Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Roma, Ostiense: un caso esemplare di mancata accoglienza degli asilanti e dei rifugiati in Italia

Alberto Barbieri
Medico, coordinatore generale di Medici per i Diritti Umani

“Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate,
vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutti infine….”
Primo Levi

Le foto sono di Alessia Cerqua e Rocco Rorandelli



Il campo dei profughi si trova su una strada di terra ; quando piove l’intera area si riempie di fango e di pozze d’acqua. I più dormono in tende donate dalle organizzazioni umanitarie, a volte in numero doppio o triplo rispetto alla loro capienza. Altri, con notevole ingegno, hanno improvvisato delle baracche con il poco materiale di risulta di un cantiere. I meno fortunati dormono per terra, coperti da cartoni e da qualche pezzo di plastica. Non ci sono servizi igienici, esiste un solo rubinetto, mal funzionante, che deve rifornire d’acqua oltre cento persone. Nel campo non esiste alcun sistema di smaltimento dei rifiuti; la spazzatura sparsa alla rinfusa fa da pasto ai topi che è facile scorgere numerosi tra le tende e le baracche. Il “bagno” è anch’essa una baracca che serve a garantire un minimo d’intimità. Di notte si accendono piccoli falò che aiutano a sopportare un po’ meglio il freddo pungente dell’inverno. Pezzi di bidoni arrugginiti fanno da fornelli. Malgrado tutto i profughi riescono a cucinare il loro pane tradizionale, riuniti insieme in quegli spazi comuni fatti di cose - seggiole, reti di letto, carcasse di armadi- che la città ha gettato via. I profughi sono per la gran parte giovani uomini; molti di essi adolescenti; alcuni poco più che bambini. Tutti fuggono dalla guerra e dalla violenza del loro paese. Spesso si ammalano di quelle patologie che non si possono evitare quando si vive per strada, in condizioni igienico-sanitarie disastrose: infezioni respiratorie, infezioni della pelle. I traumi e le ferite se li portano dietro dal loro paese e dal  terribile viaggio che affrontano per fuggire; segni fisici  delle ferite di guerra, delle torture e dei maltrattamenti subiti. I traumi interiori, spesso più gravi, li nascondono bene, con una gran dignità.
In queste condizioni vivono da anni centinaia di profughi afgani nell’area della stazione Ostiense a Roma, a un paio di chilometri dal Colosseo e dal centro della città. Per una parte di essi la giungla urbana di  Ostiense è – al pari della baraccopoli di Patrasso in Grecia o della Jungle di Calais in Francia - solo una tappa del viaggio per raggiungere i paesi del nord Europa. Per i molti che hanno fatto richiesta d’asilo o che hanno già ottenuto lo status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale  l’Italia è la destinazione finale.
Questo non è certo l’unico caso in Italia in cui asilanti e rifugiati si trovano a vivere in tali drammatiche condizioni. La vicenda dei profughi afgani a Roma può essere però considerata esemplare per diversi aspetti. In primis perché la baraccopoli-tendopoli, che ospita persone particolarmente vulnerabili e portatrici di diritti sanciti dalla nostra costituzione e dalle convenzioni internazionali, si trova proprio nel centro della capitale d’Italia. E’ questo un caso che ben evidenzia il grave deficit di politiche di accoglienza ed integrazione per i rifugiati nel nostro paese.  Per comprendere l’inadeguatezza del nostro sistema di accoglienza basti, ad esempio, pensare che l’Italia  dispone  di 3000 posti letto a fronte dei 30.000 della rete di accoglienza per i rifugiati della Francia.   Tra i profughi afgani vi sono inoltre numerosi “dublinanti”, richiedenti asilo, cioè, che vengono respinti in Grecia, primo paese UE dove sono stati identificati, in base a quanto stabilito dal regolamento europeo Dublino II. Tale regolamento si basa sul presupposto che tutti i paesi sottoscrittori garantiscano le medesime garanzie nell’accoglimento delle domande d’asilo. Purtroppo così non è, dato che la Grecia risponde positivamente a solo lo 0,5% delle domande. Ecco allora che l’Europa dimostra tutta la sua inadeguatezza nel garantire la dovuta protezione agli asilanti. L’Italia  potrebbe decidere – ma non lo fa -  di sospendere i trasferimenti in Grecia, come, tra l’altro, ha chiesto l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Merita una riflessione specifica il modo con cui, in questi anni,  è stata affrontata dalle istituzioni la vicenda dei profughi afgani a Roma: un misto di indifferenza e di approcci di tipo securitario.  Gli sgomberi realizzati  senza soluzioni alternative sono infatti iniziative volte a ridurre il problema ad una questione di ordine pubblico o di decoro urbano. Si tratta di risposte tese a nascondere il problema e al contempo ad aggravare la situazione  umanitaria dei profughi. E’ un dato di fatto che ,malgrado gli sgomberi, i rifugiati non scompaiono. La violenza da cui fuggono e la loro richiesta di un’accoglienza rispettosa della dignità umana resistono a qualsiasi operazione di “bonifica ambientale”. Quando poi, ogni tanto, sulla spinta della mobilitazione della società civile o del clamore mediatico suscitato da vere o supposte situazioni limite  - “i rifugiati afgani vivono in una “buca” “i bambini afgani dormono dentro i tombini delle fogne” -  vengono adottate delle iniziative, queste hanno sempre il carattere dell’emergenzialità e mai sono accompagnate da interventi di accoglienza sostenibili e strutturali. Da tempo, Medici per i Diritti Umani, insieme ad altre associazioni,  propone alle istituzioni l’attuazione di soluzioni concrete, a partire dalla creazione di un punto di orientamento e prima accoglienza presso la stazione Ostiense. Riteniamo che il nostro paese non possa esimersi dall’affrontare il problema dell’accoglienza dei rifugiati garantendone la dignità e i diritti fondamentali.
Da anni i profughi afgani dell’Ostiense lo chiedono con rispetto e civiltà, la risposta non può essere l’indifferenza che a lungo andare si trasforma in inciviltà.

Post scriptum: il 24 aprile scorso è stata raggiunta un’altra “situazione limite”. Un violento scontro scoppiato all’Ostiense tra alcuni profughi appartenenti alle due principali etnie afgane  - gli hazara e i pashtun - ha provocato quattro feriti, di cui due gravi, e 14 arresti. Un episodio sicuramente molto preoccupante. Deplorevole è stata però l’informazione prodotta da molti mezzi di informazione, che, con scarsa conoscenza del contesto ed un approccio vagamente razzista, hanno descritto l’episodio come il frutto di un selvaggio scontro tra “due tribù” rivali di extracomunitari dedite al traffico di droga e di esseri umani. Non solo poveri e stranieri; adesso anche cattivi e colpevoli ! A noi pare del tutto prevedibile  che le condizioni di disumana emarginazione, in cui sono obbligate a vivere da anni persone già duramente segnate dal trauma della guerra, possano degenerare con facilità anche nella violenza. Sorprende, al contrario, l’esiguo numero di episodi di questo genere che si sono verificati in tutti questi anni. Siamo convinti che l’attuazione di una seria politica d’accoglienza contribuirebbe in maniera efficace a prevenire anche episodi di questo tipo. Siamo convinti che un’informazione più obbiettiva e rigorosa  aiuterebbe a superare i pregiudizi e a favorire l’integrazione e la civile convivenza.

Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, fornisce dal 2006 assistenza e orientamento socio-sanitario ai profughi afgani della stazione Ostiense nell’ambito del progetto Un Camper per i Diritti
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