Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 aprile 2011

"Non possiamo sparare ai clandestini, per ora" E' bufera su Castelli
La Stampa 13 aprile 2011
Francesco Grignetti
Bisogna respingere gli immigrati. Ma non possiamo sparargli... almeno per ora». Per ora. Roberto Castelli, l'ex ministro della Giustizia, attuale viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, è un leghista di quelli che non conosce infingimenti. Quel che pensa, lo dice. Intervistato alla radio, nel programma «Un Giorno da Pecora», quando gli hanno chiesto della massa dei tunisini sbarcati nelle ultime settimane, Castelli non ha usato diplomazie. «Zapatero - ha detto Castelli - ha sparato agli immigrati che volevano andare in Spagna. Sarkozy sta bombardano alcuni possibili immigrati in Libia. Si prefigurano momenti drammatici. E, se ragioniamo in termini storici, cioè nell'ambito dei prossimi decenni, c'è il pericolo che questa invasione possa diventare di decine di milioni». II peggior incubo leghista che si avvera: 1'invasione di milioni di arabi. E allora? «Le controversie internazionali, spesso, come abbiamo Visto in Iraq o in Kosovo, si risolvono con le armi. Anche se io spero che questo momento non debba mai venire, questo problema potrebbe diventare talmente enorme che dovremmo porci il problema di usare anche le armi».
Ecco, dunque, il Castelli-pensiero. Se due giorni fa Maroni prefigurava un'uscita dall'Unione europea e poi Roberto Calderoli ipotizzava di mollare le missioni internazionali per spostare le forze armate sul contrasto all'immigrazione oggi ci pensa 1'ingegner Castelli a dirla più grossa di tutti. Si scatena un inferno di polemiche e c'è chi chiede le dimissioni. «Le parole del ministro Castelli sono sconcertanti. Un linguaggio violento che mette in ginocchio 1'Italia», dichiara Livia Turco, Pd. «Parla come un uomo di Neandertal. Le sue parole sono un'istigazione all'odio e alla violenza. Berlusconi e Maroni dicano chiaramente se questa è la posizione dei governo. Se non lo è prendano immediatamente le distanze da queste frasi scellerate», fa eco Massimo Donadi, Idv. Ma è dai finiani che giunge la polemica più forte. «Il governo chiarisca. Non può avere questa posizione sugli immigrati nello stesso giorno in cui Berlusconi firma il decreto per 1'emergenza umanitaria», s'infiamma Italo Bocchino. «L'apogeo dei delirio è stato raggiunto. Ora siamo stanchi di queste boutade, esigiamo serietà e se il governo non è in grado di garantirla tolga il disturbo», afferma Giorgio Conte.
E se La Russa prova a minimizzare («Non posso credere che parlasse sul serio»), è Castelli stesso a reagire: «La sinistra e il Fli sono come il cane di Pavlov. Ritengo di avere usato un linguaggio semplice e comprensibile per tutti. Poi chi vuole continuare a reagire in modo condizionato è libero di farlo, ma attenzione: il politicamente corretto tra il popolo italiano sta passando di moda».



IL NOSTRO OBIETTIVO? MANDARLI A CASA
La Padania 13 aprile 2011
Iva Garibaldi
ROMA - I clandestini li dobbiamo mandare tutti a casa. Umberto Bossi ribadisce la linea della Lega Nord anche dopo la chiusura dell'Europa alle richieste di Roberto Maroni. Un'Europa, prosegue il segretario del Carroccio, che «è un problema» ma che non impedirá al Governo «di proseguire per la nostra strada, come abbiamo sempre fatto». E quindi si va avanti sulla linea dura ma restando dentro l'Ue.
Maroni, spiega Bossi, «era arrabbiato» quando ha detto che forse era il caso di uscire dall'Europa. «Dopo la notte è passata la rabbia di Maroni - dice ancora Bossi conversando con i giornalisti nel Transatlantico di Montecitorio - non vogliamo uscire dall'Europa. Era una frase detta per stimolare 1'Europa». Ma ora si va avanti con «i pattugliamenti, i respingimenti e le espulsioni». Pattugliamenti, ricorda ancora Bossi, per altro «previsti dall'accordo di Maroni con la Tunisia: i leghisti sono saggi».
Da parte sua il ministro dell'Interno, al termine dell'audizione di fronte alle commissioni congiunte Affari Costitu- zionali ed Esteri della Camera sottolinea che l'operazione rimpatri è giá in atto. «Abbiamo iniziato finalmente i rimpatri sulla base dell'accordo con la Tunisia. Sono partiti l'altro ieri i voli e continueranno - spiega Maroni ai microfoni di Telepapania - finché non saranno rimpatriati tutti quelli che sono arrivati dal 5 aprile in poi. Questo è l'accordo. Abbiamo cominciato a fornire i mezzi per migliorare il controllo sulle coste, si è messa in moto faticosamente questa cooperazione che nelle nostre intenzioni deve portare alla soluzione del problema. Cioè fermare i clandestini che partono dalla Tunisia e se qualcuno scappa rimpatriarlo immediatamente».
Purtroppo la risposta dei ministri degli Interni europei, «cioè dei miei colleghi, è stata che quello dell'immigrazione è un problema dell'Italia, sono affari italiani. Ma - sottolinea il titolare del Viminale - non è un problema nostro, abbiamo cercato di farglielo capire, purtroppo la solidarietà in questo settore non esiste in Europa». E a un giorno di distanza, Maroni spiega anche il senso del suo invito a lasciare 1'Ue: «Era una considerazione che mi è venuta cosi, di botto, perché se 1'Uniòne vuol dire solo le regole sulla lunghezza dei cetrioli, le regole che ci impongono che non possiamo dar aiuti e sostegni alle piccole e medie imprese perché sono aiuti di stato e quindi sono vietati dall'Europa, allora c'è qualcosa che non va. Se l'Europa è dichiarare guerra, salvare le grandi banche ed è contro le piccole imprese, se l'Europa è solidarietà nei confronti del Portogallo, della Grecia, dell'Irlanda, ma quando l'abbiamo chiesta noi la risposta è "sono affari tuoi", allora francamente non mi sembra una bella Europa».    
Però anche qui «voglio distinguere fra gli atteggiamenti degli Stati e l'atteggiamento della Commissione europea, che collabora con noi, ci sostiene con i mezzi che ha. C'è una buona collaborazione. È invece venuta meno totalmente la solidarietà con gli altri Paesi». E allora vanno bene anche le belle parole di Barroso ma «ci vogliono anche i fatti. Perché finora abbiamo agito da soli e continueremo a fare ciò che è necessário finché non cesseranno gli sbarchi. Noi abbiamo fatto, stiamo àgendo. In questi mesi abbiamo fatto qualcosa che avrebbe dovuto fare l'Europa. Siamo andati quattro, cinque volte in Tunisia, abbiamo fatto un accordo, abbiamo dato una linea di credito di 150 milioni di euro alla Tunisia. Forniamo alla Tunisia le motovedette, le armi, le auto, tutto quello che serve per evitare le partenze dei clandestini che vengono in Europa attraverso l'Italia. Bene, tutto questo lavoro l'abbiamo fatto noi, non l'ha fatto l'Europa».



Ora Barroso fa il duro con Tunisi «Riprendetevi i clandestini»
Libero 13 aprile 2011
Vincenzo Bonanno
«Ci aspettíamo dalla Tunísia un'azione forte e chiara nell'accettare il rinvio di propri Cittadini che si trovano in maniera irregolare in Europa»: il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso non usa mezzi termini e lancia il diktat al premier tunisino Beji Caied Essebsi, incontrato ieri a Tunisi. Mano pesante anche sull'atteggiamento dello Stato nordafricano sul fronte della lotta all'immigrazione irregolare. «L'impegno della Tunisia - sottolinea il presidente dell'esecutivo europeo - è cruciale per il seguito della nostra cooperazione. L'Europa è pronta a prestare aiuto con mezzi supplementari, ma è necessário che prima le autorità tunisine prendano impegni precisi».
In cambio Barroso mette sul piatto 140 milioni di euro in più rispetto ai 257 previsti per il triennio 2011-2013, conl'obiettivo di favorire il rilancio economico e la democratizzazione del Paese. Si quindi agli aiuti Ue allo Stato, ma serve più collaborazione da parte di Tunisi sul fronte immigrazione. È questa la condicio sine qua non posta da Bruxelles.
Il nuovo partenariato Ue-Tunisia dovrà svilupparsi sulla base di tre direttrici di azione: un sostegno mirato alla democrazia, uno stretto partenariato con la popolazione, uno stimolo della crescita economica finalizzato alla creazione di nuovi posti di lavoro. «Per realizzare queste priorità - precisa Barroso - la Commissione europea darà un nuovo indirizzo ai programmi di aiuto, che per il período 2011-2013 ammontano a quattro miliardi di euro per i Paesi vicini del Sud del Mediterrâneo. Per la Tunisia poi si prevede un pacchetto supplementäre di aiuti che potrebbe ammontare a 140 milioni di euro aggiuntivi rispetto alle risorse già stanziate per gli anni 2011-2013, pari a 257 milioni di euro». Un extra budget che alletta il governo di Tunisi, chiamato però a dare garanzie.
«L'Unione europea - riferisce Barroso - è determinata a fare un salto di qualità con i nostri vicini del Sud che si impegnano nelle riforme, attraverso un partenariato per la democrazia e la prosperità. L'emigrazione non è la soluzione. Bisogna puntare sullo sviluppo economico e sociale che si basa sui talenti e le energie dei tunisini. E noi siamo pronti a contribuire a questo rilancio». Obiettivo dichiarato, bloccare i continui sbarchi di centinaia e centinaia di profughi a Lampedusa. «L'immigrazione deve essere vista come una sfida comune, una responsabilità condivisa», sottolinea il presidente delia Commissione Ue.
In sintonia con Barroso anche il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, dopo le frizioni dei giorni scorsi tra l'Italia e l'Europa sulla mancata concessione dei permessi temporanei. «Le dichiarazioni fatte dal presidente Barroso confermano l'apprezzamento che rivolgiamo a lui e alla Commissione per gli sforzi che almeno stanno cercando di fare per promuovere un'azione più europea», afferma il numero uno della Farnesina. A deludere l'Italia sono gli altri Stati membri e il Consiglio europeo. «Sono mancati gli Stati membri, è mancato il Consiglio - precisa Frattini -. Noi ci auguriamo che sia più forte la Commissione. Questa è da sempre la nostra richiesta» Poi aggiunge: «Gli immigrati devono seguire le regole europee. Abbiamo adottato una direttiva che si chiama, non a caso, Direttiva rimpatri. Questa direttiva stabilisce che i rifugiati possono restare ma gli immigrati clandestini devono tornare ai paesi di origine». Tutti a casa, quindi.



Misurata, gli stranieri e la paura dell'attacco
Avvenire 13 aprile 2011
Alfredo Bini
Un tonfo secco e sordo che fa tremare ogni cosa davanti al centro di addestramento dei ribelli di Misurata ci fa scattare istintivamente verso il suolo, ma la tensione si smorza guardando Saadoun il portavoce dei miliziani shebab el thaura. Trentacinquenne cresciuto in Gran Bretagna rimane tranquillo e dice: «Non ci sono problemi è caduto lontano, 2-300 metri minimo». Impossibile capire se era un colpo di cannone o un razzo sparato dai lealisti di Gheddafi, ma certamente 40 giorni di battaglia sono riusciti ad assuefare una popolazione alla normalità di un colpo d'artiglieria che cade a poca distanza. Misurata è l'unica enclave parzialmente sotto il controllo dei ribelli in un territorio riconquistato dalle truppe lealiste. Mezzo milione di persone è sotto assedio da oltre 40 giorni e oltre alle bombe sta facendo l'abitudine anche ad acqua ed elettricità razionata. Ora però il Comitato nazionale transitorio libico lancia l'allarme spiegando che le truppe di Gheddafi stanno «preparando un attacco devastante nelle prossime ore» e «vogliono impedire con la forza 1'arrivo di aiuti umanitari». Le direttrici principali dei centro di Misurata, via Bengasi e via Tripoli, sono deserte e disseminate di barricate, detriti e palazzi crivellati dai colpi di fucile e d'artiglieria. L'único richiamo alia presenza umana viene dagli spari dei cecchini appena ci vedono, invisibili testimoni di una battaglia cittadina che sta facendo per lo più vittime civili. L'ospedale principale è stato evacuato per ragioni di sicurezza e trasferito in una clinica privata messa a disposizione dal proprietario filorivoluzionario.Visitandolo si ha la conferma che la maggior parte delle vittime sono civili feriti dai bombardamenti casuali o dai cecchini appostati nei punti chiave di un fronte Cittadino che avanzando di qualche metro al giorno schiaccia verso il mare i ribelli. Un fronte mobile e irregolare che non risparmia bambini come Mohamed e Ali, due fratelli di 11 e 14 anni, entrambi feriti da un razzo mentre giocavano nel giardino di casa. Mohamed ha perso 1'occhio sinistro, la mano destra e tre dita della sinistra. Ha riportato la frattura delia gamba destra e présenta su tutto il corpo i segni delle bruciature dell'esplosione. Suo fratello sembra essersela cavata con meno conseguenze. Il padre si unisce a quelli che ci domandano cosa stiano aspettando le forze occidentali a bombardare le postazioni missilistiche e i tank lealisti, dai quali partono quotidianamente gli attacchi verso il centro città. Facciamo fatica a trovare una risposta.
Abbiamo poi abbandonato Misurata a bordo di un peschereccio riconvertito a nave di aiuti umanitari che ci ha accompagnato fino a Malta. Nel frattempo il porto di Misurata è stato bombardato almeno 15 volte.I pericoli maggiori li corrono quei 6000 lavoratori stranieri, per la maggior parte egiziani ma anche nigeriani, su- danesi e bengalesi intrappolati lungo la Strada per il porto. Per paura di tornare in città preferiscono starsene li, in prossimità della fine della gittata dei razzi sparati dai lealisti. Ieri una nave dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) è salpata da Brindisi alla volta di Misurata. Fará scalo a Bengasi per caricare alcuni aiuti umanitari e spera poi di evacuare circa 7.000 migranti.



Altre tensioni. Ma i rimpatri continuano
Libero 13 aprile 2011
Antonella Delprino
LAMPEDUSA La rabbia è esplosa, violenta, all'improvviso, quando hanno capito che la destinazione non sarebbe stata Milano come gli era stato detto, ma Tunisi. Una simpatizzante del centro sociale presente sull'isola, confusa fra i reporter che seguivano le operazioni di rimpatrio di una trentina di tunisini, ha confermato loro da lontano che il volo avrebbe fatto rotta su Tunisi ed è scoppiato il finimondo. Da lunedi, quando due aerei al giorno hanno incominciato a restituire tunisini alla Tunisia, la linea telefónica con Lampedusa è diventata rovente. Chiamate di allarme sono partite dall'altra parte del mare subito dopo l'atterraggio del primo aereo di rimpatri: «Attenzione è una trappola!». «No Tunisie! No Tunisie!» urlavano dai finestrini del bus che li aveva condotti in aeroporto, sventolando documenti che per loro equivalevano a un salvacondotto. Dopo due ore di trattative, il gruppo più duro si è lasciato convincere ed è salito a bordo. Chissà la sorpresa quando, sbarcando, si è accorto che Milano è uguale a Tunisi.



Avanti coi rimpatri, ma gli sbarchi non si fermano
Il Giornale 13 aprile 2011
Sbarchi, partenze, momenti di tensione. Questi gli ingredienti dell'ennesima giornata di fuoco per Lampedusa, l'estremo avamposto dell'Italia nel Mediterraneo, epicentro dell'ondata migratória che travolge il Paese. Dopo i numerosi sbarchi di lunedi, nella mattinata di ieri è giunto sulle coste dell'isola un altro peschereccio con 250 persone a bordo, seguito da un altro, nel tardo pomeriggio, che ne ha portate altre 60.
Sul fronte dei trasferimenti è salpata verso le 15 la nave «Excelsior» della flotta Grandi Navi Veloci (nella foto, le fasi di imbarco) con a bordo 800 tunisini richiedenti asilo politico. Se la partenza della nave, diretta alle strutture di accoglienza del Paese (la prima tappa sarà a Catania) si è svolta con ordine e senza problemi, diverso discorso per il decollo dell'aereo che ieri ha rimpatriato trenta tunisini. Il volo, predisposto sulla base dell'accordo stipulato dal governo con Tunisi, è partito con due ore di ritardo a causa della protesta inscenata dai migranti che si rifiutavano di entrare nello scalo. «Vogliamola libertà, vogliamo andare in Francia, non in Tunisia»,hanno gridato i migranti circondati dalle forze di polizia. La situazione si è sbloccata solo dopo una lunga mediazione tra i funzionari addetti all'ordine pubblico e gli stessi extracomunitari.



Sugli sbarchi Maroni e Frattini hanno dato il peggio
ItaliaOggi 13 aprile 2011
Massimo Tosti
Ci sono momenti nei quali il governo (e la politica in generale) offre un'immagine desolante. È quanto sta accadendo, nelle ultime settimane, riguardo alla guerra in atto in Libia e alla (conseguente) ondata di migranti che si è riversata sulle coste di Lampedusa. L'indifferenza (egoistica) dell'Europa ha dettato l'altro ieri al ministro degli Interni Maroni una battuta decisamente inopportuna: «Mi chiedo se abbia un senso continuare a far parte dell'Ue. Meglio soli che male accompagnati». Legittimo pensarlo (si tratta di un'opinione condivisa da moltissime persone), del tutto sbagliato dirlo. Un ministro (nel pieno esercizio delle sue funzioni: quella frase è stata pronunciata al termine del vertice europeo dedicate all'emergenza immigrazione) deve pesare le parole, senza lasciarsi trasportare dalla delusione per l'insensibilità dimostrata dai partner continentali rispetto al problema (non biblico, ma comunque grave) con il quale l'Italia si trova a fare i conti a causa della sua posizione geografica. Meno di ventiquattr'ore dopo, il ministro degli Esteri Frattini è stato costretto a rinnegare le affermazioni del collega di governo: «Per l'Italia, l'Unione Europea è una straordinaria opportunità». Questo si che è un «respingimento»: un giudizio affrettato rispedito al mittente. Ma anche Frattini, in queste settimane, non si è fatto mancare nulla quanto a improvvisazioni, passando con disinvoltura dalla tuta mimetica dell'interventista ai dubbi sull'opportunità di partecipare alla campagna d'Africa, fino alla riproposizione della favola della volpe e l'uva, quando sostenne che la mancata presenza dell'Italia al vertice (in video conferenza) fra Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Spagna, non era stata percepita come uno schiaffo, ma come un riguardo (per non disturbarci in una piccola riunione di condominio con un ordine del giorno miserevole).
Più in generale, con la mente rivolta soprattutto su altri problemi (i processi al Cavaliere, la fragile stabilità della maggioranza, i malumori e le tentazioni centrifughe all'interno del Pdl) i nostri uomini di governo hanno affrontato la crisi del Mediterrâneo (e dell'Europa) con una préoccupante superficialità. In altri paesi (meno esposti del nostro) i governi hanno dedicato intere riunioni di Gabinetto all'evolversi della situazione nel Nordafrica. Da noi la maggior parte delle analisi si sono risolte nell'alternativa «Sarko-si, Sarko-no» disegnata dallo stratega Simone Cristicchi nel festival di Sanremo dello scorso anno, con annesse allusioni all'influenza di Carlà. Se il governo non è apparso all'altezza (mérita una citazione anche il ministro Bossi, che risolve il problema con un estemporaneo «fuori dalle balle»), l'opposizione ha fatto persino di peggio, sbandando a destra e a manca, avendo come única bússola le giravolte della maggioranza, alle quali reagire sempre abbracciando la tesi contraria. Chi ha avuto la pazienza di seguire i dibattiti televisivi (ripetitivi e inutili) si è reso conto di come nessuno (o quasi) degli ospiti avesse la minima idea dell'argomento in discussione. Per fare un solo, piccolo, esempio, i politici continuano a discutere dei migranti tunisini, trascurando il fatto (non irrilevante) che le carrette del mare che approdano a Lampedusa portano da noi disperati provenienti da molti diversi paesi (alcuni lontani migliaia di chilometri dalla Tunisia, come i somali e gli eritrei). Paesi che sono anch'essi a rischio di esplosione. Sarebbe il caso che qualche analista se ne occupasse, per evitare di trovarci impreparati anche nelle crisi prossime venture.



Sull'immigrazione tutta l'Europa è paese
ItaliaOggi 13 aprile 2011
Cesare Maffi
L'Europa unita, quale disegnata da alcuni grandi della prima metà del Novecento, da Benedetto Croce ad Alcide De Gasperi, a Luigi Einaudi, non è mai stata realizzata. Non abbiamo un'Europa politica, come la guerra libica palesemente manifesta. Non abbiamo una politica estera comune, come mostrano le confliggenti prospettive atlantiche e occidentali. Non abbiamo una difesa europea (del resto fallita già nel 1954, quando fu affossata la Comunità europea di difesa), come attestano le difficoltà odierne della stessa Nato in Libia.
Abbiamo, in compenso, un'Europa di leggi, norme, regolamenti, direttive, burocrazia. In nome di una dichiarata libertà economica, l'Europa pratica fino all'inverosimile la legiferazione. Di più, adesso si è messa pure a battere moneta cartacea, al dichiarato scopo di aiutare ora questo ora quel Paese. In passato, l'Europa convenne all'Italia. Convenne quando esisteva ancora l'Urss, perché univa Stati europei estranei all'est sovietizzato e perché gli stessi comunisti occidentali erano, negli altri Paesi, ben più deboli che in Italia. Anche l'euro, che pure non ci è mai convenuto soprattutto per i modi in cui furono realizzate le parità, potrebbe giovarci, per l'obbligo di contenere la spesa pubblica, ma facciamo l'impossibile per non ridurre deficit e debito.
Con tutti i deludenti limiti forniti dall'Europa, non c'è assolutamente da stupirsi per il comportamento assunto nella vicenda degli emigrati. Ogni politico europeo ragiona in termini d'interessi nazionali. D'altra parte, i leghisti ragionano in termini territoriali, all'interno del proprio Paese, come, per converso, simili ragionamenti attuano le formazioni meridionalistiche. Quindi, che in Europa prevalga sempre l'interesse nazionale, è scontato.
Semmai, l'atteggiamento assunto da francesi, tedeschi ecc. è la conferma che pure all'estero si avverte come pericoloso ogni accenno d'incremento delle migrazioni nel vecchio continente. Un po' tutti avvertono la concorrenza di formazioni svariate, d'estrema destra ma altresi dichiaratamente liberali, e poi populiste, che nell'Europa occidentale come in quella orientale, nei Paesi scandinavi come negli Stati latini, accrescono il proprio seguito. Ecco perché Paesi con maggioranze diverse, come la Spagna e la Francia, sono rigorosi (e l'hanno confermato lunedi nel Consiglio dei ministri dell'Interno) nel voler contenere l'immigrazione. Le nostre pressioni li infastidiscono, perché non vorrebbero un solo clandestino in più nel proprio territorio. Le giustificazioni addotte, poi, sono meri pretesti, perché quel che conta è il fine, cioè lasciare fuori dei confini nazionali problemi che elettoralmente danneggerebbero. Del resto, è la stessa ragione per la quale noi vorremmo mettere i clandestini fuori dei nostri confini.



Migranti, la tensione tra l'Italia e altri governi del Vecchio Continente
Come stare nell'Europa della sussidiarietà
Avvenire, 13-04-2011
Marco Olivetti
Lo scenario politicamente disgustoso, di cui si sono resi protagonisti alcuni governi europei sulla vicenda dei clandestini tunisini affluiti in Italia in queste settimane, sconcerta assai di più del modo confuso con il quale il governo italiano e le regioni hanno gestito (con l’occhio sia alla pancia di certo elettorato sia all’oggettività dei problemi) una situazione per molti aspetti non facile. Ma questa vicenda non sarà del tutto inutile se aiuterà l’opinione pubblica italiana ad affrontare la domanda che, in maniera un po’ sommaria, il ministro dell’Interno ha posto, provocatoriamente, lunedì: esiste ancora un interesse nazionale italiano al processo di integrazione europea?
Si tratta di una domanda dolorosa, per quello che per decenni è stato il Paese più europeista del continente. Un europeismo "a prescindere", dalle nobili radici. Avevamo "fatto da soli" già in precedenza, durante il fascismo. Ammaestrati da questa esperienza, sulla scia dell’europeismo cristianamente ispirato di Alcide De Gasperi e del federalismo laico di Altiero Spinelli, gli uomini di governo italiani sono stati per decenni accaniti sostenitori dell’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. In questo avevano una sponda sicura nella Germania post-bellica, quella della Repubblica di Bonn, socialdemocratica e democristiana, così diversa dalla Germania di Berlino di questo inizio secolo, guidata da politici provenienti dall’ex Ddr e immobilizzata nel suo ritrovato gigantismo un po’ come l’America repubblicana ed isolazionista degli anni Venti del Novecento.
Questo europeismo "a prescindere" non era certo privo di lati oscuri, quali ad esempio l’abituale ritardo nell’implementazione delle direttive comunitarie. Ma portava comunque l’Italia della Prima Repubblica ad ingoiare l’arroganza dei governi francesi, con la loro costitutiva propensione alla grandeur da cortile (si ricordino le svalutazioni imposte alla lira da Mitterrand nei primi anni Ottanta, dopo il fallimento delle nazionalizzazioni targate Psf, o, ancor prima, all’ipernazionalismo di De Gaulle). Ai governi italiani degli anni Ottanta e Novanta si deve, poi, un’azione determinata sia a sostegno del progetto di Costituzione approvato dal Parlamento europeo nel 1984 (ma rigettato dagli Stati membri) sia nel cammino verso Maastricht (nel quale Andreotti e De Michelis non ebbero timore di scontrarsi frontalmente con un gigante politico come la signora Thatcher).
La classe politica della cosiddetta Seconda Repubblica ha invece avuto un altro approccio: le forze di centrosinistra hanno assunto l’eredità del vecchio europeismo "a prescindere", mentre il centrodestra (soprattutto, ma non solo, la Lega) ha gradualmente elaborato una certa dose di euroscetticismo, sia pure rimasto a un confuso stato emozionale. Entrambi gli atteggiamenti, peraltro, non hanno preso fino in fondo atto che, dopo Maastricht, la realtà dell’Europa è profondamente mutata, sia rispetto alla realtà fragile degli anni Sessanta e Settanta, sia rispetto ai sogni federalisti.
L’«Europa della sussidiarietà» è una unione costituzionale di Stati che rimangono sovrani, ma vedono la loro statualità radicalmente trasformata dai processi di integrazione, al punto che quasi nessun settore del diritto interno, anche costituzionale, è rimasto estraneo alle conseguenze di essi. Un tale assetto richiede approcci nuovi, che devono sapientemente combinare visione europea e difesa in Europa dell’interesse nazionale, nella consapevolezza che la tutela di quest’ultimo può richiedere anche strappi. Per questo motivo anche l’appello del capo dello Stato, a escludere conseguenze del voto europeo anti-italiano di lunedì, è figlio di un approccio mentale vecchio.
Chi cercasse un modello politico, ne potrebbe trovare uno nella storia italiana di alcuni decenni orsono: Giovanni Marcora, ex partigiano, dc basista lombardo e ministro dell’Agricoltura dal 1974 al 1982, era un europeista convinto, ma era anche il terrore dei ministri dell’Agricoltura d’Europa per la "feroce" determinazione – fatta di diplomazia abile e di capacità di scontro – con cui proteggeva in Europa gli interessi dell’agricoltura italica. Come del resto avevano sempre fatto belgi e olandesi, altre colonne dell’europeismo post-bellico.
Abbandonando europeismo "a prescindere" ed euroscetticismo, o forse combinandone alcuni aspetti, è in uno sguardo simile che si può trovare la chiave per "stare" in Europa senza sciocche illusioni, ma nella consapevolezza che, se le nazioni sono un plebiscito quotidiano, anche l’integrazione europea è una complessa dinamica di negoziati, conflitti e compromessi ove l’Italia deve elaborare un modo adulto per essere presente e influente, da Stato fondatore e conformemente all’unicità della sua storia e alle sue potenzialità politiche ed economiche.



Hammarberg: «Adesso basta litigare il diritto d'asilo deve essere garantito»
Il Mattino 13 aprile 2011
Cristina Marconi
BRUXELLES. Che lo svedese Thomas Hammarberg parli bene del governo italiano è una novità pressoché assoluta. In passatò il commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, organismo di Strasburgo che non è un'istituzione europea, non ha lesinato critiche all'esecutivo e in particolare al ministro degli Internii Roberto Maroni per la gestione dei campi rom. Ma davanti alla situazione di Lampedusa, davanti ai "no" di Francia e Germania, davanti alle emergenze a cui deve far fronte il Paese, non ci pensa due volte. «Capisco molto bene la reazione italiana, poiché il resto dela Ue non ha mostrato alcuna solidarietà».
Quello di lunedi a Lussemburgo è stato un capitolo molto brutto delle relazioni Ue-Italia. Come si è arrivati a tanto?
«In questi giorni sta emergendo chiaramente che non esiste in Europa una politica sull'asilo che siaaccettabile. Questo non vuol dire che l'Italia non abbia fatto errori, ad esempio stringendo in passato accordi con Muaxnmar Gheddafi, ma il Paese ora è in prima linea, e deve esserci una migliore ripartizione delle responsabilità. Èvero che la Germania èil Paese con piü rifugiati, è vero che la Svezia ha promesso di accoglierne altri, ma la risposta è insuficiente. Anche perché qui il problema sono i "migranti economici" provenienti dalla Tunísia». Questo è il punto piü delicato. Che fare? «I "migranti economici" sono quelli che non hanno diritti in base al diritto internazionale, e devono essere rimandati acasa.MalaTunisiaattraversauna situazione di instabilità tale, con un governo molto autoritario appena mandato via e migliaia di profughi arrivati da altre regioni nelle ultime settimane. Mandare indietro questa gente causerebbe un sacco di problemi, bisogna trovare una soluzione intermedia, prendere tempo. Per questo i permessi temporanei concessi dal governo italiano sono una buona soluzione per prendere tempo e cercare una strada che sia accettabile anche da un punto di vista umanitario». E le norme di Schengen? E il rischio che dopo un po' sia impossibile rimandare queste persone in Tunisia?
«I permessi temporanei non consentono automaticamente di viaggiare per l'Ue, perché ci vogliono anche i documenti validi e i mezzi di sostentamento. È qui che deve scattare la solidarietà europea, perché Lampedusa non può reggere tutto da sola. D'altra parte anche i pattugliamenti rafforzati dei Mediterraneo decisi da Maroni e dal francese Claude Guéantrischiano di negare a molte persone di ottenere quello statuto di rifugiati a cui avrebbero di diritto». Una soluzione rispettosa dei diritti umani dei migranti e sostenibile dagli Stati membri. Una quadratura dei cerchio difficile.
«È fondamentale mantenere il diritto d'asilo e rispettare le regole che sono state messe a punto insieme nel passato. Ma l'Unione deve smettere di litigare e deve lavorare in maniera coordinata. Lampedusa ha dovuto accogliere 22,000 persone, la Tunisia si è fatta carico degli sfoliãtí libici o provenienti da paesi sub-sahariani. In Europa siamo in 27, saremo o no capaci di gestíme un decimo fino a quando non potranno tomare nel loro paese in condizioni umane?»



Immigrati, il Vaticano critica Bertone: l'Europa ci ha deluso
Il Messaggero 13 aprile 2011
Franca Giansoldati
CÏTTÀ' DEL VATICANO - Persino il Vaticano si scopre un po' euroscettico e offre un inatteso assist al Governo italiano sul fronte dell'immigrazione. «L'Europa ha profondamente deluso davanti a questa emergenza». La bordata diretta a Bruxelles che sembra collocarsi in sintonia con la linea d'azione del ministro Roberto Maroni arriva dal cardinale Tarcísio Bertone. Il principale collaboratore di Papa Ratzinger pur elogiando l'equilibrio dei Presidente della Repubblica, Napolitano a propósito dei fatto che non si deve drammatizzare il braccio di ferro in atto con l'Europa. non esita a stigmatizzare il comportamento di nazioni come Germania, Francia, Spagna incanzandole a superare gli egoismi: «l'Unione Êuropea deve aiutare l'Italia».
Benché sia un intervento estemporaneo sollecitato dai giornalisti mentre faceva ingresso a Palazzo Sturzo per un convegno sulla figura dei cardinale Sirijin realtà è frutto di una riflessione meditata a fondo. E' chiaro che al di là del Tevere le immagini dei clandestini che continuano a sbarcare a Lampedusa, unite alle notizie provenienti dalle diocesi del Sud ed ai rapporti dei nunzio monsignor Caputo di stanza a Malta - piccolo Paese membro che
rischia di essere travolto dalle ondate migratorie -, hanno riportato a galla vecchi attriti. L'Europa è difficile che possa decollare davvero in assenza di un disegno comune che non sia basato solo sulla condivisio- ne di parametri economici. «Credo che i primi delusi sarebbero i padri fondatori» ha sottolineato Bertone facendo riferimento a Schumann, Adenauer e De Gasperi. «Il continente ha perso il suo spirito profondo di grande solidarie- tà».
Agli occhi della Chiesa cattolica (ma anche d i quella ortodossa e di quella protestante) è chiaro che «l'Europa ha perso il suo spirito profondo, uno spirito di grande solidarietà prima di tutto tra i popoli euro- pei e poi verso gli altri popoli. Pensiamo all'Africa, che ha tanto sfruttato: sembra che l'Europa le abbia voltato le spalle». La speranza è concentrata a ritrovare le proprie radici, ma la battaglia dei Cristiani non è semplice vista la secola- rizzazione galoppante. «Accogliamo l'appello del presidente Napolitano e nello stesso tempo vorremmo alzare la voce perché questa Europa ritrovi la sua anima, un'anima di grande generosità verso queste popolazioni che sono in emergenza. E vorremmo che l'Italia non fosse lasciata sola in questo frangente». Di fatto, sottolineano in Vaticano, all'Italia è stata chiusa la porta in faccia perché chiedeva di proteggere temporaneamente i profughi dai Paesi del Nord Africa.
Il discorso dell'Europa senz'anima è diventato un refrain. Gli interventi in questa direzione da parte del Papa cosi come dei rappresentanti diplomatici delia Santa Sede non si contano. L'argomento è una spina nel fianco. Anche l'Avvenire ieri ha denunciato il doppio registro di Bruxelles: dauna parte decisionista quando si tratta di bombardare la Libia, dall'altra latita se ha davanti problemi che implicano altruísmo e apertura. «E' possibile vergognarsi dell'Europa? delia civilissima Europa, delia culla delia tolleranza, àtWesprit des lois, dal sogno carolingio di una única grande nazioni con com uni radiei Cristiane?» si chiede il giornale dei vescovi. La risposta è: «Si è possibile e per quanto ci riguarda sta accadendo in queste ore, in questi giomi, dove quel club dei ventisette che si proclama Unione Europea sta offrendo al mondo, ma soprattutto a se stesso, la peggiore delle immagini possibili».
La sfída resta aperta e interroga le istituzioni comunitarie. Uno dei Cardinali piü impegnati a tenere aperti canali di dialogo con il mondo islâmico rassicura che «1'arrivo di persone di fede musulmana non costituisce una minaccia nè per l'Italia nè per gli altri Paesi europei». Jean Louis Tauran, presidente dei Pontifício consiglio per il dialogo interreligioso, intervenuto davanti all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa fa una distinzione. «Se una persona è un vero credente non esiste minaccia per la sua fede». Anzi è proprio l'avere «forte consapevolezza» delia propria identità a permettere il vero dialogo. Da dove FEuropa dovrà prima o poi dovrà ripartire.



Cambiamento e cooperazione
Noi e il treno della storia
Avvenire, 13-04-2011
Marco Impagliazzo
La storia bussa di nuovo alle porte dell’Italia. La nostra posizione geografica è tornata in questi mesi a essere strategica. Siamo nel cuore di quel Mediterraneo rimessosi improvvisamente in movimento con la "primavera araba". La guerra di Libia, che ne è una delle conseguenze, si combatte a pochi chilometri dalle nostre coste, a cent’anni esatti dall’attacco coloniale italiano. L’Italia è, insomma, geopoliticamente in prima linea.
Questo scenario, che ad alcuni appare una condanna, in verità rappresenta una chance. Dopo aver lamentato il mancato coinvolgimento nei contesti decisionali internazionali e nei vari gruppi di contatto, marginalizzata dalla trasformazione del G8 in G20, l’Italia conosce oggi l’occasione irripetibile di un protagonismo europeo nella partnership con il mondo nordafricano alla ricerca di nuovo slancio e prospettive. Le vicende dei nostri dirimpettai, sebbene diverse da Paese a Paese, costituiscono infatti nel loro insieme un fatto storico. Le giovani generazioni fanno vacillare regimi autoritari senza futuro. Presto ci confronteremo con Paesi più autonomi, desiderosi di contare e determinare il proprio destino.
Dietro questo grande cambiamento non si cela un complotto islamico fondamentalista: l’alternativa "o noi o il caos", propinata per anni dai regimi autoritari come alibi per la sopravvivenza, non è più credibile. Nelle piazze arabe è emerso il protagonismo di una nuova generazione che chiede e crede nella democrazia. Saranno forse democrazie "all’araba", con tratti diversi dalla nostra, ma senza intenti aggressivi. I segnali contraddittori non mancano e talune preoccupazioni sono legittime, ma la cifra evidente degli avvenimenti è positivamente ricca di futuro e per renderla "indelebile" noi italiani – da partner attenti e rispettosi – possiamo e dobbiamo dare uno speciale contributo.
Ma ci stiamo preparando a questa svolta? La domanda sorge osservando la confusione e l’improvvisazione con le quali l’Europa si è mossa davanti alla "primavera" del Nord Africa e alla crisi libica. Una cosa è certa: il vento di Tunisi non si fermerà. Soffia sui Paesi arabi, e ha già raggiunto l’Africa subsahariana: il Mozambico, il Burkina Faso, il Senegal. Un grande sommovimento è in atto e il Vecchio Continente deve saperlo affrontare unita. L’Italia, punta avanzata dell’Europa nel Mediterraneo, ha la possibilità di guidare la riflessione. E di avviare un grande e "produttivo" dibattito sugli sconvolgimenti geopolitici in atto. Chiudersi nella paura e nel sospetto non sarebbe una buona politica. Abbiamo invece l’opportunità di riformulare quel progetto mediterraneo ed euroafricano che nel dopoguerra costituiva un pilastro della costruzione dell’unità europea.
Da parte italiana giungono segnali positivi, come il riconoscimento del Consiglio di Tunisi e la nuova veste voluta per il comando delle operazioni in Libia. L’impulso iniziale francese, se ha avuto il merito di evitare il massacro a Bengasi, non parso mai accompagnato da un serio programma politico. Andrebbe ora messa in campo un’iniziativa che proponga un assetto nuovo per quell’importante Paese nordafricano, poiché nessuno dei due contendenti (vecchio regime e nuovi democratici) sembra avere la forza militare sufficiente per imporsi definitivamente sull’altro, e il tentativo turco di mediazione non offre, secondo il Consiglio di transizione, «garanzie sufficienti».
Resta, poi, aperta la grande questione dell’immigrazione, su cui questo giornale non cessa di concentrarsi. I racconti dei sopravvissuti alla tragedia del recente naufragio, hanno portato alla luce le drammatiche situazioni che costringono giovani eritrei, somali e di altri Paesi alla fuga. Se si vuole fermare l’esodo, quelle realtà vanno cambiate, anche attraverso un maggiore investimento nella cooperazione con l’Africa. Tuttavia – e qui la nota negativa – l’Italia è ulteriormente precipitata nella lista dei Paesi donatori per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Dati resi noti in questi giorni ci danno penultimi, con appena lo 0,15% del Pil destinato ai programmi di cooperazione. Mai in passato eravamo stati così avari e lontani dagli impegni da noi stessi assunti. Oltre alle questioni etiche che questa situazione pone, va notato che non è in questo modo che l’Italia può rispondere all’attuale sfida storica. Il nostro Paese ha bisogno di mezzi e risorse per la sua politica estera, per essere presente nell’area del cambiamento con un profilo adeguato e una visione per provare a indirizzarlo. Altrimenti, perderemo il treno della storia, che – come forse non speravamo più – sta nuovamente passando anche per noi. Sulle rive del Mediterraneo.



L'accoglienza costa 72 milioni
il Sole, 13-04-2011  
Marco Ludovico
ROMA
Conti, costi e oneri dell'accoglienza. In queste ore ' tra ministero dell'Interno, Economia e Protezione civile si definisce la partita delle spese per assistere e ospitare i tunisini che otterranno il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari. Entro la fine della settimana si saprà quanti sono davvero, per ora la stima di riferimento è di 10mila unità. Ipotizzando che tutti vogliano rimanere in Italia, che l'assistenza riguardi tutto il periodo di durata del permesso - sei mesi - e che servano circa 40 euro al giorno per vitto, alloggio e assistenza sa- nitaria, si arriva a una somma complessiva di 72 milioni di euro. A questa cifra va aggiünta quella che riguar dai rifugiati e richiedenti asilo, ma il calcolo è più complicato. Perché il sistema in fase di realizzazione per l'emergenza straordinaria, dopo l'accoglienza e la prima sistemazione, dovrebbe poi passare coloro a cui spetta il diritto d'asilo al sistema ordinario oggi in funzione, che attraverso i comuni gestisce i rifugiati. Se si ipotizza un totale di 5mila immigrati di questo genere - 4.680 secondo le cifre date ieri alla Camera dal ministro dell'interno, Roberto Maroni - si può dire che, con gli stessi parametri di costi dei tunisini regolarizzati, l'onere mensile è pari a 6 milioni. Se in teoria tutti rimanessero nel sistema d'emergenza per sei mesi, come i tunisini, si va oltre i 100 milioni di euro. È molto probabile comunque che la quota di 5mila aumenti di parecchio, visti gli arrivi ormai quotidiani di somali, eritrei ed etiopi.
II sistema dei costi andrà definito nell'ordinanza, attesa in queste ore, allo studio del prefetto Franco Gabrielli, capo della Protezione civile e neocommissario all'emergenza umanitaria. Ieri Gabrielli ha partecipato a una riunione con il sottosegretario al ministero dell'Interno, Alfredo Mantovano, per mettere a punto le procedure di accoglien- za. L'attenzione è puntata soprattutto sui Cittadini nordafricani, quasi tutti tunisini, che hanno diritto di fare richiesta dei permesso di soggiorno temporaneo. Gli uomini dei dipartimento di pubblica sicurezza impegnati sul territorio delle regioni dove ci sono tendopoli e altre strutture prowisorie di accoglienza stanno raccogliendo le istanze di permesso, poi le passeranno al vaglio per escludere motivi di rifiuto - precedenti penali, denunce e segnalazioni sul circuito nazionale e internazionale di polizia - è, alla fine, daranno il visto si stampi al tesseri- no elettronico di permesso di soggiorno. Gli agenti delle forze dell'ordine lo consegneranno insieme aun'indicazione sulla possibilità di alloggio. II sistema dell'ospitalità è stato ieri discusso anche in una riunione alia Protezione civile con i dirigenti regionali e i rappresentanti degli enti locali. Le regioni, infatti, hanno già chiuso 1'accordo con lo Stato in base al principio che, Abruzzo escluso, ci sarà ospitalità in tutto il territorio nazionale in proporzione a una percentuale che rappresenta la popolazione residente (si veda la tabella a fianco). Il piano - teorico - da 50mila profughi si trasforma ora in un piano concreto in cui i rifugiati saranno poche migliaia a cui vanno aggiunti gli immigrati con il permesso di soggiorno temporaneoper motivi umanitari. Va anche detto che la cifra dei 10mila nordafricani regolarizzati, alia fine, si abbasserà ancora, visto che tra tendopoli e altre strutture le presenze effettive sembra che ammontino a 8mila unità. Il resto è scappato, probabilmente oltreconfine. Di certo il piano di accoglienza umanitaria allo studio della Protezione civile esclude tendopoli ma ipotizza - si attendono le proposte operative delle regioni - edifici stabili. Maroni ieri ha sostenuto che i regolarizzati «saranno liberi di circolare liberamente nell'area Schengen: ciascuno Stato verificherà se sono rispettate le condizioni per poterlo fare; noi siamo certi che lo sono».



Immigrazione è denatalità più decrescita
il Sole, 13-04-2011
Ettore Gotti Tedeschi
Paradossalmente dobbiamo alle conseguenze provocate dalle dottrine neomaltusiane anche la difficoltà di assicurare l'ospitalità dovuta, opportuna e sostenibile, dal punto di vista occupazionale, dei flussi di immigrazione di emergenza contingenti.
Scoraggiando negli ultimi decenni la crescita naturale della popolazione è stato limitato e deformato lo sviluppo economico naturale. Cercando di compensarlo attraverso produttività "labour saving" e l'accelerata delocalizzazione produttiva (per accrescere il potere di acquisto e spingere i consumi), abbiamo anche esportato occupazione produttiva e capacità di crearla.
L'immigrazione, in origine considerata necessaria per compensare esigenze di mano d'opera, nonché considerata necessaria per compensare i costi del welfare dovuti all'invecchiamento della popolazione, rischia oggi di non esser sostenibile. Possiamo prevedere che la crisi in corso, ripeto originata dal crollo della natalità nei paesi ricchi, oltre a provocare conseguenze su entrate fiscali e contributi previdenziali, possa produrre problemi di occupazione all'intemo dei paesi e pertanto render più complesso poter assorbire facilmente ed adeguatamente immigrazione esterna.
In più nel nostro paese il processo di immigrazione è stato finora particolarmente accelerato e persino scarsamente valorizzato. È stato accelerato essendo decuplicato il numero di immigrati regolari in soli dieci anni (da500mila a 5,5milioni), crescendo ad un tasso del 13% annuo.
È stato poco valorizzato perché, se í dati disponibili sono credibili, si direbbe che il contributo fiscale deiregolari assommi a valori di poco superiori a 4-5miliardi di euro all'anno (circa mille euro a testa), mentre i risparmi rimpatriati nel paese di origine (e non investiti in Italia) sono stimati in circa 7-8 miliar di anno ( quasi il doppio del contributo fiscale stimato).
Ma il problema potrebbe esser in prospettiva più grave grazie alia crisi in corso e alla domanda di lavoro in potenziale diminuzione. Sospettiamo che la crisi vera non si sia ancora fatta sentire poiché nel nostro paese c'è protezione sociale, c'è la famiglia ed il suo welfare ignorato, c'è ancora tanto risparmio, c'è occupazione sommersa e c'è elevata occupazione presso la Pubblica Amministrazione.
Senza strategie adeguate però tutto ciò potrebbe non esser a lungo sostenibile. E le conseguenze andrebbero a penalizzare ancor piü i più vulnerabili, tutti i piü vulnerabili. E poiché a noi tutti, che vantiamo radici Cristiane nella nostra cultura, dovrebbe interessare, piü del potere di acquisto, il "potere di dignità "della persona umana ,dovunque sia nato, dovremmo esser concretamente preoccupati.
Dobbiamo riconoscere ancora una volta che, come ci insegna Benedetto XVI in Caritas in Veritate, avendo rifiutato la vita e le nascite e avendo prodotto uno sviluppo economico non integrale bensi consumistico, abbiamo confuso fini e mezzi e lasciato allo strumento economico una innaturale autonomia morale.
Ora, come conseguenza, non solo fatichiamo a sostenere il costo dei nostri troppi "vecchi", ma anche a sostenere l'accoglimento auspicabile di immigrati, disponibili a lavorare e contribuire.



INTERVISTA
Mantovano: «Tra una settimana 10mila permessi Ma anche un piano d'accoglienza»
Avvenire, 13-04-2011
Luca LIverani
Tra una settimana consegneremo diecimila permessi di soggiorno temporaneo. Il Poligrafico dello Stato è al lavoro». Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno con delega all’Immigrazione, vuole fare chiarezza sui documenti che il governo sta per rilasciare ai migranti tunisini, come deciso dal decreto del 6 aprile scorso. Nessuno stop politico, dunque, nonostante questi permessi siano stati uno dei nodi del contendere con Francia e Germania che hanno espresso dubbi sulla loro validità. «Al tesserino magnetico – precisa – abbineremo un documento cartaceo valido per l’espatrio. E stiamo creando un piano di accoglienza per non abbandonare queste persone sul territorio,
Allora, sottosegretario Mantovano, a che punto sono questi permessi di soggiorno temporaneo per i tunisini?
Ci stiamo lavorando molto intensamente. Il Poligrafico dello Stato ha avuto tutti gli imput necessari e appena avrà concluso il lavoro i permessi verranno consegnati a tutti quelli che ne hanno fatto domanda e per i quali non si pongono condizioni ostative, ovvero persone pericolose o con precedenti penali.
Che tempi ci sono? E quanti permessi rilascerà l’Italia?
Li consegneremo tra una settimana, massimo dieci giorni. Saranno circa 10 mila. Ma stiamo anche organizzando una rete di accoglienza per dare una sistemazione a queste persone, nell’attesa che decidano dove andare. Abbiamo coinvolto, d’intesa con le Regioni, la Protezione civile, le organizzazioni di volontariato, la Caritas. Serve un piano di accoglienza per non abbandonare queste persone sul territorio.
Come sarà il permesso? Cartaceo o magnetico?
Avrà l’aspetto di una tessera bancomat, conterrà un chip magnetico con tutti i dati dell’intestatario. Al permesso abbineremo un documento di viaggio, un tesserino cartaceo valido per espatriare nei paesi dell’Unione Europea.
La Francia ha posto cinque condizioni precise: avere titolo di viaggio, documento di soggiorno e risorse sufficienti al proprio mantenimento, non costituire una minaccia, non essere entrati in Francia da oltre tre mesi...
Ma sì, sono le norme europee che conosciamo bene. Non vedo problemi.
E chi avrà diritto al permesso temporaneo?
Solo quelli arrivati in Italia tra il 1° gennaio e il 5 aprile, il periodo indicato dal decreto del presidente del consiglio del 6 aprile. Ad eccezione, lo ripeto, di chi è pericoloso o ha precedenti penali.
 


L'accoglienza che funziona
Terra, 13-04-2011
Giulio Sensi
Molte associazioni toscane hanno subito denunciato: «Diventerà un Cie». Una beffa, proprio nella regione che ha rifiu- tato fino ad oggi i Centri di identificazione ed espulsione. Il presidente delia Regione Enrico Rossi ha risposto: «Non se ne parla» ed è andato a Roma a convincere Berlusconi e Maroni. Nell'ex base militare di Coltano, in provincia di Pisa, si respirava, infatti, da qualche giorno aria da filo spinato, ma l'imposizione da parte del Governo di un'unica grande tendopoli per accogliere le centinaia di migranti provenienti dal nord Africa non è andata a buon fine. L'alternativa sembra già funzionare bene: piccoli nuclei sparsi su tutto il territorio regionale che fanno parlare di un "modello toscano". Sono già ventidue le strutture distribute in otto province con oltre cinquecento per- sone sistemate. A sostenere la gestione dei piccoli nuclei, inseriti in centri di accoglienza, sono le associazioni di volontariato, un segnale in più di "umanità" utile ad affrontare questo incerto e delicato momento. Molti soggetti del volontariato locale si sono uniti, dalle Misericordie all'Anpas, dalla Croce Rossa alla Vab, seguendo gli aspetti logistici e dando un contributo fondamentale anche nell'individuazione delle strutture di accoglienza. In quella di Lunata, a Capannori, in provinda di Lucca, il più "anziano" dei dieci tunisini arrivati ha solo ventisei anni. Fra i piü giovani ce Marwen, tre fratelli rimasti in Tunisia. Ha pagato 1600 euro, viaggiato per sedici ore insieme ad altre cento persone per arrivare a Lampedusa. Qualche notte al freddo e poi via sul traghetto per Civitavecchia. Ha un solo sogno: rimanere in Italia e trovare lavoro con il suo diploma di cuoco. Per ora tutto bene. Aprendo i giornali le proteste non mancano, ma sono soprattutto di matrice politica. La soluzione a piccoli nuclei ha contribuito a dissolvere la paura. Sabato prossimo a Capannori addirittura una festa per dare il benvenuto ai tunisini: un segnale di Speranza, forse inaspettato dagli ospiti. Chissà cosa penseranno del nostro Paese. '



LEZIONI DI ANTIRAZZISMO
l'Unità, 13-04-2011
Igiaba Scego
Trenta minüti fa ho discusso con un paio di signore al banco delia frutta. Parlavano di migranti e la loro tesi era la stessa di Bossi: fora dai bali. Ho guardato le signore in faccia. Erano delle belle signore, lo sguardo non ancora totalmente spento. Cera un barlume in loro di vita, non erano ancora i robot in cui il berlusconismo le vuole trasformare. Per quella luce remota mi sono detta «Ora provo a spiegare alie signore un paio di cose». Ho fatto un bel respiro, ho ingoiato una tonnellata di-rospi e ho cominciato a spiegare perche in Italia-da almeno trent'anni-tutto quello che riguarda le migrazioni è ammantato di propaganda. Ho fatto pedagogia di strada e ho cercato di smontare pezzo per pezzo i discorsi razzisti (perche lo erano, anche molto pesanti) delle signore. Poi come faccio sempre ho consigliato loro di leggere il libro di Gian Antonio Stella L'orda quando gli albanesi eravamo noi, sull'emigrazione italiana. Una delle due mi guarda e mi fa: «Ma io non ho tempo per i libri». Sentire quella frase mi ha creato dolore físico. Mi sono ricordata di quando Moni Ovadia dice che siamo seduti sulle macerie e che la battaglia che dobbiamo fare non è solo politica, ma anche culturale. Moni Ovadia ha ragione! Se la sinistra vuole vincere nel futuro deve tornare a fare cultura. Portaria dove non arriva, dove domina la sottocultura televisiva. Non si deve lasciare piü spazio al degrado delle anime.
In questa storia c'è però una nota positiva. La signora mi ha detto che il libro di Stella lo comprerà. Mi ha anche detto che ci metterà mesi a leggerlo «perché non sono abituata». Personalmente questo mi sembra già un bel risultato.*



Sarebbero annegate nel tentativo di raggiungere la riva
Sbarchi, due donne morte a Pantelleria
Erano a bordo di un barcone che trasportava 250 persone e che si è incagliato contro gli scogli
Corriere della Sera, 13-04-2011
PANTELLERIA - Due migranti sono morti mercoledì mattina a Pantelleria, durante l'ennesimo tragico sbarco sulle coste siciliane. Le vittime sono due donne. Erano a bordo di un barcone di una decina di metri che trasportava centinaia di persone e che si è incagliato contro gli scogli di località Arenella. Si tratta di un vecchio peschereccio con 250 profughi, quasi certamente partito dalla Libia. Gli immigrati si sono lanciati in mare, raggiungendo a nuoto la riva ma le condizioni meteo nel Canale di Sicilia sono in netto peggioramento, con il mare in burrasca. Lo scafista è stato arrestato.
IN MARE ANCHE MARINAI, CARABINIERI E ABITANTI - Per cercare di salvare il maggior numero di profughi che erano a bordo del barcone approdato questa mattina a Pantelleria, gli uomini delle capitanerie di porto si sono gettati in acqua riuscendo a recuperarne diversi. Anche da terra i carabinieri, i vigili del fuoco e abitanti che stavano seguendo dal molo le operazioni di arrivo del barcone, si sono buttati in mare. L'intervento ha permesso di salvare decine di persone, ma non le due donne che sono annegate. Il barcone, hanno raccontato i profughi, era partito 5 giorni fa da Tripoli: a bordo complessivamente c'erano 192 persone di cui 11 donne e 6 bambini.
LAMPEDUSA - All'alba un altro barcone carico di migranti è approdato a Lampedusa. Una motovedetta della Guardia di Finanza ha soccorso un barcone con 105 tunisini che stava affondando a poche miglia da Lampedusa, dove martedì sera erano sbarcati altri 57 extracomunitari.



Genova, bomba contro il centro d'accoglienza per immigrati
Il sindaco: «Gesto preoccupante»
La Stampa, 13-04-2011
GENOVA -Un’esplosione e le fiamme hanno squarciato la notte di Genova, in uno degli edifici individuati dal Comune per l’accoglienza degli immigrati in arrivo da Lampedusa, nel cuore di Sampierdarena, quartiere del ponente cittadino ad alta densità di immigrazione. A provocarlo una bomba artigianale trovata al piano terra del palazzo. È l’epilogo di una giornata contrassegnata da un consiglio comunale caldo sul tema dell’accoglienza dei migranti in città, dove si è quasi sfiorata la rissa, con l’opposizione che ha chiesto a più riprese la creazione di un Cie dove isolare i nordafricani, e con i presidenti dei tre Municipi interessati dal piano, che si sono detti nettamenti contrari, presi in contropiede da «decisioni calate dall’alto».
Intanto il sindaco Marta Vincenzi parla di un gesto «brutto e preoccupante», che «non è degno di Genova», che deve «spingere ancora di più all’accoglienza e alla solidarietà».«Mi auguro - ha aggiunto il sindaco - che quanto avvenuto faccia riflettere la città, perchè‚ una paura del genere non è degna dei genovesi rispetto alla necessità di accogliere, pur con tutte le attenzioni del caso, poche centinaia di immigrati. Nel 2002, con la guerra del Kossovo e gli albanesi in fuga - ricorda la Vincenzi - l’Italia ha affrontato una situazione ben più drammatica di quella attuale. Non bisogna alimentare la paura e, di fronte a tentativi di far crescere la tensione, la città deve rispondere con calma e fermezza».
I primi accertamenti condotti dai carabinieri parlano di un ordigno artigianale costruito utilizzando una bombola di gas da campeggio piena ed un grosso petardo legato con del nastro adesivo come innesco. L’ordigno ha provocato una forte esplosione avvertita dai residenti della zona. Non sono stati trovati volantini di rivendicazione ed i resti dell’ordigno sono stati sequestrati dai carabinieri della Sezione Investigazione Scientifica. Proprio oggi il presidente del Municipio Centro Ovest Franco Marenco aveva spiegato come l’ex scuola non fosse idonea «perchè‚ in un contesto difficile ad alto tasso di immigrazione con tensioni sociali, prostituzione, centri scommesse e locali notturni». Le previsioni del Comune erano di ristrutturare l’edificio in trenta giorni, con un costo di 100 mila euro, per ospitare 95 profughi.



A Ventimiglia Migranti e risse il sindaco: ora stopall'alcol
il Giornale, 13-04-2011
«Stiamo diventando il tappo per tutta l'Italia del Nord ovest. La gente ha già cominciato ad ammassarsi. Il centro d'accoglienza è pieno. E poi molti bevono, si ubriacano e scoppiano le risse. Per ora sono arrivati alle mani tra loro, non con la citt adinanza, ma la tensione cresce in città». Cosi il sindaco di Ventimiglia (Imperia) Gaetano Scullino (Pdl) ha descritto la situazione critica in cui versa la cittadina ligure al confine con la Francia, dove da settimane si ammassano gli immigrati respinti alla frontiera francese. Non solo: perché la situazione non precipiti, Scullino ha raccomandato ai commercianti, ed in particolare ai supermercati, di non vendere bevande alcoliche ai nordafricani.

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