Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 maggio 2010

ANCHE IL SANGUE È DOC?
l'Unità, 05-05-2010
Igiaba Scego

Il ministro degli Interni Maroni si è dichiarato contrario allo "ius soli", ossia alla concessione della cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia. Maroni è ministro dello Stato italiano però il suo partito, la Lega, fa un po' a pugni con questa parola "Italia". Preferiscono definirsi padani. Governano in Italia, ma di questa Italia non si sentono parte. Infatti il leader della Lega Umberto Bossi interpellato sulla festa per i 150 anni dell'unità del Paese ha definito la ricorrenza inutile e molti membri della Lega hanno dichiarato che «non parteciperanno alla festa per l'unità». Alla luce di queste dichiarazioni mi chiedo: l'Italia è di chi ci nasce, di chi la ama o di chi fortuitamente si è ritrovato con una goccia di sangue italiano nelle vene? E come si fa a capire qual è il sangue italiano doc? Va ad annate come il vino? Nel sangue italiano ci sono le tracce di tutti i popoli che si sono avvicendati nella penisola: come si fa a capire quale sangue è doc e quale non lo è? Vale di meno il sangue che porta le tracce africane delle truppe di Annibale? E quello mischiato con il sangue arabo e il sangue ebreo? È più italiano un uomo nato a Buenos Aires con trisavolo del Friuli che non sa nulla dell'Italia? O un giovane di origine cinese nato, svezzato e cresciuto in provincia di Varese? In politica c'è chi è miope su questa situazione dei figli dei migranti, ma c'è anche chi riflette e fa battaglie. Il finiano Fabio Granata del Pdl e il cattolico del Pd Andrea Sarubbi hanno presentato un testo che propone tra le tante cose il passaggio dallo "ius sanguinis" allo "ius soli" per i figli di genitori residenti in Italia da cinque anni. Il testo porta in calce il nome di cinquanta parlamentari di tutti i gruppi, salvo la Lega. Stanno cercando di portare i nuovi italiani al centro del dibattito politico. La demografia è dalla parte degli onorevoli Sarubbi e Granata. E anche il buon senso. ?

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IMMIGRAZIONE, IL CASO-DAVIDE SCUOTE IL NORD
Dopo la vicenda della mensa di Adro, un altro imprenditore denuncia: dov'è la politica?

Secolo, 05-05-2010
Luca Maurelli

ROMA. Un ragazzo peruviano frequenta le scuole italiane, dalle elementari al diploma, poi qualcuno gli comunica che deve andarsene. Espulso, cartellino rosso, per non essere riuscito a trovare un lavoro fìsso: come se di questi tempi fosse facile, anche per gli italiani. L'incredibile storia di Davide Rosales Munoz è un tipico esempio di gestione oscura e burocratica del fenomeno dell'immigrazione ed è stata raccontata ieri dal Corriere della Sera grazie alla denuncia di un illuminato imprenditore milanese, Arturo Artom, che guida un'azienda leader nel settore delle comunicazioni. Possibile che un ragazzo straniero, ma italiano a tutti gli effetti, dopo aver trascorso l'intera infanzia e adolescenza in Italia, debba essere cacciato per la cecità delle leggi italiane? Ed è possibile che a una storia del genere la classe politica, Pdl in testa, non sia interessata e ci si debba affidare alla denuncia di un imprenditore, che per puro caso ne è venuto   a   conoscenza grazie alla parentela della sua colf con la mamma di Davide? Sì, è possibile, soprattutto al nord, dove il tema dell'immigrazione   è spesso risolto con facili slogan demagogici o con formulette rapide sull'ordine e la sicurezza, mentre in Parlamento si discute, a fatica, una legge sulla cittadinanza che invece affronta il tema epocale dell'integrazione con una visione più lungimirante del fenomeno e della società moderna. «Da quando ho raccontato questa cosa sui giornali - racconta Arturo Artom- sono subissato di telefonate di persone che esprimono solidarietà al ragazzo e si mostrano increduli per questa storia. Sono queste vicende, vere, reali, che colpiscono la gente, che non si spiega come sia possibile cacciare dall'Italia un ragazzo italiano a tutti gli effetti. Noi imprenditori spesso ci imbattiamo in storie come queste, che danno l'esatta dimensione del fenomeno dell'immigrazione, al di là della necessità, giustissima, di garantire l'ordine e la sicurezza. Su questi aspetti il governo, la maggioranza, tutta la classe politica, dovrebbe interrogarsi, calarsi nella realtà e nello spirito con cui gli italiani vivono la presenza degli immigrati. Mano ferma con chi sbaglia, ma accoglienza con chi si integra», dice ancora l'ingegnere Artom. La sua iniziativa ricorda in qualche modo quella dell'imprenditore di Adro, in provincia di Brescia, che un mese fa raccontò con una lettera al sindaco leghista del piccolo comune bresciano di aver saldato il debito contratto da alcune famiglie del paese con la mensa della scuola che era costato l'esclusione di alcuni bambini dai pasti. Una vicenda che provocò molte polemiche e la scontata strumentalizzazione politica, ma che
evidenziò uno spaccato umano e culturale dell'Italia da cui emerge la capacità dell'imprenditoria "padana" di leggere (spesso meglio della politica) il polso della società italiana, nello specifico quella settentrionale.
«Io sono un imprenditore che ama rischiare, di quelli da "venture capital" per intenderci -prosegue ancora Artom - e in ogni settore nel quale entro con le mie aziende porto novità, perché cerco di leggere la situazione con occhi diversi. È la prima volta che dal punto di vista personale mi occupo dei problemi dell'immigrazione, capisco la complessità del fenomeno ma la mia proposta è: partire dalle piccole cose, risolvere i problemi specifici che di volta in volta si creano. Come quelli di un ragazzo che è peruviano solo sulla carta, che parla la lingua meglio di me e per il quale, in questi anni, sono stati spesi oltre centomila euro di soldi pubblici per la sua istruzione. E adesso lo Stato italiano gli chiede di andare via...». Storie di tutti i giorni, quella di Davide, ma tutto ciò accade mentre restanto grandi in Parlamento le distanze all'interno della maggioranza su un provvedimento che va nel segno dell'integrazione, come la proposta di legge sulla cittadinanza Granata-Sarubbi. Ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nella sua intervista alla Stampa, ha ricordato come anche il tema dell'Unità d'Italia impatti su quello della cittadinanza e dei nuovi italiani: «Una questione che nel Pdl viene vista come fumo agli occhi e mi fa mettere all'indice ogni volta che lo sollevo». Ma sollevare la questione, aggiunge il presidente della Camera, «non vuol dire mica perdere di vista la difesa delle legalità, la lotta all'immigrazione clandestina, la gerarchia dei doveri accanto a quella dei diritti. Significa se mai accorgersi che nei nostri contingenti di pace ci sono tanti ragazzi e ragazze i cui genitori non sono nati in Italia. Eppure sono lì a rappresentarci. Se la patria non coincide più con la terra dei padri, che cosa è la Patria?».
Sulla proposta dei finiani del Pdl di concedere la cittadinanza agli immigrati dopo cinque anni, anche ieri il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha ribadito la propria contrarietà: «Dieci anni di attesa sono giusti. E la cittadinanza deve essere un premio per l'integrazione, non uno strumento per raggiungerla». Riguardo l'introduzione dello ius soli, ossia la concessione della cittadinanza a chi nasce in Italia, spiega: «Io sono per lo ius sanguinis, soprattutto in questo momento storico» e alle critiche della Chiesa e in particolare di monsignor Marchetto sull'eccessiva asprezza della Lega in materia di immigrazione risponde: «Tempo fa gli attacchi di monsignor Marchetto mi dispiacevano, ora mi lasciano indifferente. Sono ideologici».








CITTADINANZA AGLI STRANIERI CHE COMPLETANO GLI STUDI

Corriere della Sera, 05-05-2010
Giangiacomo Schiavi

Se tredici anni di studi in Italia,  dalle elementari alle medie alle superiori, non bastano per ottenere la cittadinanza, che cos'altro dobbiamo chiedere a Davide Rosalez Munoz, il giovane peruviano di 23 anni che domenica 9 maggio perderà il diritto di restare nel nostro Paese e sarà espulso come clandestino? Non c'è giustizia, non c'è cuore e non c'è una ragione valida perché tutto questo debba accadere, come non c'è nessuna spiegazione in grado di giustificare i ghetti di autoesclusione nel quale vengono spinti tanti giovani stranieri (soltanto per l'anagrafe) che vivono da anni nel nostro Paese.
Non è una buona scuola di cittadinanza quella che l'Italia offre a Davide, arrivato a Milano nel 1990 con la mamma Maria, impiegata all'istituto Don Gnocchi: non si può lasciare continuamente in balia degli umori e della convenienza politica la negazione di un diritto che il resto dell'Europa riconosce con meno vincoli e meno anni di permanenza. Ha ragione il presidente della Camera Gianfranco Fini ad insistere affinché i requisiti per ottenere la cittadinanza vengano allineati a quelli di un Paese moderno con adeguati controlli linguistici e culturali: lui propone cinque anni per chi è nato qui, ma potrebbero essere anche sette 0 dieci, quel che conta è la volontà di chiudere al più presto una pagina del nostro Parlamento che crea soltanto inutili barriere burocratiche. La storia di Davide, raccontata ieri dal Corriere, ha spinto Enrico Letta, vicesegretario del Pd, a chiedere di adottare questo caso come simbolo per far ottenere la cittadinanza a chi studia nel nostro Paese. «Non è solo una questione di equità e di convenienza economica, è anche una questione di merito e riguarda la capacità di saperlo valutare correttamente». Dare la cittadinanza a chi ha completato un percorso di studi dovrebbe essere automatico.
Ci sono 500 mila bambini in Italia che potrebbero trovarsi nella stessa situazione di Davide: perché consegnarli al limbo ingiusto degli estranei? Anche la Lega dovrebbe fare una riflessione in più: si può dire che Davide, italiano da vent'anni, è un clandestino a bordo?









Ora Fini va in Albania a dare lezioni extracomunitarie

la Padania, 05-05-2010

L'integrazione degli immigrati albanesi in Italia, il fenomeno del "rientro" in Patria, le possibili ricadute positive sullo sviluppo dell'Albania. Se ne paria oggi e domani a Tirana, in Albania, nel corso di due appuntamenti promossi in collaborazione dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, la Caritas italiana, l'Ambasciata d'Italia a Tirana Protagonista il presidente della Camera Gianfranco Fini, in un colloquio con la presidente del parlamento albanese Jozefìna oba Topalli e il presidente nazionale delle Adi Andrea Olivero.









Una due giorni di studio a Tirana sull’immigrazione albanese in Italia promossa da Acli, Caritas italiana e l’Ambasciata d’Italia a Tirana.
Presenti anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ed esponenti del governo albanese.

ImmigrazioneOggi, 05-05-2010

L’integrazione degli immigrati albanesi in Italia, il fenomeno del “rientro” in Patria, lo sviluppo dell’Albania. Se ne parlerà oggi e domani a Tirana, in Albania, nel corso di due appuntamenti promossi dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli), la Caritas italiana, l’Ambasciata d’Italia a Tirana.
Le Acli sono presenti in Albania dal 2004, con progetti sviluppati dalla propria Ong Ipsia, dal Patronato Acli e dalle Acli lombarde in diversi ambiti d’intervento. Ai lavoratori albanesi che rientrano in Patria dopo un periodo di lavoro all’estero è rivolto in particolare il progetto di Ipsia e Caritas Italiana, co-finanziato dalla Cooperazione italiana, per promuovere le competenze acquisite dalle persone rientrate in Albania. Agli incontri, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni, parteciperanno il ministro del Lavoro e degli Affari sociali albanese Spiro Ksera, l’ambasciatore italiano Saba D’Elia, il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, il presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero, la presidente del parlamento albanese Jozefina Çoba Topalli.








Emigranti, tutte le parole per dirlo
Un dizionario sul grande esodo di ventisette milioni d'italiani: i trionfi, i dolori e gli insulti
Corriere della Sera, 05-05-2010
di GIAN ANTONIO STELLA

BALIE
«Sia la nutrice di mediocre grassezza, abitualmente sana e vigorosa senza deformità apparenti, piuttosto bruna, che bionda, non mai di capelli rossi: le donne di rossa capigliatura hanno d'ordinario una traspirazione cutanea assai fetida. Abbia bianchi ed interi denti, le gengive sode, le labbra vermiglie, l'alito dolce, non abbia la pelle scabra, sudicia, coperta da eruzione. (...) Sia la voce soave e bene articolata. (...) Sia accostumata, onesta, sobria». (Andrea Bianchi, Dello allattamento, 1833: le balie italiane all'estero furono decine e decine di migliaia).
DAGO
E forse il più diffuso e insultante dei nomignoli ostili nei Paesi anglosassoni, vale per tutti i latini ma soprattutto gli italiani e l'etimologia è varia. C'è chi dice venga da «they go», finalmente se ne vanno. Chi da «until the day goes» (fin che il giorno se ne va), nel senso di «lavoratore a giornata». Chi da «Diego», uno dei nomi più comuni tra spagnoli e messicani. Ma i più pensano che venga da «dagger»: coltello, accoltellatore, in linea con uno degli stereotipi più diffusi sull'italiano «popolo dello stiletto».
FUNERALI
«Come mai ai funerali italiani portano la bara soltanto in due?». «Perché i bidoni della spazzatura hanno soltanto due maniglie!». È il testo di una insultante vignetta anti-italiana pubblicata su un giornale australiano nel secondo dopoguerra e usata polemicamente come copertina dell'Italian Joke Book di Tommy Bocca-fucci. I due italiani raffigurati mentre portano un bidone da cui esce il braccio di un cadavere hanno la barba lunga, la faccia minacciosa, gli occhiali neri, l'aria dei malavitosi.
HANDICAP
Gli Stati Uniti, come spiegano Maurizio Eliseo e Paolo Piccione in Transatlantici, 2001, con la legge del 26 febbraio 1891 introducono norme «selettive e impietose» vietando l'ingresso a «ciechi, zoppi, gobbi, sordomuti, mutilati 0 deformi. Alle donne con bambini che non dimostrino di essere chiamate da parenti. Alle donne incinte non maritate 0 con prole senza marito. A chi è affetto da malattia nauseante 0 pericolosa per motivo di contagio». Una nuova legge votata dal Congresso il 20 febbraio 1907 «inasprì ulteriormente le norme istituendo severe visite mediche per l'accertamento delle persone "fisicamente e intellettualmente difettose"». Gli immigrati venivano dunque sottoposti a visite «psicologiche» con test mentali tipo: «Conti da 20 a 1 andando all'indietro».
HOLLYWOOD
C'è chi ha detto che Hollywood ha fatto fortuna su due figure: l'indiano che urla e l'italiano che spara. Certo è che l'Italic Studies Institute di New York, nel 2000, si prese la briga di esaminare 1.057 pellicole girate nella Mecca del cinema a partire dal 1928, cioè dall'avvento del sonoro, in cui qualcuno aveva fatto la parte dell'italiano. I film che davano di noi un'immagine positiva erano 287 (27 per cento), negativa 770 (73 per cento). Più in dettaglio, ricorda Ben Lawton nel suo saggio pubblicato nella raccolta Scene italoamericane, gli italiani criminali erano 422 (40 per cento) contro 348 (33 per cento) rozzi, bigotti, stupidi 0 buffoni. Eppure molti dei grandi protagonisti di Hollywood sono stati di origine italiana: da Rodolfo Valentino a Frank Sinatra, da Robert De Niro a Leonardo DiCaprio, da Frank Capra a Martin Scorsese, da Al Pacino alla straordinaria Anne Bancroft, il cui vero nome era Anna Maria Italiano.
PENTOLE
Da ogni centro della Calabria partirono centinaia di poveri diavoli rimasti senza risorse, quasi tutti con un numeroso seguito di familiari, portando a tracolla il badile e le pentole di cucina. Si presentarono ai valichi di frontiera ciascuno col regolamentare docu-mento nel quale si certificava che il titolare era un turista diretto a Nizza, oppure un signore che aveva la digestione difficile e si recava a Vichy per un breve periodo di cura. I gendarmi francesi per tre anni non fecero mai discussioni di fronte a quel documento, passarono tutti i disoccupati che salivano dalla Calabria con un plotone di figli che li seguiva, ciascuno con una pentola a tracolla. Dal gennaio del 1954 alla metà di dicembre del '57 entrarono in Francia 50 mila di questi turisti in cerca di lavoro. E, il lettore farà fatica a crederlo, in quegli anni, benché fosse così facile entrare regolarmente nel territorio francese, ci furono molti che varcarono la frontiera clandestinamente con una lunga marcia sui nevai della Vésubie e diedero a chi li guidò un compenso che era almeno cinque volte il costo di un passaporto. Furono 10 mila i calabresi che salirono fino a Ventimiglia per concludere questo assurdo contratto. (Tommaso Besozzi, «Il Giorno», 9 febbraio 1958.)
SCHIAVI
In Brasile i nostri emigranti furono chiamati spesso a sostituire gli schiavi neri dopo l'abolizione della schiavitù. Racconta Emilio Franzina nel saggio La terra, la violenza, la frontiera: «Un telegramma d'un fazendeiro brasiliano reclamava perfino un carico di giovanette italiane, dai 16 ai 25 anni, per surrogare le abolite schiave nella lavanda dei piedi ai padroni quando essi rientravano impolverati e stanchi dalle piantagioni del caffè».
TERZA CLASSE
La differenza tra le classi era enorme. Ci volle una legge, ai primi del Novecento, per costringere i transatlantici ad aver sale da pranzo per gli emigranti. Fino ad allora, raccontano ne II pane duro Oreste Grossi e Gianfausto Rosoli, «la distribuzione del cibo era fatta in maniera umiliante, senza l'osservanza delle elementari norme igieniche». Scrive nel 1910, nel libro L'assistenza sanitaria degli emigranti e dei marinai, il colonnello medico Teodorico Rosati: «Accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatto fra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, i nostri emigranti mangiano come i poverelli alle porte dei conventi. È un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovesciano le immondizie volontarie e involontarie di quelle popolazioni viaggianti».
WOP
«Wop» è stato uno dei soprannomi più comuni e più offensivi degli italiani negli Stati Uniti, dov'era pronunciato «uapp» così da suonare come «guappo». Era l'acronimo di «without passport»: senza passaporto. Condizione comune a molti, perfino in America, dove il boss dell'Anonima Assassini Albert Anastasia diceva che la mafia era riuscita in pochi anni a far entrare clandestinamente 60 mila portuali italiani a New York a dispetto del filtro di Ellis Island. Gli italiani espatriati senza passaporto, in oltre un secolo, sarebbero stati almeno quattro milioni.
XENOFOBIA
L'ostilità verso i nostri emigrati è stata pesante in molti Paesi del mondo. Basti ricordare che, come scriveva sul «Corriere della Sera» l'inviato Filippo Sacchi, nel luglio del 1925 i giornali australiani erano pieni di titoli sull'«invasione italiana» e che al «congresso dell'Australian Native Association», così forte da avere 50 mila «aderenti d'ogni ceto, specie industriale, commerciale e professionale», il presidente, mister Ginn, tuonò: «Che cosa è
questo improvviso intensificarsi del fiotto immigratorio? C'è forse qualche influenza in gioco? Qualche piano organizzato di penetrazione pacifica? Australiani, all'erta. Badate che la vostra apatia non prepari un terribile risveglio per i vostri figli. Noi non vogliamo che le condizioni sociali ed economiche dell'Australia siano minate da un inevitabile incrocio con gli stranieri, incapaci di sentire le nostre tradizioni, di rispettare la nostra bandiera». Il grande inviato raccontava che un quotidiano di Melbourne aveva titolato un articolo sulla nostra immigrazione: L'invasione delle pelli-oliva. E che al congresso delle donne «un'oratrice autorevole, nell'esortare le massaie australiane a non comperare frutta dai negozi italiani, anche se questi praticano prezzi più moderati, lamenta che dopo aver tanto fatto per difendere l'Australia ""bianca" dalla minaccia degli asiatici, "emigranti oliva continuano a stabilirsi nel Paese"».

Oggi a Udine
Quando la paura del diverso diventa il detonatore dell'odio
Dopo il successo dello spettacolo teatrale tratto da L'Orda (lo si trova nel Dvd che accompagna il libro II viaggio più lungo), ora approda sul palcoscenico un altro volume di Gian Antonio Stella: Negri, froci, giudea & co., edito lo scorso anno da Rizzoli. Lo stesso Stella, accompagnato dalle musiche di Gualtiero Bertelli, è la voce narrante dello spettacolo, che va in scena oggi a Udine (ore 21) al Teatro Nuovo «Giovanni da Udine». L'evento apre la sesta edizione del festival «Vicino/Lontano. Identità e differenze al tempo dei conflitti», che si svolge nella città friulana fino a domenica 9 maggio. Alla manifestazione udinese partecipa domani la paladina delle donne iraniane Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, mentre sabato si tiene la cerimonia di consegna del premio Tiziano Terzani a Umberto Ambrosoli per il libro Qualunque cosa succeda (Sironi), dedicato alla vicenda del padre Giorgio. Tra gli altri ospiti del festival: Gherardo Colombo, Derrick de Kerckhove, Federico Fubini, Carlo Galli, Fabrizio Gatti, Loretta Napoleoni, Tommaso Padoa-Schioppa, Gianni Vattimo.








BARACCOPOLI A PAGAMENTO, UN ARRESTO NEL FOGGIANO

AGI, 05-05-2010

Foggia- Pagavano dai sessanta euro al mese in su per dormire in un magazzino di attrezzi agricoli su letti o materassi di fortuna e senza alcun servizio igienico. E' la baraccopoli scoperta dai carabinieri a Lesina (Fg) in localita' Bosco Isola, in una campagna dove il proprietario aveva adibito un capannone a dormitorio ospitando venti cittadini, uomini e donne, di origine rumena e bulgara. Gli stranieri, che lavoravano come braccianti nelle campagne della zona, vivevano in totale assenza di condizioni igienico-sanitarie. Stessa cosa anche per due piccole baracche realizzate con materiali di fortuna, e dove dormivano altri stranieri. Nel corso delle indagini e' emerso, che il proprietario, Aldo Di Gruttola di 56 anni, si era allacciato abusivamente all'Enel, rubando l'energia elettrica, causando in due anni un danno di oltre cinquecentomila euro e per questo e' stato arrestato con l'accusa di furto, mentre il capannone e le baracche sono state sgomberate.









Per l’Ocse, l’integrazione degli immigrati nell’economia italiana rappresenta “una storia di successo”.

“L’immigrazione sembra essere stata responsabile di una parte del considerevole aumento nei tassi di partecipazione in Italia”.
ImmigrazioneOggi, 05-05-2010

“Una storia di successo” così l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, definisce il processo di integrazione degli immigrati in Italia.
Secondo l’organismo, in Italia si deve all’arrivo dei nuovi cittadini sia parte dello sviluppo economico sia gli alti tassi di partecipazione a questo sviluppo.
L’Ocse, nel rapporto conclusivo sull’Italia del monitoraggio dei progressi in termini di riforme legislative ed economiche,  scrive che “dovrebbe essere riconosciuto che l’integrazione di un ampio numero di immigrati nella forza lavoro è stata una storia di successo per il mercato del lavoro italiano e l’economia. L’immigrazione sembra essere stata responsabile di una parte del considerevole aumento nei tassi di partecipazione in Italia, e quindi per la crescita del prodotto”.









Affitti alti a clandestini? E' reato di favoreggiamento dell’immigrazione aggravato dall’elusione fiscale

Studio Cataldi,04-05-2010   
Luisa Foti

Affittare a condizioni molto gravose dei locali ai clandestini integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12 d.lgs. 286/1998) con l’aggravante dell’elusione fiscale. Lo dice una recente sentenza del Palazzaccio: in particolare la prima sezione penale, con la sentenza n. 15646 depositata il 22 aprile 2010, ha stabilito che è assolutamente sproporzionato “il rapporto sinallagmatico sulla base dell’obiettiva condizione dell’alloggio e in rapporto al prezzo richiesto per ogni singolo posto letto”. Inoltre, per quanto riguarda il profitto ingiusto che aveva ricavato il ricorrente “è corretto ritenere che anche l’introito corrispondente alla sicura elusione fiscale che si realizza mediante locazione a soggetti che, per la loro condizione di illegalità nel territorio dello Stato non potranno mai chiedere la registrazione o la regolarizzazione del contratto locativo, contribuisca ad incrementare un profitto già di per sé ingiusto”. I giudici hanno poi aggiunto, in riferimento agli altri immigrati regolari presenti nell’appartamento, che non “può rilevare che in concreto, analogo profitto ingiusto sia realizzato anche a danno di stranieri non irregolari e perciò non profittando della loro condizione di illegalità sul territorio bensì soltanto di altre situazioni produttive di imparità nel rapporto negoziale, che pur non rilevando ai fini penali, nulla tolgono alla obiettiva sproporzione, e quindi ingiustizia, dei profitti i tal modo realizzati”.








Il fondamentalista della porta accanto

la Repubblica, 05-05-2010

MOHSIN HAMID
Sono a New York: l'altro giorno, a una festa, pensavo quanto fosse bello stare tra la gente senza paura di bombe.
A Lahore, la mia città, ogni volta che sono in un caffè e una macchina parcheggia vicino, ho paura che sia un 'autobomba. Riflettevo su quanto fosse bello non doversi preoccupare: poco dopo ho scoperto che Times Square era chiusa perché si era rischiata una strage. Il mondo ormai funziona così.
È bello raccontare che oggi New York è completamente normale: nessuno è spaventato, la gente è rilassata. È un segno molto positivo. È facile reagire in maniera eccessiva di fronte a questi episodi: è ciò che i terroristi vogliono. Non è stata una sorpresa scoprire che l'uomo fermato ha origini pakistane: purtroppo capita spesso che qualche pakistano sia coinvolto in atti di terrorismo. Ma oggi non dobbiamo parlare di un pakistano: dobbiamo invece parlare di un cittadino americano di origini pakistane. Sottolineo questo punto perché è importante: uomini come quello fermato ieri hanno passato buona parte della loro vita in Occidente ed è in Occidente che si sono avvicinati al radicalismo. Uno scenario come quello che ho descritto nel Fondamentalista riluttante.
Per capire le sue azioni dobbiamo mettere insieme i due fatti: la sua origine pakistana e il suo essere americano. È come una reazione chimica: c'è bisogno del sodio e del cloro per fare il sale. Il sodio da solo non fa il sale. Se ci concentrassimo solo sul Pakistan non capiremmo cosa è accaduto in questo uomo. Molte delle persone coinvolte in atti di terrorismo vengono da paesi con una forte maggioranza musulmana (Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Yemen) ma hanno vissuto a lungo in Europa o in America. La combinazione di queste due esperienze crea comportamenti simili a quelli dell'attentatore fallito di Times Square. Qual è l'elemento scatenante? Secondo me il fatto che queste persone fondono un background musulmano con un'educazione filosofica e politica occidentale: prendono la natura utopistica di una certa filosofia occidentale e la uniscono alle loro radici religiose. Il risultato sono degli ibridi.
Possiamo essere spaventati da loro o interpretarli come una reazione al mix di genti e culture che è tipico dei nostri tempi. Ci sono movimenti come la Lega Nord in Italia, il British national party in Gran Bretagna che si oppongono alla globalizzazione, all'integrazione e all'immigra-zione e sviluppano filosofie autoritarie. Poi ci sono uomini come il trentenne arrestato di New York, che sono l'altra faccia della medaglia: immigrati che rifiutano i paesi dove sono andati a vivere. Dobbiamo essere spaventati? No, dobbiamo capire che è un fenomeno dei nostri tempi. E che come la Lega Nord o il Bnp non sono la maggioranza così nonio sono queste persone. Parliamo di minoranze: non possiamo cambiare il nostro modo di vivere per loro. È quello che New York sta facendo: è una grande gioia per me vederlo.
(testo raccolto da Francesca Caferri)



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