Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 gennaio 2014

A Ponte Galeria ancora bocche cucite per protesta
Protagonisti tredici migranti, tutti di nazionalità marocchina
La scintilla: la notizia di alcuni connazionali liberati a Caltanissetta
l'Unità, 27-01-2014
Jolanda Bufalini

«Perché siamo qui?», non riescono a capire perché siano stati rinchiusi, senza aver compiuto alcun reato, in un luogo che non è un carcere maè peggio. E non sanno per quanto tempo ci resteranno. ll Cie di Ponte Galeria, Centro di identificazione ed espulsione. Che significa «trattenuto», «proroga», «convalida», parole intraducibili coniate dalla burocrazia di un paese sconosciuto? È una situazione che fa impazzire, che fa ammalare, è una incertezza senza fine, spiega Valentina Brinis che a Ponte Galeria è
andata con Valentina Calderoni e Luigi Manconi, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani. Sono in 15, di nazionalità marocchina, 13 di loro si sono cuciti le labbra,come fu anche alla vigilia di Natale. Ma non sono gli stessi di Natale. Il capo della protesta di allora è stato rimpatriato un paio di settimane fa, adesso il portavoce non ha le labbra cucite. Altri particolari li racconta Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio: nove di loro sono arrivati al Cie direttamente da Lampedusa, il viaggio nel barcone, con tutto quello che si può immaginare, con il rischio del naufragio, di affogare. E, prima, sembra che alcuni di loro abbiano fatto tappa in Libia, dove sono stati trattati come schiavi, come bestie. Hanno già conosciuto l’inferno, le vessazioni dei trafficanti che li hanno traghettati fino alle nostre coste.
Avrebbero bisogno di tutto, di assistenza fisica e psicologica, di avviamento, di conoscere i rudimenti su come funziona il paese dove sono sbarcati. Invece sono chiusi in un non luogo che faticano a comprendere.
Poi arriva la notizia, al Cie di Caltanissetta i loro connazionali, sbarcati insieme a loro a Lampedusa, sono stati «dismessi». Dismessi, che significa? Significa che sono usciti, sono liberi. Poco importa che in tasca abbiano un foglio di via e se non se ne andranno volontariamente potrebbero essere ripresi e rimpatriati forzatamente. Sei libero, una chancece l’hai.Lanotizia da Caltanissetta - racconta Valentina Brinis - è stata la scintilla, l’esasperazione si è trasformata in rivolta.
Khalid Chaouki, parlamentare Pd e coordinatore del gruppo interparlamentare sull’immigrazione, è appena arrivato a Strasburgo per il Consiglio d’Europa, dove si parlerà anche di queste problematiche, dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani. Spiega l’imbarazzo, la difficoltà di fronte a cui si troverà la delegazione italiana. È in programma, per il 13 febbraio, una relazione sulle condizioni nei centri di accoglienza e nei Cie in Italia: «L’Italia è già stata più volte condannata per violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani». Ora la delegazione italiana vorrebbe «prevenire nuovi attacchi», «è certo un bene che il Consiglio d’Europa vigili ma è anche importante riuscire ad evitare, come paese, una nuova condanna». La situazione di Ponte Galeria è «il frutto di una  indifferenza che dura da dicembre», quando Chaouki si rinchiuse volontariamente nel centro di Lampedusa, per raccontare a tutti le condizioni di cattività ed esasperazione. Il problema è «la lentezza » delle procedure, che possono portare a una conclusione diversa il percorso di chi è al Cie. A Ponte Galeria sono ancora rinchiusi «Giulietta e Romeo» tunisini, la ragazza perseguitata dalla famiglia fino alla tortura, per la contrarietà al matrimonio con il suo «Romeo». Eppure, nel loro caso, il giudice ha stabilito «una proroga del termine di rimpatrio».
L’autorità giudiziaria si è mossa ma non sono seguiti atti concreti. Casi diversi, conclusioni diverse. Alcuni dei rinchiusi
avrebbero diritto al permesso umanitario, altri dovrebbero essere rimpatriati.
Ma le autorità diplomatiche di alcuni paesi, tunisine, nigeriane, non si muovono volentieri e non sono sollecitate adeguatamente dal Viminale. La legge prevede che, per chi è incarcere, l’identificazione avvenga lì. Invece anche i carcerati finiscono al Cie.Esi crea una promiscuità e una gerarchie, in cui chi viene dalla scuola del carcere è un leader naturale.
Le notizie da Ponte Galeria sono frammentarie e contraddittorie, in parte arrivano dalle delegazioni per i diritti umani, dalle Ong come «FateCIEntrare », altre da qualche telefonata clandestina.
Per paradosso, dice Chaouki, «in carcere, ci sono più garanzie». Una gestione già pessima che peggiorerà, si risparmia sui Cie con gare al massimo ribasso, come è appena avvenuto a Ponte Galeria. Forse si risparmierebbe di più chiudendoli: «Solo il 40% dei rinchiusi nei Cie - spiega Valentina Brinis - viene rimpatriato, quantità che corrisponde all’1 per cento degli stranieri  irregolari in Italia».



I migranti di Ponte Galeria, nella capitale: da Natale non è cambiato nulla
“Peggio che in carcere” Nel Cie torna la protesta delle bocche cucite
la Repubblica, 27-01-2014
Lorenzo D’Albergo
ROMA — Youssef, Karim, Aziz. Lassaad, Rachid e gli altri della camerata numero 2. Nel cuore portano il ricordo dei compagni di sventura affogati nelle acque di Lampedusa e negli occhi le immagini delle violente proteste della primavera araba. Da venerdì sera parlano a gesti, usando le mani e mostrando i corpi piegati dai lavori massacranti a cui li hanno costretti gli scafisti libici che avevano promesso loro la libertà. Un termine che non è di casa nel centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, non luogo tutto sbarre e cemento armato piazzato nel nulla, alle spalle della nuova fiera di Roma e a pochi chilometri dall’aeroporto di Fiumicino. Stanchi di attendere novità sul loro futuro, venerdì 13 giovani marocchini sbarcati lo scorso 10 ottobre a Lampedusa e poi trasferiti nel Cie della capitale si sono cuciti la bocca. Poi, insieme ad altri 12 connazionali richiedenti asilo, hanno iniziato lo sciopero della fame e della sete.
Per sette di loro si tratta di una replica. Avevano già serrato lelabbra con ago e filo lo scorso 21 dicembre, rifiutandosi di mangiare e bere per interi giorni. Da Natale a oggi, però, non è cambiato nulla. Anzi, a far esplodere la tensione accumulata nelle ultime settimane è arrivata una notizia dal Cie di Caltanissetta. Lassaad Jelassi, portavoce del gruppo dei migranti in protesta, la riassume in una frase: «Quindici marocchini che si trovavano sullo stesso barcone dei tredici di Roma sono stati liberati». La voce si è diffusa velocemente nell’ala maschile e la protesta è diventata l’unica naturale risposta a quella che i giovani nordafricani di Ponte Galeria ritengono «un’ingiustizia. Ci sentiamo persone di serie C — spiega ancora Lassaad — neanche diserie B. Perché loro sono usciti e noi no?».
Una risposta la chiede Youssef Ajmani. Dalla bocca cucita esce solo qualche mugugno: «Ho 27 anni e nel 2012 sono andato in Libia per fare il meccanico. Poi mio zio mi ha detto che c’era bisogno del mio aiuto da lui, in Francia. Potevo cambiare la mia vita… invece ho visto affogare donne e bambini. I miei amici erano sul barcone davanti al mio, quello che si è rovesciato». Poi ci sono Aziz Jaheouiui, 30enne con un solo rene e bisogno di continue cure, e Karim Mojiane, pittore di 25 anni. La sua terra promessa era Bruxelles, dove ad attenderlo c’è il fratello della madre. «I miei genitori sono morti anni fa —racconta — e ho atteso per anni di raggiungere i parenti in Belgio. Nel frattempo mi sono diplomato in arte. Adesso? Gli altri sono liberi e io chiuso in questo posto».
Un centro da 360 posti lettodove si dorme in camerate da otto persone con le mura scrostate e il tempo si dilata a dismisura. «È peggio di un carcere», ripetono quei 20enni che una cella vera, fino allo sbarco in Italia, non l’avevano vista mai. «Siamo tutti puliti — spiega Lassaad — e qui stanno rubando mesi della nostra vita. L’unica nostra colpa è quella di essere nati nella parte sbagliata del Mediterraneo».
A cercare di rendere meno pesante la detenzione sono i dipendenti della cooperativa Auxilium, la società diretta da Vincenzo Lutrelli che gestisce il centro. Anche loro ora chiedono chiarezza sui loro tempi di permanenza. Proprio come il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: «È evidente che il tempo della politica scorre molto più lentamente rispetto a quello di queste persone, passate da un’immigrazione difficile a luoghi con pochissima dignità come i Cie». «Quelle gabbie sono indegne — attacca il deputato Pd Khalid Chaouki — e già a dicembre avevamo denunciato le condizioni in cui vivono questi ragazzi, ma nessuno si è mosso. Ora spero che il sindaco di Roma pretenda un intervento rapido, così come il governo Letta che non può essere complice di questa disattenzione». Anche il senatore Pd Luigi Manconi chiede la chiusura dei Cie: «Identificano ed espellono una piccola parte di coloro che trattengono, sono costosi e inefficaci e mortificano la dignità delle persone. Se lo vuole, con una sola norma, il Parlamento può ridurre drasticamente quell’inutile tempo di permanenza».



Bocche cucite e rifiuto del cibo Nuova protesta al Cie di Roma
Il Viminale ai prefetti: centri saturi, trovate altre strutture
Corriere della sera, 27-01-2014
Alessandro Capponi, Rinaldo Frignani
ROMA — Usare lo stesso ferro per tutte quelle labbra «non è una buona idea», diceva Adiel infilandosi nella fila di chi aspettava di cucirsi: ma quelli niente, sabato sera sono andati avanti a trafiggersi, a chiudersi la bocca con lo spago colorato, e a passarsi l’ago insanguinato.
Quando al Cie di Ponte Galeria arriva il senatore pd Luigi Manconi, in questa assolata e gelida domenica mattina, quei tredici con la bocca cucita sono attorno a un tavolo all’esterno, con le sbarre che circondano l’area, tutta, e poco più in là il niente, la campagna, un’ombra di mare. Al di là dell’ingresso, in una stanza che s’affaccia sul corridoio delle camerate, ci sono Alia e Alì, sposi tunisini fuggiti dai fratelli di lei, salafiti: hanno preso il mare e sono arrivati a Lampedusa, poi li hanno portati in questa struttura di cemento e ferro, materassi in terra, piccole torri di rotoli di carta igienica, le donne a destra e gli uomini a sinistra, divisi; i due sposi, come tutti qui dentro, aspettano di capire quale destino li attende: ed è un’attesa vuota, «neanche i libri possono entrare, neanche le penne», e così non c’è neanche un’attività, niente da fare, mai, «era meglio morire in mare — dicono — era meglio non nascere».
Quei tredici con le labbra cucite sono marocchini, tutti o quasi della camerata A2, insieme ad altri venti sono in sciopero della fame: una parte, più della metà, a Natale s’era già chiusa la bocca in quel modo, «ma da allora non è cambiato niente e invece dal Cie di Caltanissetta alcuni sono usciti (hanno avuto il foglio di via, ndr ) e noi stiamo qui ad aspettare, bene, ma quanto tempo ci vuole?». «Tanto, troppo — spiega Manconi —: statisticamente, ogni 100 persone 39 vengono espulse nei primi 45 giorni, la maggior parte degli altri rimane per tutto il tempo, cioè i 18 mesi previsti dalla legge, il cui unico effetto è quello di infliggere una pena mai comminata da alcun tribunale. Intervenga il Parlamento, basta una legge». Che ci sia un’emergenza lo testimonia pure la circolare del ministero dell’Interno, inviata ai prefetti: «Massicci sbarchi di cittadini stranieri che nel 2013 si sono più che triplicati rispetto all’anno precedente, raggiungendo un numero totale di 43 mila arrivi». Le strutture non bastano, ne servono altre perché già da adesso «in Sicilia, Puglia e in altre regioni» altri posti sono stati attivati «in considerazione dell’avvenuta saturazione dei centri». E così si chiede ai prefetti di trovare strutture, «preferibilmente non alberghiere».
Le reazioni politiche quasi non si contano. Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini: «Esauriti tempo e soldi, rimandiamoli a casa loro». Khalid Chaouki, deputato del Pd: «Gli animali sono trattati meglio. Ne va dell’immagine dell’Italia ma il ministero dell’Interno nega il problema Cie, non si assume la responsabilità davanti alla tortura psicologica, alle strutture inadeguate, al tempo di permanenza indefinito. Se a queste persone dovesse succedere qualcosa di grave la responsabilità sarebbe di Alfano. Faccio appello al prefetto, e chiedo al sindaco di far sentire la sua voce». Il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: «La politica ha tempi lenti, diversi da quelli di chi è rinchiuso nei Cie, luoghi senza dignità». Il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, Sel: «Vergogna indegna del Paese». A sera, il direttore del Cie Vincenzo Lutrelli ha la voce stanca: «Abbiamo uno staff medico che li segue, la protesta è legata all’incertezza dei tempi di permanenza: alcuni hanno saputo di immigrati mandati via dal Cie di Caltanissetta e hanno ricominciato a cucirsi, come a Natale». Per la Cgil «da allora non è stato fatto nulla, è una vergogna».



Bocche cucite
Cie, nuova protesta: “Presi in giro”
il Fatto, 27-01-2013
Silvia D’Onghia
Passerella dei politici, visita degli ambasciatori, sdegno dell’Italia e del mondo, nuova interminabile discussione sulla Bossi-Fini. E un mese dopo? Non è cambiato assolutamente nulla. E così sabato mattina tredici immigrati marocchini reclusi nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, hanno ricominciato lo sciopero della fame. Protesta che si è trasformata dopo 24 ore nelle bocche cucite che avevamo già visto, appunto, alla vigilia di Natale. Ai tredici se ne sono aggiunti altri e ieri sera a non ritirare il pasto fornito dall’amministrazione sono stati in 33. Erano arrivati tutti a Lampedusa a fine ottobre, qualche giorno passato nel Centro di accoglienza di Contrada Imbriacola e poi il gruppo era stato smistato tra Roma e Caltanissetta. “Tre giorni fa hanno sentito per telefono i compagni di viaggio che erano stati mandati in Sicilia – racconta Gabriella Guido, portavoce della campagna LasciateCie entrare, che sabato mattina ha fatto visita ai migranti a Ponte Galeria – e hanno scoperto che sedici di loro sono stati fatti uscire con un foglio di via”. Sono stati cacciati dall’Italia, non dovrebbero essere contenti. “E invece si sono chiesti perchè ‘loro sì e noi no’ – prosegue Guido –, perchè i tempi sono diversi da Prefettura a Prefettura e quando potranno vedere anche loro le porte del Cie aprirsi”. Di tutti gli immigrati che si sono cuciti la bocca, infatti, soltanto in due vorrebbero ricongiungersi ai parenti in Italia, gli altri sono pronti a varcare i confini nazionali.
COSA ASPETTIAMO dunque a lasciarli andare? Non si sa, anche perchè da qualche mese il ministero dell’Interno mantiene operativi solo cinque Centri di identificazione e di espulsione e neanche questi a pieno regime. Secondo il Garante dei detenuti del Lazio, a Ponte Galeria ci sono 100 migranti in tutto, 71 uomini e 29 donne. “A dicembre, dopo la protesta delle bocche cucite – racconta ancora Gabriella Guido –, sembrava ci potesse essere un’accelerazione nello smaltimento delle pratiche. Erano andati in visita anche i consoli marocchino e tunisino. Poi, però, tutto si è fermato di nuovo. Quei ragazzi, che hanno a mala pena 35 anni, si sentono presi in giro dall’Italia”. L’unico elemento pericoloso della protesta di dicembre, un imam che aveva già scontato in carcere una condanna a due anni e sei mesi per terrorismo, è stato espulso. A chi giova tenere dentro cento persone?
Naturalmente ieri si sono levate le proteste delle associazioni, che si battono per l’immediata chiusura dei Cie, e quelle dei parlamentari Pd Luigi Manconi e Khalid Chaouki, che a dicembre si era barricato nel Centro di Lampedusa insieme con i migranti. Entrambi hanno chiesto al ministro Alfano e al parlamento di intervenire con urgenza.
Ma non hanno taciuto purtroppo neanche i leghisti. Ha cominciato Oscar Danilo Lancini, il sindaco di Adro passato alla storia per il sole delle Alpi a scuola e poi arrestato per turbativa d’asta: “Ma qual’è (sic) lo choc? Se non gli piace l’itaGlia tornino a casa loro! ” ha scritto su Twitter. Ha finito il lavoro Matteo Salvini, sempre cinguettando: “Non si trovano bene. Non possiamo accontentarli? Tutti a casa! ”.



Immigrati, torna la protesta delle bocche cucite
Avvenire, 27-01-2014
Esplode per la seconda volta in un mese la protesta al Cie di Ponte Galeria, a Roma. Come accaduto già qualche giorno prima di Natale, 13 immigrati marocchini si sono cuciti la bocca per manifestare contro la prolungata permanenza in quella che in molti definiscono la "Lampedusa del Lazio". Tutti hanno deciso di cominciare anche lo sciopero della fame, al quale hanno aderito anche altri 20 connazionali.
Tra loro ci sono sette dei ragazzi che diedero vita alla protesta-shock di dicembre. Immediata monta la polemica politica con il deputato del Pd Khalid Chaouki - che proprio a dicembre scorso passò diversi giorni al Cie di Lampedusa dopo le terribili immagini del Tg2 - che invita il ministro Alfano a dare una "risposta urgente a tutti gli immigrati abbandonati nel Cie romano e costretti per disperazione a tornare a compiere gesti pericolosi per la loro incolumità". Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, affida ai social network una provocazione: "Ci risiamo: 13 marocchini ospiti del Cie di Roma si sono cuciti la bocca per protesta, non si trovano bene - scrive -. Non possiamo accontentarli? A che ora parte il primo aereo per il Marocco? Tutti a casa, abbiamo esaurito pazienza e soldi".   
Ieri mattina una delegazione della Commissione Diritti umani del Senato, guidata da Luigi Manconi, ha fatto visita alla struttura che sorge tra Roma e Fiumicino. Secondo quanto ricostruito, la decisione di cucirsi le bocche sarebbe arrivata dopo aver appreso la notizia che alcuni connazionali a Caltanissetta avevano ottenuto il permesso di lasciare il centro con l'ordine di allontanarsi dal territorio italiano entro sette giorni. "I Cie - sottolinea Manconi - non servono allo scopo per cui sono nati: identificano ed espellono una piccola parte di coloro che trattengono, sono costosi e inefficaci e mortificano gravemente la dignità delle persone. Se lo vuole, il Parlamento in poche ore, e con una sola norma, può ridurre drasticamente quel tempo di permanenza così inutile e iniquo". L'episodio di oggi riporta alla ribalta le condizioni di permanenza nei Centri di Identificazione ed Espulsione, non solo a Roma, ma in tutta Italia.
Gli immigrati in alcuni casi rischiano di restare all'interno della struttura per 18 mesi in condizioni, talvolta, precarie. "Il loro è un gesto estremo per richiamare l'attenzione della politica, della stampa, delle associazioni", spiega la portavoce della campagna LasciateCIEntrare, Gabriella Guido. Situazioni analoghe si registrano anche a Gradisca, in Friuli Venezia Giulia, a Milano e a Torino, dove alcuni consiglieri di Sel hanno presentato una proposta di mozione per chiudere la struttura di Corso Brunelleschi. La richiesta di chiusura di Ponte Galeria è arrivata nuovamente anche dal Campidoglio, per voce del vicesindaco, Luigi Nieri. "La nuova clamorosa protesta - spiega - conferma, una volta di più che si è perso e si sta continuando a perdere tempo prezioso per mettere fine a una vergogna indegna del nostro Paese". E per sabato 15 febbraio è previsto, proprio al Cie di Ponte Galeria, un corteo di protesta indetto dalle Reti antirazziste e i Movimenti per il diritto all'abitare.



Tra buonismo e scorrettezza: perché è difficile parlare di migranti?
Corriere.it, 27-01-2014
Alessandra Coppola
Mea culpa. Percepisco anche io, nel complesso del nostro blog La Città Nuova, un abuso di luoghi comuni che alcuni commentatori (ossessivi) hanno gioco facile a definire “buonisti”, “radical chic”, “ipocriti”. Lo capisco.  Leggo sui giornali francesi l’attrazione liberatoria che affolla gli show antisemiti di Dieudonné. Non un pubblico di neonazi, ma studenti, classe media, internauti, gente comune (ne ha scritto anche Stefano Montefiori sul Corriere). Nico, 22 anni, iscritto a Giurisprudenza alla Sorbona, elettore della sinistra radicale, dice a Le Monde che la scoperta delle performance provocatrici del comico è stata per lui “uno choc brutale e salutare al tempo stesso” in una società “conformista, compassata e benpensante”.
    Si diceva una volta per la borghesia conservatrice e reazionaria, che i ragazzi del ’68 volevano “épater”, stupire, scandalizzare. Si attribuisce adesso, e non a torno, a una sinistra che si è fatta salottiera, che ha assaporato il gusto di caviale (o di prosciutto stagionato presidio slow food), ha percorso i corridoi del potere fino alla stanza dei bottoni, e lì s’è seduta, sulla poltrona di design, pretendendo di far lezioni di morale a un “popolo” che considera rozzo, mangiatore di spaghetti da discount, confinato in soggiorni Ikea davanti alla tv via cavo.
Il protagonista dell’ultimo libro di Antonio Scurati, Il padre infedele, parla di ”falso progressismo di sinistra”. Una riflessione semplice, ma illuminante.
Funziona allora per la destra di Marine Le Pen in Francia, e s’addice pure ai partiti che da noi vogliono cavalcare questa rabbia (la Lega ma anche il Movimento 5 Stelle) attaccare i paladini del politicamente corretto, che predicano dai loro appartamenti in centro, tenuti puliti da colf straniere. Se una ministra è nera africana, perché non si può dire? Se gli immigrati musulmani non si integrano, perché non si può scrivere? Se alcuni atteggiamenti, anche banali, ci danno fastidio – sputare a terra, invadere il pianerottolo, mangiare cibi puzzolenti in metropolitana – perché dobbiamo fingere che tutte le diversità sono belle e vanno rispettate?
    Perché il confine tra l’anticonformismo e il razzismo è sottile.
E nell’ansia di scrollarsi di dosso il perbenismo si finisce spesso per travolgere alcune conquiste fondamentali. Che saranno pure etnocentriche (un portato della nostra civiltà occidentale) ma che – dobbiamo essere tutti d’accordo su questo – ci hanno reso migliori, più adatti alla convivenza, più solidi, più liberi e più giusti. Pochi paletti essenziali. Dare dell’orango a Cécile Kyenge è razzista, sostenere che dobbiamo accogliere tutta la miseria del mondo, può essere miserabilista, discutiamone. Negare che in base alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali che abbiamo firmato dobbiamo assistere i rifugiati, è sbagliato. Dichiarare che “un clandestino ha più diritti dei disabili” (senatore leghista Gianluca Buonanno) è ricattatorio, e falso.
    Allora io dico: cerchiamolo un modo di parlare di stranieri, immigrazione, paure e disagi che non sia conformista. Ma con la consapevolezza che dobbiamo lavorarci, che la via è difficile.
La soluzione dell’invettiva, della provocazione, dello sbocco di pancia è semplicistica, non aiuta, anzi crea confusione e si presta solo alla propaganda, da entrambi gli schieramenti. Cerchiamolo un modo. Che parta però dai dati, dalle leggi, dagli studi. Che non sia una chiacchiera da bar, un sentito dire, un insulto. Perché altrimenti, francamente, dopo la soddisfazione di aver sfogato la rabbia e la frustrazione, che cosa avremmo ottenuto?

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links