Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

S.O.S. Antiracisme


Laura Balbo
Ho ritrovato un piccolo libro,pubblicato nel 2005. Il titolo è decisamente provocatorio:  S.O.S. Antiracisme. Va anche detto che l’autore, Dominique Sopo, era presidente dell’associazione S.O.S. Racisme.
Il libro fa riferimento alla situazione francese e alle varie posizioni e “tappe”, del “razzismo” e dell’”antirazzismo”, nel corso degli anni;  mette in luce molti aspetti e problemi. Ho ben presenti le differenze tra le vicende e le condizioni in Francia e in Italia. Ma comunque questo  grido -lo definirei così- “SOS Antirazzismo” ,così pesante; questo “appello” a sfuggire ad atteggiamenti che in passato abbiamo definito di “antirazzismo facile” è davvero importante. Chiediamoci se  ci possa servire.
La costruzione del “discorso antirazzista” è semplice, dice Dominique Sopo, e sintetizza così: un “ripetuto atteggiamento di pentimento” e una sottolineatura “vittimizzaante”. Aggiunge:  “mancano atti forti da parte dei poteri pubblici”. Dunque “noi” ci dichiariamo pentiti per fatti compiuti nel passato (noi comunque non c’eravamo). E “loro” li descriviamo come oggetto di violenze e discriminazioni, vittime che vorremmo difendere. Non sono “soggetti”( non “cittadini”: mentre, nel caso francese, anche i giovani delle banlieues lo sono a tutti gli effetti). Denunciare il “razzismo” degli altri e proclamarsi “antirazzisti” può ridursi a un “rituale”, a una forma di retorica condivisa, a un atteggiamento semplificatorio, di fronte  a problemi e processi che non vengono colti nella loro complessità. Nelle settimane scorse, dopo i fatti  di Rosarno e poi in occasione delle iniziative che in molte città e istituzioni e nei media si sono avute per il “giorno della memoria”, abbiamo sentito forti affermazioni: convinte, sofferte, e certo necessarie.
Ma penso che partire dalla tesi di questo libro (provocatoria, certo) possa  portarci ad approfondimenti utili. Coloro che parlano di queste questioni con l’enfasi delle loro voci di “antirazzisti” non hanno esitazioni a delineare la via d’uscita, la soluzione sicura. Rispetto a una questione (che riguarda oggi tutti i  contesti europei -non soltanto, ovviamente-, e soprattutto il futuro dell’Europa intesa nel suo insieme), si tratta di cogliere senza semplificazioni i processi in atto; la cultura complessiva che in questo momento storico si sta affermando; e i nostri comportamenti quotidiani. C’è anche la notazione che ho citato più sopra: “mancano atti forti da parte dei poteri pubblici”. 
Una questione che andrebbe messa al centro del dibattito non soltanto in occasioni particolari ( tragici eventi del passato da ricordare, drammatici fatti del presente) ma via via giorno dopo giorno; facendo, se possibile, riferimento a dati ed esperienze e fallimenti (in altri contesti, in fasi del passato) e ai contributi  di studiosi di molte diverse discipline, anche, non pochi, di alto livello. Una questione che, nei suoi molteplici, diversi aspetti, non  si risolve con nobili dichiarazioni e che non ha –nel breve periodo almeno- facili soluzioni.
Richiede, lo dico così, un quotidiano lavoro di riflessione e di approfondimento. Ci riguarda tutti.
Cerca di mettersi in questa prospettiva un’iniziativa europea che partirà il prossimo marzo a Barcellona e che propone di avviare “un decennio di presa di consapevolezza e di azione”.

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