Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Naufragi

 

Luigi Manconi
Il naufragio della Concordia suscita comprensibilmente orrore. Le vittime, i dispersi destinati a rivelarsi corpi senza vita, la notte di tregenda sulla nave che si inabissa hanno costituito gli elementi di un incubo che si è dipanato per ore e ore, proponendoci uno scenario da panico che ha innescato antiche e nuove angosce. 
E il fiato sospeso e lo sguardo attonito su ciò che si pensava non potesse accadere. E, tuttavia, questa più recente tragedia sembra confermare che il fiato sospeso e lo sguardo attonito non sembrano in grado di  andare oltre il perimetro della nostra comunità nazionale e di lasciarsi afferrare da chi sta oltre quel confine: gli extra-comunitari, appunto. Quel mare che ha sommerso le sei vittime della Concordia, ma il numero è destinato a crescere, è lo stesso mare che, centinaia di chilometri più a sud, nel tratto tra Lampedusa e le coste africane,  inghiotte quotidianamente altri, molti altri corpi. Che non vediamo affatto. Da qui la domanda: perché riconosciamo alcuni esseri umani e altri ne disconosciamo? Sia chiaro: questo è (vuole essere) un dilemma filosofico, o qualcosa di più modesto che gli somiglia. Non è una tirata demagogica, non è un ragionamentucolo politico, non è una invettiva ideologica né, tantomeno, un malumore moralistico. Di conseguenza, mi auguro che come un dilemma filosofico, o qualcosa del genere, sia inteso, accettato o rifiutato. Ma –per l’amor del cielo- che non sia trasferito su un piano diverso da quello sul quale provo a proporlo. In ogni caso, so bene che quel dilemma ha una sua elementare risposta, che soddisfa un primo livello della conoscenza, ma che lascia completamente inalterata la sostanza etica del quesito. Partiamo dai dati. L’osservatorio di Italiarazzismo.it, curato da Valentina Brinis e Valentina Calderone, ha contato in 2187 i migranti morti o dispersi nel tratto di mare tra l’Africa e l’Europa, nel corso del 2011. Tale stima corrisponde, sostanzialmente, a quella fornita da Fortress Europe e da un coordinamento di associazioni, costituito da Acli, Centro Astalli, Caritas Italiana, Comunita' di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes. Quasi duemiladuecento persone scomparse mentre tentavano una via di fuga da guerre civili e conflitti etnici, carestie e siccità, persecuzioni religiose e vessazioni politiche. Oltre centottantadue morti o dispersi al mese, circa sei ogni giorno. Si tratta, come si è detto, di extra-comunitari e già quella definizione così denotativa e discriminatoria spiega perché sfuggano alla nostra percezione. Non ci appartengono, così come noi non apparteniamo loro. E da questa mancata reciprocità discende tutto il resto. Si pensi solo alla coppia visibile/invisibile: quei sei morti che quotidianamente si contano nel Mediterraneo conoscono un’agonia tanto oscura quanto oscura è la loro vita precedente. Nulla sappiamo della loro esistenza così come nulla sappiamo della loro fine. Il loro anonimato discende da una censura preventiva, che prepara  la cancellazione postuma. Giavanni Maria Bellu ha raccontato in un libro bellissimo ( I fantasmi di Portopalo, Mondadori 2004) la vicenda di circa 300 migranti annegati nel canale di Sicilia la notte di Natale del 1996; e di come  un intero paese (Portopalo) abbia custodito per anni il segreto di quei cadaveri finiti nelle reti dei suoi pescatori, preoccupati che una eventuale indagine potesse determinare la chiusura dello spazio di pesca. Dunque, mentre i dispersi della Concordia vengono affannosamente cercati, e per fortuna, migliaia di altri dispersi nel canale di Sicilia vengono affannosamente  occultati o semplicemente ignorati. D’altra parte, come suggerisce Tobia Zevi, i primi sono le vittime del progresso –della proletarizzazione di un bene che fu di lusso- e finiscono seppelliti sotto le macerie di un lucente grattacielo, mentre i secondi restano schiacciati dalla rovina di una miserabile baracca. Infine, la Concordia segnala la possibile insidia che si nasconde dentro il più rassicurante dei sistemi di trasporto ( la Grande Nave che percorre, placida, un mare tranquillo) e dentro il mondo della  Sicurezza: mentre i migranti morti appartengono interamente al mondo del Rischio e della Precarietà. La loro morte è nel conto, la loro aspettativa di vita, che illusoriamente si voleva prolungare col trasferimento in Occidente, resta quella ascritta e predestinata. In altre parole, il naufragio della Concordia è “ il più grande spettacolo dopo il big bang”, mentre la morte dei migranti rientra nell’ordine naturale delle cose. Quanto fin qui detto contribuisce a spiegare lo scarto abnorme tra la sensibilità verso il naufragio all’isola del Giglio e la sensibilità verso la strage  quotidiana nel Mediterraneo; e aiuta a comprendere, allo stesso tempo, perché quello scarto risulti non riducibile. Quella disparità nello sguardo e nella percezione, infatti, non può non implicare una disparità ancora maggiore nella relazione tra il soggetto (che osserva) e gli altri (osservati). Insomma, se la vita di qualcuno vale meno (in quanto merita attenzione più scarsa e cura minore) è perché, e non può che essere così, quel qualcuno è meno. Dis-eguale e dis-umano. Inferiore.
Il Foglio 17 gennaio 2012
 
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