I Ciet, nuove detenzioni vecchi onori

 

Cinzia Gubbini
Sono tornato da Palazzo San Gervasio abbastanza scosso. Ma se ci fosse una gradazione dell'orrore, Kinisia è ancora peggio di Palazzo». A ventiquattro ore dalla visita al Ciet aperto all'inizio di aprile nell'ex aeroporto di Trapani (i Ciet sono i "nuovi" centri di espulsione temporanei inventati dal ministro dell'Interno Maroni per contenere i migranti tunisini arrivati in Italia dopo la rivolta contro Ben Alì), il deputato del Pd Jean Leonard Touadi è ancora incredulo su ciò che ha visto. 
E lo descrive così: «Immaginate una lan¬da desolata, dove il primo albero è a 700 metri. C'è una recinzione formata da tre file di container messi uno sopra l'altro. Fa un cal¬do bestiale, e se è possibile que¬sti container tolgono ancora di più l'aria, caso mai ci fosse qual¬che refolo. Dentro, due file di ten¬de. All'interno di quelle tende vi¬vono da tre mesi 48 persone, cin¬que o sei per ciascuna tenda». Co-
 
me definirlo? Una Guantanamo italiana? Un recinto per esseri umani? «Io posso dire che nean¬che il pastore che lavora lì accan¬to tratta così le sue pecore - de-nuncia Touadi - Uno può pensar¬la come vuole sull'espulsione dei tunisini, sulla linea della fermez¬za. Ma una cosa deve esser chia-rissima: un paese democratico e avanzato non può trattare così delle persone». Per completare il quadro va aggiunto che dentro il recinto dei container non c'è niente: non c'è una mensa (i pa¬sti arrivano da fuori), non c'è uno spazio ricreativo, non ci so¬no televisori. Il nulla. Solo il presi¬dio della polizia. Va avanti così da tre mesi. «La tensione è palpa¬bile - denuncia il deputato del Pd - si può immaginare: sono sta¬ti numerosi i tentativi di autole-sionismo. E come è normale, ve¬nerdì scorso è scoppiata la rivol¬ta. Qualcuno è riuscito a scappa¬re. In otto sono stati riacciuffati. Da allora va ancora peggio». Ma non basta: tra i 48 detenuti tunisi-ni, ci sono pure quattro transes¬suali marocchini. «Ovviamente -
 
dice Touadi - mi hanno detto che non vogliono stare lì. Devo¬no essere immediatamente spo¬stati nei due Cie che possono ospitare pansessuali, uno dei quali è il Corelli di Milano». In tre mesi, neanche questo. Ma non sono gli unici ad essere rinchiusi ingiustamente. Qui era finito an¬che il marito di Winnie, la ragaz¬za di 23 anni olandese sposata con un tunisino che fino a ieri era a Trapani. Suo marito è riusci¬to a scappare venerdì, ma lei non sa dove sia finito. «E di casi accer¬tati di uomini con compagne eu¬ropee ce ne sono almeno altri cin¬que», insiste Touadi. E ancora: Touadi racconta che alcuni dei detenuti hanno in mano una ri¬chiesta di asilo, e quindi dovreb¬bero essere immediatamente spostati in un Centro di acco¬glienza per richiedenti asilo. E di altri che hanno espresso la volon¬tà di presentare richiesta, ma gli sarebbe stata negata. Invece, tut¬ti rinchiusi in un Ciet, i luoghi di detenzione "temporanei" istituiti per decreto, assegnati senza alcu-na gara, che Maroni ha inventato
 
perché l'accordo di riammissio¬ne con la Tunisia funziona, come era prevedibile, a singhiozzo. Di più: da "semplici" luoghi di de-tenzione per i tunisini arrivati do¬po il 5 aprile (quelli arrivati pri¬ma hanno diritto a un permesso di soggiorno temporaneo) in atte¬sa dell'espulsione verso la Tuni-sia, si sono rapidamente trasfor¬mati in luoghi privi di qualsiasi garanzia. Dentro al Ciet di Kini¬sia ci sono dei tossicodipendenti che non hanno avuto accesso al¬le cure. Nessuno di loro ha un av¬vocato di fiducia, ma solo avvoca¬ti di ufficio. Touadi denuncia, inoltre, che non è stato messo in campo nessun coordinamento con le associazioni di tutela per i diritti umani per garantire un ac¬cesso trasparente al centro. Vale solo la pena ricordare che l'istitu¬zione dei Ciet si è portata dietro l'ordinanza con cui - di nuovo -si vieta l'accesso nei centri ai gior¬nalisti. Il vice prefetto Rosamaria Di Lisi ha anticipato che entro mercoledì tutti gli ospiti della ten¬dopoli di Kinisia verranno sposta¬ti nel nuovo Cie di contrada Mi¬lo. Ammesso che sia un luogo mi¬gliore, comunque troppo tardi.
 
il Manifesto 29 giugno 2011
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