La tratta e le sue vittime


Laura Priore
Un anno di servizio civile in un progetto di accoglienza per vittime della tratta ha significato venire a contatto con donne, provenienti in prevalenza dalla Nigeria, spesso molto giovani, sfruttate sulla strada a seguito di promesse, minacce, violenze, ma che con coraggio, e spesso per disperazione, non si arrendono e decidono di chiedere aiuto e cercare una via per riconquistare la propria dignità e riprendere in mano la propria vita.

Per queste donne l'articolo 18 del T.U. sull'immigrazione rappresenta un'occasione per emanciparsi dalla condizione di sfruttamento e tentare di realizzare una qualche forma di integrazione. Accettando di iniziare un impegnativo percorso di protezione e di inserimento sociale, le vittime potranno ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari che,  in presenza di contratto di lavoro, può essere convertito in un normale permesso di soggiorno. Questo è l'obiettivo. Questo è il motore per rimettere in discussione tutto ciò che hanno vissuto, affrontare le paure, raccontare la propria storia, rivivere le proprio sofferenze, denunciare i propri sfruttatori, superare le fatiche di un percorso non facile, durante il quale, per motivi di sicurezza, la loro libertà è comunque ridotta. e  durante il quale è necessaria molta tenacia per affrontare sia  la convivenza nelle strutture di accoglienza, sia i tempi burocratici, spesso molto lunghi, che sembrano allontanare l'effettiva riconquista dell'autonomia. E molta, moltissima pazienza è richiesta alle donne per quanto riguarda il loro inserimento lavorativo: dopo periodi di formazione, volti all'acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro, dopo borse lavoro e tirocini, pur se affrontati con impegno e serietà, la stabilità lavorativa resta spesso un miraggio, e questo fatto ostacola l'effettiva possibilità di vedere realizzate le proprie aspettative. Ma soprattutto rappresenta il rischio di perdere ancora una volta tutto, in primo luogo la cosa più importante: vivere in modo regolare nel nostro Paese.
La scelta di iniziare un simile percorso è fortemente condizionata dalla capacità da parte dell'operatore di instaurare un rapporto di fiducia con le donne, che le metta in condizione di superare non solo la diffidenza ma anche la grande paura dovuta ai rischi a cui espongono se stesse e le famiglie in patria. Ma il punto cruciale – la fatica dell’operatore  e la temerarietà della sua impresa, tanto più per chi, come chi scrive, vi si misurava per la prima volta – consiste nel poter offrire una chance a chi, finora, non ne ha avuta alcuna.


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