Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 marzo 2015

C'è anche un altro punto di vista, sui processi migratori: quello umanitario
L'Huffington Post, 18-03-2015
Marco Rotelli
Segretario generale Intersos
Intersos da anni si occupa di assistere persone vulnerabili, in aree di crisi, di conflitto e di disastri naturali.
Ma qual è l'esatta definizione di vulnerabile? Qualcosa o qualcuno che può essere ferito, attaccato, leso o danneggiato, una persona, debole, fragile. Qualcuno che bisogna proteggere, perché in pericolo. Ma per diventarlo, vulnerabile, non è necessario essere in fuga da guerre, violenza e abusi. Chi fugge da questo, vulnerabile lo è già e ha diritto a chiedere rifugio e asilo attraverso un percorso d'identificazione e verifica.
Oggi, tuttavia, nel 2015, accade che anche chi vulnerabile non lo era, rischi concretamente di trovarsi tale, semplicemente finendo tra i tanti che cercano una vita migliore per se e per la propria famiglia, che provano a raggiungere l'Europa, mito, pur sbiadito, di benessere e tutele. Non tutti possono spostarsi in aereo, con un visto nel passaporto e un indirizzo dove andare una volta arrivati a destinazione. Migliaia di uomini, donne e bambini affrontano invece viaggi massacranti.
Sia chi fugge da guerre e violenze, rischiando la propria vita, sia chi vuole cercare una vita migliore ma non ne ha i mezzi vive spesso un destino tragico, di detenzione, d'abuso, di orribile morte in mare, o di degrado e marginalità una volta approdati in Europa. Nel 2014 sono stati 170.000 gli arrivi in Italia attraverso il mare; 3.500 sono stati i morti e i dispersi nel Mediterraneo.
E di questo che un'organizzazione umanitaria come INTERSOS si deve occupare. Non siamo un gruppo politico, ma ci confrontiamo con le conseguenze dell'assenza di politiche adeguate, ancora più frequentemente che con i suoi errori e fallimenti. Dobbiamo dedicare risorse, denaro e energie distogliendole da altre situazioni, altrettanto gravi in Africa, in Asia e in Medio Oriente, per portare aiuto umanitario dove speravamo non ce ne fosse bisogno.
Per questo abbiamo scelto di intervenire, anche in Italia, e non solo nelle zone di conflitto sparse per il pianeta. L'abbiamo fatto per coerenza con i valori che guidano da oltre vent'anni il lavoro di INTERSOS di assistenza e protezione dei più vulnerabili. Siamo dunque a Roma a proteggere i 'minori stranieri non accompagnati e in transito'; sterile descrizione per dire ragazzi, soprattutto afghani in viaggio da mesi o anni, per raggiungere parenti o amici a piedi, nei treni merci, sotto i camion, esposti a qualunque tipo di abuso, non di rado fatale. Siamo anche a Crotone, in Calabria con il progetto Mesoghios, che in greco significa Mediterraneo. Mesoghios è un ambulatorio e team mobile medico che garantisce il diritto alla salute e cure mediche gratuite a richiedenti asilo, migranti, e persone in difficoltà.
La maggior parte dei nostri pazienti non ha una casa, vive per strada, dorme in luoghi pubblici come le stazioni ferroviarie, non si nutre regolarmente. Molti arrivano da paesi con situazioni difficili, Afghanistan, Pakistan, Eritrea, Somalia; molti altri arrivano dalla Siria, della quale, stanchi di brutte notizie, ci ricordiamo a intermittenza, come in queste settimane, che ci portano nel quinto anno di devastante conflitto.
Quasi tutti quindi provengono da paesi dove le organizzazioni umanitarie intervengono ma dove non risolvono le crisi. E di nuovo ecco tornare il ruolo dei governi. L'azione umanitaria, in assenza di politica non è uno strumento sufficiente. Utilizzare lo strumento umanitario come soluzione delle crisi è un errore; esso è indispensabile, un salvavita per centinaia di migliaia di persone, ma non è una soluzione permanente. Di questo INTERSOS è consapevole e non smette di chiamare i governi al proprio ruolo e responsabilità.
Questa situazione non è transitoria, migliaia di altre persone rischieranno la vita per raggiungere l'Europa con viaggi estremi arrivando sulle coste siciliane e calabresi.
Ne deriva che l'assistenza e l'accoglienza dei migranti in Italia non possono più avere un carattere emergenziale, provvisorio, temporaneo. E' necessario applicare misure che vadano oltre l'emergenza, che intervengano sul fronte dell'indispensabile soccorso in mare, dell'accoglienza dei migranti e del supporto alle comunità che li accolgono. Dobbiamo essere consapevoli che il fenomeno della migrazione in Italia non è temporaneo né episodico, ma piuttosto è una dinamica consolidata. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la migrazione oggi costituisca uno dei temi più dibattuti in Italia, ed è un tema ad alto contenuto politico, che bene si presta, purtroppo, a strumentalizzazioni e speculazioni ideologiche e non solo. I dati sono stati analizzati, la situazione esaminata, gli strumenti di risposta studiati e in alcuni casi adottati. Le proposte sono state fatte tanto dalle Organizzazioni Non Governative quanto dalle Nazioni unite: ora i governi diano le risposte non più derogabili.



Attacco alla Tunisia: per chi dice che l'Islam è incompatibile con la democrazia
L'Huffington Post, 19-03-2015
Lia Quartapelle
Deputata Pd, Commissione Esteri
A chi dice che l'Islam è incompatibile con la democrazia, direi di guardare all'attacco contro il Parlamento in Tunisia. La loro tesi, infatti, è la stessa dei fondamentalisti, che vogliono colpire ancora una volta un simbolo, quello dell'unico esperimento democratico emerso dalle Primavere arabe.
È la stessa tesi esposta in un video dai terroristi di Boko Haram, che entrando a gennaio 2015 nella città di Baga, in Nigeria, prima di una strage che ha fatto più di duemila vittime, gridavano agli abitanti del luogo: "Dovete scegliere, tra l'Islam e la democrazia, tra la vita e la morte".
La Costituzione, le istituzioni democratiche tunisine, a partire dal suo Parlamento, sono frutto di un percorso complicato e non lineare, che in alcuni momenti ha rischiato di sbandare. Un percorso che ha visto morti, vittime di attentati terroristici (tra cui i due leader di opposizione e parlamentari Chokri Belaid e Mohamed Brahmi uccisi rispettivamente a febbraio e a luglio 2013); che ha avuto momenti di contrapposizione aspra tra le forze politiche, così come manifestazioni di intolleranza fuori dal parlamento, da parte di forze fondamentaliste che speravano di influire sul processo politico.
Un percorso che però, alla fine, ha portato a una maturazione collettiva: la Costituzione è stata approvata con 200 voti a favore, 12 astenuti e 4 contrari. A testimonianza di un processo di discussione vero, che ha portato la stragrande maggioranza delle forze politiche a riconoscersi nelle istituzioni democratiche e in un reale, nuovo spirito di unità nazionale. E a testimonianza di come un partito della galassia dell'Islam politico, il partito Ennahda, possa essere protagonista in positivo di una evoluzione in senso democratico del proprio Paese.
Non era scritto da nessuna parte che in Tunisia dovesse e potesse finire così. Anzi, la difficoltà del contesto, con l'ingombrante vicino libico, e i fallimenti dei processi democratici di altri paesi post-Primavera araba (a partire dall'Egitto) non giocavano a favore della Tunisia.
Oggi è sotto attacco il parlamento di un Paese democratico vicino dell'Italia. Ci sono nostri connazionali tra le vittime al museo del Bardo. Ogni coscienza democratica, che sia laica, cattolica o musulmana, dovrebbe sentire questo attacco come diretto anche contro di noi e contro i nostri valori fondanti, esattamente come lo era quello contro la redazione ci Charlie Hebdo. A Tunisi come a Parigi.
Per questo, l'esperimento tunisino è simbolico. Perché dimostra che l'Islam e la democrazia possono convivere. E che ci può essere un'evoluzione in senso democratico di un paese islamico. I parlamenti democratici possono approvare leggi contro il terrorismo di matrice fondamentalista islamica, come succedeva proprio oggi a Tunisi. E che proprio le leggi democratiche contro la barbarie terrorista sono lo strumento più efficace per combatterla.
La Tunisia e la sua democrazia vanno difese, aiutate e facilitate più di quanto non sia stato fatto fino ad ora. Perché la Tunisia rappresenta la vera, efficace risposta al Daesh, al sedicente Stato islamico: è una risposta che ci dice che si può immaginare una democrazia, che sa far convivere religione e diritti delle minoranze, in una logica non oscurantista.



Richiedenti asilo. Quelli "pericolosi" saranno rinchiusi nei Centri di Espulsione
L’annuncio di Alfano alla Camera sul caso di Terni. “Dai genitori di David Raggi una grande lezione antirazzista a cbi voleva speculare sulla morte di loro figlio"
stranieriinitalia.it, 19-03-2015
Roma – 19 marzo 2015 - I richiedenti asilo  considerati “pericolosi” veranno trattenuti nei Centri di Identificazione ed Espulsione durante l’esame della domanda e di un eventuale ricorso. In questo modo, in caso di rigetto, potranno essere più facilmente rimpatriati.
L’obiettivo è evitare che si ripetano casi come quello di Adam Kabobo, che nel 2013 uccise a picconate tre passanti a Milano o quello più recente di Amine Aassoul, che il 13 marzo a Terni ha ucciso il giovane David Raggi. Entrambi gli omicidi avevano dei precedenti penali.
Ad annunciare il giro di vite è stato ieri alla Camera il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a un’interrogazione sulla vicenda di Terni. Prima, però, ha espresso “gratitudine  per le parole dei familiari” di David Raggi, “che hanno dato una grande lezione antirazzista a tutti coloro i quali intendevano speculare su questa morte”.
“I nuovi margini che offrono le nuove direttive e europee in tema di asilo – ha poi detto Alfano - ci danno lo spazio,  con il decreto legislativo che a breve le recepirà  e che verrà sottoposto al vaglio parlamentare”. Questo introdurrà “una nuova norma che stabilirà l'obbligo di trattenimento presso i CIE nei  confronti di quei cittadini stranieri che, in base  al loro profilo e al loro personale vissuto, siano  senza alcun dubbio ritenuti pericolosi per l'ordine e la sicurezza pubblica fino a quando non si  sarà definitivamente concluso l'iter della domanda  di protezione”.
“In questo modo – ha concluso il ministro dell’Interno - si farà sì  che i soggetti, con tali precise connotazioni, che  abbiano utilizzato la domanda di protezione  internazionale per sottrarsi al trattenimento presso i CIE, restino invece sotto la nostra  vigilanza anche nell'eventuale fase di riesame da parte dell'autorità giudiziaria”.



La storia di Golap: da minore straniero non accompagnato a volontario
La sua è un odissea segnata da stenti e disperazione: oggi Golap, 19 anni del Bangladesh, è un operatore sociale nella Comunità Alloggio Salesiana per minori di Napoli che lo ha accolto. Lui non ha mai perso la speranza, e oggi dice: "Allah e don Bosco mi aiuteranno"
Rdattore sociale, 19-03-2015
NAPOLI - Un viaggio di 40 giorni: pullman, treni, camion fino all'India. Poi l'imbarco clandestino nella stiva di una nave per stare nove giorni nascosto insieme ad altri 70 giovani e arrivare in Turchia. Una storia fin qui come tante, ma quella di Golap, 19 anni arrivato dal Bangladesh e sbarcato in Puglia nel febbraio 2014,  ha riservato un finale a sorpresa. Oggi è infatti un volontario del Servizio Civile, con il programma Garanzia Giovani, nella Comunità Alloggio salesiana per minori il "Sogno" di Napoli, dove è stato accolto insieme ad un connazionale.
Una vita di stenti. "Allah e don Bosco mi aiuteranno" dice oggi Golap, che non ha perso la speranza di costruire un futuro migliore per se e per la propria famiglia. Si perché il suo passato è costellato di povertà e disperazione: orfano di padre, in un piccolo villaggio a 100 km da Dakka, capitale del Bangladesh, ha lasciato la mamma e i fratelli che con stenti, debiti e la vendita del pezzo di terreno hanno raccolto i 1.300 euro da consegnare, prima della partenza, ai trafficanti di esseri umani. E' arrivato in India con camion e poi si è imbarcato per la Turchia dove ha preso una nuova nave e con altri profughi è giunto al largo della costa di Bari. Poi in una notte di febbraio, tra tanta paura, è stato trasportato fino alla costa in un barcone. Lì Golap e gli altri sono stati accolti da connazionali che dopo averli fatti lavare e sistemare alla meglio, a piccoli gruppi li hanno portati alla stazione ferroviaria e fatti salire sui treni verso mete diverse.
E' così che Golap è giunto a Napoli, la sua speranza era quella di trovare un lavoro per poter inviare un aiuto economico ai propri familiari. Conosce quattro lingue ma la ricerca del lavoro è deludente. Nonostante questo nella città partenopea trova una "famiglia" presso la Comunità alloggio salesiana, socio dei Salesiani per il Sociale.
Una famiglia nella quale Golap si è dimostrato da subito appassionato allo stile formativo di don Bosco e che ha dato una svolta alla sua vita. Grazie al Servizio Civile è lui oggi ad aiutare tantissimi ragazzi, svantaggiati poveri ed emarginati, come è stato lui fino a quando non ha incontrato la Comunità per minori gestita dall’associazione salesiana “Piccoli Passi Grandi Sogni” di Napoli.



La Germania è (con l`Italia) il Paese più vecchio d`Europa
Panorama 19-03-2015
I tedeschi non fanno figli e la Germania rischia di perdere 20 milioni di cittadini entro l`anno 2060. Sono i preoccupanti dati emersi da uno studio dell`Istituto federale per lo sviluppo edilizio urbano e regionale che pone la Germania, assieme all`Italia, tra le pecore nere dell`area Ue (1,43 bambini per le donne tedesche e italiane nel 2012 contro gli 1,58 della media europea). Il problema viaggia di pari passo a quello dello svuotamento delle province. «I giovani e i più svegli
si trasferiscono, soltanto gli altri rimangono» è il grido d`allarme di Andreas Memmert, il sindaco di Schladen-Werla, una piccola cittadina della Bassa Sassonia destinata a dimezzarsi entro il 2030. I timori sono confermati dallo stesso presidente della Repubblica Joachim Gauck: «La nostra società sta invecchiando e diminuendo di numero a una velocità senza precedenti. Dobbiamo fare di più per mantenere unite le generazioni e offrire un futuro ai più giovani».
CHE COSA HANNO SCRITTO
«Nonostante la crescita dell`immigrazione» scrive The Economist «la Germania vive uno dei più rapidi tassi di invecchiamento e calo demografico del mondo. Sul territorio il declino è diffuso in maniera non uniforme con l`Est, la parte storicamente più povera del Paese, più colpita che altrove». Premiare chi riesce ad avvicinare giovanissimi e anziani è, secondo la Siiddeutsche Zeitung, la ragione della recente visita del presidente Gauck alla cittadina di Arnsberg. «Qui una volta ogni due settimane gli ospiti degli asili nido e quelli delle case di riposo si fanno visita a vicenda (...) Un modello che Gauck
non poteva non premiare dopo essersi più volte pronunciato sul problema della coesione sociale».
CHE COSA SUCCEDERÀ
L`aumento dei pensionati rischia di compromettere tanto la produzione quanto l`innovazione. Urgono riforme, a partire dal sistema pensionistico, ma nel 2030 la maggiore parte dei votanti avrà più di 60 anni, il che può rivelarsi un grande ostacolo. È cruciale che più donne entrino nel mercato del lavoro, che migliorino il sistema sanitario e quello dell`istruzione e che sia incentivata l`immigrazione qualificata. Per fortuna, in tali ambiti la Germania sta investendo da anni. Pertanto sono ottimista: la popolazione tedesca nel 2030 sarà più cosmopolita e anziana, ma più sana, colta e produttiva.



La campagna contro il razzismo di Starbucks
La catena di caffetterie è stata molto criticata per l'iniziativa "Race Together" negli Stati Uniti, organizzata per incoraggiare il dibattito sulle discriminazioni mentre si aspetta il caffè in fila
Il Post, 19-03-2015
Lunedì 16 marzo Starbucks, una delle più grandi e famose catene di caffetterie al mondo, ha avviato negli Stati Uniti una campagna chiamata Race Together per sensibilizzare i suoi dipendenti e incoraggiarli a parlare di problemi legati al razzismo con i clienti. Nei giorni scorsi i baristi dei 12mila locali statunitensi sono stati invitati da Starbucks a scrivere Race Together sui bicchieri da caffè di cartone e ad incollarci sopra adesivi con lo slogan della campagna, nel tentativo di incoraggiare una conversazione sul tema. Starbucks ha detto che non obbligherà i dipendenti ad aderire alla campagna, ma che appoggerà chi deciderà di farlo. Starbucks è stata però molto criticata per la sua iniziativa: la campagna è stata definita «ingenua» e potenzialmente «disastrosa». Negli Stati Uniti infatti circa il 40 per cento dei dipendenti di Starbucks fa parte di una minoranza etnica, e forzarli a parlare di problemi razziali potrebbe metterli in imbarazzo o esporli a commenti inappropriati nei loro confronti.
In molti hanno accusato Starbucks e il suo CEO, Howard Schultz, di voler portare avanti una campagna politica per rafforzare il marchio, approfittando del fatto che negli Stati Uniti l’argomento è tuttora molto discusso. Altri hanno sottolineato la difficoltà di parlare di un tema così complesso quando si è in fila per ritirare un cappuccino, nei minuti che si passano dentro al locale.
Il 16 marzo, il giorno dell’inizio della campagna, il vicepresidente della comunicazione di Starbucks ha chiuso il suo account Twitter a causa delle moltissime critiche ricevute riguardo Race Together (salvo poi riattivarlo il giorno dopo). Mercoledì 18 marzo il CEO di Starbucks Howard Schultz ha difeso la società dalle accuse di scarsa delicatezza e opportunismo spiegando che «la nostra intenzione è sincera. Non stiamo parlando di un’iniziativa di marketing o di pubbliche relazioni». Durante l’assemblea annuale degli investitori, tenuta a Seattle mercoledì 18, Starbucks ha anche fatto sapere che sta pensando di distribuire ai dipendenti “manuali di conversazione” con domande come: «In che modo è cambiata la tua opinione sui problemi razziali rispetto a quella dei tuoi genitori?».
Non è la prima volta che Starbucks porta avanti campagne dai risvolti politici. Nell’ottobre del 2013, durante lo shutdown del governo statunitense, Schultz avviò una petizione per chiedere ai parlamentari di approvare una legge sul bilancio entro l’anno. Nel settembre del 2013, Starbucks invitò i clienti a non portare armi con sé all’interno delle caffetterie.
L’idea per la campagna Race Together è iniziata il 17 dicembre 2014, quando nella sede principale di Starbucks a Seattle si è tenuto un incontro sul razzismo fra dirigenti e dipendenti. Nei tre mesi seguenti, il tema è stato discusso anche in assemblee locali di dipendenti di Starbucks. La campagna Race Together è stata quindi avviata solamente nelle città in cui si sono tenute le assemblee, ed è stata poi estesa a tutti gli Starbucks degli Stati Uniti lunedì 16. Per promuovere la campagna, Starbucks ha anche acquistato un’intera pagina pubblicitaria sull’edizione domenicale del New York Times e quella di lunedì 16 marzo di USA Today, due fra i quotidiani più diffusi negli Stati Uniti. Venerdì 20 marzo USA Today uscirà con un supplemento dedicato a Race Together.
Il Guardian ha provato a capire se Race Together abbia già ottenuto qualche risultato intervistando alcune persone di uno Starbucks di Manhattan, a New York, martedì 17. La maggior parte delle persone in fila per pagare sono rimaste in silenzio, o controllavano il proprio smartphone. Una cliente intervistata ha detto che non riuscirebbe ad avviare una conversazione sul razzismo «con degli sconosciuti» perché «si tratta di un tema molto delicato. Una caffetteria dovrebbe essere un posto pacifico, e non ostile». Un’utente di Twitter si è lamentata di non poter riuscire a «spiegare 400 anni di oppressione razziale e al contempo riuscire a prendere il mio treno».

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