanea. Dovremo domandarci come sia possibile farli vivere nelle condizioni disumane e appurare che la loro disperata esistenza viene mantenuta alla straordinaria spesa media quotidiana di 45 euro. Dovremo pur chiedere conto della congruità della cifra, incredibile rispetto allo standard conosciuto di decenza, di pulizia, di efficienza Per ognuno di questi poveracci, trattenuti (cioè reclusi), spesso al solo scopo di rispedirli nelle terre della morte da dove sono giunti, spendiamo – ci dice l’ultimo e più aggiornato dossier (Lampedusa non è un’isola) curato da Luigi Manconi e Stefano Anastasia – diecimila euro di media.
E ogni giorno il costo complessivo di questa imponente fabbrica dell’accoglienza di Stato ammonta a duecentomila euro. In Italia, si sa, ogni emergenza si trasforma in industria. E l’industria dell’emergenza è attività sempre in espansione. Basta volgere lo sguardo a ciò che è capitato nell’ultimo decennio. La gestione e il ciclo dello smaltimento dei rifiuti solo a Napoli ha raggiunto, per esempio, negli anni in cui la questione si è fatta emergenziale, la cifra di quasi sette miliardi di euro. Il terremoto del-l’Aquila ha prodotto solo nei primi due anni (con i risultati che vediamo) costi vivi per quasi due miliardi di euro. L’emergenza è dunque la pratica governativa meglio avviata, sempre pronta a gonfiare le voci della fattura, a rendere impossibile una soluzione ragionevole e irreversibile la dimensione della spesa. La normativa che regola l’immigrazione oltre ad avere aspetti disumani produce questa economia oscura ma fiorente, dove le funzioni dello Stato, gestite nell’iperbole amministrativa del ministero dell’Interno, vengono rese – anche quelle minime – molto più costose di quanto dovrebbero e potrebbero. Dal 1999 al 2011 un miliardo di euro è andato via per gestire questo immenso grand hotel, con i frutti indegni di un Paese civile. Visto che siamo tutti vicini alla parola del Papa, quella “vergogna” che finanche il Parlamento ha fatto sua, sarà il caso di valutare se tributare un pensiero ai responsabili di questa gestione sprecona, per tenersi prudenti, del-l’accoglienza? E sarà il caso che il ministro Alfano spieghi, prima di urlare la sua vergogna, dove diavolo dimori il senso dello Stato, la lealtà verso le voci di bilancio e la congruità prima morale, poi economica di questo monumentale impianto di carcerazione?
Domani Barroso, il presidente della Commissione europea, farà visita al centro di accoglienza di Lampedusa. Intanto almeno lui, a differenza di Alfano, una volta sull’isola andrà anche al centro. Siamo certi che domani proprio il centro potrebbe trasformarsi in una casetta linda e profumata. Tutti al loro posto, e tutto in ordine. Ben venga se rimanesse poi così. Altrimenti sarebbe la prova di una conclamata, perdurante e manipolazione della realtà. Esistono, per motivi sconosciuti, costi di gestione troppo differenti tra nord e sud dell’Italia, ed esistono periodi di trattenimento che variano, tra un centro e l’altro (a seconda della collocazione geografica), dai 28 ai 78 giorni.
In definitiva esistono tutte le condizioni perchè la vergogna trovi finalmente casa e dei volti amici a cui accompagnarsi.



I mille disperati tra materassi a terra e sacchi di plastica
Giacigli avvolti nelle buste della spazzatura per renderli impermeabili alla pioggia
Uomini, donne bambini nel girone dantesco di Lampedusa
il Fatto, 08-10-2013
Enrico Fierro
E domani a Lampedusa arriva l’Europa col suo massimo rappresentante, José Manuel Barroso. “Voglio vedere con i miei occhi quello che succede e quello che possiamo fare”, ha detto il presidente, conservatore, della Commissione Ue. E vedrà questa porta d’Europa che guarda all’Africa ma che l’Europa dell’indifferenza ha da anni cancellato dalle sue carte geografiche. “È una vergogna che l’Unione abbia lasciato così a lungo l’Italia da sola ad affrontare il flusso di migranti dall’Africa”, ha riconosciuto Martin Schulz, il presidente, socialista, del Parlamento europeo.
MA LA SVOLTA è ancora lontana. Barroso vedrà la lotta dei sub contro il tempo e il mare per recuperare i corpi dei naufraghi dell’ultima strage di migranti. Guarderà quest’isola zattera dove in vent’anni di guerre, fame e migrazioni si sono aggrappati 200 mila disperati. Ai suoi occhi si mostrerà l’Italia con le sue generosità, ma anche con le sue inefficienze, i ritardi, le eterne emergenze che nessuno riesce a risolvere. La più vergognosa è quella del centro di soccorso e prima accoglienza, dove sono ospitati i 155 naufraghi scampati alla tragedia del 3 ottobre. Nei giorni scorsi abbiamo documentato le condizioni di vita nella struttura. Materassi di spugna all’aperto, giacigli improvvisati per passare la notte, cani randagi nel cortile, promiscuità assurde in un luogo con soli 300 posti letto che ieri ospitava 928 persone, adulti, giovani, donne e 202 minori.
Sono siriani, palestinesi, somali, eritrei, gente provata da lunghi viaggi, donne e bambini, soprattutto, che hanno ancora negli occhi il terrore del mare, l’incubo di un naufragio, una umanità che si è lasciata alle spalle guerre e fame. Tutti i parlamentari che in questi giorni sono sbarcati a Lampedusa lo hanno visitato e in coro, all’unanimità, hanno detto che lì le condizioni di vita sono “vergognose”. Anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha avuto parole pesanti da spendere. L’unico politico che non ha trovato il tempo di varcare i cancelli del centro è il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Forse, se avesse visto come sono costretti a vivere i migranti, Alfano, non avrebbe pronunciato quella frase infelice alla Camera: “Sull’accoglienza non accettiamo lezioni da nessuno”. La responsabilità di queste strutture volute dal-l’allora ministro dell’Interno Bobo Maroni, hanno risposto i vari politici venuti sull’isola, fa capo proprio al Vimieale. Anche la ministra Cécilé Kyenge ha allargato le braccia rimandando tutto, ogni decisione, ogni scelta utile per rendere più umana la vita in quella struttura, a lontani tavoli interministeriali.
IL COLMO, poi, lo si è raggiunto quando i cronisti hanno chiesto se il commissario Barroso sarà portato tra i capannoni di Contrada Imbracola a “vedere la sporcizia e lo schifo”. Silenzio della ministra, risposta della sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini: “No, state certi che lo puliranno”. Ci siamo andati ieri mattina e abbiamo visto le cose di tre giorni fa. C’è solo una novità, i materassi di spugna fetente che molti migranti usano per dormire fuori la notte, sono stati coperti, impermeabilizzati , con i sacchi neri della spazzatura. Ogni volta che i giornali scrivono queste cose, gli operatori di “Lampedusa accoglienza”, il consorzio che si occupa della gestione del centro, insorgono. Lo hanno fatto anche ieri durante una visita dei giornalisti.
“SIAMO STANCHI dei continui attacchi. Abbiamo pure sentito che i profughi ospiti della struttura vengono trattati da Paese del terzo mondo. Queste critiche ci addolorano immensamente. Noi stiamo dando il massimo in una condizione molto difficile e complicata. I nostri operatori fanno turni massacranti, anche di 20 ore al giorno per riuscire a trovare delle sistemazioni per tutti. Ma non lo sa nessuno. Fa male sentire poi qualcuno che dice vergogna. Non ci stiamo”. Si sfoga Federico Miragliotta, il direttore del centro; ma il problema non è il lavoro degli operatori (danno il massimo e lo abbiamo visto e documentato), bensì il business che c’è dietro queste strutture. La srl “Lampedusa accoglienza”, costituita da Blue Coop di Agrigento, che detiene il 33% delle quote, e dal Consorzio di Cooperative sociali Sisifo (67%) gestisce il centro dal 2007, quando si aggiudicò l’appalto con un ribasso di gara del 30%. Un affare, calcolano le associazioni che si battono per i diritti dei migranti, che porta nelle casse della società 2 milioni e mezzo di euro l’anno. Gran regista della srl è Cono Galipò, un passato nel Partito comunista a Capo d’Orlando, la militanza nel Psi e poi in Forza Italia, prima di approdare al Pd nella corrente del deputato messinese Francantonio Genovese. Politica e immigrati, business e condizioni reali di vita nei vari centri di accoglienza, anche di questo è fatta l’eterna emergenza di Lampedusa. Chi non è indifferente è il Papa, che sull’isola ha mandato monsignor Krajewski, elemosiniere vaticano. “Daremo un aiuto concreto ai superstiti del naufragio”, ha scritto in un tweet.



Lampedusa e quel buonismo che legittima lo status quo dello schiavismo
Il Foglio, 08-10-2013
Renato Brunetta
Al direttore - Nel suo articolo sul Foglio dedicato a Lampedusa ha colto il segno. Intendo qui, in lotta contro l’ipocrisia, proporre alcune note di politica della migrazione.
A Lampedusa queste sono le parole “politiche” del ministro Cécile Kyenge: “La Bossi- Fini non va, cambiarla subito”. Un aut aut? Nessun aut aut per favore. Il monito del presidente Letta deve valere anche per l’onorevole Kyenge, che non ha per forza l’oro in bocca quando parla di immigrazione e integrazione.
Sia detto una volta per tutte. La tragedia di Lampedusa non è stata causata dalla Bossi-Fini; così come quella del 7 marzo
2002 con 59 tra morti e dispersi, al largo di Lampedusa, può essere attribuita alla Turco-Napolitano. La situazione richiede
una riflessione insieme con l’Unione europea come ha chiesto il presidente francese Hollande. Occorre che l’Europa decida come intenda governare i flussi migratori ai suoi confini meridionali, in questa terribile congiuntura che vede in movimento non soltanto i popoli degli stati che si affacciano sul Mediterraneo ma anche quelli dell’Africa subsahariana e del Corno d’Africa. E’ ovvio che un’apertura indiscriminata o accondiscendente verso la pressione migratoria esercitata oggi verso il nord da almeno trenta milioni di africani e mediorientali, trascinerebbe nel caos i paesi ospitanti con conseguenze
gravissime per la pace sociale. Si tratta nell’immediato di far sì che nessuna carretta del mare parta più dai ben  individuabili porti degli schiavisti. Per questo si deve procedere ad accordi operativi urgenti tra Ue e quegli stati così che consentano il controllo ravvicinato delle loro coste. Questo controllo all’origine determinerà l’impossibilità
per centinaia di migliaia e forse milioni di persone di chiedere asilo, come accadrebbe se raggiungessero i nostri confini,
e questo fa torto al nostro senso umanitario e ai loro diritti, tuttavia almeno impedirebbe al Mediterraneo di continuare a essere il luogo di una spaventosa mattanza e tutelerebbe il primo dei diritti umani che è quello alla vita. L’emergenza non si ferma a impedire partenze. Alla lunga sarebbe impossibile.
Perciò la prima risposta non deve inibire, anzi comporta fin d’ora l’impostazione di politiche europee di medio periodo,
che sostengano il progresso economico e civile, nel senso della libertà e dei diritti umani, di quei paesi da cui muovono queste masse in cerca di nuove terre. Il problema non è italiano, lo nega l’evidenza geopolitica e lo impone la dimensione della questione.
Inutile dilaniarsi sulla Bossi-Fini, la cui colpevolizzazione è di natura ideologica. Questa legge, che si muove nella direzione della Turco-Napolitano, dopo undici anni dalla sua promulgazione è una buona base per aggiustamenti adeguati ai tempi così da coniugare accoglienza e sostenibilità sociale.
La Bossi-Fini è in continuità con la Turco- Napolitano e applica un principio di saggezza. Si tratta di favorire l’immigrazione da domanda, che consente un’ordinata integrazione. E di impedire l’immigrazione di offerta, che distrugge chi arriva e chi riceve. Il buonismo finisce per legittimare lo status quo di schiavismo e di sfruttamento. Altra cosa, ovvio, sono i problemi di singoli e masse in fuga da guerre e situazioni estreme. Ma qui l’Italia non può reggere l’urto, e si affonderebbe tutti. La sinistra moderata o estremista, che riversa la sua indignazione contro la Bossi-Fini, è ipocrita. La sua natura ideologica si rende visibile quando non ha appoggiato i referendum radicali che proponevano l’abrogazione oltre che della Bossi-Fini anche del reato di clandestinità. Pur di non firmare quelli sulla giustizia non ha promosso nemmeno gli altri, caso mai i militanti aderissero anche a quelli sgraditi dalla magistratura. Altra cosa ha fatto Berlusconi: ha firmato tutti i referendum, chiedendo il giudizio degli italiani persino su leggi volute dal suo governo. I referendum su clandestinità e Bossi-Fini non ci saranno perché non li ha voluti la sinistra. Ora il problema è evitare altre tragedie e questo si può fare bloccando la partenza dei traghetti della morte, con l’Europa protagonista in concerto con gli stati rivieraschi. E se non ci stanno, farlo lo stesso. Ingerenza umanitaria. Scongiurare un pericolo mortale.



Altri inferni
“Ci prostituiamo per pagare i trafficanti”
il Fatto, 08-10-2013
Maria Gabriella Lanza
Scappano da dittature, persecuzioni, violenze. Rischiano la propria vita per un domani diverso che forse non arriverà. Alcuni muoiono durante il tragitto. Altri invece ce la fanno, sbarcano stremati sulle nostre coste, ma la loro odissea non finisce. Chiedono asilo politico all’Italia, sperano di trovare protezione e invece vengono chiusi nei cara, i centri accoglienza per richiedenti asilo. Dovrebbero essere luoghi in cui i migranti aspettano di veder riconosciuto il loro status di rifugiati, massimo 35 giorni di attesa, dice la legge. Ma rimangono lì anche più di un anno, bloccati in un limbo da cui non si può fuggire.
MIRAJ (nome di fantasia), partita dal-l’Africa subsahariana, da nove mesi vive nel cara di Castelnuovo di Porto, vicino Roma: “Ci chiamano disperati. Prima di entrare qui ero pieno di speranze”, dice con un sorriso triste. “Ho attraversato l’Africa, ho lasciato la mia famiglia, ho guardato negli occhi gli scafisti senza aver paura: l’Italia era la mia America. Ma nulla è come avevo immaginato”. Miraj è uno dei 47 mila rifugiati che nel 2012 hanno chiesto protezione all’Italia. “È un inferno. Viviamo ammucchiati in stanzoni. La notte le donne si prostituiscono anche davanti ai bambini, il più piccolo ha due mesi. Devono pagare ai trafficanti di esseri umani il costo del viaggio: prima di partire gli tagliano i capelli e le unghie, è un rito voodoo, loro credono che se non restituiscono il debito capiterà qualcosa di terribile alla loro famiglia. La traversata può costare anche 20 mila euro, un rapporto sessuale 20”, racconta Miraj. “Nel centro si spaccia alla luce del sole e ogni giorno ci sono risse. La scorsa settimana uno di noi è finito in ospedale”. La struttura ha una capienza di 650 posti, ma adesso vivono lì 750 rifugiati, di cui 180 donne e 82 bambini. “Di notte almeno un centinaio di persone scavalca la rete di protezione e dorme qui. Ci danno 75 euro al mese, ma non possiamo lavorare. Come si può vivere così?”, domanda Miraj. “Sognavo di fare la cuoca, ma non ci credo più”. Il centro accoglienza di Roma non è l’unico caso: negli altri cara sparsi in tutta Italia la situazione è la stessa. Ad agosto l’Arci di Bari ha denunciato la prefettura per violazione dei diritti umani: “Nella struttura di Bari Palese ci sono 1400 migranti. Dovrebbero essere 744. Alcuni aspettano anche due anni prima di avere il permesso di rifugiato”, afferma Musie Tessema, responsabile immigrazione dell’Arci. Ufficialmente il centro di Pian del Lago a Caltanissetta non è sovraffollato: accoglie 350 richiedenti asilo, il numero previsto.
PECCATO, però, che i rifugiati che non hanno trovato posto sono stati sistemati al-l’aperto: “Ci sono 110 persone che dormono in tende e baracche di fortuna. Non hanno neanche l’acqua potabile”, racconta Claudio Lombardo dell’Arci di Caltanissetta. La situazione più drammatica è quella del Cara di Mineo, a Catania: progettato per accogliere mille migranti, ne ospita 4000. Lo scorso giovedì un centinaio di loro ha bloccato la strada statale Catania-Gela. Erano esasperati. Non va meglio nei cda, i centri di prima accoglienza, quelli che dovrebbero garantire soccorso e assistenza a chi sbarca in Italia, come Lampedusa. I rifugiati restano lì per mesi in attesa di entrare in un cara. A Varese da quattro giorni trenta richiedenti asilo hanno iniziato lo sciopero della fame: vogliono essere trasferiti, vogliono prendere in mano le loro vite e andare avanti, nonostante tutto.



«La mia fuga dall’inferno dell’Eritrea»
Avvenire, 08-10-2013
Paolo Lambruschi
Non vedeva suo fratello dal 2005, lo ha riconosciuto attraverso la foto scattata dalla Scientifica dopo il naufragio del 3 ottobre. Nell’hangar di Lampedusa Asku ha pianto e pregato a lungo sulla bara di Bimnet, 36 anni, professore in divisa nello stato-caserma eritreo, che a febbraio ha disertato ed è scappato in Sudan con i suoi allievi-militari che sognavano l’Europa per sfuggire alla coscrizione forzata a vita. Sapevano i rischi che correvano, ne fuggono 3.000 al mese secondo l’Acnur verso l’Etiopia o il Sudan. E molti, sempre di più, arrivano profughi in Italia, dove una polemica politica insensata e persino disumana riesce a fare peggio di una cieca e inadeguata normativa li bolla come clandestini.
Sono le generazioni perdute dell’Eritrea, una ferita che non si rimargina. Perdute in Europa e in America. La terra promessa per Bimnet si chiamava Wiesbaden, in Germania, dove Asku, oggi 53enne, vive dal 1980 con la famiglia e dove c’è già anche un altro fratello. È il primo parente delle vittime dell’ecatombe giunto sull’isola per il riconoscimento. Appresa la notizia del naufragio, ha avuto conferma che Bimnet si trovava sul peschereccio affondato da uno degli allievi fermo a Tripoli perché non aveva i 1.600 dollari per la traversata. «Quando Bimnet viveva nel quartiere eritreo di Khartoum – racconta Asku – ci sentivamo spesso. Ho fatto domanda di ricongiungimento in Germania per farlo entrare legalmente, ma l’attesa è diventata troppo lunga. Gli ho mandato parecchio denaro, ma i suoi allievi e i suoi amici avevano fretta di partire per la Libia e l’hanno convinto a muoversi all’inizio di agosto. Era scritto in Cielo che dovesse finire così».
Siamo in un bar in centro a Lampedusa, dove Asku ha dato appuntamento a uno degli allievi del fratello scampato al naufragio. Vuole ricostruire le ultime ore di vita di Bimnet dalla partenza in Libia alla morte. I trafficanti avevano sequestrato ai passeggeri i cellulari, e il black-out è stato totale. Si aggrega Adel, 39 anni, eritreo di nazionalità svedese che nel naufragio ha perso il fratello Adam, 24enne, un gigante asmarino – arruolato a forza ancora minorenne nelle forze speciali – che aveva disertato due anni fa.
«Ha vissuto ad Addis Abeba – conferma Adel – poi in marzo è arrivato a Khartoum per tentare la strada europea via mare. In Svezia non sono possibili infatti i ricongiungimenti». Adel è arrivato ieri a Lampedusa, sapeva dell’imbarco del fratello sul peschereccio e della sua morte, ma non lo ha ancora riconosciuto dalle foto mortuarie e ora attende i nuovi ritrovamenti per poter dire qualcosa ai genitori in patria.
Alex (nome di fantasia) 20 anni, era amico di entrambe le vittime, ora fratelli nella morte. Ha condiviso la vita a Khartoum, nelle galere tripoline e infine sul ponte del peschereccio, vicino a uno degli scafisti. È un cristiano pentecostale, religione non riconosciuta dallo Stato eritreo. Suo padre è stato incarcerato per la sua fede, sua madre e due fratellini sono rimasti a Khartoum, la sorella maggiore è esule a Londra. «Siamo stati in prigione a Tripoli per un mese – racconta – poi siamo riusciti a evadere. Bimnet ha pagato 2.000 dollari le guardie per le chiavi, ma nella fuga si è azzoppato e non è mai guarito».
Contattati i trafficanti, sono stati rinchiusi per un altro mese in un capannone vicino a Tripoli, Poi la notte di una settimana fa in un’ottantina sono saliti su un camion coperti da teloni e a Misurata sono stati ammassati sui gommoni, a gruppi di 130 alla volta.
«Così – prosegue il giovane – ci hanno portato al peschereccio fermo al largo. Eravamo 520, ma il capitano più giovane, che poi è annegato, ne ha fatti tornare a riva 20 perché eravamo troppi. La destinazione era la costa siciliana, e ci aspettavamo 60 ore di navigazione. Dopo 26 ore abbiamo visto delle luci, il capitano ha detto che era Lampedusa e ci fermavamo perché imbarcavamo acqua. Eravamo ammassati sul ponte. A bordo ho visto salire almeno 80 donne (se ne sono salvate 4, ndr) di cui 4 incinte e 16 bambini. Sono scese nella stiva, credo abbiano pagato di meno».
Tra le persone imbarcate, secondo il ragazzo, sette etiopi e due sudanesi. Conferma che due navi li hanno avvicinati e hanno proseguito senza aiutarli. Conferma che la carretta era ferma a 600 metri dalla riva, tra Cala Croce e Cala Madonna, non lontana dal porto. Conferma che l’incendio è stato provocato da una coperta bruciata per attirare l’attenzione. Nel fuggi fuggi il natante si è rovesciato. Alex si è buttato subito, ma Bimnet, azzoppato, ha perso attimi preziosi ed è affogato. Adam il gigante non sapeva nuotare ed è ancora a 47 metri sotto il mare.
Chiedo se il naufragio spaventerà gli eritrei rimasti in Libia. Asku sorride amaro. «Niente li può fermare». Don Mosè Zerai, cappellano cattolico degli eritrei in Svizzera, al telefono denuncia di essere stato contattato da 50 donne imprigionate con 36 bambini tra i 2 e i 13 anni in un centro di detenzione libico a Garaboulì. Quotidianamente vengono stuprate dalle guardie libiche. In Libia il problema dei profughi si risolve così. Meglio la morte in mare che questo inferno, hanno detto le donne disperate al prete. No, niente li può fermare.
 


Risponde Furio Colombo
Le tristi frontiere della Repubblica
il Fatto, 08-10-2013
CARO COLOMBO, il ministro dell'Interno del nostro Paese ha detto in Parlamento che non solo l'Italia ma l'intera Europa deve “proteggere” le proprie frontiere. Mi ha colpito come uno schiaffo quel verbo ripetuto e scandito come se ci si dovesse difendere da una legione di barbari. È la legge perversa della Bossi-Fini e dei respingimenti. È un messaggio che dice a quella gente di morire.
Mario
COMINCIAMO dal presente. Il 4 ottobre Umberto Bossi, che dopo avere depredato il proprio partito non è più nessuno, ma umilia ancora il Senato e l'Italia con la sua presenza, ha detto che la sua legge è la sola difesa contro l'invasione di milioni di clandestini. L'uomo più ottuso ma anche troppo a lungo potente nel mondo politico italiano (la sua perversa collaborazione serviva a fornire voti sicuri per le leggi ad personam utili ai reati di Berlusconi) ha inventato non solo la parola, per identificare rifugiati, molti dei quali avevano innegabile diritto di asilo, ma anche il reato detto “di clandestinità”, che nessun giurista avrebbe dovuto accettare e nessun giudice imputare, perché è un reato del come sei, non del cosa fai, dunque razzista, anticostituzionale e privo di fondamento nell'ordinamento giuridico italiano. Adesso i giudici di Agrigento stanno incriminando per il reato di clandestinità coloro che si sono salvati dal mare. Dicono che lo fanno come atto dovuto. È possibile che lo facciano per mostrare al Paese l'orrore di una legge che il governo Letta non ha toccato e (a giudicare dalle parole del vicepremier Alfano) non intende toccare. Per avere un'idea della follia in cui è precipitata l'Italia pensate questo: se per uno strano e impossibile miracolo qualcuno fosse trovato vivo in mare in questo momento tetro di recupero dei cadaveri, subito diventerebbe imputato per il fatto di essere vivo. Poi c'è la persecuzione dei pescatori che salvano. Anch'essi violano la primitiva legge Bossi-Fini-Maroni e, se sorpresi a salvare, sono incriminati come “mercanti di carne umana”. Ti dicono che non è mai avvenuto. Ma l'intimidazione e la dissuasione sono evidenti. Sempre che portino a riva persone vive e non cadaveri. Altrimenti si fa una commovente cerimonia. In molti hanno notato il ritardo nei soccorsi militari. Smentito ma stranamente inefficiente rispetto al soccorso immediato e volontario di turisti in barca che sono scattati dalla rada. Notate che si tratta degli stessi militari che hanno vissuto per anni sotto la legge Maroni-Gheddafi che prevede i respingimenti in mare. Nonostante la straordinaria tradizione umana e civile di quel corpo militare, è possibile che l'orrore delle leggi italiane abbia rovesciato il senso dell'urgenza e anche la lettura dei fatti: Per capirlo pensate ai magistrati di Agrigento che adesso dovrebbero dare la caccia a uno a uno a ciascuno dei sopravvissuti. Intanto si torna a parlare, persino nei discorsi “commossi”, di una imminente invasione di milioni di migranti. L'invasione non è mai avvenuta e non avverrà. Ma migliaia di persone e di famiglie si sono viste negare (per non avere nessuno a cui chiederlo) il sacrosanto diritto di asilo. E decine di migliaia sono sul fondo del mare, respinti o abbandonati mentre credevano di trovare aiuto in Italia.



Immigrazione: 250 arrivati a Catania
Altra nave ne raccoglie 141 da barcone in avaria, verso Pozzallo
(ANSA) - CATANIA, 8 OTT - E' arrivato dopo le 5 di stamattina nel porto di Catania il mercantile 'Begonia G.' battente bandiera panamense che ieri aveva recuperato circa 250 migranti da un barcone in difficoltà. Un altro mercantile, il danese 'Seagofelixstow', ha imbarcato a bordo 141 presunti siriani, compresi 28 bambini e 39 donne, che erano su un barcone in avaria. Sono diretti al porto di Pozzallo. I soccorsi sono stati coordinati dalla sala operativa della Capitaneria di porto di Roma.



Immigrati, modifiche sull'asilo
il sole 24 0re, 08-10-2013
Beda Romano
ROMA -A cinque giorni dal dramma di Lampedusa, il governo italiano cercherà oggi in occasione di un Consiglio a Lussemburgo di sensibilizzare i partner europei sulla gravosa questione dell'immigrazione. L'obiettivo è di giungere a una nuova suddivisione dei compiti a livello europeo, in un campo che rimane per molti aspetti competenza nazionale. Nel frattempo, il presidente della Commissione José Manuel Barroso ha confermato che domani sarà in visita a Lampedusa.
In un comunicato, il presidente dell'esecutivo comunitario ha affermato che la Commissione «nella misura delle proprie competenze continuerà a lavorare su misure e azioni concrete», senza precisare tuttavia quali potrebbero essere. Il drammatico naufragio a Lampedusa giovedì scorso di una imbarcazione carica di migranti, con la morte di 211 persone (il bilancio è ancora provvisorio), ha confermato che il nodo dell'immigrazione resta politicamente delicato, fonte di gravi divergenze tra i paesi membri.
Due almeno le questioni che verranno discusse oggi in Lussemburgo dove si terrà una riunione dei ministri degli Interni europei (per l'Italia, Angelino Alfano). Da un lato, il coordinamento tra le autorità nazionali; dall'altro gli aspetti giuridici che oggi regolano questo settore nel quale manca una politica comune europea. Il primo aspetto riguarda Frontex, l'agenzia nata nel 2004 con il compito di facilitare la collaborazione tra i paesi membri nel controllo delle frontiere esterne dell'Unione.
Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha appoggiato domenica l'Italia: «Tutti ammettono che Frontex non ha le dimensioni che dovrebbe avere». A causa di tagli alla spesa, il bilancio di Frontex è sceso, dai 118 milioni di euro del 2011 agli 85 milioni di euro del 2012. Il coordinamento tra le autorità nazionali è difficile quando in ballo c'è il controllo delle frontiere esterne. Ciò detto, giovedì il Parlamento europeo approverà il pacchetto Eurosur che prevede lo scambio di dati satellitari.
Le contraddizioni politiche non mancano. In preda a una grave crisi demografica, l'Europa sa che ha bisogno di immigrati per ringiovanire la sua popolazione. Dall'altro, in un momento di gravissima crisi economica, non c'è paese che non debba affrontare movimenti più o meno xenofobi. L'altro aspetto in discussione è il cosiddetto Principio di Dublino. A gestire l'ospitalità d'emergenza e la richiesta di asilo del migrante è il paese di primo arrivo. La regola fa sì che l'Italia sia in prima linea.
Al tempo stesso, è da notare che il governo italiano riceve una compensazione comunitaria (130 milioni di euro nel 2013) e che i paesi più generosi nel concedere l'asilo sono quelli del Nord. Nel 2012 la Germania ha concesso asilo a 22.165 persone, la Francia a 14.325, la Svezia a 15.290, e l'Italia a sole 9.270 persone. Difficile alla vigilia di delicate elezioni per il rinnovo del Parlamento Ue sperare in una vera riforma. Più probabili sono cambiamenti ai margini, se non di facciata.
Il governo italiano è consapevole del fatto che la partita di oggi a Lussemburgo è solo la prima di una lunga battaglia per dare all'Unione le sembianze di una politica comune. Ieri si è tenuta una riunione a Palazzo Chigi di funzionari dei vari ministeri chiamati a gestire il problema dell'immigrazione (Economia, Esteri, Interni, Infrastrutture e Trasporti, Difesa, Salute, Affari europei, Integrazione) oltre ai responsabili delle forze di sicurezza. L'obiettivo della riunione è stato ufficialmente di rafforzare la «condivisione delle informazioni» tra le diverse autorità coinvolte nella questione. In realtà l'esecutivo è alle prese con un'istruttoria di parziale revisione del diritto d'asilo attraverso misure europee e un intervento viene dato per certo. Gli strumenti su cui è puntata l'attenzione sono, in particolare, le direttive «qualifiche» (sui criteri che disciplinano il riconoscimento del diritto d'asilo o protezione internazionale), «accoglienza» (rifusione della vecchia normativa in materia di standard minimi di accoglienza dei richiedenti asilo) e «procedure» (rifusione della normativa in materia di procedure da seguire nella valutazione delle richieste di asilo). Su tutte e tre esistono deleghe aperte da successive leggi di delegazione comunitarie, ma con scadenze diverse: per la prima, le disposizioni di attuazione dovranno essere adottate entro dicembre di quest'anno mentre per la seconda e la terza (adottate successivamente) i tempi sono più lunghi, forse si potrà arrivare fino al 2015. In ogni caso è prevista nei prossimi giorni una nuova riunione, questa volta a livello di ministri, per valutare nuove azioni, a livello italiano ed europeo. Dalla riunione di oggi in Lussemburgo, i rappresentanti dell'Italia capiranno con maggiore precisione le posizioni dei diversi partner e fin dove è pronta a spingersi l'Europa.



Emergenza sbarchi: il Consiglio d’Europa bacchetta l’Italia.
Approvato un rapporto fortemente critico verso le “inadeguate e controproducenti” politiche migratorie italiane.
Immigrazioneoggi, 08-10-2013
La Commissione migrazioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con votazione unanime del 2 ottobre scorso, ha approvato un rapporto che critica fortemente la politica migratoria italiana. Il rapporto denuncia che tutte le misure che l’Italia ha preso negli ultimi anni per gestire i flussi migratori sono state “sbagliate o controproducenti” e che quanto fatto sinora non ha messo “l’Italia in grado di gestire un flusso che è e resterà continuo”.
Tra le questioni maggiormente contestate all’Italia vi è la mala gestione dei centri di permanenza temporanea, il continuo e massiccio ricorso allo stato di emergenza per adottare misure straordinarie che eludano certi limiti imposti dalle leggi nazionali e internazionali e soprattutto le politiche di rimpatrio forzato verso i Paesi di partenza, in particolare la Libia, dove gli immigrati espulsi sono stati sistematicamente sottoposti a violenze, torture e, nel caso delle donne, stupri, quando non hanno perso la vita.
Il rapporto accusa anche l’Italia di avere in un certo senso incentivato l’immigrazione, a causa dell’inadeguatezza dei suoi sistemi di intercettazione e dissuasione, e le politiche sinora adottate non hanno certo incentivato invece la fiducia dei partner europei a condividere la responsabilità per i flussi in arrivo sulle coste italiane. Nei prossimi mesi, l’assemblea si riunirà per discutere e votare in seduta plenaria il rapporto, nel quale si chiede all’Italia di adottare una politica che le permetta di gestire in modo efficiente immigrati, richiedenti asilo e rifugiati. Christopher Chope, di nazionalità britannica, autore del rapporto, precisa che l’Italia ha in realtà le risorse per attuare politiche più coerenti ed efficaci e solo facendolo potrà assicurarsi il sostegno e la solidarietà dei Paesi europei.
(Samantha Falciatori)



Chi salva i migranti rischia la galera?
Il Post, 07-10-2013
Davide de Luca
Negli ultimi giorni in molti hanno accusato la legge Bossi-Fini e il “pacchetto sicurezza” del 24 luglio 2009, quello che introduce il reato di clandestinità, di avere introdotto nell’ordinamento italiano una norma barbara e incivile. Secondo questi critici, le due leggi renderebbero possibile perseguire chiunque in mare presti soccorso a dei clandestini naufraghi.
Il tema è diventato di attualità in questi giorni, dopo il disastro di Lampedusa (in cui sono morte almeno 200 persone). Il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ad esempio ha dichiarato: «L’Italia ha normative disumane: tre pescherecci sono andati via dal luogo della tragedia perché il nostro Paese ha processato i pescatori che hanno salvato vite umane per favoreggiamento all’immigrazione clandestina».
Molti giornali e commentatori hanno criticato duramente le attuali norme sull’immigrazione per questi motivi. Le cose in realtà non stanno propriamente così e tutta la faccenda è un po’ più complessa. Partiamo da un fatto: nessuno in Italia è mai stato condannato per aver favorito l’immigrazione clandestina dopo aver aiutato dei naufraghi. E questo per due motivi: la legislazione italiana lo vieta in maniera esplicita e lo vietano anche i trattati internazionali sottoscritti dall’Italia.
Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ovviamente, esiste, ed è uno dei reati per i quali vengono processati gli scafisti. Se ne parla nel Testo Unico sull’immigrazione che recita all’articolo 12, comma primo:
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona
Il grassetto è mio. A prima vista sembra una norma generica che permette di perseguire chiunque trasporti immigrati in Italia, anche se si tratta di naufraghi tratti in salvo da un’imbarcazione affondata. Il secondo comma dello stesso articolo, però, è molto chiaro in proposito:
    Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
In questo articolo viene specificato che le attività di soccorso e assistenza umanitaria di stranieri in difficoltà che sono già presenti nel territorio italiano non costituiscono reato. Si tratta esattamente di quello che è accaduto nel caso di Lampedusa. Al momento dell’affondamento la nave si trovava a mezzo miglio dalla costa, cioè già nelle acque territoriali italiani. I migranti a bordo, quindi, erano stranieri in difficoltà “comunque presenti nel territorio italiano”.
Cosa sarebbe accaduto se invece il barcone fosse affondato oltre il limite delle acque territoriali italiane? La risposta si trova nei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia. In particolare nelle varie convenzione (SAR e SOLAS) e negli emendamenti che sono stati di volta in volta votati dall’organismo dell’IMO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di regolamentare la navigazione.
La convenzione SAR obbliga in particolare a prestare soccorso a chiunque si trovi in mare, anche oltre il limite delle acque territoriali, ma in zona di competenza di un particolare stato, “indipendentemente dalla sua nazionalità” e di condurlo in un “luogo sicuro”. Negli emendamenti ai trattati approvati successivamente vengono specificati alcuni termini. “Luogo sicuro”, ad esempio, non può essere considerata la nave nella quale vengono caricate le persone in difficoltà, che invece è definito un luogo puramente “provvisorio”.
Sempre gli stessi emendamenti specificano anche che nessuna organizzazione o persona può influenzare il giudizio del capitano che ha portato il soccorso su quale sia il “luogo sicuro” più adatto in cui portare i naufraghi. In altre parole, un capitano che ritenesse che il luogo sicuro più adatto dove portare dei naufraghi fosse il porto di Lampedusa, non può essere influenzato o bloccato in questa sua decisione.
Come è possibile, quindi, che alcuni capitani siano stati processati per aver salvato dei naufraghi ed averli portati in Italia, come ha raccontato il sindaco di Lampedusa? Si tratta in realtà di un caso molto particolare. L’8 agosto del 2007 due pescherecci tunisini salvarono da alcuni barconi 44 migranti e li trasportano sul’isola di Lampedusa (qui trovate la vicenda raccontata per esteso). Il tribunale di Agrigento indagò i due capitani e i loro marinai proprio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Secondo quando raccontarono gli investigatori, le stive dei pescherecci erano vuote e non c’era nemmeno odore di pesce. Sospettarono che in realtà i due capitani avessero soltanto finto di salvare i migranti. Il tribunale di Agrigento li assolse da quest’accusa, ma li condannò per “resistenza a pubblico ufficiale” e “aggressione di nave da guerra”.
Era accaduto infatti che le navi della marina militare italiana e della guardia costiera avessero ordinato ai due pescherecci, dopo il salvataggio avvenuto fuori dalle acque territoriali, di invertire la rotta. I due pescherecci, con una serie di manovre aggressive, riuscirono comunque a forzare il blocco e ad entrare nelle acque italiane e poi nel porto di Lampedusa.
La corte d’appello assolse i due pescatori anche da queste accuse, sostenendo che vi fosse uno “stato di necessità” (articolo 54 del codice penale) e che quindi, in base anche ai trattati internazionali sottoscritti dall’Italia, i due capitani non potevano essere perseguiti. Nonostante l’assoluzione i due capitani tunisini subirono molti danni a causa del processo – furono tenuti in custodia cautelare per quasi 40 giorni e le loro imbarcazioni vennero sequestrate. Non è chiaro se i due pescatori abbiano ottenuto un risarcimento.
Questo caso, accaduto sei anni fa, non può rappresentare un esempio di quello che accade normalmente quando imbarcazioni salvano migranti in acque territoriali italiane o poco distanti – un fatto avvenuto molte volte dal 2007 ad oggi. Il processo cominciò a causa di alcuni casi particolari. Gli investigatori avevano indizi che li portarono a sospettare della storia dei due capitani. La guardia costiera – erroneamente, come ha stabilito la sentenza della corte d’appello – tentò di bloccare l’ingresso in porto dei due pescherecci, che rischiarono così di commettere il reato di “resistenza a pubblico ufficiale”.
In altre parole quello che è accaduto si configura quasi come un caso di errore giudiziario e i danni ingiustamente subiti dai pescatori tunisini. Ovviamente a nessuno piace finire negli ingranaggi della giustizia italiana, anche se per un errore giudiziario. La domanda a questo punto è: quanto sono frequenti casi simili? In altre parole: la legislazione italiana in materia è così poco chiara da fare sì che casi del genere si siano ripetuti frequentemente?
In un certo senso, sembra che il caso dei due capitani tunisini abbia fatto giurisprudenza. Non sono stato in grado di trovare traccia su internet di nessun altro caso di pescatori processati dopo aver salvato dei migranti in mare. Anche i pescatori di Lampedusa, intervistati in questi giorni, non hanno citato altri casi di persone processate per aver salvato dei clandestine, tranne il caso dei due capitani tunisini.
Il motivo per cui a volte i pescatori “girano le spalle” davanti ai naufraghi, almeno stando a sentire alcune delle loro dichiarazioni di questi giorni, sembra essere un altro: «i fratelli Campo [...] da quattro anni attendono ancora un rimborso di 40 mila euro per danni ben maggiori di circa 200 mila euro causati proprio da un intervento di soccorso e dall’ingresso nel porto. Quell’azienda che dava lavoro a 20 famiglie è fallita», ha dichiarato il presidente del Distretto Pesca di Mazara del Vallo, Giovanni Tumbiolo.
In altre parole, l’obbligo di rientrare rapidamente in porto dopo aver recuperato dei naufraghi può portare dei danni alle imbarcazioni. È la lentezza dello stato nel rimborsare questi danni che ha portato alcune aziende al fallimento.



Thuram: "L'Italia sta diventando multicolore, combatta il razzismo"
"Partire dalla cultura. Dobbiamo far conoscere meglio ai nostri ragazzi la storia, spiegare che la cultura africana inizia molto prima della schiavitù"
Stranieriinitalia.it, 08-10-2013
Roma - 8 ottobre 2013 - ''Parlando con i ragazzi mi sono accorto che sia in Francia che in Italia la prima volta che vengono a contatto con la storia delle popolazioni africane e' quando si parla di schiavitù. Questo e' l'esempio di come il razzismo sia nascosto nella tradizione, nell'inconscio, nel fatto che e' stato costruito per dare una giustificazione allo sfruttamento".
Così il calciatore campione del mondo Lilian Thuram ha raccontato ieri a Radio 24 il lavoro della sua Fondazione contro il razzismo, impegnata anche nelle scuole.
"Dobbiamo far conoscere meglio ai nostri ragazzi la storia, spiegare che c'è una cultura che inizia molto prima della schiavitù. È giusto parlare di questo anche in Italia, perchè il mondo sta cambiando, l'Italia sta diventando un Paese multicolore, e se non lo fa avrà dei problemi in futuro''.
Thuram ha parlato anche di razzismo negli stadi: ''Io credo che lo stadio sia l'immagine della societa', il calcio non e' fuori dal mondo. Dal razzismo nello stadio possiamo capire tante cose. Quelli che fischiano i giocatori neri negli stadi e' come se dicessero, ''sei un giocatore, sei famoso, hai tanti soldi, ma ricordati che sei sempre un nero, e io sono bianco e saro' sempre superiore a te'. Questo e' molto pericoloso, e' un razzismo anche inconscio, che per chi lo subisce e' violenza pura".
"Quando succede ai bambini - ha concluso l'ex calciatore -  questo ne mina l'autostima, gli fa abbassare le loro aspettative sul futuro, e li fa reagire con rabbia a loro volta. Questo non e' bene per la società".

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