Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 luglio 2013

GLI OBBROBRI DEI CIE, L'ELENCO E' INFINITO
l'Unità, 05-07-2013
Italia-razzismo
Negli ultimi due mesi sono stati  pubblicati due Rapporti che affrontano il tema dei centri di identificazione ed espulsione in Italia. Si tratta di "Arcipelago Cie" realizzato da Medici per i diritti umani e di "Costi disumani" a opera dell'associazione Lunaria. Il primo è il frutto di una ricerca condotta su undici dei tredici Cie italiani e mette in evidenza alcune delle criticità tipiche di questi posti, come per esempio l'alta presenza di persone provenienti dal carcere mai identificate durante la detenzione; l'assenza degli spazi ricreativi; la difficoltà, per le Asl, ad avere accesso ai centri e, per rimanere in ambito sanitario, l'ampio uso di psicofarmaci non sempre prescritti da personale medico specializzato. Non solo. È stata segnalata l'assenza di strutture specifiche in grado di cogliere situazioni di vulnerabilità, come per esempio casi di donne vittime di tratta. È indicativa, a questo proposito, la vicenda di una giovane donna, rapita nel proprio paese d'origine da un connazionale e costretta a prostituirsi in Italia. Dopo anni di soprusi trova la forza di denunciare il compagno (il suo "protettore") rivolgendosi al posto di polizia di un piccolo paese del Sud d'Italia. Da qui il trasferimento al Cie è stato immediato come se, alla sua condizione di donna vittima, prevalesse quella di persona priva di documenti. Fortunatamente in questo posto è venuta in contatto con gli operatori di una cooperativa sociale che, lì, svolgono un'attività di assistenza legale e psicologica a donne coinvolte nella tratta. Con il loro sostegno, tra qualche giorno, intraprenderà il percorso del rimpatrio volontario assistito, ovvero un programma che permette di ritornare in modo consapevole, e in condizioni di sicurezza, nel proprio paese di origine. Ma perché per questa giovane donna non è stato previsto da subito l'ingresso in un centro specializzato? Il funzionario di polizia che ha raccolto la denuncia ha detto di non sapere che per tali casi è prevista una procedura di supporto e protezione delle donne che hanno subito violenza. Se così fosse ci auguriamo che una simile lacuna sia colmata al più presto. La vicenda qui riportata è in linea con quanto emerge anche dal Rapporto di Lunaria. Ovvero che, nella maggior parte dei casi, la persona priva di documenti viene immediatamente trattenuta ai fini dell'identificazione e, poi, dell'espulsione, senza che però siano mai prese in considerazione delle forme alternative alla reclusione. È stata inoltre dimostrata, in entrambi i testi, l'inefficacia del trattenimento rispetto al suo scopo  poiché appena il 46% delle persone trattenute vengono, poi, rimpatriate. E i costi di questo periodo sono molto alti, come ben documentato da Lunaria. La chiusura dei Cie sarebbe cosa buona e giusta ma, comunque, rimane il fatto che per “contrastare l’immigrazione irregolare” è necessario approvare delle riforme che facilitino  l’ingresso e il soggiorno regolare dei migranti in Italia. Ecco perché i Radicali in questi mesi hanno promosso una raccolta firme per proporre due referendum abrogativi, uno della legge Bossi-Fini e l’altro del pacchetto sicurezza Maroni, le principali cause dell'irregolarità.



Bambini copti e ribelli siriani, nuovi africani di Sicilia
Partono dall’Egitto i migranti in fuga dalle rivolte, e si arenano nel Cie di Siracusa
il Fatto, 05-07-2013
Veronica Tomassini
Siracusa I siriani arrivano dall’Egitto, si parte da lì adesso. Mentre dalla Libia vengono soltanto gli uomini del Nordafrica. Il barcone attracca nel porto di Siracusa mercoledì notte. Stavolta contiene nuovi numeri, i numeri della rivoluzione egiziana, cristiani copti minorenni, qualche adulto, donne (due devono partorire), neonati. Sono 109 clandestini, tra siriani ed egiziani, la carretta (12 metri) arriva dalle frontiere scoperte del paese di Mohamed Morsi.
Sugli adulti non c’è molto da aggiungere, cercano gli scafisti, le identità rimangono segrete. I siriani sono raccolti in una delle stanze di una specie di mausoleo, sono costruzioni spaventose, grate, ballatoi, ogni dettaglio è un indizio di costrizione, un nonsense generale, un invito alla disperazione o all’ineluttabilità. Non c’è aria nel Cie di Siracusa (Centro di identificazione ed espulsione), qualche scritta sui muri esterni tipo W la Somalia e una manciata di metri più avanti una minaccia forse firmata con la vernice rossa: “la via della vergogna”. Dentro, da un antro all’altro, si intercettano uomini in divisa, o sagome avvolte dal niqab, sono donne, o testoline arruffate, i bambini. I siriani non torneranno indietro, gli adulti egiziani sì. I siriani “fanno puzza di guerra”, l’osservazione è di un giovane mediatore che sta traducendo ai poliziotti la loro ostilità. “Non daranno le impronte”, spiega ai funzionari, “faranno qualcosa di grande, sono pericolosi”.
SANNO DI GUERRA, hanno gli occhi sbarrati di chi non deve dormire, il terrore del cecchino, il volto consumato dalla concentrazione e dalla paura di chi è abituato a vigilare: “Fanno puzza di sangue capisci? ”, spiega il mediatore che viene da Sousse. Sono stati 20 giorni in mare, hanno soldi nascosti ovunque, vogliono andare in Nord Europa. Sono tutti uomini, vengono da Daraa. Nel frattempo un gruppo di ragazzini viene convocato in direzione, egiziani, cristiani copti dello sbarco del 29 aprile, rosario al collo, non sono accompagnati, partiti con 40mila sterline egiziane, perlopiù falegnami, 15-16 anni al massimo. Sono fuggiti a piedi dal centro per minori di Melilli. Siracusa assurdamente avrebbe rappresentato l’idea di un ritorno a casa: in mancanza di meglio, il Cie di via Gela. I genitori sono al paese, hanno investito su di loro, spiega il mediatore. Loro che faranno? Il responsabile del Cie dice che dipende, che si devono comportare bene, che potranno anche studiare, ma non devono scappare più. Girgise, Aiman, Jamir vorrebbero tornare indietro: non esiste l’Europa che credevano, quella immaginata con 40mila sterline egiziane in tasca. Ognuno di loro, in Occidente, in Italia, vale 70 euro al giorno. Un buon affare. Il giovane traduttore del Cie, l’arabo di Sousse, dice con convinzione che “la primavera araba poteva contare 22mila possibili richiedenti asilo, emarginati, in Tunisia, come qui in Italia, e accadrà in Egitto”.
Prepariamoci, avverte il giovane di Sousse, a circa 50 milioni di richiedenti. Il Cie di Siracusa è il non luogo che succede ad ogni sbarco, non è un punto di arrivo o di partenza, una zona grigia dove si giace più che aspettare uno status di rifugiato valido per tre anni, un traguardo per un giovane eritreo che è entrato esultando in direzione, mentre il responsabile Giampaolo Parrinello riceveva i ragazzini fuggiti dalla struttura di Melilli, con le mani in testa, una notte senza chiudere occhio e una manciata di fogli davanti con nomi e documenti da verificare.
Dal C3 - il documento che segue alle impronte - fino al riconoscimento dello status di rifugiato intercorre il nulla, o un tempo infinito, mesi invece che giorni consumati nel mausoleo di via Gela, che intanto teme un’implosione, e di solito diventa rissa o sommossa. Il funzionario della questura, nel cortile, al centro del mausoleo, sotto l’ombra del ballatoio, scuote il capo, non capisce perché continuano a sbarcare a Siracusa, cosa stia cambiando o piuttosto cosa debba tramare lungo le nuove rotte della clandestinità.



Il Papa a Lampedusa scelta di giustizia?
Avvenire, 05-07-2013
Claudio Monici
Non si è mai saputo nulla. Chi fosse e da dove venisse. Sull’isola, è rimasto solo qualche anziano pescatore che ancora racconta della storia di quel corpo senza vita raccolto in mare, tanti e tanti anni fa, e poi sepolto nel cimitero di Lampedusa, a Cala Pisana. La povera anonima croce di legno è lì che testimonia il passare del tempo, consumata da vento e acqua. Intanto, forse, da qualche parte, in chissà quale altro Paese straniero, ci sarà qualcuno che ancora starà versando lacrime in ricordo di quest’uomo rimasto senza identità, sconosciuto. Un migrante ignoto, forse il primo di una lunga scia di dolore e lutto che percorre il fondale di questo nostro Mediterraneo.
Le fosse più vecchie riposano all’ombra di un oleandro dai fiori bianchi, e sono una manciata di piccole croci di legno con i fiori di plastica, in fondo al cimitero. Molte di più sono le tombe recenti, alcune a fossa comune e ognuna con una lapide che racconta la storia di altri "migranti non identificati", morti annegati, morti di stenti durante la traversata. Come sta scritto su una delle lapidi poste dal Comune di Lampedusa e Linosa nel cimitero del paese su una fossa accoglie «tre uomini e due donne, di cui una in stato di gravidanza. Di loro non si conosce il nome, l’età, ne la provenienza. Qui riposano». «La morte non è che un attimo sospeso tra i mille passi di un’esistenza, ma un solo istante non può cancellare le emozioni di una vita intera». Sono le parole di una dedica lasciata da due nipotine al compianto nonno. Un pensiero d’amore per piangere i morti, una dedica che brilla a pochi passi dalle tombe dei migranti ignoti, uomini e donne che nella loro solitudine senza nome con la morte si sono portati via anche memoria della loro storia di vita e ricordi. Il Papa, tra pochi giorni, sarà a Lampedusa «per piangere i morti», ha proprio voluto sottolineare, ieri, il segretario del Pontefice, monsignor Alfred Xuereb.
«Da quando sono sindaco ho dovuto organizzare la sepoltura di 23 migranti ignoti. Alcune tombe col tempo sono state trascurate, sono brutte da vedere: è giunto il momento di pensare a una soluzione», ci racconta il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini.
Lapidi senza nomi, ma che almeno ricordano una storia, una data, la sofferenza del naufragio, la morte di esseri umani in cerca di speranza. Storie che sono un «fardello di dolore»: «Ma i morti a cui si riesce a offrire degna sepoltura sono un numero irrilevante rispetto ai numeri veri, alle migliaia di morti che il mare non ci restituisce». È una responsabilità che pesa e ferisce quella di avere a che fare con questa tragedia, soprattutto quando si deve fare quadrare i conti della morte con spazi che non esistono per una piccola isola con già tanti suoi personali problemi: «Quello che resta qui, sono le tracce del dolore e ci sono dei momenti in cui ci si sente soli senza sapere come fare. La camera mortuaria di Lampedusa ha spazio solo per due feretri. E quando te ne portano undici di migranti che cosa fai? – racconta il sindaco –. Un dramma nella tragedia. Dove metti undici corpi, in attesa del funerale? È una pietà, a vedersi». E poi ci sono anche i sopravvissuti con cui bisogna parlare, rincuorare: «Racconti disperati, quando ti descrivono come hanno visto annegare i loro familiari, i loro bambini. Ti parlano e intanto pensi al mondo là fuori che sai che di tutto questo non conosce nulla. Un mondo che si immagina che qui ci difendiamo dall’invasione dell’Africa. Ignoranza spesso mistificata dalla propaganda politica».
Per questo il sindaco di Lampedusa considera «straordinaria la visita del pontifice». E straordinari sono i lavori per accoglierlo: «Tra oggi e domani demoliremo i muri del campo sportivo. È necessario, altrimenti non riuscirà a contenere la grande massa che assisterà alla Messa», prosegue il primo cittadino delle Pelagie. «Il pontefice del resto – aggiunge – ha scelto dei luoghi simbolici: il campo sportivo che oltre ad essere vicino al "cimitero" delle "carrette" dei migranti è quel quadrato dove furono concentrati i profughi quando il centro d’accoglienza venne temporaneamente chiuso. Il campo sportivo è inoltre vicino alla sede dell’area marina protetta che nel 2011 ospitò i migranti minorenni».     Proprio l’Area marina protetta delle Pelagie donerà al Papa un piatto ricordo. I preparativi sono frenetici a Lampedusa dove gli operai comunali si stanno occupando della posa di nuovo asfalto per rattoppare tutte le buche lungo il percorso seguito dal pontefice. Pronto anche il piano della viabilità. E l’Enac informa che saranno incrementati i voli da e verso l’isola. Nessun disagio però. Anzi tanta gratitudine. «La Chiesa non deve chiedere scusa di niente. Papa Francesco – conclude Giusi Nicolini – viene proprio per questo, per levare la maschera a un dramma».
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La caduta di Morsi divide i giovani musulmani italiani
Corriere della sera, 05-07-2013
Omar Abdel Aziz
Alle 21.20 di ieri sera la notizia: Morsi viene destituito. Un silenzio pesante cala su Facebook e sui telefoni che fino a poco prima squillavano. Non ci sono più sms in whats up dove amici discutevano di Morsi, chi a favore e chi contro. Dopo, poco a poco, tutto sembra rianimarsi: un’amica, Sara Sayed mi chiama: “Hai visto? l’hanno fatto cadere i militari” mentre altri dicono: “Morsi paga i suoi errori, w il popolo egiziano”. La caduta del presidente egiziano, ad un anno dalla sua elezione, divide i giovani musulmani: C’è chi piange e chi esulta, chi non sa che dire e crede che Morsi abbia sbagliato ma che un governo dei militari sia davvero inaccettabile: una babele di opinioni, pensieri e considerazioni che animano i giovani musulmani d’Italia.
    “Morsi non ha fatto niente per l’Egitto – dice Sami Samarli -: al posto di fare discorsi senza senso, Morsi doveva proporre soluzioni per il Paese”.
     Gli risponde a stretto giro Sara Andil: “L’economia egiziana si stava risollevando e poi se in trent’anni di dittatura l’Egitto è stato distrutto economicamente, come si poteva pensare di sistemare tutto in un anno? Bisognava dare più tempo a Morsi”.
Lo scontro però tra le diverse posizioni non si limita soltanto all’economia del Paese ma è anche generale: tra chi sostiene i Fratelli Musulmani e chi è no. Su questo Omar Afifi è netto: “Morsi ha diviso il Paese”.
    “I Fratelli Musulmani non hanno saputo governare”
E’ della stessa idea anche Khaled Al Sadat: “Se nello svolgere una mansione uno non è più capace bisogna intervenire” e spera che “Dio dia il meglio all’Egitto”. Non è d’accordo Karim El Sayed:
    “Morsi è ancora il presidente di tutti gli egiziani, eletto democraticamente. E’ un golpe dei militari, un golpe inaccettabile”.
“E’ vero - dice Mosaab Hamada-  ma  Morsi ha fatto grossi errori”. Sdrammatizza tutto Omar Kudsi con una battuta amara: “Giusto per ricordarvelo: Egitto 2 -Siria 0″



Immigrazione, omicidio nel Cara fermati due migranti afghani
Avrebbero scatenato la rissa tra i moduli del centro, mercoledì notte, e ucciso il 26enne di origine kurda
la Repubblica, 05-07-2013
FRANCESCA RUSSI
Sono due i migranti, di nazionalità afghana, fermati per i disordini al Centro di accoglienza richiedenti asilo di Bari. La Squadra mobile della questura di Bari ha bloccato i due, le accuse nei loro confronti sono di omicidio aggravato e rissa aggravata.
Avrebbero scatenato la rissa tra i moduli del centro, mercoledì notte, e avrebbero poi ucciso il 26enne di origine kurda. Nel corso degli scontri altri tre ospiti sono rimasti lievemente feriti. La rissa ha visto contrapposti un centinaio di immigrati appartenenti in particolare a etnia curda, afghana e pakistana.
Dall'autopsia sul corpo del giovane, eseguita dal dottor Biagio Solarino, è emerso - si è appreso - che a ucciderlo è stata una unica coltellata al cuore.
Tra i moduli del Cara al momento ci sono 1304 richiedenti asilo. La capienza, però, sulla carta è di 744. Praticamente 600 persone in più. Una convivenza difficile se si pensa che gli stranieri appartengono a 37 differenti nazionalità. Gli afghani e i pakistani sono i più numerosi, rispettivamente 224 e 502. Poi ci sono gli africani: i somali, 112 tra cui 14 donne e gli eritrei, 134 di cui 19 donne. Seguono gli irakeni, 76, i nigeriani, 35 e gli etiopi, 34.



Prorogati al 31 dicembre 2013 i termini per l’assunzione di lavoratori formati all’estero e per la conversione dei permessi CE per lungo soggiornanti rilasciati da altro Stato Ue.
Lo rende noto la circolare congiunta del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 giugno scorso.
Immigrazioneoggi, 05-07-2013
Tempo in più per l’ingresso di lavoratori extra Ue formati all’estero e per chi, in possesso di un permesso CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un altro Paese Ue, deve convertire il proprio permesso in uno per motivi di lavoro subordinato o autonomo per potere lavorare in Italia. A renderlo noto la circolare congiunta del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 giugno scorso che proroga alla data del 31 dicembre 2013 il termine ultimo inizialmente fissato al 30 giugno 2013.
Per quanto riguarda l’assunzione di lavoratori extraue formati all’estero, la proroga, dichiara la circolare, è stata concessa poiché la quota di 4.000 ingressi per questi lavoratori, stabilita dall’art.2 del D.P.C.M. del 13.03.2012 ai sensi dell’art.23 del Testo unico sull’immigrazione, risulta essere stata utilizzata in modo estremamente ridotto (appena il 7% della disponibilità).
I datori di lavoro interessati possono presentare le domande di assunzione inviando per via telematica la richiesta di nulla osta al lavoro attraverso il Modello B-PS disponibile sul sito del Ministero dell’interno. I lavoratori stranieri che possono essere assunti attraverso tale canale sono i lavoratori residenti all’estero che abbiano completato appositi programmi di istruzione e formazione nei Paesi di origine e che, conseguito il relativo attestato di frequenza, siano stati inseriti nelle  liste istituite presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Stessa data anche per chi, per potere lavorare in Italia, deve convertire il proprio permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro Ue in  un permesso per motivi di lavoro subordinato o autonomo. Anche in questo caso, poiché le quote riservate dal D.P.C.M. del 16 ottobre 2012 per la conversione di questi permessi in permessi per lavoro subordinato (500) e quelle per la loro conversione in permessi per lavoro autonomo (250) sono state scarsamente utilizzate (nella misura rispettivamente del 50% e del 5% circa) il termine per la presentazione delle domande è stato prorogato al 31 dicembre 2013. In questo caso le domande vanno presentate utilizzando il Modello LS per la conversione in permesso di lavoro subordinato, il Modello LS2 per conversioni in lavoro autonomo, il Modello LS1 per la richiesta di nulla osta al lavoro domestico disponibili sul sito del Ministero dell’interno.
(Maria Rita Porceddu)

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