Ivan il terribile: pesi e misure

Ubaldo Pacella
Lezione di coerenza anche da Ivan Bogdanov meglio conosciuto alle cronache come “Ivan il Terribile” l’ultras serbo protagonista delle intemperanze durante la partita di calcio Italia-Serbia che non venne giocata nello stadio Marazzi a Genova.

La pena comminata nei giorni scorsi a Bogdanov, per inciso 3 anni e 3 mesi, evidenzia per bocca dell’avvocato difensore dell’ultras nazionalista serbo, una coerenza che appare smarrita nel nostro paese. Sentir dire che in questi mesi di detenzione Ivan il Terribile ha avuto un comportamento in carcere di esemplare correttezza, poiché consapevole di aver commesso un errore grave e che nella cultura tradizionale di quel paese chi sbaglia paga.
Quello dovrebbe essere un esercizio di responsabilità evidente a ogni società avanzata diviene tristemente nel nostro paese un fattore di novità. Siamo così piegati all’irresponsabilità da coltivare comportamenti, modi e metodi che non hanno nulla di civile e rischiano ogni giorno di slabbrare ulteriormente una coesione sociale e un’identità etica sempre più smarrita. Sarà colpa di un relativismo cinico che tutto sopporta e tutto consente, perché l’assenza di un principio riconosciuto di responsabilità individuale e sociale lascia ai cittadini, ai politici, ai potenti di turno le mani libere per ogni forma di rozzezza di prevaricazione, di malcostume.
Fa notizia che una persona non certo conosciuta e apprezzata per equilibrio e sensibilità dimostri coerenza nei propri comportamenti e non si lasci andare a scomposte accuse nei confronti di una magistratura che questa volta è intervenuta in modo rapido e forse anche troppo rigoroso, almeno a parere di chi scrive che lungi dal criticare le sentenze rileva una profonda discrasia con decisioni di altri tribunali rispetto ai nostrani teppisti da stadio.
Saremmo molto curiosi di sapere dalle autorità competenti quanti sono gli ultras italiani soggiornano in quelle che una volta venivano definite le “patrie galere”.
La dignità dimostrata da Bogdanov e il suo comportamento dovrebbero da un lato essere premiati, magari con una bilanciata riduzione della pena, dall’altro essere presi ad esempio di come la carcerazione debba essere sempre e comunque uno strumento di redenzione. Il tributo offerto alla società civile per una riconciliazione che emendi gli errori commessi e ne eviti i futuri. Non, quindi, strumento esclusivamente repressivo. Il senso della responsabilità, l’applicazione coerente delle norme, il non trovare “utili scorciatoie” per non pagare mai dazio dei propri errati comportamenti altera se non distrugge il senso equo della legge come elemento fondante di una comunità sociale. È un tema caro alle cronache di questi anni ma che resta fondamentalmente eluso perché la nostra giustizia interviene troppo spesso poco, tardi e male nei confronti di chi è più arrogante, di chi delinque spudoratamente, soprattutto dei colletti bianchi, mentre si appalesa inflessibile con il popolo minuto, tradendo in questo modo proprio il cardine attorno il quale si è costruito il concetto di stato di diritto.
Un grazie, vorrei rivolgere proprio per lo stile che ha avuto nel ricordarci quanto determinante sia il concetto di responsabilità.
11 marzo 2011

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