Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 settembre 2011

Rapporto il Commissario Hammarberg: viola la Carta sociale europea
Consiglio d'Europa all'talia: rispetti i diritti di migrati e rom
Liberazione, 08-09-2011
Stefano Galieni
Ancora una volta sul banco degli imputati. L'accusa è di quelle infamanti per un Paese civile e riguarda l'Italia, in particolar modo una componente affatto marginale dei propri esponenti politici e istituzionali. Tutto è contenuto nell'ultimo rapporto dei Commissario europeo per i diritti umani dei Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg che emerge dal risultato dell'ultima visita compiuta in Italia il 26 e il 27 maggio scorso. La sintesi è chiara e priva di margini di ambiguità: «Per l'Italia è arrivato il momento di sviluppare con vigore le disposizioni dei códice penale relative ai reati di matrice razzista per arginare il continuo uso di slogan razzisti da parte dei politici». Per Hammarberg i politici italiani debbono abbandonare slogan razzisti e xenofobi, soprattutto nei confronti dei rom. Viene rilevata la necessita di contrastare un vero e proprio fenomeno diffuso, per esempio proponendo iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici e attraverso una vigorosa attuazione del codice penale relative ai reati di matrice razzista in modo da arginare Puso di slogan di tale impostazione da parte dei partiti stessi. Implicitamente si chiede di superare una condizione di ignoranza diffusa, imperdonabile ancora di piü se attiene alia classe dirigente. D commissario chiede infatti di promuovere in Italia la conoscenza aella storia e della cultura rom per combattere il razzismo contro che piü si accanisce contro questa minoranza, per esempio attraverso la diffusione e l'utilizzo di schede informative sulla storia rom messe a punto dal Consiglio d'Europa. Il richiamo è però anche alie autorità nazionali e locali affinché agiscano in conformità delle norme internazionali e dei Consiglio stesso, sul fronte delle abitazioni e degli sfratti per riportare la situazione in linea con la Carta sociale europea. Secondo il rapporto infatti, la politica degli sgomberi, soprattutto contro rom e sinti, avviene a volte in violazione dei diritti umani, determinando un impatto negativo sulla fruizione non solo del diritto alla casa ma anche di altri diritti umani compreso il diritto dei bambini all'istruzione. Si denunciano con particolare evidenza i casi di violenza contro i rom, a volte per- petrati dalle forze dell'ordine e si evidenzia la necessita di migliorare la risposta alla violenza razziale in generale. Una raccomandazione particolare è poi rivolta alie autorità italiane affinché venga affrontata e risolta positivamente la condizione di circa 15 mila rom apolidi provenienti dalla ex Yugoslavia, attraverso una strategia nazionale per l'inclusione sociale in Italia. Ma la lista delle inadempienze italiane è ancora lunga. Viene espressa preoccupazione per gli standard di vita bassi e inaccettabili riscontrati in molti insediamenti abitati da rom e da migranti e dalle loro famiglie e si considera la cosiddetta dichiarazione dello "stato di emergenza nomadi"un elemento ulteriormente negativo. In questa maniera i prefetti h anno assunto il ruolo di commissari straordinari, detenendo i poteri per eífettuare sgomberi in âmbito locale. Uno stato di emergenza che ancora risulta in vigore in 5 regioni. A detta del commissario europeo, prendendo come riferimento il rapporto del 2006 la situazione italiana non è progredita ma per certi aspetti si è ancora più deteriorata. La risposta dei Comitato interministeriale dei Diritti Umani italiano è giunta immediata ma è difficile non trovaria lacunosa. Vi si afferma che il governo italiano sta utilizzando una notevole quantità di risorse nazionali e locali al fine di monitorare le reali dimensioni degli insediamenti, sostenere l'inclusione sociale delle comunità rom, soprattutto nel campo dei diritto all'istruzione e alia salute e offiire migliori opportunità di lavoro. Il governo ha dichiarato di aver adottato già numerose iniziative in tal senso tra cui l'assegnazione di unità abitative, l'accesso all'istruzione, alla formazione professionale, mediazione culturale e assistenza medica. Peccato che la cronaca quotidiana ci riservi, soprattutto nelle grandi metropoli, soltanto notizie di sgomberi, di cacciate di massa, di "piani nomadi" che restano campati in aria e di politiche repressive. Peccato che autorevoli esponenti dei governo e membri dei parlamento europeo abbiano, dopo la visita di Hammarberg che si era dichiarato scandalizzato dai manifesti xenofobi affissi nelle città italiane, non abbiano perso occasione per alzare il tiro con dichiarazioni o provvedimenti di chiaro carattere vessatorio e razzista, da ultimo il "pizzo" sulle rimesse degli    Peccato che, in contemporanea con l'uscita dei rapporto, il governo italiano stia dimostrando per l'ennesima volta la propria vocazione vigliaccamente razzista, accanendosi a Lampedusa contro profughi anche minori costretti a ribellarsi per avere dignitosa accoglienza.


 
Sparate del Consiglio d'Europa
La Svezia xenofoba accusa i politici italiani «Razzisti da galera»
Il commissario ai diritti umani Hammarberg ci attacca Ma è a Stoccolma che l'odio per lo straniero e un problema
Libero, 08-09-2011  
ANDREA MORIGI

Se in Europa c'è un Paese a rischio xenofobia, è la Svezia. Cercano di nasconderlo, i social- democratíci di Stoccolma, prendendo di mira le politiche di accoglienza e di integrazione del governo italiano.
L'incaricato dell'anatema è l'attuale commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, giunto nel 2006 a quella posizione su indicazione dell'allora governo di centrosinistra svedese.
COMMISSARIO POLITICO
È stato nella Penisola per ben due giorni, il 26 e il 27 maggio scorsi, e ha fatto il compitino: un rapporto di 20 pagine, secondo il quäle le autorità italiane negli Ultimi tre anni non hanno fatto al- cun passo in avanti per rendere piü facile la vita di rom e immigrati. Seguono 12 pagine di replica del ministero degli Esteri, in cui le affermazioni di Hammarberg sono confutate punto perpunto.
Ciononostante, si stupisce un po' il sottosegretario all'Interno Sonia Viale. Durante il loro incontro, incentrato sull'emergenza umanitaria legata agli sbarchi degli extracomunitari a Lampedusa, Hammarberg aveva «speso parole di elogio nei confronti del Paese e degli operatori per come avevano affrontato la situazione, anche in qualche modo in solitudine rispetto all'Unione Europea».Fral'altro,«non si trattava di una visita ufficiale, ma di un colloquio nell'ambito di un convegno e comunque non propedeutico all'elaborazione di un rapporto», precisa. Si era parlato di anche dell'emergenza dei campi nomadi, ovviamente. II sottosegretario Viale aveva indicato la soluzione per affrontare il problema «attraverso la creazione di campi regolari, evitando le condizioni indegne in cui si viveva, inaccettabili per un Paese civile. Abbiamo segnalato che le operazioni di sgombero erano State compiute nei campi abusivi».
Hammarberg invece è rimasto «scioccato dai manifesti che ho visto a Milano durante la mia visita avvenuta in piena campagna elettorale: mettevano in guardia dal rischio che la città si trasformasse in una "zingaropoli"».
Non si sarà nemmeno peritato, da autentico sordo che non vuol sentire, di parlare con la popolazione dei quartieri che confinano con gli accampamenti dei nomadi.
TRAVE E PAGLIUZZA
Come del resto gli sarà sfuggito anche che, nelle ultime settimane, in seguito alla strage avvenuta inNorvegiail22 luglio scorso, isiti dei principali organi d'informazione svedesi stanno sistematicamente censurando i commenti dei lettori, tra i quali si trova una quantità préoccupante di ammiratori dello sterminatore di Oslo, Anders Behring Breivik.
Erano abituati cosi, almeno dal 1934 al 1996, grazie ai governi socialdemocratici svedesi che avevano sterilizzato, ma legalmente, 230mila persone, al 90% donne e disabili, fra le quali tra i 600 e i 700 nomadi (22 di questi «per motivi puramente razziali», come accertato da una commissione d'inchiesta).
Seguivano la teoria eugenetica, la stessa presa in prestito più tardi da Adolf Hitler nel folle tentativo di purificare la Stirpe ariana. A Stoccolma vantano anche il triste primato del primo Istituto statale di biologia razziale del mondo, fondato nel 1921.
Da che púlpito, insomma. Servirebbe un bell'esame di coscienza nazionale, in tutta la Scandinavia magari, anziché un transfert psicoanalitico sui Paesi che per ragioni geografiche sono più sottoposti all'invasione.
Gli risponde Francesco Speroni, capodelegazione della Lega Nord al Parlamento Ue, giudicando il rapporto Hammarberg «un'ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano che va contra l'azione di un governo nazionale». Gli spiega che «se fossimo di fronte a una violazione dei diritti umani ci sarebbero tutti gli strumenti giurisdizionali a cui potersi appellare». Ma qualcuno come ilportavoce dell'Idv, Leolu- ca Orlando, definisce le dichiarazioni di Hammarberg una sonora bocciatura dell'Ue alla politica italiana. «La bocciatura va a lui», gli risponde Speroni «perché confonde l'Unione europea con il Consiglio d'Europa, dimostrando una profonda ignoranza in materia di istituzioni internazionali».



Italia razzista? Ma chi dà l’esempio?
Il Fatto Quotidiano, 08-09-2011
Chi stabilisce le politiche verso i migranti nel nostro paese, e in particolare alcuni politici italiani, peccano di razzismo verso i Rom e gli immigrati, negando diritti agli uni e respingendo gli altri alle frontiere anche quando potenziali richiedenti asilo, nonché impedendo l’integrazione degli uni e degli altri, anche con discorsi improntati alla xenofobia. Questa l’accusa rivolta ieri all’Italia dal commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg in una relazione a consuntivo di una visita effettuata in maggio nel nostro Paese.
Non era la prima volta che l’Italia era fatta oggetto di simili rimproveri: già nel luglio 2008 lo stesso Hammarberg aveva criticato alcune misure del “pacchetto sicurezza” del governo e la pratica del rimpatrio forzato dei migranti verso alcuni paesi con comprovata segnalazioni di tortura. Critiche analoghe dal suo predecessore Alvaro Gil-Robles. Questi criticava anche la legge Bossi Fini, mentre Hammarberg puntava il dito sulle norme di criminalizzazione degli immigrati (cioè l’aggravante penale dovuta alla condizione di clandestinità).
La ricetta del Commissario del Consiglio d’Europa contro i discorsi politici razzisti e xenofobi sono iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici (ve li immaginate, autocensurarsi su quello che per loro è un cavallo di battaglia politico?) e una vigorosa attuazione delle disposizioni di diritto penale contro i reati razzisti (ma già nel 2007 l’Agenzia Ue per l’immigrazione ha sottolineato che in questo campo le sentenze non vengono eseguite o si traducono in semplici paternali).
E’ una delle tante facce del nostro Paese che non soltanto lede la nostra immagine di italiani brava gente, ma che danneggia soprattutto i minori. Da un lato infatti ci sono i tanti ragazzini Rom cui sono state prese le impronte digitali nei campi e i minori migranti arrivati in Italia con le famiglie a centinaia, e sospesi in un limbo legale nei centri di “accoglienza” o respinti alle frontiere; dall’altro i nostri figli e la nostra popolazione scolastica, che cerchiamo di educare alla tolleranza e al rispetto della diversità, ma che vengono bombardati ogni giorno con slogan razzisti e con l’equazione “immigrato arabo = terrorismo” e assistono a discriminazioni che restano impunite, ricavandone l’idea che non siano gravi, se non addirittura che siano permesse e normali.
Si spiegano così molti gesti di intolleranza verso i “diversi” messi in atto da giovani e giovanissimi, ma anche i discorsi razzisti che alcuni studenti fanno come fossero dati acquisiti in un paese “avanzato”.
Certo, il Ministero dell’Istruzione avvia programmi di educazione alla multiculturalità e per l’integrazione, ma di fatto l’atteggiamento del governo, e in particolare di certi partiti, mostra quale sia la reale considerazione in cui essi tengono la dignità dei migranti, e talvolta anche la loro vita.


 
IL MULTICULTURALISMO , QUELLO CATTIVO E QUELLO BUONO
Corriere della sera, 08-09-2011
Risponde Sergio Romano  
Una diplomático norvegese presso gli Affari interni dell'Unione Europeu stimola i singoli Stati a propagandare al loro interno i vantaggi del multiculturalismo, senza indicarne neanche uno (e su questo, almeno a breve termine, non ci sarebbe niente da obiettare secondo me). Visto che mai nessuno si arrischia seriamente in questa impresa senza cadere nella stucchevole retórica tipo vecchio manifesto della Benetton, potrebbe cominciare lei. L'impresa è titanica, ma i partiti politici sono rinchiusi dentro le rispettive visioni e il capo dello Stato e delia Chiesa ãevono parlare in un certo modo.
Fabrizio Logli fabrizio.logli@ alice.it
Caro Logli,
Il multiculturalismo diventa matéria di pubbliche discussioni tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. È il risultato delle prime grandi migrazioni dall'Africa e dall'Asia soprattutto in Francia, dove le comunità maghrebine diventano sempre piü numerose, e in Gran Bretagna, dove cominciano a giungere in gran numero lavoratori provenienti dai Paesi dei Commonwealth. Alcuni sociologi cominciano allora a teorizzare la «società multiculturale» e propongono ai governi le loro formule e le loro proposte sul modo in cui affrontare il problema dell'integrazione dei nuovi arrívati in Paesi di cui di- verranno, prima o dopo, Cittadini. I teorici delia nuova dottrina pensano che la strategia dell'assimilazione appartenga al passato e che uno Stato democrático debba consentire agli immigrati di rispettare le loro tradizioni, confessare la loro fede religiosa, conservare le loro feste comunitarie, trasmettere ai loro figli la conoscenza delia lingua e delia cultura dei Paese di provenienza.
Erano propositi ragionevoli a cui molti Paesi si sono effettivamente ispirati. Ma hanno prodotto due effetti che i sociology evidentemente, non avevano previsto. In primo luogo da alcune comunità stra- niere sono emerse nomenklatura composte dapersone ambiziose che aspiravano a fare dei loro connazionaíi una sorta di collegio elettorale e di servirsene per diventare gli interlocutori accreditati delle auto- rità locali. Per meglio affermare l'utilità della loro funzione ed esaltare il loro ruolo, questi boss comunitari hanno spesso cercato di sfrattare le condizioni psicologiche dei loro rappresentati accentuahdp ed esasperando la loro separazione dal resto delia società in cui vivevano. In secondo luogo questo fenomeno ha interessato in particolare gli immigrati musulmani soprattutto arabi, provenienti da Paesi diversi, ma uniti da una stessa fede religiosa e visti con una certa diffidenza dopo la guerra civile algerina dell'inizio degli anni Novanta, l'apparizione di Al Qaeda e l'esplosione dei terrorismo islamico negli anni seguenti. Non si è sufficientemente capito che quanto piü la società diffidava di tutti i musulmani, tanto piü la no-menklatura poteva fare leva su questa diffidenza per consolidare il próprio potere.
Un certo multiculturalismo, quindi, è certamente fallito. Questo non significa tuttavia che una comunità straniera non abbia il diritto, soprattutto nei primi anni dell'immigrazione di conservare vecchi le- gami e rispettare antiche consuetudini soprattutto religiose. Ma gli Stati europei hanno interesse a scoraggiare la nascita delle nomenklature, a trattare con gli esponenti piü ragionevoli delle diverse comunità e a soddisfare le loro legittime esigenze. È questa la ragione per cui penso che la mancanza di una moschea a Milano, per esempio, sia un er- rore da correggere.



I migranti ora portano la Madonna
Sedici giovani africani erano sbarcati a Lampedusa: ora vivono in Liguria, integrati nella vita di paese
La Stampa, 08-09-2011
ALESSANDRA PIFRACCI
Elias è scappato dal Ghana quando il padre è stato trucidato in una delle perenni guerre tribali. Madre e sorelle si sono rifugiate da uno zio, lui, diciottenne, è arrivato fino in Libia. Uno dei tanti schiavi fantasma di un regime che non regolarizzava clandestini, lascandoli sfruttare, cacciare senza paga. «Alla fine lavoravo in una famiglia» racconta. Una famiglia ricca, vicina all'entourage del rais? «No, là nessuno vuole quelli con la pelle nera e chi ha soldi può scegliere». Ha gli occhi di un ragazzo, Elias, anche se ha visto. violenza e morte, e chissà che ha fatto lui stesso, anche se è salito su una nave per l'Italia costretto dai fucili dei soldati. E gli brillano quando racconta che domenica sarà alla festa del paese, insieme alla gente di qui, e sarà uno dei portatori della statua della Madonna, «Mary», come la chiama lui, la patrona cui Busalla dedica tre giorni di feste organizzate con la partecipazione di tutti. Non importa se non è cattolico, non importa nemmeno agli altri 16 giovani africani Cristiani tra i 20 e i 30 anni ospitati nell'ex ospedale dai primi di agosto, arrivati da Manduria, dopo lo sbarco a Lampedusa. Vanno a messa, stanto un po' in disparte, nella chiesa che domina la cittadina, alia funzione delle 9 dei giorni festivi.
Degli altri 13 migranti, musulmani, molti hanno domandato il Corano e hanno potuto rispettare il Ramadan. Testi sacri distribuiti a Cristiani e islamici dai volontarj della Comunità di Sant'Egidio.
Le storie di James, Omar, Mustafa, Alex sono simili e uguale è il loro presente. Alloggiati nella struttura alla periferia dei paese, gestita dalla Co.Ser.Co onlus, fanno a turno le pulizie («in ef- fetti non abbiamo mai visto il piazzale cosi a posto» dicono le infermiere degli ambulatori Asl rimasti al piano sottostante), seguono lezioni di italiano con lettere colorate e animaletti come i bimbi delia prima elementare, possono allenarsi sul campo di calcio una volta la settimana. E poi escono fra la gente di una cittadina piecola e pulita un tempo nel cuore di una campagna da ville e villeggiature, poi trasformata nel bene e nel male dalla Iplom, esempio ligure di raffineria urbana.
«Cerchiamo di favorire al massimo l'integrazione con il paese - spiega l'assessore comunale alla Cultura Antonello Barbieri - La partecipazione alla processione è un momento molto significativo». C'era anche lui tra il pubblico che ha assistito alia partita di cálcio organizzata grazie alle scarpe e alle magliette regalate ai giocatori dal Busalla calcio. «Può darsi che nel mucchio ci sia anche qualche mela marcia - dice Elettra, che con Anna Maria, Tiziana, Betti e le altre prepara le specialità per gli stand gastronomici - come dappertutto. Del resto, noi italiani emigrati in America abbiamo la responsabilità dei gangster».
A chi ha offerto un lavoro è stato risposto che no, senza permesso di sOggiorno non si può. «Però con gli altri comuni del distretto sociosanitario attueremo borse di lavoro - spiega l'assessore - con la possibilità di imparare presso le aziende disponibili». Tra i 30 migranti c'è chi in Libia ha fatto l'idraulico, il muratore, anche l'artigiano del vetro. «Si tratta di gestire l'attesa - dice il direttore del centro di accoglienza, Enrico Privizzini - Da domani inizieranno i colloqui in questura per ottenere il permesso di soggiorno temporaneo».
E dopo? Vogliono fermarsi qui o proseguire per qualche altro Paese europeo? Sarà quel che sarà, basta sopravvivere. «No problem. Insciallah». E Mustafa che parla. Con gli altri musulmani ha incontrato l'iman durante la visita ehe ha fatto alia comunità di accoglienza. Però è stato anche a vedere la chiesa e, se non sarà tra quelli che portano Mary, come tutti andrà ad aiutare per i preparativi della festa.



Il termine extracomunitario via dai verbali di polizia
l'Unità, 07-09-2011
La legge, scriveva Kant, deve proteggere l'autonomia, la libertà e i diritti di tutti gli uomini. E forse per questa 'deontologia', per la quale un fine giusto è il risultato dell'utilizzo di giusti mezzi, il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha deciso di firmare una circolare, protocollata proprio oggi, con la quale si invitano le forze di polizia giudiziaria a non utilizzare più in un verbale di contestazione di reato la parola 'extracomunitario' sostituendola con il termine 'cittadino straniero'. Il magistrato, che non vuole commentare la sua decisione, deve aver pensato che la formula 'extracomunitario' stava cominciando ad avere connotazioni se non palesemente razziste comunque negative tanto che nei verbali di polizia l'aggettivo si applica essenzialmente a persone di colore, preferibilmente nordfricani e senegalesi e mai ad americani, canadesi, australiani e via dicendo.
Dunque, dietro alla parola 'extracomunitario' ci sarebbe, secondo il ragionamento del magistrato, una 'antropologizzazione del reato' già predicata nell'Ottocento dal giurista-antropologo Cesare Lombroso che s'era inventato lo 'stigma della criminalità', e la determinazione genetica criminogena del 'reo nato'. Granero ha probabilmente pensato che l'utilizzo di una parola ormai divenuta negativa non andava bene e così è partita la circolare che chiede alle forze di polizia di non utilizzare più quel termine. E ancora, visto che non esiste più la Comunità Europea ma l'Unione Europea, inutile parlare di extra-communitas.
«Ha ragione - ha commentato il professor Luigi Lombardi Satriani, etnologo e antropologo, docente al Suor Orsola Benincasa di Napoli -. Sussistono vecchie teorie riciclate con una patina di modernismo che hanno inquietante sapore razzista. Non esistono etnie, razze che abbiano propensione a delinquere. Il vocabolario non è mai innocente, veicola valori e concetti e il termine 'extracomunitario' rivela una terribile regressione».



«Hanno salvato un'economia, i nostri giovani non vogliono lavorare nelle stalle»
Senza gli indiani addio Grana Padano
L'inchiesta del New York Times: sono loro che mandano avanti l'industria casearia del nord Italia
Corriere della Sera, 08-09_2011  
MILANO - Il prodotto tipico della valle padana avrebbe serie difficoltà ad arrivare alle catene di distribuzione e sulle tavole degli italiani (e del resto del mondo) se non fosse per la manodopera immigrata, quella proveniente dall'India in particolare. Lo sostiene un'inchiesta del New York Times riportata in prima pagina come notizia di apertura sull'International Herald Tribune (che del Nytimes è la vetrina internazionale) che senza girarci troppo attorno riassume tutto nel titolo: «Sono i contadini indiani a far scorrere il latte italiano».
AUMENTANO I MR SINGH - Sono in particolare i Sikh del Punjab ad avere preso il posto degli allevatori italiani nelle aziende lattiero-casearie della pianura al punto che, ricorda il quotidiano Usa, nella provincia di Cremona al fianco dei Ferrari e dei Galli uno dei cognomi più diffusi sull'elenco telefonico è diventato Singh, E' iniziata da almeno vent'anni l'immigrazione indiana nelle zone padane e oltrepadane e oggi anche Simone Solfanelli, presidente della Coldiretti di Cremona, riconosce che senza di loro ci sarebbero grosse difficoltà nel mandare avanti la produzione: su circa tremila addetti, gli immigrati rappresentano un terzo della forza lavoro. «Non saprei dire se senza gli indiani si rischierebbe davvero uno stop - ha precisato al giornale newyorkese -, ma di certo le difficoltà sarebbero notevoli».
GLI ITALIANI NON VOGLIONO PIU' - Il fatto è che gli indiani hanno via via sostituito gli allevatori locali andati in pensione, che i giovani italiani non hanno sostituito, ritenendo forse il lavoro nelle stalle, che nonostante la meccanizzazione richiede una presenza umana per 365 giorni all'anno, troppo pesante e poco soddisfacente. Così, come già capitato in diversi altri settori, gli immigrati sono andati a coprire un vuoto scongiurando ripercussioni negative sul pil locale. Il sindaco di Pessina Cremonese, Dalido Malaggi, lo dice ancor più chiaramente: «Hanno salvato un economia che sarebbe stata gettata alle ortiche perché i nostri giovani non vogliono più lavorare con le mucche». Non a caso nelle settimane scorse proprio a Pessina Cremonese è stato inaugurato quello che viene riconosciuto come il più grande tempio sikh d'Europa, considerato da più parti un simbolo di integrazione, nonostante le proteste promosse da Lega Nord e Forza Nuova, contrarie alla sua creazione.


Kate Omoregbe è salva Ora è "rifugiata politica"
l'Unità, 07-09-2011  
Kate, la nigeriana che rischia la lapidazione
Kate Omoregbe, la giovane nigeriana di 34 anni che se estradata nel suo Paese avrebbe rischiato la lapidazione perché si è convertita alla religione cattolica e ha rifiutato le nozze con un uomo scelto dai genitori, da stasera è una rifugiata politica. E quindi è libera. Uscita dal carcere di Castrovillari lunedì scorso dopo avere finito di scontare una condanna per spaccio di droga (accusa che ha sempre respinto), da allora nel Cie di Roma a Ponte Galeria, per la legge Bossi-Fini andava rimpatriata. Le è stato riconosciuto lo status rifugiata. Lo hanno comunicato i ministri degli Esteri Franco Frattini e delle Pari Opportunità Mara Carfagna: «Oggi, ancora una volta hanno detto - l'Italia ha dato prova di essere un Paese in prima linea nella lotta per il rispetto dei diritti fondamentali, tra questi, in particolare, la tutela della vita e il rispetto della donna».
la notizia della concessione dell'asilo politico è rimbalzata subito in Calabria, teatro della mobilitazione umanitaria che negli ultimi due mesi ha fatto della vicenda di Kate, un caso internazionale. Franco Corbelli, leader di Diritti civili, «motore» della macchina della solidarietà a favore della trentaquattrenne, ha avuto la notizia da Kate.
A favore di Kate, attraverso una petizione internazionale on line, wvv.thepetitionsite.com /appeal to save Kate (appello per salvare Kate) promossa da una delle maggiori associazioni americane per i diritti umani Care 2, erano state raccolte e indirizzate al presidente della Repubblica, Napolitano 12.556 firme. La mobilitazione ha dato i suoi frutti.



Sanremo: stamattina 54 immigrati hanno tentato il test di lingua per il permesso di soggiorno
San Remo, 08-09-2011
la prova è stata sostenuta nella scuola secondaria di primo grado G.Pascoli
Questa mattina presso la Scuola Secondaria di Primo grado “G. Pascoli”, si è svolto il Test di Lingua Italiana per il Rilascio del Permesso di Soggiorno di Lungo Periodo, realizzato d'intesa con la Prefettura di Imperia. La Commissione presieduta dalla Dirigente Scolastica Dottoressa Enrica Minori è formata dai proff. Franco Monti e Laura Trucco del CTP, cioè del Centro Territoriale Permanente Statale per l’Educazione degli Adulti aggregato alla Pascoli che da anni si occupa dei corsi per adulti per la licenza media e di alfabetizzazione alla lingua italiana di corsi di lingua straniera.
Per le altre zone della Provincia sono in funzione i CTP di Imperia e Ventimiglia. Ben 54 gli immigrati provenienti dai più svariati punti che oggi hanno sostenuto l'importante esame. La Commissione al termine della mattinata procederà immediatamente alla correzione dei test ed i risultati saranno trasmessi per via telematica alla Prefettura.
“L'introduzione dell'esame per il Rilascio del Permesso di Soggiorno di Lungo Periodo presso il CTP della “G. Pascoli” segnala ancora una volta la vocazione della scuola a collaborare il più possibile strettamente con le istituzioni,  nell'idea che fare cultura significa soprattutto creare cultura della cittadinanza. - spiegano dalla Scuola - Sul territorio la “G. Pascoli” si impegna a essere un punto di riferimento  nella creazione di questa necessaria cultura della cittadinanza e della convivenza civile. Questa occasione, in cui svariate persone provenienti da paesi stranieri hanno potuto appropriarsi attivamente di una parte del loro destino italiano, è stata l'opportunità per creare un senso di cittadinanza futuro”.

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