Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 febbraio 2015

Sbarchi: a Lampedusa 179 profughi soccorsi da Guardia costiera
Due telefonate satellitari hanno segnalato la presenza di due gommoni in difficoltà al largo delle coste libiche
stranieriinitalia.it, 06-02-2015
Palermo, 6 febbraio 2015 - Sono arrivati oggi a Lampedusa 179 immigrati soccorsi ieri dopo che il Centro nazionale di soccorso della Guardia costiera di Roma ha ricevuto due telefonate satellitari che segnalavano la presenza di due gommoni in difficolta' al largo delle coste libiche.
La prima assistenza e' stata fornita da un mercantile che navigava in zona, l'"Ooc Cougar" che ha preso a bordo 80 persone e successivamente si e' diretto sul secondo gommone e ha prelevato gli altri 99 immigrati.
Nel contempo, nonostante le impervie condizioni del mare, sono partite da Lampedusa due motovedette della Guardia costiera che hanno imbarcato i profughi per poi dirigersi verso il porto di Lampedusa.



Australia, è legale trattenere richiedenti asilo in mare aperto per un mese
Storica decisione dell'Alta Corte australiana sul trattenimento di 157 profughi tamil in fuga dallo Sri Lanka e salpati dall'India. Lo scorso giugno furono intercettati da una delle navi che pattugliano le acque australiane e rimasero bloccati in mare aperto per più di quattro settimane. "Un comportamento corretto", dicono i giudici. In piena linea con la politica sull'immigrazione australiana, tra respingimenti di barche, detenzione per richiedenti asilo e soldi ad altri Stati (Nauru, Papua, Cambogia) per prendersi i profughi giunti in Australia.
la Repubblica, 05-02-2015
MILANO - L'Alta Corte si è pronunciata su una vicenda che da mesi sta polarizzando il dibattito sull'immigrazione in Australia. Con una decisione presa a maggioranza (4 voti a favore e 3 contrari), i giudici hanno dato ragione al Governo nella vicenda dei 157 richiedenti asilo tamil che lo scorso giugno, in fuga dallo Sri Lanka, sono salpati dall'India per raggiungere l'isola dei canguri. Intercettati dalla nave "Ocean Protector" a 16 miglia dalle Isole Christmas, cioè dell'atollo nel Pacifico che appartiene politicamente all'Australia, sono stati tenuti per oltre un mese in alto mare. "Agendo legittimamente", ha deciso l'Alta Corte.
Un mese in mare aperto poi la galera. Sull'imbarcazione, che fa parte della flotta messa in campo dall'Australia per bloccare gli ingressi illegali, ai detenuti erano permesse solo alcune ore di esposizione alla luce del sole e il Governo tentò in ogni modo, nonostante i profughi volessero chiedere asilo politico, di rimandarli in India. Alla fine, dopo oltre quattro settimane, l'Australia dovette accettare di trasferirli nel centro di detenzione dell'isola-stato di Nauru, la più piccola repubblica del mondo (21 km quadrati), in un'altra parte remota del Pacifico. Costo totale del braccio di ferro, ben 12 milioni di dollari australiani, 8.260.000 euro. Tuttora, i 157 si trovano qui, cioè in condizioni che l'Unhcr (www. unhcr. it) definisce di "arbitraria detenzione e non rispettose degli standard internazionali".
L'appalto del problema ad altri stati. Dal 1992 in Australia è infatti in vigore la detenzione obbligatoria per tutti i "non-cittadini illegali" e oggi sono 4.600 i richiedenti asilo detenuti, provenienti da Sri Lanka, Myanmar, Iran, Afghanistan, Pakistan, Iraq, Sudan, Somalia, Bangladesh e Siria. Da alcuni anni, in cambio di aiuti economici, Canberra ha iniziato ad appaltare la detenzione dei richiedenti asilo giunti sul suo territorio a paesi più deboli del continente, costruendo centri a Nauru e nell'isola di Manus, in Papua Nuova Guinea. Qui, dove i programmi di assistenza sono praticamente inesistenti, vengono portati i richiedenti asilo intercettati nelle acque australiane. Addirittura, il Governo sta per firmare un accordo con la Cambogia per fare la stessa cosa: 40 milioni di dollari per poter inviare dei richiedenti asilo nello Stato asiatico, che in base al patto dovrebbero essere accolti "in condizioni corrette".
Respinte 15 imbarcazioni. Il braccio di ferro verso i richiedenti asilo, che ha causato all'Australia un forte richiamo anche dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, arriva dopo che, nel settembre 2013, il premier Abbott ha vinto la campagna elettorale  al motto di "Stop the boats" ("Fermiamo le barche").  Proprio il 28 gennaio, commentando la sentenza sui 157 tamil, il generale Angus Campbell, a capo dell'operazione marittima di sorveglianza delle frontiere, ha rivelato che da quando è entrato in carica il nuovo Governo, sono state quindici le imbarcazioni intercettate e forzatamente respinte nei paesi di provenienza, soprattutto l'Indonesia.
Dal golfo del Bengala 54mila migranti in 11 mesi. "Noi comprendiamo - dice Adrian Edwards dell'Unhcr - la determinazione dell'Australia nel rispondere con vigore al traffico di persone e a voler dissuadere dai pericolosi viaggi via mare. Tuttavia, non si possono negare i diritti alla protezione internazionale, alla sicurezza e alla dignità". Secondo l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, sono 54mila i migranti che da gennaio a novembre 2014 hanno attraversato il Golfo del Bengala verso la Tailandia e la Malesia; una minima parte ha poi proseguito il viaggio fino l'Australia o l'Indonesia, attraversando l'Oceano Indiano e lo Stretto di Malacca. Il prezzo da pagare ai trafficanti è di 300-700 dollari per la prima rotta, 1500-3000 per la seconda; per i bambini, c'è pure lo sconto-famiglia: pagano la metà.



6 febbraio: la Giornata contro le mutilazioni femminili
 Avvenire, 06-02-2015
Venerdì 6 febbraio è la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. Dal 20 dicembre 2012 l'Onu, con una risoluzione approvata all'unanimità, ne ha dichiarato la messa al bando universale: ogni anno sono 3milioni le ragazze che vengono "tagliate".
Anche Amref lavora da anni contro la pratica drammatica. In Kenia, Egitto, Sudan e Mali Amref è impegnato con il progetto i «Riti di Passaggio aternativi» e ha raccolto le storie positive di alcune tra le oltre 4mila ragazze non più tagliate. Nel mondo sono 100 milioni le bambine e le ragazze che hanno subito la pratica delle mutilazioni genitali. Il 90% in Africa, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In Europa, secondo il Parlamento Ue, sono 500mila le donne che convivono con le mutilazioni genitali.  "Molti Paesi hanno formalmente proibito la pratica delle mutilazioni delle ragazze – afferma Tommy Simmons, fondatore della sezione italiana di Amref Health Africa - ma quando vanno ad incidere su usi e costumi tradizionali, molto radicati nell’identità stessa delle tribù, le leggi hanno un impatto molto moderato”.
La campagna viaggia anche sui social: in un video sulla pagina Facebook di Amref si vedono alcune ragazze ballare: non hanno subito la mutilazione genitale e la loro libertà di movimento va di pari passo con la libertà da una pratica dolorosa e dannosa.
In molte comunità tale pratica viene fortemente sostenuta sia dagli uomini che dalle donne, in quanto rappresenta formalmente il passaggio alla maturità delle ragazze e si ritiene dia loro un senso di orgoglio e di piena partecipazione adulta alla loro società. In realtà, questo rito di passaggio nell’immediato causa una ferita dolorosa ed insanabile nel corpo delle ragazze, spesso provocando altre ripetute e gravi conseguenze negli anni, con ogni gravidanza e parto, e nei fatti le rende elegibili al matrimonio ad una giovane età, creando la percezione dell’inutilità della loro educazione e della possibilità di mirare ad un futuro diverso da quello delle proprie madri.
Il problema esiste anche in Italia, dove sono "almeno 50 mila" le bambine vittime di Mgf secondo Plan, ente no profit internazionale impegnato nella tutela dell'infanzia. "Le Mgf seguono il flusso migratorio, per cui in Europa vi sono moltissimi casi e purtroppo l'Italia ne detiene il primato", spiega Plan che lancia il suo appello al governo: «Si impegni ad affrontare la sfida della riduzione ed eliminazione delle Mgf in Italia e in tutti i Paesi in cui vengono ancora praticate, mediante leggi e sanzioni rigorose per i trasgressori e l'istituzione di assistenza sanitaria gratuita per tutte le vittime che soffrono per le complicanze, favorendo, inoltre, la diffusione di informazioni sul tema insieme alla condivisione di esperienze che dimostrano l'efficacia dell'abbandono delle Mgf".
Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili è "una pratica crudele e disumana", che "va proibita ovunque senza esitazioni": lo afferma, in una lettera aperta in occasione della Giornata mondiale contro le Mgf, la deputata del Pd Giovanna Martelli, consigliera del premier Matteo Renzi in materia di Pari opportunità.



«No alla moschea», l’inno della destra italiana
La Lega Nord con Matteo Salvini. Forza Italia con Daniela Santanchè. E anche Forza Nuova. Sono i protagonisti delle proteste anti-islam che dilagano in Rete e chiamano a raccolta decine di gruppi per bloccare ogni tentativo di costruire centri di preghiera. Dalla Lombardia al Veneto fino alla Toscana
L'Espresso, 06-02-2015
Michele Sasso

La protesta è virtuale ma i raduni sono reali. L’inno «No alla moschea» affascina, aggrega e semina veleno. I peggiori slogan attraverso decine di gruppi via Facebook.
Un appello al Medioevo e alle crociate, facile e immediato, diventato verbo della destra italiana. In testa la Lega Nord e i gruppi di neofascisti di Forza Nuova che si organizzano con raccolte firme e picchetti per fermare la presunta invasione.
In Lombardia la maggioranza di centrodestra al Pirellone ha approvato una legge per mettere ogni paletto ai nuovi luoghi di culto.
A Crema nonostante il parere positivo del vescovo il dibattito in consiglio comunale si infiamma con l’arrivo  del leader della Lega Nord Matteo Salvini e la pasionaria forzista Daniela Santanché.
Proteste e manifestazioni anche in Veneto con Forza Nuova che espone striscioni davanti ai centri islamici.
Dopo la mattanza nella redazione parigina di Charlie Hebdo la confusione tra Islam e terrorismo è uscita dalle discussioni da bar ed è entrata direttamente nei talk show televisivi, nel dibattito pubblico e nei tanti dubbi di chi la vede come una minaccia alla cristianità.
Non perdendo la sua carica di ignoranza e facile razzismo come dimostrano le uscite dell’assessore veneto all’Istruzione e decine di episodi di intolleranza.
«Per la prima volta si apre uno spazio per l’estrema destra che ha tratti simili a quelli del fascismo.
Ci sono imprenditore politici che individuano questo spazio puntando contro immigrati, sicurezza, Islam e la povertà dilagante» ragiona Paolo Feltrin, politologo dell’Università di Trieste: «Il fuoco alle polveri è stato innescato da Salvini con maggiore radicalità di Marine Le Pen. Ecco il senso di politiche simboliche come quelle della Lombardia: non si scrive per farla applicare ma per farla rifiutare e dare la colpa allo Stato che la respinge. È un po' come le ronde e le norme per bloccare i negozi di kebab. Effetto immediato ma risultati zero. A parole c’è una violenza anti-immigrati ma in pratica non abbiamo assistito a veri episodi di razzismo. Un brutto muso di facciata, una soglia molto elevata delle parole ma bassa di fatti concreti».
Intanto ogni tentativo di sciogliere i nodi legati alle nuove costruzioni di centri islamici diventano un campo minato.
L’Islam è la seconda religione del Paese, i musulmani d’Italia sono più di un milione e settecentomila e da Palermo a Pordenone si contato oltre settecento moschee. Oltre a quella di Roma, disegnata da Paolo Portoghesi e in grado di ospitare 12 mila fedeli, sono perlopiù scantinati, magazzini, capannoni o luoghi nati per altri usi.
Spesso chi le frequenta è costretto a pregare in strada o affittare centri sportivi per la fine del ramadan, il mese sacro da onorare con il digiuno.
IL PEGGIO VIA FACEBOOK
L’Islamofobia dilaga sul web. Ecco i messaggi e le foto più significative usate dai razzisti di casa nostra: immagini di bambini con il fucile in braccio, slogan come «Ora o mai più, stop all’invasione islamica» o «Una chiesa in Islam? Ti taglio al gola se ci provi», oppure «Il turbante mi turba». Un crescendo di violenza verbale e odio fino sentenziare:«Quale Dio? Assassini, trogloditi sottosviluppati».
Tra le star delle nuove crociate il presidente russo Vladimir Putin: famoso per il pugno di ferro contro l’Islam della Cecenia e le sue parole contro la Sharia e i migranti.
In Rete sono decine le raccolte firme e perfino la sindrome Nimby tirata in ballo: acronimo di “Not In my back yard, Non nel mio cortile” tra i buoni motivi per opporsi.
Come se fosse un’autostrada o una discarica di rifiuti qualsiasi: «Costruire una moschea, comporta, più o meno evidenti conseguenze di degrado per l'area interessata, alcune sono ovvie altre sono comprovate da fatti di cronaca, altre ancora sono meno quantificabili. In ogni caso arriva crimine, traffico, svalutazione immobiliare, segregazione, inquinamento acustico» si legge nel pagina del movimento “Veri italiani”.
L’elenco di città unite nel rifiuto alla costruzione di centri islamici si allunga giorno dopo giorno: Crema, Cantù, Como, Sondrio, più ad est, Piacenza e Padova, i capoluoghi Torino e Genova.
E poi in Toscana con mobilitazioni a Pistoia e Pisa e l’affronto più grande: la costruzione in casa della scrittrice Oriana Fallaci, a Firenze.
Dietro la protesta le bandiere della Lega Nord, i club di Forza Italia e poi l’estrema destra. A Milano il raduno anti-moschea è organizzato dal gruppo di estrema destra Forza Nuova.
Previsto per lunedì 2 febbraio davanti a Palazzo Marino è stato annullato per il rischio di scontri e tensioni. Ecco la risposta al divieto: «I sinistri a regalare terre, spazi, luoghi (nostri ovviamente) ad ipotetiche moschee. I destri a vietare ogni concessione pubblica, però “se pagate tutto voi va bene”. Benvenuti Fratelli Musulmani, Quatar, Arabia Saudita, comprate, spendete, edificate moschee come volete».
PRESI DI MIRA IN VENETO
Lo stesso gruppo capeggiato da Roberto Fiore (un passato in Terza Posizione, una condanna per banda armata, la lunga latitanza e la simpatia per il fascismo) ha preso di mira i centri musulmani in Veneto.
Una serie di blitz notturni con gli attivisti di Forza Nuova che appendono striscioni di fronte ai luoghi di preghiera in tutto il Veneto: Treviso, Padova, Rovigo, Venezia, Verona e Vicenza nel mirino.
«Abbiamo vinto a Lepanto e vinceremo ancora. Fuori l'Islam dall'Italia!»: il riferimento storico è alla battaglia con cui, nel 1571, le forze della Lega Santa respinsero l'avanzata della flotta dell'Impero Ottomano.
Il copyright di Forza Nuova è ben visibile sullo striscione poi fotografato dai militanti del gruppo di estrema destra e diffuso in rete.
«Gli ultimi avvenimenti - attacca il coordinatore regionale Davide Visentin - dimostrano come la costruzione di moschee o di centri islamici non conduca affatto a un’integrazione della comunità musulmana ma contribuisca semmai a creare emarginazione e ghettizzazione, che nel giro di breve tempo maturano in pericolosi episodi di estremismo religioso. La gioventù d’Europa è pronta a una guerra anti-fondamentalista».
LA LEGGE ANTI-MOSCHEE
Anche la Lombardia sta facendo la sua parte in questa battaglia ideologica.
Il 27 gennaio il parlamentino di Milano ha approvato una nuova legge sui luoghi di culto- ribattezzata dall'opposizione “legge anti- moschee”- sollevando un vespaio: fortemente voluta dal Carroccio impone a chi intenda realizzare nuovi luoghi di culto di installare impianti di video-sorveglianza – obbligatori – collegati con le forze dell’ordine, di costruire parcheggi per una superficie pari al 200 per cento di quella dell’immobile adibito ai servizi religiosi e altri vari adempimenti.
Non è tutto: bisogna anche «rispettare il paesaggio lombardo» , che allude al divieto di realizzare architetture espressive di altre tradizioni culturali o forse manufatti come i minareti, che nella vicina Svizzera sono stati vietati da un apposito referendum.
E se tutti questi ostacoli sono superati a mettersi di traverso possono essere i comuni con referendum consultivi sulla costruzione di luoghi di culto.
Il messaggio della Lega Nord è chiaro come spiega il relatore della legge Roberto Anelli: «È stato compiuto un importante passo avanti per dire no alla proliferazione selvaggia, al di fuori di ogni regola, delle moschee. Non si tratta di ostacolare la libertà religiosa, ma di porre delle regole certe, per la salvaguardia dei cittadini».

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