Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 settembre 2011

 

Una prima elementare «annullata» a Milano: troppi stranieri in classe
l'Unità, 17-09-2011
La scuola rappresenta uno dei momenti cruciali nel percorso di crescita di una persona. È durante il tempo trascorso in quella istituzione che avvengono i processi formativi fondamentali, individuali e collettivi. È qui che ci insegnano a memorizzare nozioni ed è qui che dovrebbero insegnarci a metterle in pratica. Ottimo quindi l’utilizzo di pc ed e-book (per dirne una), ma non basta. La scuola dovrebbe analizzare - partendo dall’osservazione delle persone che la frequentano - il presente e formare individui in grado di vivere in questo tempo. La composizione delle classi indica quali sono le caratteristiche del quartiere in cui un istituto si trova, quali sono i comportamenti tipici di una generazione e, più in generale, quali sono i mutamenti sociali in corso. 
È indicativo un dato: tra il 2000 e il 2010 gli alunni con cittadinanza non italiana sono aumentati di quasi il 400%. Quest’anno le iscrizioni (dalle elementari alla scuola media superiore) da parte di studenti stranieri sono state all’incirca settecentomila. E così l’adozione di metodi scolastici la cui forza consiste nell’accoglienza e non nel rifiuto, appare urgente. E ciò significa elaborare politiche pubbliche e strumenti amministrativi idonei ad affrontare questa nuova sfida, tra gli altri: corsi di perfezionamento o insegnamento della lingua italiana e ricorso a mediatori culturali.
Ecco che allora, non far partire una prima elementare milanese perché «dove ci sono solo o quasi studenti immigrati non c’è integrazione» è un messaggio inadeguato e dannoso (oltretutto perché proviene da un’istituzione). Una risposta semplicista a un quesito complesso: quanti di quei bambini erano immigrati? E ancora: fino a che punto si può considerare straniero chi, magari, di straniero ha solo i genitori?
 
 
 
Ancora tunisini a Lampedusa La Russa: «Ora più rimpatri»
Corriere della Sera, 19-09-2011
Alfio Sciacca
LAMPEDUSA — Gli sbarchi non si fermano e c'è chi teme che si possa ripetere l'invasione della primavera scorsa quando arrivarono a superare il numero dei residenti. Ormai a Lampedusa ci sono oltre 1.400 tunisini. Con gli ultimi tre barconi sabato notte ne sono arrivati circa trecento. A differenza degli immigrati che partono dalla Libia, che in genere sono richiedenti asilo, per i tunisini è previsto il rimpatrio coatto e questo crea continue proteste e scontri con le forze dell'ordine. La situazione è ancora sotto controllo ma potrebbe rapidamente degenerare. 
Per questo la gente di Lampedusa chiede che vengano accelerate le procedure di rimpatrio o i trasferimenti in altri centri. «Tutto potrebbe sfuggire di mano — avverte il sindaco De Rubeis —, non dimentichiamo che nel 2009 è stato anche incendiato il centro di accoglienza». Dopo una stagione disastrosa per il turismo i commercianti chiedono di incontrare Berlusconi. «Non possiamo più sopportare che Lampedusa sia utilizzata come un carcere a cielo aperto — attaccano —, quest'isola non è Alcatraz e vogliamo tornare ad essere padroni del nostro territorio».
Preoccupazioni che ieri sono state espresse al ministro della Difesa Ignazio La Russa in visita al centro di accoglienza. «I rimpatri saranno intensificati di molto» ha assicurato il ministro che ha comunque invitato a «non drammatizzare» anche perché con l'arrivo dell'autunno gli sbarchi dovrebbero comunque diminuire. «C'è stata — ha spiegato — una situazione contingente di minori controlli in Tunisia. Ho parlato con Maroni e Letta e posso confermare che il ministero dell'Interno ha realizzato un accordo ulteriore con i tunisini che consente nell'arco di una settimana di rimpatriare coloro che non hanno diritto di rimanere». 
 
 
 
Immigrati: storia di Amira, da Rimini a Lampedusa in cerca del fratello
Lampedusa, 18 set. (Adnkronos) - Lacrime di rabbia e frustrazione davanti ai cancelli del Centro di accoglienza di Lampedusa: Amira, 28 anni, tunisina, da sei in Italia "con tutti i documenti in regola", sfida il sole impietoso dell'isola nel tentativo di entrare nel Centro e parlare con il fratello Tara, sbarcato quattro giorni fa dalle coste del nord Africa e da allora trattenuto nella struttura. "Non mi fanno entrare, sto cercando mio fratello e mi hanno detto che è qui ma non mi lasciano parlare con lui", dice tra i singhiozzi. E a peggiare la situazione contribuiscono di certo le urla di alcuni isolati abitanti di Lampedusa che la invitano a "tornare a casa ora che Ben Alì non c'è più invece di rimanere in Italia". Ma Amira, in realtà, è nel nostro paese da tempo: arrivò nel 2005 ed ha regolarizzato la sua posizione oltre ad aver trovato un impiego stabile presso una cooperativa di Rimini. Nella struttura si è recato in visita il ministro della Difesa Ignazio La Russa giunto a Lampedusa per portare il ringrazimento del governo ai militari impegnati nell'emerganza immigrazione. Anche Amira vorrebbe entrare insieme alla delegazione di governo invece viene invitata a sostare al di fuori del centro, insieme ai giornalisti. "Sono in Italia regolarmente, non capisco perché non posso incontrarlo, portarlo via da qui", aggiunge la donna. Alla fine le sue insistenze vengono premiate: uno dei responsabili della struttura si avvicina e le assicura che potrà incontrare il fratello in una saletta del centro di accoglienza. Ora bisognerà esaminare le norme, le leggi e le procedure ma per Amira si potrebbe aprire una prospettiva di ricongiungimento famigliare e, forse, un futuro un po' più 'regolare' per il fratello sbarcato da un gommone in una notte di fine estate a Lampedusa.
 
 
 
Immigrati : Alfano, Europa s ponga problema di che cosa sarebbe senza di noi
Libero, 18-09-2011
Cortina d'Ampezzo (Bl), 18 set. - (Adnkronos) - "L'Europa prima di trattare con sufficienza l'Italia si ponga il problema di che cosa sarebbe senza di noi". Lo ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano facendo riferimento all'emergenza immigrati. Dal convegno del Pdl Veneto Alfano ha sottolineato che "il nuovo check point Charlie e' Lampedusa: e li' che sbarcano migliaia di giovani immigrati. E' la prova storica che la demcorazia e' sempre agognata, e che ci sono tanti giovani che vogliono venire in Europa, luogo di liberta', democrazia, benessere che sperano di avere anche loro. Per questo sbarcano a Lampedusa perche' loro non hanno democrazia, benessere, liberta' e sperano di poterne avere".
Per Alfano quindi "quello che sta accadendo cambiera' la storia del mondo e l'Italia si trava al centro di questa intemperie". Per Alfano quindi "il compito nuovo e' quello di costruire un'Europa dei diritti e dei doveri dopo aver costruito un mercato e una moneta ora e' necessario creare un unico popolo con uguali diritti e doveri".
 
 
 
Gli abusi nei centri immigrati dove i giornalisti restano fuori
Linkiesta, 19-09-2011
Antonello Mangano
Da aprile una circolare del ministro dell’Interno impedisce l’accesso agli operatori dell’informazione, oltre che ai legali e ai parenti. “Per non intralciare le attività”. Ma cosa succede dietro le sbarre e il filo spinato? Le testimonianze arrivano ugualmente. Video e racconti che parlano di pestaggi, famiglie spezzate, suicidi, violazioni dei diritti e condizioni disumane. E la nostra malagiustizia finisce sui giornali olandesi. 
«In considerazione del massiccio afflusso di immigrati provenienti dal Nord Africa, al fine di non intralciare le attività loro rivolte», lei non può entrare. Con queste parole la Prefettura di Roma ci ha impedito l’ingresso nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria. Una circolare del ministro degli Interni dello scorso aprile permette l’ingresso solo alle associazioni accreditate. I giornalisti sono di intralcio. Nel giro di pochi giorni i militari ci impediscono l’ingresso anche a Lampedusa («Ma non abbiamo nulla da nascondere», si giustifica un operatore) e a Pozzallo, nel ragusano. Camionette e sbarramenti, tenute antisommossa e fili spinati. Dall’altra parte della recinzione abbiamo visto anche minori non accompagnati che avrebbero tutto il diritto di uscire. Se noi non possiamo entrare, sono le voci e i racconti a uscire. Con i cellulari, le memorie digitali e i foglietti scritti a mano. Tante testimonianze, tutte agghiaccianti.
Un tunisino e una olandese. Nizar e Winny si erano conosciuti in Grecia mentre lei era in vacanza e lui lavorava in un villaggio turistico. Dopo il matrimonio, si sono trasferiti a vivere in Tunisia. Lei – 23 anni – rimane incinta e intanto scoppia la rivoluzione dei gelsomini. Col passaporto olandese si può partire, con quello tunisino no. La burocrazia li separa, lei torna in Olanda. Per Nizar – dopo il rifiuto del consolato – l’unica via è il solito barcone per Lampedusa, quindi il trasferimento nella tendopoli messa su a Trapani Kinisia. Medici Senza Frontiere ne aveva chiesto l’immediata chiusura: «Manca l’elettricità, le condizioni igieniche sono pessime e l’accesso all’acqua saltuario». Lei va da Eindohven fino in Sicilia, ma non possono ripartire insieme. Anzi, non possono neppure vedersi. L’unico modo per stare insieme è una fuga di poche ore, prima che lui venga catturato e lei sia minacciata di una denuncia per favoreggiamento. «L’Italia tiene suo marito tunisino in una tendopoli» è il surreale titolo che un giornale olandese dedica a Winny.
Quando il caso è ormai conosciuto internazionalmente, il tribunale di Agrigento ammette che l’espulsione è illegittima: Nizar può circolare liberamente perché è sposato con una cittadina comunitaria. Le coppie miste sono una realtà che la legge ostacola in tutti i modi. Sono tante le storie di tunisini costretti a raggiungere la fidanzata o la moglie rischiando la vita in mare dopo il rifiuto del visto.
«Se mangio il sapone mi lasciano uscire?», chiede un immigrato a un mediatore culturale. Lo hanno rinchiuso nel Cie di Santa Maria Capua Vetere, nei pressi di Caserta. Gli atti di autolesionismo (tagli con pezzi di bottiglia, labbra cucite con lo spago, lamette da barba ingoiate) sono frequentissimi. Se vai in ospedale puoi scappare, anche se rischi la pelle. E così nei Cie (secondo il regolamento interno di ciascuno) sequestrano tutto preventivamente, peggio che in carcere. Dai lacci alle stesse scarpe da tennis (con queste si può scappare e correre più in fretta). Dai libri (potrebbero dargli fuoco) ai biliardini (potrebbero ricavarne corpi contundenti). A Modena ti portano via pure i cellulari (potrebbero filmare i pestaggi, come avvenuto a Gradisca d’Isonzo). A Palazzo San Gervasio hanno sostituito le reti con maglie piccolissime dopo che uno dei reclusi aveva passato a Raffaella Cosentino, giornalista di Repubblica, un supporto elettronico con un video fatto col telefonino. Nel filmato la polizia si preparava a impedire la fuga con la forza. “Terroristi, terroristi!”, gridavano i ragazzi musulmani agli agenti cristiani.
Nei centri le “forze dell’ordine” picchiano abitualmente i migranti, in particolare quando si tratta di reprimere le rivolte. Ci sono filmati e ci sono fotografie, ma non denunce, perché le vittime sono facilmente ricattabili. I pestaggi nei Cara sono particolarmente odiosi. Si tratta dei centri che accolgono la gente che scappa dalla guerra e che deve sopportare ulteriori violenze proprio dal paese che dovrebbe proteggerli. Le donne non vengono risparmiate. Una ragazza tunisina è stata violentemente picchiata a Ponte Galeria da agenti. Le contusioni sono evidentissime nella fotografia diffusa su Internet.
Il Cie di Santa Maria Capua Vetere vanta il primato di una vita brevissima. Nato dopo una delle tante emergenze Lampedusa, è stato chiuso dopo un incendio, nel giugno 2011. Un tunisino scopre che il fratello è morto e – come dovrebbe essere ovvio – chiede di andare al funerale al paese di origine. Ma gli negano il permesso e scoppia le rivolta, quindi l’incendio, infine la decisione di chiusura da parte del Tribunale.
«Non ho i soldi per comprare il contratto. Sono in Italia dal 2008, sono partito dalla Libia perché allora Ben Alì aveva chiuso le frontiere. Là dentro c’è mio fratello. Ma non posso entrare e non so che fine farà». Samir è un ragazzo tunisino, lavora nell’agrigentino come pastore. In Italia il contratto di lavoro – e quindi il permesso di soggiorno – si acquista al mercato nero, se hai i soldi e una buona sistemazione. Il “datore di lavoro” di Samir da molto tempo gli deve cento euro a conguaglio di una misera paga.
Per ora è un irregolare (uno di quelli chiamati con disprezzo “clandestini”) non perché non ha un’occupazione, ma perché nessuno lo metterà in regola in una terra dove il lavoro nero è la norma. Per questo anche lui rischia la reclusione in un Cie. Nel frattempo ha fatto 190 chilometri per incontrare il fratello passato da Lampedusa e partito da una zona povera al confine con l’Algeria.
Ma quando arriva scopre che è stato rinchiuso a Pozzallo, provincia di Ragusa, in un hangar del porto. Si tratta di un capannone giallo costruito per stoccare le merci e adattato a centro immigrati per sfollare Lampedusa. Dopo la rivolta di metà agosto – vetri spaccati, lacrimogeni della polizia – non può entrare nessuno. Né operatori umanitari, né avvocati, né parenti. «Gli arabi si ribellano perché sanno che saranno rimpatriati, i subshariani perché sanno che non accadrà. Hanno chiesto l’asilo ma vogliono una risposta», mi spiega Paola Ottaviano, legale dell’Asgi, l’associazione di avvocati che segue i migranti solitamente affidati a legali d’ufficio.
Se ci sono accordi di riammissione e un consolato che collabora, si procede ai rimpatri immediati, spesso dall’aeroporto catanese di Fontanarossa. Gli accordi sono ancora quelli stipulati con Mubarak: negli anni scorsi tanti egiziani sono stati rimandati al dittatore e di loro non si è saputo più nulla. Anche Ben Alì era considerato un democratico, per cui ai suoi sudditi era negato l’asilo. Paradossalmente, dopo aver cacciato il tiranno, ai tunisini è stato concesso il permesso umanitario in Italia.
A Pozzallo e Lampedusa ci sono i Cpsa (Centro di primo soccorso e accoglienza). Sono strutture ponte che servono a smistare i migranti. Quelli che hanno manifestato l’intenzione di chiedere asilo finiranno nei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), tutti gli altri nei Cie per le procedure di espulsione (che spesso significa la consegna di un foglio di carta e la condanna alla clandestinità a vita). Da Torino a Trapani, esistono 29 strutture in tutto il territorio nazionale. Il centro di accoglienza non è un carcere, quindi in teoria ci si può allontanare. Solo in teoria, però, perché quando accade i media parlano di fuga e i poliziotti vanno a catturare gli “ospiti”. Quasi sempre si tratta di detenzione illegale. «Il fermo dovrebbe durare al massimo 48 ore, in casi eccezionali 96. Ma con la convalida del giudice di pace, che non c’è quasi mai», ci spiega ancora Paola Ottaviano.
Territori fuori da ogni legge, “diritti sotto sequestro” li definisce il giurista Fulvio Vassallo dell’Università di Palermo. La legge parla del “tempo strettamente necessario all’accoglienza e all’identificazione”. Eppure nei centri di Lampedusa la detenzione dura anche 10 giorni, secondo i dati ufficiali che ci ha fornito l’ente gestore (ci sono poi diverse testimonianze che parlano di settimane). La base Loran è l’esempio peggiore. Pochi giorni fa il procuratore antimafia Teresi – in visita a Lampedusa – ha detto che “in un paese civile dovrebbe essere chiusa”. L’Espresso le ha dedicato una copertina (“La prigione dei bambini”). Il ministero dell’Interno la classifica ancora come Cie nonostante sia usata in prevalenza per i minori non accompagnati, isolati su un promontorio estremo in mezzo al nulla e circondati dal filo spinato, con davanti agli occhi l’ennesimo e surreale cimitero di barche arabe.
I cosiddetti “centri di accoglienza” non sono luoghi pensati per ospitare e rifocillare gli stranieri che arrivano in Italia, come spesso si crede. Lo spirito di solidarietà c’entra poco. I centri servono a svolgere le necessarie procedure burocratiche (prima e seconda identificazione, esame della richiesta d’asilo, etc.), quasi sempre svolte con lentezza esasperante.
Le ribellioni all’interno dei Cie sono quotidiane ma in pochi possono accedere e verificarne le cause. Tantissimi reclusi provengono dal carcere, dove hanno pagato per il reato commesso, ma sono stati rinchiusi nuovamente, quasi sempre a causa di problemi di identificazione e di comunicazione con i consolati. «Ma chi subisce una condanna dovrebbe essere abbondantemente identificato», ha commentato Furio Colombo all’uscita da una ispezione a Ponte Galeria dello scorso 25 luglio.
L’associazione “Medici per i diritti umani” ha denunciato – dopo un’ulteriore ispezione al Cie romano – che la nazionalità più presente è quella rumena. Dunque si tratta di cittadini europei, la cui espulsione dovrebbe essere un caso eccezionale. Il 7 maggio del 2009 Nabruka Mimuni, tunisina, si impiccava nel bagno del centro. Il giorno successivo sarebbe stata rimpatriata. Era una mamma di 44 anni, con marito e un figlio in Italia. Aveva passato la metà della sua vita nel nostro paese. Era stata fermata proprio mentre stava facendo la fila in Questura per rinnovare il permesso di soggiorno, scaduto perché era rimasta momentaneamente senza lavoro. Altra questione è quella delle nigeriane. Quasi sempre, invece che in un Cie, dovrebbero aver accesso ai programmi a favore delle donne vittime di tratta.
Tanta crudeltà si giustifica con la necessità di “riportarli al loro paese”? Alla fine, dati del ministero alla mano, per l’annualità 2008 sono stati spesi 9,6 milioni di euro per 3296 rimpatri forzati. Una piccola percentuale dei reclusi.
 
 
 
Gli immigrati votano per il consigliere straniero: elezioni il 27 novembre
Il sindaco Zanonato annuncia le elezioni per 17 mila immigrati della città: il seggio in Fiera. "L'obiettivo è di avere una persona che si relazioni con noi per diminuire le possibilità di conflitto sociale"
immigrati, stranieri, consiglio comunalepadua
Il Mattino di Padova, 19-09-2011
Matteo Bernardini
PADOVA. Il sindaco Flavio Zanonato lo ha annunciato sabato durante il dibattito organizzato dall'associazione culturale «Identità» al parco Prandina: «A novembre avremo un rappresentante immigrato extraeuropeo in consiglio comunale. L'obiettivo è di avere una persona che si relazioni con noi per diminuire le possibilità di conflitto sociale e quindi di degrado».
E così l'Amministrazione comunale ritenta l'esperimento di far sedere a palazzo Moroni un esponente eletto tra gli oltre 17 mila immigrati non comunitari, regolari e maggiorenni, residenti in città. Il precedente c'è già stato il 5 novembre 2007 quando fece il suo esordio Karim Guennoun, marocchino e presidente della «Commissione per la rappresentanza dei cittadini stranieri». Una sorta di «consigliere aggiunto» con diritto di parola (che però Guennoun non ha mai preso), ma non di voto.
Gli immigrati, dopo il bando firmato proprio sabato dal sindaco, avranno tempo fino al 18 ottobre per presentare le candidature. Le elezioni per la nuova commissione di rappresentanza straniera (formata da un minimo di 15 a un massimo di 25 persone) si terranno domenica 27 novembre in Fiera, dalle 8 alle 20. A differenza di quanto avvenuto nella scorsa legislatura, questa volta l'esponente immigrato avrà anche la possibilità di presentare al Consiglio delibere su argomenti discussi e proposti (a maggioranza) dalla commissione. Per rendere possibile questo ulteriore passaggio, innovativo rispetto alle precedenti disposizioni, i consiglieri comunali nei mesi scorsi hanno dovuto modificare lo statuto comunale. «Il nostro obiettivo - spiega Paolo Guitto, consigliere comunale Pd - è portare al voto qualche migliaio di migranti. Il Comune, attraverso l'Unità di progetto accoglienza e immigrazione, crede molto in questo percorso».
Complessivamente gli immigrati extracomunitari regolarmente residenti in città sono circa 23 mila. Di questi 17 mila sono maggiorenni e quindi con il diritto di candidarsi alle elezioni. «C'è un mese di tempo - aggiunge Guiotto - per preparare i documenti necessari. Le persone interessate possono anche telefonare allo 049.8205091. Noi crediamo che la nuova commissione possa essere un'opportunità importante per i migranti e anche per il Comune».
 
 
 
Trasacco, moschea per immigrati musulmani si apre il confronto
Il sindaco Fosca pronto a ricevere la comunità islamica si punta al rilancio economico con edilizia e archeologia borghi d'abruzzo
Il Centro, 19-09-2011
Nino Motta
TRASACCO. Trasacco, come Luco dei Marsi, vive essenzialmente di agricoltura. E buona parte della manodopera è costituita da immigrati, soprattutto marocchini. I problemi che tale comunità, con cultura, religione, usanze assai diverse, pone sono comuni a quelli degli altri centri del Fucino. Problemi che le amministrazioni comunali, insieme alle istituzioni scolastiche, bisogna dargliene atto, hanno cercato di risolvere, favorendo l'integrazione degli ospiti. 
Per Trasacco oggi si sta ponendo un problema in più: la richiesta degli immigrati di fede musulmana di un'area per la costruzione di una moschea. Sarebbe la prima in Abruzzo. Così tutti i musulmani presenti sul territorio avrebbero un luogo dove pregare. Perché la scelta è caduta su Trasacco? Semplice. Perché a Trasacco gli immigrati sono stati trattati sempre con grande riguardo. Ovviamente quelli che, con il loro lavoro, contribuiscono allo sviluppo del paese. Mai che si siano verificati episodi di intolleranza verso gli stranieri. Anzi, la popolazione, di cui è ben nota la generosità, fa a gara nell'aiutare le famiglie di immigrati in difficoltà.
Lo stesso sindaco, per dare l'opportunità agli islamici, durante il Ramadan, di pregare, ha messo loro a disposizione l'aula consiliare. Un gesto fortemente apprezzato. Questo fino a due anni fa. Poi, l'associazione culturale Essalam, fondata dai marocchini, ha ottenuto gratuitamente da un privato un magazzino, che è stato adibito anche a luogo di culto. Poiché a pregare venivano anche dagli altri centri della Marsica, il locale si èrivelato non adeguato. Ora la speranza degli islamici è che il Comune conceda loro un locale molto più ampio, di cui l'Ente però non dispone, o un'area su cui costruire il "luogo di culto".
Confidando molto nella sensibilità e disponibilità dimostrate in passato dal sindaco. Che, però, memore delle reazioni e delle polemiche scatenate lo scorso anno da un'analoga richiesta fatta al Comune dell'Aquila dal consigliere Roland Vide, non si sbilancia. «Nei prossimi giorni», annuncia il primo cittadino, «organizzerò un incontro con una delegazione islamica e in quella sede affronteremo la questione».
Non rimane, dunque, che aspettare. L'agricoltura, in cui vengono impiegati gli immigrati, resta la principale risorsa economica di Trasacco. «Ma le aziende», osserva il sindaco Gino Fosca, 62 anni, medico, sposato e con due figli, al suo secondo mandato consecutivo, «sono sempre più in grosso affanno. Costrette a subire le bizze dei mercati. I costi dei semi, dei concimi e degli antiparassitari aumentano continuamente, mentre i prezzi dei prodotti non sono remunerativi».
Un'altra importante risorsa è l'artigianato. Si tratta di piccole e medie imprese a conduzione familiare, che offrono opportunità di lavoro. In grave crisi è invece il settore edilizio.
Per rilanciarlo, l'amministrazione sta approntando un nuovo strumento urbanistico, che conta di portare in consiglio entro dicembre. Grandi prospettive, intanto, si aprono per il turismo.
L'amministrazione intende adibire due dei cinque piani della restaurata Torre in Museo dei reperti venuti alla luce nella grotta Continenza. E che testimoniano la presenza intorno al lago di popolazioni preistoriche dedite alla caccia e alla pesca. Tali reperti, trasferiti per motivi di sicurezza altrove, troverebbero una definitiva sistemazione nella storica Torre, che diventerebbe meta di visitatori e di studiosi di ogni parte del mondo. Il Comune ha acquistato già il mobilio. La gestione del Museo verrebbe affidata all'Archeoclub della Marsica, presieduta da Umberto Irti, cui va il merito di aver scoperto negli anni Settanta la Grotta, segnalandola alla Soprintendenza, che ha avviato e portato avanti gli scavi. Scavi attualmente sospesi per mancanza di fondi, ma che si spera possano riprendere al più presto. 
Non è ancora partita, invece, la raccolta differenziata. Un ritardo che il sindaco attribuisce a intoppi burocratici, ai quali, però, dopo tanti anni, si sarebbe potuto ovviare, se ci fosse stata la volontà. I tagli agli enti locali, ovviamente, non hanno risparmiato neppure Trasacco. Nel 2011 nelle casse comunali sono entrate 250mila euro in meno. Il prossimo anno i tagli arriveranno a 500mila euro. «In queste condizioni», sottolinea il sindaco, «si può andare vanti solo con l'ordinaria amministrazione».
E poiché il Comune non intende aumentare le tasse, si finirà col tagliare i servizi sociali. I soli soldi su cui il Comune potrà fare sicuro affidamento saranno quelli che incasserà dalla messa in vendita di una cinquantina di case demaniali.
Tra gli eventi culturali vanno menzionati il Premio nazionale di poesia, organizzato dalla compagnia teatrale "Il Vernacolo", e il Premio Pietro Taricone, lo sfortunato attore trasaccano, morto tragicamente lo scorso anno a Terni, durante un volo col paracadute. La prima edizione del Premio Taricone si è tenuta quest'anno, in agosto, ma il Comune intende istituzionalizzarlo.
Fondamentale per la promozione delle attività culturali, dalle rappresentazioni teatrali ai concerti, è l'Auditorium, realizzato accanto alla scuola media e inaugurato due anni fa.
Il merito del successo di tante manifestazioni, da Trasaccoagosto alle feste patronali, va in gran parte alle associazioni locali: dalla Pro loco all''Avis, dal Gruppo alpini alla Protezione civile, all'Archeoclub.
A riconoscerlo è lo stesso sindaco. «Quest'anno», ricorda Fosca, «la festa in onore di San Cesidio e San Rufino, ha rischiato di saltare, se non fosse stato per le associazioni, che hanno deciso di far parte direttamente del comitato organizzatore».
Prima del commiato, per il sindaco Fosca, che è anche consigliere provinciale per il Pdl, diventa d'obbligo una domanda: è favorevole all'abolizione delle Province? Secca la risposta: «No, ci sono altri enti che sperperano denaro più delle Province».
 
 
 
10 ragioni per la scuola multiculturale
Il Post, 17-09-2011
VINICIO ONGINI
Perché la presenza dei bambini stranieri nelle classi italiane è un bene per tutti
Perché Torino, che ha tanti “stranieri” nelle sue classi, provenienti da 130 Paesi diversi, ha le scuole migliori d’Italia ? Secondo l’indagine di Tuttoscuola sul sistema di istruzione nazionale, maggio 2011, un’indagine composta da 96 indicatori, Torino è la prima tra le grandi città per la qualità della scuola. E la sua posizione è migliorata, così come quella del Piemonte in generale, rispetto agli esiti dell’indagine sulla qualità della scuola di quattro anni fa. Perché nel Veneto, che ha tanti stranieri nelle sue classi, presenti in modo “diffuso” anche nei piccoli centri, gli alunni ottengono risultati eccellenti nelle prove di italiano e matematica condotte dall’Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione? La presenza degli allievi stranieri non è di per sé un elemento negativo, non abbassa il “livello”, anzi. Lo scrive l’Ufficio scolastico regionale del Veneto in un comunicato del 1 agosto 2011, intitolato “La scuola veneta alla prova. I perché di un risultato d’eccellenza”.
Chiavi di casa
“Alcuni di questi ragazzini hanno più rispetto per la scuola. Sono i primi a lavare i banchi quando facciamo laboratorio e, se lo chiediamo, fanno pulizia senza tante storie… A volte li vediamo occuparsi dei fratelli più piccoli, o buttar via la spazzatura, in generale sono più autonomi. Alcuni hanno le chiavi di casa, come noi ai nostri tempi…”. Lo dicono ridendo, “ai nostri tempi!”, alcune maestre delle scuole della Val Maira e della Valle Po, nel cuneese. Una conferma che le famiglie degli immigrati e i loro figli portano nelle nostre classi “idee” diverse di infanzia e di educazione viene anche dalle maestre e dalle “dade” della scuola dell’infanzia “Betti”, del centro di Bologna: “i bambini stranieri, dicono, sembrano un po’ come quelli di una volta… le famiglie gli stanno meno addosso, sembrano più bambini”. Invece le nostre famiglie iperprotettive, “famiglie elicottero”, come le ha definite un gruppo di psichiatri francesi, stanno più addosso. Più addosso, meno addosso, questo è parlar chiaro!, hanno ragione le educatrici di Bologna.
Matematica
Gli studenti asiatici delle nostre scuole sono spesso bravi in matematica e nelle materie scientifiche. “Le aspettative delle famiglie cinesi sulle materie scientifiche e tecniche sono in genere molto alte, racconta un professore di un istituto professionale in provincia di Bologna, fanno gare di calcolo mentale fin da bambini, in famiglia. Un bravo calcolatore è ritenuto una persona intelligente”. Perché non “importare” qualcosa del sistema dell’istruzione cinese? Come hanno fatto 200 licei americani, qualche anno fa. E perché non chiedere un aiuto “in matematica”, in cambio di un aiuto “in italiano”, agli studenti cinesi e indiani che studiano o hanno studiato nelle nostre scuole?
Impegno
“Ci tengono di più alla scuola, si impegnano di più, per loro è ancora importante la scuola… C’è il problema della lingua, soprattutto per chi è appena arrivato, ma alcuni ce la mettono propria tutta e recuperano” dice una professoressa di lettere delle medie, in provincia di Cremona. “Loro” sono gli studenti indiani, rumeni, albanesi della sua scuola. Ci stanno facendo una domanda e le domande sono importanti, avercelo qualcuno che ci fa le domande! La scuola, per noi, è ancora importante?
Lingue
Qualcuno ha scritto che i politici italiani (e i loro staff), a Bruxelles, nel parlamento europeo, si riconoscono facilmente: gesticolano molto e parlano poco le lingue… L’Italia, come è noto, nel campo dell’apprendimento delle lingue è agli ultimi posti in Europa. Dicono due maestre della scuola di Dronero, in Val Maira, nel cuneese : “I bambini della Costa D’Avorio, nelle nostre classi, parlano anche il francese, la loro lingua nazionale, e notano subito le somiglianze con l’occitano, la nostra lingua di minoranza. Sono più predisposti, sono abituati a muovesi tra più lingue. Quando entra la dirigente scolastica dicono: “Bonjour madame!”
Scambio
I “vantaggi” hanno bisogno di essere coltivati. Vivono nell’humus dell’accoglienza e delle pratiche interculturali che gli insegnanti, gli alunni italiani, e spesso gli amministratori locali, hanno messo in campo in questi anni. “Scambiando si impara”, è lo slogan delle scuole toscane che fanno periodicamente, da dieci anni, visite e scambi, di studenti, presidi, professori, con lo Zhejiang, la regione della Cina da cui viene la gran parte dei cinesi in Italia. Uno dei protagonisti di questa relazione diplomatico-didattica è un insegnante di italiano e storia dell’Istituto professionale di Prato, una scuola con molti allievi cinesi. Lui ha imparato la lingua cinese da autodidatta e ha degli amici cinesi, in fondo è anche lui un immigrato in Toscana, i genitori sono di Avellino. Racconta : “La nostra prospettiva è quella di dare e ricevere…per imparare a conoscersi ci vogliono sofferenze e scontri ma la scuola nel suo piccolo è un luogo privilegiato”. Nella scuola multiculturale la parola sofferenza esiste
Internazionale
Nelle classifiche internazionali delle Università, per esempio quella del Times Higher Education, la percentuale degli studenti stranieri sul totale degli iscritti è uno degli indicatori della qualità e del prestigio dell’Istituto. Questo accade anche nei centri di ricerca scientifica. Se il fattore “internazionale” è un valore, lo può essere anche nelle scuole primarie e secondarie. Il paesaggio multiculturale della scuola italiana è “policentrico e diffuso”: non solo le scuole delle metropoli ma anche di piccole città e paesi, ed è caratterizzato da una grande varietà di provenienze. Coinvolge in particolare i territori del Centro e soprattutto del Nord del Paese, le scuole dell’infanzia e primarie, e sempre di più gli istituti tecnici e professionali. Più della metà degli alunni che le frequentano sono nati in Italia. Un capitale “internazionale” da non sprecare. Su cui investire risorse, inviando sul campo gli insegnanti e i presidi più motivati e capaci.
Merito
Gli immigrati sono qui da poco, difficilmente ricorrono allo “strumento” della raccomandazione. Un vizio nazionale questo, figlio di un “familismo” ancora persistente, ostacolo, questo sì, per la conquista di una piena cittadinanza. Dice la preside di una delle scuole più multietniche del centro di Palermo: “Il mio problema non sono gli stranieri, sono gli altri….” Gli studenti stranieri e le loro famiglie sono, in qualche misura, un antidoto rispetto a certi aspetti negativi del carattere civico degli italiani.
Evidenziatore
Gli studenti stranieri nelle nostre scuole sono un evidenziatore dei nostri modelli, delle nostre pratiche e dei nostri stili educativi. Essere visti e quindi “valutati” da “stranieri” è anche fonte di malintesi, di incomprensioni ma può essere un vantaggio. Possiamo capire di più che cosa noi stiamo facendo e ridare significato al nostro fare scuola. Possiamo “guadagnare” dallo sguardo degli altri. Gi studenti stranieri sono un evidenziatore anche per un altro motivo: ci ricordano come eravamo noi, come Paese, ci ricordano la nostra Storia, le nostre migrazioni passate, ci propongono un esercizio di memoria.
Occasione
Che occasione! Per cambiare, per ripartire, per riaprire. Come i sindaci di due piccoli comuni. Hanno riaperto la scuola che stava per chiudere perché sono arrivati nuovi alunni indiani nelle campagne lombarde, lungo le sponde del fiume Oglio, e piccoli rifugiati del Kurdistan e dell’Afghanistan sull’Appennino calabrese. Conviene guardare con più curiosità ed empatia quello che succede dentro questa nostra scuola. “Nel suo piccolo” è il laboratorio dell’Italia di domani. Non è forse il succo della vita quello di imparare dagli incontri?
Vinicio Ongini, è autore di “Noi domani” (Laterza) e di saggi e di libri per bambini: è stato maestro per vent’anni. Attualmente lavora all’ufficio integrazione alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione. Per i 150 anni dell’Unità d’Italia ha coordinato il programma nazionale per le scuole “In viaggio con le Fiabe italiane di Italo Calvino”.
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links