Morire nel Mediterraneo

 

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                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 novembre 2013

I «clandestini» di Travaglio
l'Unità, 26-11-2013
Luigi Manconi
Qualche giorno fa, nel corso della trasmissione televisiva Servizio Pubblico, condotta da Michele Santoro (Michele Santoro!), si è ascoltato Marco Travaglio (Marco Travaglio!) parlare di un "centro per immigrati clandestini". Va detto subito che in Italia, tra i molti centri (nessuno dei quali particolarmente ospitale) destinati a stranieri, non si annovera un C.I.C.: ovvero l'acronimo che starebbe per "centro per immigrati clandestini". Probabilmente Travaglio si riferiva al CIE (centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, nel quale sono state trattenute Alma e Alua Shalabayeva: ma il pensiero e la lingua gli sono scappati e ha pronunciato quel terribile "clandestini". In un primo momento ho immaginato che la paranoia colpevolizzante e criminologica della cultura di Travaglio potesse indurre quest'ultimo a vedere in ogni immigrato un po' così - marginale e magari irregolare - un clandestino e, di conseguenza, un delinquente. Ma ho troppa considerazione verso Santoro e Travaglio per attribuire loro un pregiudizio così torvo e discriminatorio.
Ho concluso, dunque, che quel "clandestini", impropriamente e irresponsabilmente utilizzato, avesse piuttosto un'altra origine. Fosse, cioè, un segno ulteriore di quella egemonia culturale del berlusconismo, pur nella sua fase estrema e declinante, di cui in quella stessa trasmissione ha parlato un Gianni Cuperlo particolarmente tonico e in palla. Sì, dev'essere proprio così, se è vero che quel termine così cupamente denotativo e stigmatizzante viene utilizzato da tanti che, a parole, e persino con enfasi eccessiva, proclamano il proprio virtuoso e infrangibile "antirazzismo" (compresi soi-disant comunisti e militanti ultra-sinistrici e centrosocialistici). Avviene, insomma, che la crisi politica del berlusconismo operi più rapidamente di quanto proceda, sempre che proceda davvero, il disgregarsi del suo apparato ideologico-culturale. E di quell'apparato, l'orientamento e i correlati dispositivi linguistici e interpretativi nei confronti dell'immigrazione costituiscono una componente assai importante. In quell'orientamento, l'equazione immigrato=minaccia sociale e, di conseguenza, criminale e clandestino, gioca un ruolo molto significativo. Ma di tutta la sequenza, è quel "clandestino" che merita grande attenzione. Perché più subdolo e, allo stesso tempo,  più iniquo.
Tanto più che quel termine - utilizzato in Italia pressoché esclusivamente per definire il militante del terrorismo di destra o di sinistra - si porta appresso fatalmente l'insidia dell'agguato, dell'aggressione alle spalle, della cospirazione nell'ombra. Ed è parola che utilizzata per un ventennio dal leghismo e dalle formazioni di destra, arriva a ottenere infine riconoscimento normativo con la legislazione sulla sicurezza dell'ultimo governo Berlusconi: quella che ha introdotto prima l'aggravante (bocciata dalla Corte Costituzionale) e poi il reato di "immigrazione clandestina".
Se consideriamo l'origine di questo termine, la sua etimologia appare sufficientemente chiara: deriva dal latino clam-des-tinus. Clam discende da Kal o cal, particella che ritroviamo nei termini "celare" e "occulto". A questa radice, nella seconda sillaba, sembra aggiungersi dies (giorno). Letteralmente, quindi, ciò che sta nascosto al giorno. Ovvero quanto non è alla luce del sole.
Pensiamo, per comprendere di quale alterazione di linguaggio e di senso stiamo parlando, a ciò che è accaduto, nella forma più tragica e dirompente, con il naufragio del 3 ottobre davanti a Lampedusa. In quella circostanza, come in tante altre precedenti, si è palesato lo scarto crudele che separa quelli che - ricorrendo al titolo di un libro  fondamentale - possiamo chiamare "i sommersi" e "i salvati". Nella percezione collettiva e nel linguaggio comune, i sommersi assumono la dimensione e il nome di vittime. I salvati, ovvero quanti non sono morti in mare, diventano fatalmente i clandestini. Anche se la loro presenza e, ancor prima, il loro apparire sono quanto di meno clandestino si possa immaginare. Osserviamo quelle donne,  quei bambini, quegli uomini che sbarcano a Lampedusa, illuminati dai fari delle forze di polizia e dalle luci delle televisioni. Spesso semi nudi e sempre laceri, senza alcuna  protezione e tutela, senza la minima difesa. Sono l'immagine stessa della massima vulnerabilità e della "nuda vita" nella sua espressione assoluta. Neonati avvinti ai seni delle madri, mani intrecciate ad altre mani, corpi che si sorreggono vicendevolmente. Difficile immaginare qualcosa di più esposto, di più visibile, di più inerme: di meno clandestino al mondo.
Detto ciò dispiacerebbe che questo ragionamento fosse considerato una sorta di esercizio futile, un accanimento linguistico o, peggio, una irrilevante questione di dettaglio. Tutti abbiamo fatto, più o meno, il liceo classico e tutti ricordiamo, più o meno, che fu Ludwig Wittgenstein ad affermare che è la parola a costruire il mondo.
Post Scriptum. Travaglio ha sbagliato i nomi propri di Alma Shalabayeva e di sua figlia, ma lo si può comprendere: quando si tratta di questioni di libertà, è sempre un po' impacciato.

 

Non c'è più lavoro nemmeno per gli immigrati
L’allarme degli esperti: impossibile pensare a un nuovo decreto flussi
il Giornale, 26-11-2013
Francesca Angeli
In Italia non ci sono altri posti di lavoro disponibili per gli immigrati. «L'offerta di lavoro garantita dai lavoratori stranieri già presenti in Italia è più che sufficiente».
Insomma meglio non pensare a un nuovo decreto flussi visto che ci sono 511.365 persone in cerca di lavoro nella popolazione straniera già presenti sul territorio. A dirlo non è la Lega Nord ma i tecnici della Direzione generale immigrazione e politiche di integrazione del ministero del Lavoro. La crisi morde le famiglie italiane, le piccole imprese chiudono, strozzate dai debiti e inevitabilmente l'occupazione cala in tutti i settori e colpisce pesantemente anche gli stranieri. Anzi, scrivono i tecnici del Welfare, aprire di nuovo i flussi per gli immigrati potrebbe alzare la tensione sociale e incrementare il lavoro nero, penalizzando proprio gli stranieri che sono già qui e faticano a trovare un'occupazione stabile. «Si sottolinea il rischio che le tendenze in atto possano incrementare l'offerta di lavoro generando tensioni nel mercato tali da riprodurre un ampliamento del lavoro irregolare - scrivono i tecnici - Determinando soprattutto una condizione di svantaggio relativo per i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti ma disoccupati e in cerca di un nuovo lavoro».
L'analisi del ministero è concentrata sul secondo trimestre del 2013 e le cifre sono implacabili. La ricerca sottolinea le criticità del quadro congiunturale per i lavoratori italiani. Meno 2,5 per cento degli occupati; meno 3,4 per gli occupati a tempo pieno; meno 7,2 per il lavoro a termine. Il meno degli occupati corrisponde a un robusto più del numero dei disoccupati: 3.075.000. Più della metà di questi cerca lavoro da oltre un anno. E anche il mercato del lavoro straniero subisce una battuta d'arresto iniziata nel secondo trimestre del 2012 ma che già rispetto a quel punto di marcia indietro si è aggravata registrando un meno 3,5.
La popolazione straniera (regolare) è composta da 4.111.937 persone. Tra queste gli occupati sono 2.350.191 e i disoccupati 511.365. Attenzione però ci sono anche 1.250.381 «inattivi». Anche su questa fetta della popolazione straniera si appunta l'attenzione del ministero del Lavoro. «Non è da escludere, come sta avvenendo per la popolazione italiana, che anche per gli stranieri extracomunitari si verifichi uno spostamento dall'inattività alla ricerca attiva di lavoro, proprio in relazione all'acuirsi della crisi economica - si rileva nella studio - Fenomeno destinato a far aumentare anche significativamente il già elevatissimo tasso di disoccupazione». Insomma oltre ai 511.365 ufficialmente disoccupati c'è un altro milione di disoccupati «potenziali».
Ed è proprio nell'ultimo anno che il numero degli immigrati (Ue ed extra Ue) in cerca di lavoro ha registrato un boom negativo: oltre 140mila senza lavoro in più. Nel secondo trimestre del 2012 infatti erano 371mila. Nello stesso periodo è aumentato in modo significativo anche il numero degli «inattivi» che erano 990mila nel 2010 e ora invece sono un milione e 250mila. Si tratta prevalentemente di extracomunitari arrivati qui per ricongiungimento familiare.
Tra loro anche le quote di ingresso non programmate, ovvero profughi e richiedenti asilo. Un aumento sostanzioso che appare in contraddizione con quanto affermato proprio ieri dal presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha invitato l'Italia «a fare di più» rispetto all'accoglienza di profughi e rifugiati.
Uno dei dati peculiari della crisi e che ne evidenzia la gravità è proprio quello dell'aumento della disoccupazione fra gli immigrati. I dati sulle assunzioni di lavoratori stranieri nei vari settori, sottolinea sempre la ricerca, «consegnano una domanda di lavoro di personale comunitario ed extracomunitario in netto calo che interessa la totalità dei macro settori economici, in particolare costruzioni e industria» con l'unica eccezione del settore agricolo per i lavoratori maschi. Un altro settore che non conosce crisi è quello domestico e l'assistenza agli anziani. Anche in questo caso per il ministero la domanda può essere ampiamente soddisfatta dall'offerta già presente sul territorio.



Violenza sulle donne. Il governo: "Importante il permesso di soggiorno per le vittime"
Il documento aiuta le straniere in Italia a sottrarsi ai maltrattamenti. Letta: “Immigrate sono più deboli”. Kyenge: “Servono programmi di integrazione”
stranieriinitalia.it, 26-11-2013
Elvio Pasca
Roma – 25 novembre 2013 – Nella lotta alla violenza sulle donne in Italia va prestata attenzione alle immigrate, che per la loro condizione sono anche più esposte delle italiane. È per questo che, tra le norme per il contrasto e le prevenzione del fenomeno varate recentemente dal governo , è importante quella che concede un permesso di soggiorno umanitario alle vittime.
È la posizione ribadita oggi, in occasione della "Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” dal presidente del Consiglio Enrico Letta e dalla ministra dell’Integrazione Cècile Kyenge.
“Nel nostro Paese una parte consistente della violenza sulle donne avviene sulle donne extracomunitarie e quindi il tema del permesso di soggiorno rappresenta uno dei punti essenziali della nuova legge” ha sottolineato stamattina il premier in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Anche perché, ha aggiunto, “le donne non italiane – ha aggiunto -  si trovano in una condizione già debolezza e difficoltà maggiore”
Letta ha parlato di una “norma di civiltà”, che avrà “conseguenze positive su tante donne che vivono in questo Paese”. Il governo l’ha approvata “lasciando perdere le grandi discussioni ideologiche sul tema dell’immigrazione,”, ma “guardando all’obiettivo che bisognava raggiungere”.  “Ora che le norme ci sono -– ha concluso il presidente del Consiglio - la vera sfida è applicarle”.
Sul tema è intervenuta con una nota anche Kyenge, sottolineando che “la fragilità sociale aumenta il pericolo per una donna di essere vittima di violenza: la dipendenza economica e psicologica  nega ogni sorta di libertà”.
“Indubbiamente - ha aggiunto la ministra dell’Integrazione - le donne immigrate, per la loro posizione giuridica, sono più facilmente vittime di violenza e più facilmente colpite da uomini violenti.  Ritengo, quindi, necessario che all’intervento normativo adottato si affianchino programmi di integrazione, formazione e inserimento professionale delle donne, italiane e straniere. Più potere, più educazione, più capacità, più autostima e più inserimento sociale sono la corazza che difenderà le donne”.
Il decreto per i contrasto della violenza di genere, varato la scorsa estate dal governo e convertito in legge a ottobre dal Parlamento, prevede il  rilascio di un “permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica” alle donne che cercano di sfuggire a chi le maltratta, rilasciato dalla Questure su proposta o con il parere favorevole della Procura. Dura un anno, ma è rinnovabile e può essere convertito in un permesso per lavoro.
La legge definisce così la violenza domestica: “Uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.



Musocco, sgomberati oltre seicento rom Un terzo degli abusivi nei ricoveri del Comune
Blitz delle forze dell’ordine nell’area dell’ex Italmondo, occupata da circa un anno. Presente anche il console romeno
Corriere.it, 26-11-2013
Sul cancellone grigio che nasconde un inferno di baracche, macchine abbandonate, montagne di rifiuti, topi e amianto, c’è una bandiera della «Pace» attaccata con un nastro da pittore. Più che un messaggio di benvenuto alle forze dell’ordine schierate in via Brunetti, è un auspicio. Perché in fondo, anche se i delinquenti tra i seicento rom che hanno occupato l’ex Italmondo restano una minoranza, tutti sapevano che la corda era stata tirata ormai fino a spezzarsi. Il doppio insediamento del Musocco (liberata anche l’ex Galileo avionica di via Montefeltro) nato un anno dopo lo sgombero del grande campo di via Triboniano, aveva raggiunto e superato ormai ogni limite: seicento persone - moltissimi bambini - ammassati dentro e fuori dai capannoni tra topi, baracche e tonnellate di rifiuti; furti, rapine e aggressioni di ogni tipo, perfino a una «gazzella» dei carabinieri intervenuta due settimane fa per sedare una rissa e costretta alla ritirata sotto il lancio di pietre e bastoni. IL BLITZ - «Lo sgombero non era rinviabile», la tesi di Palazzo Marino. Anzi a sentire i residenti, i consiglieri di Zona 8 e i comitati l’intervento di ieri non solo era diventato una necessità, ma è stato forse tardivo rispetto alle denunce e alle condizioni della baraccopoli. Lo testimoniano le tonnellate di eternit trovate nell’area, le donne che scavano tra i rifiuti in cerca di vestiti e coperte, i bambini con abiti sporchi e sfatti. Ora le aree liberate di via Montefeltro e via Brunetti sono state affidate dal Comune alle rispettive proprietà che dovranno ripulirle, metterle in sicurezza, sorvegliarle contro nuove occupazioni. Il blitz di più di duecento agenti tra vigili, polizia (commissariato Quarto Oggiaro) carabinieri e protezione civile è scattato poco prima delle nove. Presente allo sgombero anche il console romeno a Milano. Nessuna tensione, a parte un piccolo brivido legato alla protesta di un gruppo di rom che ha minacciato di far saltare alcune bombole del gas e occupare l’Autolaghi. Tra i seicento sgomberati dall’ex ditta di logistica Italmondo più della metà erano donne e soprattutto bambini. Duecento persone, messe in guardia dei rischi dello sgombero, avevano già abbandonato la baraccopoli domenica sera. Altri - chi ne aveva la possibilità -, hanno caricato tutto in auto (biciclette, sacchi di vestiti, rottami e coperte) e sono spariti verso nuove occupazioni. Molti anche i nordafricani. IL TRASFERIMENTO - In 254, divisi in gruppi familiari perlopiù rom romeni, sono partiti con i bus messi a disposizione dall’Atm verso i centri di via Barzaghi e via Lombroso. Ospitalità che prevede la sottoscrizione del «patto sociale» con il Comune: niente reati, figli iscritti a scuola, lavoro. «Abbiamo dimostrato che esiste un altro modo per togliere le favela dalla città pur rispettando i diritti delle persone e soprattutto dei minori. Un profondo cambiamento dopo anni di sgomberi e spostamenti continui privi di un progetto e di una vera soluzione», ha dichiarato l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli. Da destra (Riccardo De Corato, Stefano Bolognini, Carlo Fidanza) ma non solo, sono arrivate critiche all’operato della giunta Pisapia. Contro il Comune anche l’associazione Naga, che da anni si occupa della questione rom: «Queste persone non potranno assolutamente accedere ad alcun alloggio». Molte famiglie sgomberate ieri erano già state allontanate due anni fa da via Triboniano. In quell’occasione ad ogni abitante era stata concessa una «dote in denaro» per lasciare l’Italia e tornare in Romania. Così non è stato. Ora il rischio maggiore è quello di una nuova occupazione. 26 novembre 2013]
Sul cancellone grigio che nasconde un inferno di baracche, macchine abbandonate, montagne di rifiuti, topi e amianto, c’è una bandiera della «Pace» attaccata con un nastro da pittore. Più che un messaggio di benvenuto alle forze dell’ordine schierate in via Brunetti, è un auspicio. Perché in fondo, anche se i delinquenti tra i seicento rom che hanno occupato l’ex Italmondo restano una minoranza, tutti sapevano che la corda era stata tirata ormai fino a spezzarsi. Il doppio insediamento del Musocco (liberata anche l’ex Galileo avionica di via Montefeltro) nato un anno dopo lo sgombero del grande campo di via Triboniano, aveva raggiunto e superato ormai ogni limite: seicento persone - moltissimi bambini - ammassati dentro e fuori dai capannoni tra topi, baracche e tonnellate di rifiuti; furti, rapine e aggressioni di ogni tipo, perfino a una «gazzella» dei carabinieri intervenuta due settimane fa per sedare una rissa e costretta alla ritirata sotto il lancio di pietre e bastoni.
IL BLITZ - «Lo sgombero non era rinviabile», la tesi di Palazzo Marino. Anzi a sentire i residenti, i consiglieri di Zona 8 e i comitati l’intervento di ieri non solo era diventato una necessità, ma è stato forse tardivo rispetto alle denunce e alle condizioni della baraccopoli. Lo testimoniano le tonnellate di eternit trovate nell’area, le donne che scavano tra i rifiuti in cerca di vestiti e coperte, i bambini con abiti sporchi e sfatti. Ora le aree liberate di via Montefeltro e via Brunetti sono state affidate dal Comune alle rispettive proprietà che dovranno ripulirle, metterle in sicurezza, sorvegliarle contro nuove occupazioni. Il blitz di più di duecento agenti tra vigili, polizia (commissariato Quarto Oggiaro) carabinieri e protezione civile è scattato poco prima delle nove. Presente allo sgombero anche il console romeno a Milano. Nessuna tensione, a parte un piccolo brivido legato alla protesta di un gruppo di rom che ha minacciato di far saltare alcune bombole del gas e occupare l’Autolaghi. Tra i seicento sgomberati dall’ex ditta di logistica Italmondo più della metà erano donne e soprattutto bambini. Duecento persone, messe in guardia dei rischi dello sgombero, avevano già abbandonato la baraccopoli domenica sera. Altri - chi ne aveva la possibilità -, hanno caricato tutto in auto (biciclette, sacchi di vestiti, rottami e coperte) e sono spariti verso nuove occupazioni. Molti anche i nordafricani.
IL TRASFERIMENTO - In 254, divisi in gruppi familiari perlopiù rom romeni, sono partiti con i bus messi a disposizione dall’Atm verso i centri di via Barzaghi e via Lombroso. Ospitalità che prevede la sottoscrizione del «patto sociale» con il Comune: niente reati, figli iscritti a scuola, lavoro. «Abbiamo dimostrato che esiste un altro modo per togliere le favela dalla città pur rispettando i diritti delle persone e soprattutto dei minori. Un profondo cambiamento dopo anni di sgomberi e spostamenti continui privi di un progetto e di una vera soluzione», ha dichiarato l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli. Da destra (Riccardo De Corato, Stefano Bolognini, Carlo Fidanza) ma non solo, sono arrivate critiche all’operato della giunta Pisapia. Contro il Comune anche l’associazione Naga, che da anni si occupa della questione rom: «Queste persone non potranno assolutamente accedere ad alcun alloggio». Molte famiglie sgomberate ieri erano già state allontanate due anni fa da via Triboniano. In quell’occasione ad ogni abitante era stata concessa una «dote in denaro» per lasciare l’Italia e tornare in Romania. Così non è stato. Ora il rischio maggiore è quello di una nuova occupazione.



SVUOTATA LA FAVELA DEI MILLE ROM SOLO 250 NEI CENTRI D'ACCOGLIENZA
la Repubblica, 26-11-2013  
ZITA DAZZI
ALLE otto del mattino gli oltre mille rom dei due "fortini" di via Brunetti e di via Montefeltro sono pronti. I bambini svegli con gli zaini in spalle, i vestiti chiusi nei sacchi neri, le pentole e le poche altre masserizie caricate su vecchi carrelli della spesa, nella speranza di trovare un nuovo posto dove ricostruire casa. In molti se ne vanno ben prima delle 10, quando dal cavalcavia sbucano i blindati di carabinieri e polizia. Gli agenti sono in assetto da guerra, ma non ci sarà bisogno di spianare i manganelli per allontanare i gitani dagli edifici abbandonati che occupano da un anno. «E adesso dove andiamo? Fa freddo, abbiamo i bambini, non c'è lavoro», è la frase che rimbalza di bocca in bocca, quando il comandante dei vigili urbani Tullio Mastrangelo convoca i capi famiglia sul piazzale della exltalmondo. Parla in italiano e pochi lo capiscono, ma i concetti diventano chiariquando prende la parola un funzionario del consolato romeno dall'aria severa. «Il Comune offre accoglienza provvisoria per alcuni mesi nei centri di via Lombroso e di via Barzaghi— spiega in dialetto romani —. Le famiglie con minori a carico hanno la precedenza. Non dovete fare altro che la coda ai ban chetti qui fuori, documenti alla mano, e registrarvi con gli assistenti sociali».
Sulle facce dei rom si disegna la delusione, anche se tutti qui sapevano da settimane che lo sgombero era imminente. L'assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino rassicura come può alcune donne cariche di figli. Il collega alla Sicurezza, Marco Granelli, spiega davanti alle telecamere, perché si è arrivati allo sgombero oggi, alla vigilia dell'inverno, con mille persone da sistemare: «Gli stabili sono di privati e abbiamo avuto bisogno dei tempi tecnici per avere l'autorizzazione allo sgombero dopo la denuncia e dopo accordi con i proprietari che si occuperanno di demolire i fabbricati e mettere in sicurezza le aree». Intanto, i rom si mettono in coda e quelli che minacciavano azioni di protesta contro lo sgombero se ne vanno in silenzio o attendono il loro turno per salire sui bus Atm diretti ai centri d'accoglienza, che a sera ospitano 254 persone. Tutti gli altri sono in giro per le periferie a cercare qualche altro capannone o ponte dove ricostruire la bidonville. «Lo sgombero è una sconfitta per tutti — commenta Luciano Gualzetti, vi- cedirettore della Caritas ambrosiana che con Cgil, Naga e tavolo rom aveva chiesto di scaglionare l'intervento —. Si era proposto alla prefeitura di soprassedere allo sgombero, per evitare un'altra dispersione sul territorio. Non siamo stati ascoltati. Cosi si libera un quartiere esasperato, man perché si è arrivati da avere un campo cosi affollato? Questi sono problemi difficili, nessuno ha la bacchetta magica, ma bisogna gestirli quotidianamente, senza farli arrivare a dimensioni ingestibili». Critico anche Giulio Gallera, consigliere di Forza Italia: «Dopo le proteste degli abitanti, il Comune ha sgomberato, ma con imbarazzante improvvisazione. Non c'è più alcun controllo delle periferie».



I volontari: è il solito errore bisognava fornire acqua ed energia
la Repubblica, 26-11-2013
LUCA Cusani, presidente del Naga, perche questo sgombero non si doveva fare?
«Perche l'offerta di alloggi è per sole 200 persone, e gli altri? Ora oltretutto si va incontro al freddo vero. Resteranno centinaia di persone in mezzo alla Strada, si sposteranno altrove e saremo punto e a capo».
Foste nei panni dell amministrazione, come agireste?
«La situazione è complessa e non la risolvi in un giorno. Pero nel caso specifico l'operazione da fare è quella della riduzione del danno. E allora cerchi di rendere quei luoghi più abitabili: raccogli i rifiuti, porti acqua ed elettricità e cosi via».
Quindi legalizzando i centri abusivi?
«Dipende sempre di quali zone parliamo. Le aree si possono individuare. Una cosa è certa: gli sgomberi non sono mai la risposta. Cosa è cambiato rispetto ai tempi di De Corato?»>
Siete delusi dall'approccio al tema di questa amministrazione?
«Molto. Ci aspettavamo un disegno di lungo raggio. Si fa molta politica e poca pratica sulla pelle di 2mila persone. Prevale sempre la questione legalitaria, si considerano i nomadi fonte di fastidio e minaccia. Cosi non si aiuta l'opi- nione pubblica a cambiare atteggiamento. E poi si parla ancora di emergenza: ma che emergenza è quella che dura da anni? Si va avanti per inerzia, senza coinvolgere associazioni e rom nelle decisioni».
Ma non è facile fare gli interessi dei residenti e allo stesso tempo quelii dei rom che si insediamo li accanto. Come ci si riesce?
«Ripeto: non ce la si fa dall'oggi al domani. Ma un aspetto fondamentale adesso è quello del riconoscimento della residenza anagrafica, che permetterebbe a molti rom di uscire dal circolo vizioso cbe spesso li costringe all'illegalità».
(m. p.)



Com’è fatto un centro di detenzione per migranti in California
Un reportage fotografico di John Moore mostra la vita delle persone in attesa di un processo o dell'espulsione dagli Stati Uniti
il POst, 25-11-2013
Il fotografo di Getty Images John Moore ha realizzato un reportage nel centro di detenzione di Adelanto, in California. La struttura è la più grande e la più recente costruita in California dall’Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia del ministero della Sicurezza interna degli Stati Uniti che si occupa della sicurezza dei confini e dell’immigrazione illegale. Il centro ospita una media di 1.100 migranti irregolari – ha circa 1.200 posti letto – in attesa di giudizio o di espulsione dagli Stati Uniti. Un detenuto rimane nella struttura in media 29 giorni. È organizzata come un carcere federale, con celle, aree comuni e centri ricreativi; alcuni detenuti sono rinchiusi in isolamento per motivi di sicurezza e gli agenti passano loro il cibo e le eventuali telefonate attraverso le sbarre.
John Moore ha raccontato sul Lens, il blog di fotogiornalismo del New York Times, che il reportage ad Adelanto fa parte di un suo progetto più ampio sull’immigrazione negli Stati Uniti, per cui ha già fotografato centri gestiti dall’ICE a Florence ed Eloy, in Arizona, e il rimpatrio di un centinaio di guatemaltechi nel loro paese. Moore ha scritto che l’ICE detiene in carcere una media di 33 mila immigrati privi di documenti in più di 400 strutture in tutto il paese. Soltanto nel 2012 l’agenzia ha rimpatriato 409.849 immigrati, finora il numero più alto nello stesso anno. Si calcola che entro il 2014 l’amministrazione Obama avrà rimpatriato più di due milioni di persone, più di qualsiasi presidente americano.
Moore spiega che per rimpatrio si intendono sia le «deportazioni formali che le partenze volontarie». Si tratta di procedimenti molto diversi: la deportazione prevede un processo, l’ordine di un giudice e vieta all’immigrato di tornare negli Stati Uniti per un certo periodo di tempo, anche se il resto della sua famiglia vive lì. Il rimpatrio volontario invece non prevede alcun processo e spesso chi lo sceglie tenta di nuovo di tornare negli Stati Uniti illegalmente. I migranti messicani vengono accompagnati alla frontiera, mentre gli altri devono essere portati nel loro paese per via aerea: quasi ogni settimana ci sono voli che partono che partono da Meza, in Arizona, diretti in America Centrale.
Negli ultimi anni sono cresciuti sempre di più i movimenti, come NotOneMoreDeportation e i Dreamers, che chiedono la fine delle deportazioni, soprattutto quando si tratta di genitori che vengono separati dai figli. Uno dei principali successi è arrivato ad agosto quando l’ICE ha ordinato ai suoi agenti di non deportare più genitori di minorenni che sono nati negli Stati Uniti e hanno la cittadinanza americana. A giugno invece il Senato americano ha approvato la riforma sull’immigrazione: prevede da un lato il rafforzamento militare del confine con il Messico, dall’altro una sorta di sanatoria, che permetterà agli 11 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti di ottenere la cittadinanza attraverso un processo graduale. La legge dovrà essere però approvata anche alla Camera, dove si prevede una maggiore opposizione da parte dei repubblicani.

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