Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 maggio 2012

Immigrati: Terzi, con Libia lavoriamo insieme su obiettivi condivisi
Bruxelles, 14 mag. - (Adnkronos) - Con la Libia "intendiamo lavorare insieme per il perseguimento di obiettivi comuni che sono condivisi". Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha risposto cosi' a chi gli chiedeva se l'allarme immigrazione lanciato due giorni fa dal collega libico non serva a fare pressioni sull'Italia e la comunita' internazionale in cambio di soldi. "L'interesse comune quando parliamo con i rappresentanti della nuova Libia, sia con questo governo sia, ci auguriamo, con quello che uscira' dalle nuove elezioni, e' di tipo partenariale", ha sottolineato Terzi al suo arrivo alla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ue.



I profughi invisibili della capitale L'istantanea dei rifugi "informali"
A Roma migliaia di richiedenti asilo, già titolari di protezione umanitaria, costretti ad una vita di strada, o in baracche e tendopoli. Solo nelle grandi occupazioni abusive ne sopravvivono 1700. Il censimento dei migranti abbandonati a loro stessi della Fondazione IntegrA/Azione 1 a Romanina, Collatina, Ponte Mammolo, Ostiense
CARLO CIAVONI
la Repubblica, 14-05-2012
ROMA - In molti ricorderano la vicenda drammatica delle centinaia di profughi somali assiepati come polli da batteria 2 in quell'autentico porcile che era diventata l'ex ambasciata della Somalia di via dei Villini, a Roma. Bene, la capitale ancora oggi non disdegna di riservare scenari ben più vergognosi, a distanza di due anni. Delle oltre 6000 presenze di titolari di protezione internazionale presenti all'interno del Raccordo Anulare, solo 2000 trovano un posto d'accoglienza dignitosi, mentre altrettanti continuano ad essere soltanto dei nomi scritti nella lista dell'Ufficio immigrazione del Comune, sopravvivendo come possono in un'attesa che sembra non finire mai.
La forza di un censimento. Porta il titolo di "Rifugiati invisibili" il censimento realizzato da Fondazione IntegrA/Azione 3, una realtà costituita da Legambiente 4 e Cooperativa Abitus 5. Una ricognizione che permette di sapere come siano ormai 1700 i rifugiati politici, con regolare permesso di soggiorno, che abitano in luoghi fatiscenti, grandi occupazioni con centinaia di uomini e donne in condizioni abitative che un linguaggio moderato definisce "precarie", ma che il termine "indecenti" non basterebbe per descrivere lo stato delle cose. E questo solo se si considerano i grandi edifici, quando va bene, e non si prendono invece in considerazione le baraccopoli di cartone e lamiere, dove spesso sono costretti a crescere anche molti bambini.
Un'istantanea spietata. Quella della Fondazione IntegrA/Azione è un'istantanea spietata sulla situazione romana dell'accoglienza di richiedenti asilo, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale, non altro che la conferma di come sia ormai palese la scelta politica di sospingere questa massa di persone verso i confini estremi della società, fino al limite dell'invisibilità, appunto. Le occupazioni di massa alla Romanina, alla Collatina, a Ponte Mammolo rappresentano solo la punta emergente di una realtà assai più vasta e polverizzata. Situazioni già di per sé avvilenti, cui si aggiungono centinaia di centri d'accoglienza, per così dire "informali", fioriti nei luoghi più reconditi della città, tutti distanti dall'attenzione dell'opinione pubblica, ma dove prosegue l'esistenza semi nascosta di un'umanità che sopravvive tra scatole di cartone, coperte e fogli di giornale.
"Non è un problema di ordine pubblico". "Si tratta di un'emarginazione sociale particolarmente grave, per uomini, donne e bambini cui l'Italia dovrebbe garantire una protezione internazionale e un'accoglienza dignitosa  -  dichiara Luca Odevaine, presidente di Fondazione IntegrA/Azione - Stabilire con certezza quali siano i numeri dei rifugiati invisibili a Roma è estremamente complesso, anche per i luoghi sempre più marginali dove si cela. Un problema tanto vasto e delicato non può e non deve essere improntato soltanto all'ordine pubblico. Aumentare i posti disponibili in accoglienza non può rappresentare una soluzione univoca ed efficace, sia per i costi difficilmente sostenibili che per il rischio di spostare semplicemente il problema nel tempo, senza risolverlo".
Ciò che Roma può offrire. La maggior parte dei rifugiati informali, negli ultimi anni non ha fatto altro che entrare e uscire da un centro di accoglienza per poi entrare in un altro. Senza nessuno strumento per guadagnare un minimo di autonomia duratura, sia per quanto riguarda un alloggio decente, che - meno che mai - per un'occupazione. Quello che il Comune di Roma, a tutt'oggi, riesce a garantire sono 2.200 posti d'accoglienza. Fine. La fetta più grossa di questa "torta" è sul tavolo del privato-sociale in convenzione diretta con il Campidoglio, con 19 centri d'accoglienza, con circa 1.250 posti letto.
Il decreto "Emergenza Nord Africa". Il Centro Polifunzionale Enea di seconda accoglienza completa il quadro con i suoi 700 posti, destinati a diventare circa 800 nei prossimi mesi. E va ricordato poi che, a seguito dello stato di emergenza dichiarato con i decreti del Presidente del Consiglio del 12 febbraio e 7 aprile 2011, nota come "emergenza Nord Africa", sono nati nuovi centri d'accoglienza per ospitare oltre 1.000 nuovi richiedenti asilo. Nel frattempo, il Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati 6 (SPRAR), garantisce l'assorbimento dei rifugiati con sempre maggiore difficoltà, a causa del mancato finanziamento da parte del Governo.
Storie diverse, spesso irraccontabili. A questi vanno aggiunti altri 250 posti letto, in due strutture per l'emergenza abitativa, ma prestate all'accoglienza dei RAR, (Richiedenti Asilo Roma) sempre gente che rischia la vita se torna a casa tua, che è scappata senza possibilità di tornare dove è sempre vissuta e che si porta dietro storie difficili, spesso irraccontabili, storie che però non sono tutte uguali, tanto da non essere capaci neanche di trasformare tutti "fratelli", vittime di identiche tragedie.
Una situazione che rischia di esplodere. "E' evidente - dice il Senatore Francesco Ferrante, che di Fondazione Integra/Azione è il vicepresidente - che solo interventi concreti che garantiscano un serio percorso d'integrazione lavorativa, sociale e abitativa possono rappresentare la via per spezzare l'accoglienza informale di queste migliaia di persone. Una situazione drammatica, che rischia di esplodere se chiuderanno i centri d'accoglienza aperti con la dichiarazione dello stato d'emergenza umanitaria e in scadenza il 31 dicembre 2012. Un esercito di altri 2170, rifugiati solo nel Lazio, che si troverebbe in mezzo alla strada".
Ecco le più grandi occupazioni a Roma.
Romanina. Si trova in via Arrigo Cavaglieri ed è un'occupazione abitativa chiamata anche "Salam" (Salute, Pace, Salvezza), realizzata nella vecchia sede dell'Università di Tor Vergata e che oggi conta tra i 500 e i 600 occupanti. Nella struttura, oltre a donne e uomini singoli, ci sono anche circa 20 nuclei familiari con figli piccoli, alcuni neonati. I servizi sono decrepiti, pochi quelli igienici e in condizioni inaccettabili. Le utenze di luce e acqua sono attive, manca però l'impianto di riscaldamento, sia per gli ambienti che per le acque sanitarie.
Collatina. L'occupazione è chiamata "Natnet" (libertà), è sorta in uno stabile di proprietà del ministero del Tesoro, inutilizzata e abbandonata perché rischia di crollarein quanto costruita su una falda acquifera. Al suo interno si contano circa 700 persone registrate, tra eritrei ed etiopi (di cui 10 nuclei familiari, con figli minori). Sono attive le utenze di luce e acqua, ma manca il riscaldamento per gli ambienti e le acque sanitarie. La struttura e i servizi igienici sono, per usare un eufemismo, impresentabili. E c'è chi vive questa condizione  (sono tanti) con un forte disagio psichico, presentando sintomi da stress da disturbi post-traumatici.
Ponte Mammolo. E', fra le situazioni informali, la meno conosciuta. Sorge lungo viale Palmiro Togliatti, sotto del livello stradale, una vera e propria bidonville dove vivono più di  150 persone. Non ci sono donne sole, ma qualche famiglia di origine romena con figli. Gli abitanti vivono, nella maggior parte dei casi, nelle tende; qualcuno in casupole di  cartongesso fin dal 2006. Alle tende, pian piano si sono affiancate piccole abitazioni di muratura, costruite nel corso degli anni dalla stessa comunità e, in numero inferiore (circa il 30%) baracche di lamiera. Qui manca l'acqua e il riscaldamento: solo una fontanella pubblica garantisce l'approvvigionamento idrico per tutti. Nessun servizio igienico, a parte un bagno in muratura in condizioni pessime e che non è neanche allacciato alla rete fognaria. C'è poi un'unica doccia pubblica. che però non funziona.
Ostiense. Ground zero, oppure: Kabul romana, o ancora: la buca. Sono tanti i nomi che definiscono la tendopoli degli afgani che, dal 2005, gravita attorno alla stazione Ostiense e che oggi si va gradualmente ripopolando, dopo che un mese fa era stata sgomberata per portare a termine i lavori necessari alla presentazione del grande progetto ferroviario firmato Montezemolo.
Tor Marancia. Qui è stata creata una tensostruttura per ospitare circa 150 abitanti, in prevalenza giovani afgani. Il tendone-dormitorio non ha però cambiato le condizioni che generano il disagio e la precarietà esistenziale. Si è agito sul sintomo, insomma, mentre le cause ci sono ancora tutte lì: i ragazzi, appartenenti anche a diverse etnie afgane e, dunque, spesso non in perfetta sintonia fra loro, sono letteralmente abbandonati a loro stessi, mentre la Kabul romana risorge sotto gli occhi di tutti, lungo i binari della stazione Ostiense e nelle zone circostanti.



“Un pediatra per ogni bambino, anche irregolare”. Il ministro Balduzzi dice sì alla richiesta della Società italiana di medicina delle migrazioni.
Una delegazione della Simm ha incontrato il ministro della Salute: tra i temi la salute dei minori e l’uniformità dell’applicazione della normativa nelle realtà locali.
Immigrazioneoggi, 14-05-2012
Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha accolto positivamente la richiesta della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) di garantire il pediatra di libera scelta per ogni bambino indipendentemente dal suo status giuridico, quindi anche irregolare. Lo fa sapere una nota con la quale la stessa Simm rende conto dell’incontro avuto dal ministro con una delegazione guidata dal presidente Mario Affronti e composta anche dal coordinatore nazionale dei Gruppi regionali Salvatore Geraci e dal responsabile della formazione Maurizio Marceca.
Al ministro è stata inoltre presentata l’esigenza di cercare un’uniformità dell’applicazione della normativa nelle varie regioni e realtà locali in un ottica di inclusione e non discriminazione a partire dalle indicazioni predisposte da un tavolo tecnico e che gli assessori alla sanità hanno già approvato. Inoltre è stato chiesto di garantire il pediatra di libera scelta per ogni bambino indipendentemente dallo status giuridico così come proposto congiuntamente alla Simm dalle principali società scientifiche pediatriche e in coerenza con la legge italiana che da venti anni ha ratificato la Convenzione Internazionale per i diritti del fanciullo.
Balduzzi – afferma la Simm – “ha colto molto favorevolmente tali sollecitazioni condividendo la necessità di costruire una capacità di governance (collegamento tra le esperienze, monitoraggio degli interventi attraverso l’implementazione di indicatori) della tutela della salute degli stranieri”. La Simm, che è attualmente l’unica società scientifica in Italia che si occupa in modo esclusivo della salute degli stranieri e che vede centinaia di operatori sanitari e sociali impegnati quotidianamente su questo tema nei servizi pubblici e del volontariato, è, di fatto, un osservatorio privilegiato di eventuali nodi all’accessibilità e alla fruibilità dei servizi.
“Il ministro – riferisce il presidente Affronti – ha mostrato interesse e competenza su questo specifico tema: la criticità principale che abbiamo rappresentato riguarda soprattutto lo scarto tra la normativa - avanzata e lungimirante sul piano dei diritti - e l’applicazione concreta nelle singole regioni, parziale ed insufficiente. L’accesso, normato in modo inclusivo dal d.lgs. 286/1998, molto spesso risulta non fruibile a livello locale e determina così una mancanza di equità in ambito sanitario con la conseguenza del venir meno delle garanzie per ciascun cittadino italiano e non di ricevere risposte adeguate alle reali necessità cosi come previsto dall’art. 32 della Costituzione. Anche la normativa sull’assistenza sanitaria ai cittadini comunitari – dice Affronti – risulta poco chiara e con un’applicazione diversificata per ambito territoriale”.
“Abbiamo avuto modo – dice dal canto suo Geraci – di esporre al ministro la necessità di tutelare a pieno titolo i minori stranieri presenti in Italia garantendo a tutti, indipendentemente dallo status giuridico, il pediatra di libera scelta: alcuni dati infatti mostrano come la complessità assistenziale nei minori stranieri irregolari sia significativamente più alta rispetto ai minori italiani e agli stranieri regolari ed anche la durata media di degenza è quasi doppia”. “Tutto ciò – continua – fa supporre come le condizioni di salute per i minori figli di immigrati irregolari e in condizione di incertezza giuridica (Stp ed Eni) siano più gravi all’atto del ricovero e il trattamento più complesso. Non a caso la proposta detta è sostenuta da tutte le società scientifiche pediatriche e dai i tecnici delle regioni”.



Immigrazione: due dure proteste in 24 ore al Cie di Modena
Nessun ferito, forze dell'ordine impegnate a lungo per sedarle
(ANSA) - MODENA, 13 MAG - Sono giorni di tensione al Cie (centro identificazione ed espulsione) di Modena. Venerdi' sera nella struttura c'e' stata una violenta rivolta: i clandestini hanno incendiato coperte e lanciato spranghe di ferro, ricavate smontando i letti, contro i militari in servizio. La sommossa e' stata sedata grazie all'arrivo di polizia, carabinieri e reparto Mobile solo a notte inoltrata. Nessuno e' rimasto ferito. E ieri sera gli immigrati hanno dato nuovamente vita a una protesta, costringendo ancora le forze dell'ordine a convergere al Cie.
Per domani e' atteso il sopralluogo del questore Giovanni Pinto.



Wenzhou, tra i cinesi con la pizza nel cuore
La Stampa, 14-05-2012  
ILARIA MARIA SAIA
WENZHOU - Cao Danti arriva all'appuntamento in una sala da tè nel centro di Wenzhou sfoggiando camicia e pantaloni in tessuti di evidente qualità, cosa tuttora rara fra gli uomini cinesi.
Ha modi impeccabili, e mentre versa il tè racconta la sua odissea, partendo da lontano: «Qingtian e Wencheng, due piccoli borghi nella provincia di Wenzhou, sono storicamente luoghi di partenza per un gran numero di huaqiao (i "cinesi d'oltremare" stabilitisi all'estero)», dice del suo luogo di nascita.
«In parte, per povertà: sono regioni montane, con scarse terre agricole e la morfologia del terreno ha reso più facile partire via mare che avventurarsi all'interno valicando le montagne.
Cosi, un po' per geografia, un po' per tradizione storica, siamo diventati un popolo di emigranti», dice
Cosi è stato anche per lui, ventisei anni fa, quando parti per l'Olanda grazie a un parente che si trovava li, per poi arrivare in Italia: «Mi ero innamorato dei cinema italiano che potevamo vedere in Cina all'epoca, e dell'architettura che vedevo sulle foto dei periodici illustrati», dice con un sorriso. Una passione non solo per il commercio, dunque, che lo contraddistingue dai suoi concittadini.
Secondo le statistiche disponibili, quasi il 90% dei cinesi in Italia arrivano proprio da Wenzhou e dintorni: una città dei Zhejiang (Sud della Cina), di 2,5 milioni di abitanti, 9 milioni calcolando la popolazione della provincia. In alcuni luoghi, come Qingtian, l'emigrazione verso l'Europa raggiunge il 60% della popolàzione, anche se in questo periodo di crisi economica europea molti decidono di tornare indietro. Ma l'Europa, e l'Italia in particolare, se la portano appiccicata addosso.
Non solo nei vestiti in tessuti di qualità, ma in una nostalgia palpabile: in centro, ci sono centinaia di negozietti di abbigliamento con vetrine con paesaggi italiani, e nomi improbabili come Genio La Mode, o La Féta.
E Wenzhou è cosparsa di bar e ristoranti italiani del tutto diversi da quelli che si trovano in altre città cinesi. Non si tratta dei locali chic di Pechino o Shanghai frequentati in modo massiccio da stranieri: questi sono posti privi delle eccessive pretese modaiole delle grandi città, e che non stonerebbero in Italia. Hanno nomi che fanno sorridere: il caffè Ally, che sfoggia prodotti Illy. Il ristorante 0039, aperto da due «wenzhouesi» che si sono consultati con Wang,
cuoco di Ostià, tornato in Cina per due anni per insegnare i segreti della cucina italiana ad alcuni âpprendisti e poi ripartire per l'Italia.
Wang lo ha voluto chiamare cosi perché «mia moglie è in Italia, con nostro figlio, che è nato a Ostia e non sente nessuna affinità con la Cina. Per chiamarli, devo sempre comporre lo 0039, ed è il numero che mi sta più a cuore...», racconta. La sua cucina comprende tutti i piatti di una buona trattoria italiana, pasta al dente, pizze sottili, insalate, Secondi e dessert che potrebbero essere stati cucinati da un cuoco italiano di tutto rispetto. Wang accoglie con modestia il complimento, abbassando lo sguardo con un sorriso e vestito con una divisa bianca bordata con un nastrino con la bandiera italiana - che del resto sventola con fierezza anche fuori dallo 0039, per quanto il locale sia gestito e ideato da cinesi. Cinesi sono anche gli avventori: i quali, qui come al ristorante Napoli, dei quartiere residenziale di Xialupu, mangiano cibo italiano «alla cinese», ovvero mettendo tutti gli ordini nel centro della tavola e dividendo ogni piatto. Le pizzerie abbondano, ma c'è anche una Piazza Roma, nel centro di una zona commerciale che si chiama Europe City.
Wenzhou è la Cina nel suo stato più anarchico e indaffarato: negozi e negozietti dove non si sa bene che cosa succeda che aprono e chiudono senza sosta, ma anche decine di chiese, cattoliche e protestanti, dato che a Wenzhou, terra di emigrazione e di ritorni, la presenza cristiana è molto forte.
Nella grande via che porta alla stazione centrale, la Chezhan Dadao, si trovano diversi negozi di vini: alcuni, grazie al fatto che la diaspora wenzhouese va anche verso la Francia, vendono champagne e molto cognac. Ma Song Xiaohua, il proprietario di Barolo, un negozio con degustazione sul posto, spiega che «per molti cinesi quello che riguarda l'Italia è più accessibile e genuino. La cucina italiana, per esempio, non richiede preparazioni lunghe e complicate, quindi mette meno soggezione di quella francese. Stessa cosa per i vini, quelli francesi piacciono, ma gli italiani spaventano meno. E adesso, per i matrimoni
o compleanni, ogni cinese che voglia fare bella figura offre agli invitati vino». Song, un po' sbruffone come la versione cinese dello Zio d'America, ha un grosso crocefisso d'oro al collo, quando parla italiano esclama «oh Madonna!» e gesticola con tutti i gesti più caratteristici del Bel Paese, e ha alle spalle una storia ricchissima, trascorsa fra Wenzhou e Roma, Milano, Trieste, Udine e infine Brunico, dove ha aperto il ristorante Tay Yan.
Ha passato 27 anni in Italia, riuscendo a guadagnare abbastanza da tornare ora a Wenzhou molto più che benestante. «Ma alPinizio, ero clandestino, eh?», dice, con la fierezza di chi si è tirato su dal nulla. Ha fatto tutti i mestieri, spesso passando dalla ristorazione: «Io mi considero mezzo italiano - dice -, in Italia il cibo è più buono, l'aria è più pulita, e le città sono più belle. A volte mi è capitato di sentirmi dire "tornatene in Cina" ma me ne sono sempre fregato», ride, sfregando le dita sotto il mento in segno di indifferenza. E la Cina? «Qui la Luna per me sarà sempre più rotonda, e l'acqua più dolce», risponde. Ora, del resto, tanto lui quanto il figlio, Song Bing - un ragazzo con i capelli tinti «color tè» che beve cappuccino nel bar The Dainty insieme a sua moglie, Giovanna, che lavora nel «pronto moda» - sono tornati a Wenzhpu con l'intenzione di restarci: «L'economia italiana ha preso il raffreddore! - scherza -. Ma riprendetevi in fretta, perché ne soffriamo tutti». La famiglia Song, fedele alla vocazione di Wenzhou, è tutta di commercianti, «in qualunque cosa, e l'ultimo progetto è sempre il migliore», dice il figlio. Ora, moda e vino, ieri, automobili, scarpe, e tutto il resto immaginabile. Continuano a bere cappuccini fino a notte tarda, con i telefonini che suonano sempre, mentre portano avanti diversi business allo stesso tempo. All'appuntamento con il fotografo, però, Song non viene: dice di avere una riunione fuori città, dove vuole aprire «il più grosso centro massaggi e terapie spa della Cina», e suggerisce di fotografare «qualunque altro cinese, nessuno si accorgerà della differenza».
Alcuni di quelli che ritornano, lo fanno con il passaporto italiano in tasca, per quanto questo comporti alcune seccature con il visto cinese. Ma per il cuoco Wang, come per Cao Danti (il cui figlio vive ora a Reggio Emilia), la nostalgia per l'Italia è evidente in ogni parola, in ogni sguardo pieno di ricordi. Cao ha perfino creato un piccolo gruppo chiamato «Chiacçhiere aperte», con altri amanti dell'Italia, che si riunisce una volta al mese davanti a un piatto di pasta.
E per quanto a noi paia altrimenti, una delle attrattive dell'Italia è che «ei sono regole, nel Paese. Si è più protetti, la qualità della vita è alta, il livello di educazione delle persone è un'altra cosa», come ripetono tutti.
 


IL MINISTRO DEGLI ESTERI LIBICO A ROMA
Tripoli lancia l'allarme: ondata di sbarchi Terzi: chiederemo alla Ue un piano urgente
Avvenire, 12-05-2012
"Temiamo un peggioramento sul fronte dell'immigrazione clandestina". L'allarme arriva dal ministro degli Esteri libico Ashour Bin Khaial al termine del suo incontro con il ministro degli esteri Giulio Terzi alla Farnesina. "Vogliamo dare un segnale, un avvertimento, all'Italia e all'Ue per affrontare il fenomeno", ha detto.
"La situazione - ha aggiunto Khayal - adesso non è così grave ma gli indicatori mostrano che le cose potrebbero peggiorare. Sul confine di Egitto e Libia sono in arrivo diversi flussi e anche se adesso non vi sono grandi numeri potrebbe esservi un aumento. Per questo abbiamo dato al ministro Terzi un segnale, un avvertimento affinché l'Europa affronti questo fenomeno".
TERZI: CHIEDEREMO ALLA UE UN PIANO URGENTE
L'Italia chiede all'Unione europea un "piano urgente" che affronti il tema dell'immigrazione clandestina. Lo farà il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, approfittando del Consiglio Europeo degli Affari Esteri che si terrà lunedì prossimo a Bruxelles. Quello dell'immigrazione, ha detto Terzi, riferendosi a un allarme su un prossimo peggioramento lanciato da Tripoli, è "un tema da affrontare con un piano europeo, che finanzi gli strumenti di cui già dispone l'Ue". Terzi ha sottolineato che tra Italia e Libia esiste un partenariato che affronta in modo particolare il tema dei flussi migratori e del controllo integrato alle frontiere.
L'ACNUR: NULLA DI NUOVO, NEL 2012 POCHI SBARCHI
"L'allarme lanciato dalle autorità di Tripoli sul perggioramento della situazione dell'immigrazione clandestina non solleva nulla di nuovo. Sono 15 anni che i flussi migratori nel Mediterraneo si mantengono su cifre elevate e anzi quest'anno i numeri sono piuttosto esigui: infatti sarebbero solo 1.500 le persone sbarcate finora tra Malta e l'Italia". Lo dice all'Adnkronos Laura Boldrini, portavoce italiana dell'Unhcr. A giudizio di Laura Boldrini, "bisogna comunque cogliere lo spunto che giunge dalle dichiarazioni delle autorità libiche per prepararsi a fronteggiare i nuovi arrivi: è necessario accelerare le operazioni di ripristino del centro di Lampedusa e revocare l'ordinanza che considera Lampedusa 'porto non sicuro'. Queste due problematiche - sottolinea Boldrini - ostacolano le autorità italiane nel salvataggio di vite umane."

 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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