Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 ottobre 2010

I PARADOSSI DELL'IMMIGRAZIONE
L'agenzia europea che spreca soldi e ci rifila i clandestini degli altri
il Giornale, 14-10-2010
Francesco De Remigis
Quando il Frontex intercetta le carrette del mare, le fa approdare tutte in Italia E poi si vanta del calo degli sbarchi: ma è tutto merito degli accordi Roma-Tripoli
Se gli ingressi illegali via mare hanno subito una flessione, sarebbe merito di una missione Ue che guarda a vista i paesi rivieraschi, almeno secondo il rapporto trimestrale dell'Agenzia Frontex, che coordina i pattugliamenti nel Mediterraneo e sventola successi. Ma in realtà meriti non ne ha molti l'Europa, che in materia di immigrazione clandestina sta creando all'Italia soltanto grattacapi. Ciò che non funziona è proprio l'organismo, che dovrebbe occuparsi di ridurre gli sbarchi e che invece porta spesso in Italia clandestini che sarebbero diretti altrove.
Che cos'è dunque Frontex, che il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha definito un altro «eurocarrozzone»? Proviamo a capire, soprattutto, perché i pattugliamenti funzionano al meglio quando l'Italia agisce in solitaria: 90 per cento degli sbarchi in meno rispetto all'anno precedente dall'inizio dei respingimenti nel 2009. Mentre nel corso di operazioni coordinate da Frontex, i clandestini vengono portati sulle coste italiane anche da altre nazioni, e non sempre immediatamente rimpatriati. Secondo le linee guida del testo europeo, i funzionari dovrebbero procedere, come prima opzione, allo sbarco delle persone nel Paese da cui l'imbarcazione è partita. Ma se la nave ha raggiunto le acque territoriali, è sufficiente che una persona a bordo esprima la volontà di chiedere asilo in uno dei 27 paesi Ue, ed ecco che si getta l'ancora in Italia e si avviano le procedure.
Da quel momento la domanda sarà a carico della Penisola, come pure il contributo quotidiano di circa 17 euro per quarantacinque giorni che spetta ad alcuni richiedenti, con buona pace dei paesi che avrebbero potuto accoglierli. Certo non la Grecia, che ai possibili rifugiati pone i paletti più rigidi di qualsiasi altro stato dell'Unione. Tantomeno la Turchia, che ai migranti extraeuropei non concede neppure il modulo per lo status.
Che cosa succede dunque a pochi chilometri dalle nostre coste? E come mai le operazioni congiunte si rivelano spesso sfavorevoli per l'Italia? Secondo gli ultimi rapporti dell'intelligence, i barconi, più spesso «barchini», vengono danneggiati di proposito dagli immigrati, dotati di piccoli gps capaci di segnalare l'ingresso in acque territoriali italiane, facendosi avvistare al momento giusto. Le linee guida di Frontex dicono infatti che i clandestini, superato il confine, devono essere soccorsi e portati nel porto europeo più vicino; anche se dichiarano di essere diretti in Francia o in Danimarca.
Secondo punto. Sbarcati in Italia, la volontà di voler chiedere asilo in un altro stato non conta. La domanda sarà raccolta dalle autorità italiane. Da quel momento, il migrante è a carico della Penisola, potendo decidere se presentare domanda di asilo, se restare in Italia per un periodo di circa sei mesi - tempo medio di valutazione delle richieste - oppure se essere rimpatriati. Ma a carico dello Stato «ospitante».
Su questo tema, il ministro dell'Interno ha chiesto che sia l'Agenzia a sobbarcarsi i costi dei «richiedenti asilo», almeno a seguito dei pattugliamenti Frontex; viste le lacune della normativa europea e visti i differenti approcci alle domande di asilo. Maroni ha chiesto un contributo per i voli «di rimpatrio congiunto» e nel 2011 l'Agenzia dovrebbe organizzare tra i trenta e i quaranta voli (non solo dall'Italia). Maroni chiede poi l'istituzione di Centri di identificazione europei, perché anche il trattenimento è a carico nazionale. I soldi ci sarebbero: Frontex dispone di 88,2 milioni di euro per 2011. Ma anziché procedere al «riesame» degli obiettivi dell'Agenzia, come si legge nel piano pluriennale definito l'anno scorso, l'Ue tergiversa. Ennesimo sollecito settimana scorsa. Italia e Francia hanno indirizzato alla presidenza di turno una lettera per discutere la gestione degli immigrati «a livello unitario e non dei singoli stati». Ma anziché orientare le risorse verso questi progetti, Frontex ha impegnato il 41 per cento dei fondi in analisi di lungo periodo, tagliando le spese «operative» del 14.
Se non sarà modificata la normativa in tempi brevi, rendendo i pattugliamenti più operativi come ha proposto il Viminale, le operazioni congiunte continueranno a rivelarsi un fallimento. Rischio paventato anche dal direttore esecutivo dell'Agenzia, il finlandese Illka Laitinen, che in un'intervista ha riassunto così il malfunzionamento di Frontex: «Abbiamo più risorse per combattere il fenomeno, ma finiamno con l'attirare i barconi dei trafficanti». A spese dell'Italia.



Christopher Hein direttore del Consiglio italiano per i rifugiati
«Sui rifugiati tanta polemica poco approfondimento»
Liberazione, 14-10-2010
Stefano Galieni
Christopher Hein dirige da molto tempo in Italia il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), di certo la principale Onlus che opera, attraverso azioni dirette verso i richiedenti asilo e i rifugiati, per la sensibilizzazione, informazione e promozione tra gli italiani di una migliore comprensione della condizione di chi arriva nel nostro paese. Una realtà tanto complessa quanto spesso trattata con estrema superficialità dai media.
«Nel nostro ambito i diritti umani in generale e il diritto di asilo in particolare non trovano una grande eco mediata se non in particolari momenti, quando capitano eventi rilevanti che però poi non lasciano spazio per un approfondimento e spesso sono trattati in maniera scandalistica. In 20 anni di attività come Cir abbiamo invece sperimentato il grande valore sia della stampa più specializzata nel settore sociale e nei diritti delle persone sia di giornali come il vostro che, pur non avendo una grande diffusione, riescono a dedicare spazio per un approfondimento, un dibattito serio e non fazioso. Parliamo di una materia che si trova in una zona complessa fra politica ed extrapolitica, ovvero che riguarda valori della società che dovrebbero essere condivisi da tutti, indipendentemente dagli orientamenti politici o partitici. C'è una grande varietà di temi, nel campo del diritto d'asilo, dei rifugiati nonché delle politiche sull'immigrazione  che meritano di essere approfonditi seriamente, a partire dai paesi di origine e di transito, dalle modalità di viaggio, di accoglienza e di inclusione. Ritengo inoltre necessario mettere in rilievo gli aspetti umani, della persona e del suo percorso, al di là e oltre gli eventi ai quali di regola presta attenzione la grande stampa».
Eppure sembra che anche su questi temi in Italia ci siano divisioni politiche molto forti, che oscillano tra la volontà di capire e l'agitare la paura del diverso.
E' inevitabile, questi sono temi che dovrebbero essere alla base di un discorso condiviso. Io ho lavorato molti anni all'Alto commissariato Onu per i rifugiati, anche quello è un organismo non politico ma che è immerso nella politica e deve trovare modo di rapportasi ad essa. Comunque non dobbiamo pensare solo in un ottica italiana quando si parla di materie che ormai sono ad appannaggio dell'intera Comunità europea. Non a caso c'è un vento gelido che soffia in tutto il continente, basti pensare a quanto accade in Francia, Olanda, Svezia. Il rifugiato poi è una persona che si muove, tant'è che abbiamo aperto un ufficio a Tripoli e ne stiamo per aprire un altro in Algeria per incontrare prima i richiedenti asilo. Da noi tre sono gli aspetti più preoccupanti: come si arriva alla protezione e quanto si rischia di essere respinti (il 90% dei richiedenti asilo entra irregolarmente); il sistema di accoglienza che anche se è migliorato negli ultimi 10 anni non ha ancora una cabina di regia; e la mancanza di una programmazione su base nazionale.
Quanto è peggiorata la situazione dopo i respingimenti?
Quello di rispedire le persone da dove sono venute già in alto mare è un segnale molto grave che preoccupa noi, l'Onu, Amnesty International e chiunque si occupi di diritti umani. Stanno diminuendo le richieste di asilo e questo è un dato che deve far riflettere anche perché non è che sono diminuite le ragioni per cui si fugge dal proprio paese. Con i respingimenti sono state violate norme internazionali, comunitarie e nazionali a partire dalla Convenzione europea per i Diritti Umani. Aspettiamo una sentenza in merito dalla Corte europea di Strasburgo.
Su questi temi, "Liberazione" nel suo piccolo ha tentato di fare informazione diversa, anche mettendo in prima pagina alcuni eventi che comprovano tali violazioni Un tentativo utile?
Parlo con sincerità. In Italia .solo il 20% delle persone si intornia attraverso i giornali, il resto ha come fonte di informazione la tv che, a parte programmi di nicchia, spesso trasmessi in orari impossibili, non si presta ad un dibattito serio su questo argomento. Di questo 20% sono pochi coloro che vogliono approfondire il tema e il risultato è che qualsiasi iniziativa di Liberazione, e non solo, diventa limitata. Questo non vuol dire che non sia valida e necessaria ma purtroppo arriva a chi è già informato, interessato, o sensibilizzato. Si comunica insomma all'interno di un cerchio ristretto e privilegiato di persone. Quello che occorrerebbe è un intervento che porti a parlare di certi temi anche nelle scuole, nelle università, nelle parrocchie e nei luoghi di lavoro. Dovremmo tutti considerare le varie reti in cui è possibile far circolare una corretta informazione e in cui si potrebbero anche intraprendere percorsi formativi. Come dicevo alla conferenza stampa relativa al progetto che stiamo facendo partire e come voi di Liberazione sapete bene, la questione del diritto di asilo è complessa e può essere affrontata solo se c'è il concorso di una molteplicità di soggetti.
«Sperimentiamo ogni giorno il grande valore della stampa specializzata e di giornali come "Liberazione" che riescono a dare spazio ad un dibattito non fazioso. Anche se, purtroppo, resta relegato ad una cerchia ristretta di persone»



La migrazione utile è possibile

Europa, 14-10-2010
MASSIMO LIVI BACCI
Nell'assemblea di Varese sono state discusse nuove idee e proposte di politica migratoria per il Pd. Due piani debbono essere contemperati: la protezione dei diritti dei migranti - persone, prima che lavoratori - e la scelta, o selezione, tra i candidati all'immigrazione.
Sul tema dei diritti le forze riformiste sono più o meno concordi: i migranti regolari debbono accedere ai diritti sociali e politici - casa, scuola, formazione, sanità, voto locale, cittadinanza. Le differenze di opinione riguardano aspetti rilevanti, ma di contorno: le risorse da allocare, le pratiche da adottare, le priorità da seguire. Sul secondo piano è più difficile arrivare ad un consenso: come si opera la scelta, specie quando i candidati ad entrare in un paese prospero sono moltissimi? Certo, si può non scegliere: si tira a sorte; oppure, c'è il criterio "chi primo arriva primo alloggia" fino a concorrenza di un tetto massimo. Ma la "non scelta" è un criterio tanto semplice quanto stupido: perché una società dovrebbe privarsi, a priori, della possibilità di scegliere i più adatti?
Per motivi umanitari, forse? Ma questi motivi sono quelli che spingono ad accogliere (senza scegliere) coloro che chiedono protezione ed asilo, perché in fuga dai rischi che ne minacciano l'incolumità, o perseguitati o in fuga da guerre, violenze e catastrofi. E poiché al mondo ci sono più di 10 milioni di rifugiati riconosciuti dalle Nazioni Unite, possiamo ben dire che lo spirito umanitario ha ampio campo per esprimersi. E allora che scelta vi sia, alla ricerca di una migrazione "utile" alla società, al suo sviluppo (non solo quello del Pil), alla sua coesione. Ma secondo quali criteri?
Un criterio diffuso è quello che si basa - sia pure rozzamente - su una valutazione della domanda del mercato del lavoro: esercizio già arduo nel breve termine, quasi impossibile nel lungo. Di quanti tornitori, muratori, professori, infermieri, braccianti, badanti... ha bisogno l'economia? Facciamone entrare il numero corrispondente, magari con i loro familiari, per facilitare l'integrazione. Questo criterio - con le sue varianti -ha due fondamentali debolezze. La prima è che la previsione della domanda (quella insoddisfatta dagli autoctoni) è diffìcile a farsi: il mercato è mutevole (si pensi all'insospettata insorgenza di una crisi) e l'esperienza storica dice che la gran parte degli immigrati finisce per restare nel paese di accoglienza in barba ai cicli economici. La seconda debolezza è che la capacità di lavoro, da sola, non garantisce il successo delle migrazioni.
Un altro criterio di scelta, o di selezione, si sforza di valutare le caratteristiche delle persone, in funzione del loro contributo allo sviluppo ed alla coesione. Nei paesi anglosassoni (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna) vige un sistema "a punti" mediante il quale si attribuisce un punteggio ad ognuna delle caratteristiche rilevanti per tracciare il profilo del migrante. Età, famiglia, istruzione, formazione, padronanza della lingua, skill acquisiti, capacità di guadagno, relazioni nel paese di arrivo  (ed eventualmente altri parametri),   sono   separatamente   valutati   con una scala a punti. Il punteggio totale - se viene   superata  una determinata soglia -consente l'ammissibilità, entro quote stabilite. Si può pensare -sistema britannico - ad applicare sistemi di punteggi diversi per ambiti   migratori   diversi,   per esempio per gli altamente specializzati e gli innovatori (un premio Nobel andrebbe in testa alla classifica) o per l'ambito delle persone che operano in ambiti meno sofisticati, ma non meno utili per la società.
Un sistema di questo tipo è selettivo in modo dichiarato e trasparente, ed è basato su criteri oggettivi e non manipolabili. Ma richiede risorse e capacità notevoli per essere bene amministrato, perché le difficoltà pratiche sono tante - inclusa quella, capitale, dell'accertamento e della verifica delle caratteristiche dei migranti. Ma ci sono due premesse, di natura politica, che non possono essere eluse. La prima: il sistema non deve essere discriminatorio e deve escludere dalla valutazione genere, etnia, colore, religione, opinioni politiche, provenienza geografica. La seconda è di complessa attuazione: le scale di punteggio attribuibili (vale più essere giovani o di mezza età? Essere soli o coniugati? Avere formazione scientifica o generica?) debbono basarsi su un'idea condivisa circa i profili dei migranti ritenuti più utili alla società. Si potrebbe pensare ad una proposta formulata da un organismo indipendente - dove siano rappresentate diverse esperienze e competenze - approvata dal parlamento ed eventualmente rivista a regolari intervalli per tener conto delle esperienze e dei graduali mutamenti del paese. Come si vede, il riformismo ha molta materia da discutere, ma il Pd ha aperto il dibattito.



Quei maestri del cavillo che abbattono le frontiere

il Giornale, 14-10-2010
Paolo Granzotto
Una sentenza della Cassazione stabilisce che l’Italia non può espellere extracomunitari che siano entrati da noi attraverso un Paese Schengen
Nella sentenza della Cassazione che legittima, in quanto proveniente dalla Spagna e quindi da un Paese dell'«area Schengen», l'accesso in Italia di un immigrato marocchino non in possesso del visto di ingresso emerge vittoriosa la figura del cavillo. Nel maneggiare il quale noi, devoti al diritto romano, siamo riconosciuti maestri. Naturalmente la legge è salva e le motivazioni della sentenza ineccepibili. Però, come talvolta accade, legge e giustizia possono non trovarsi d'accordo.
In primo grado, al marocchino trovato sprovvisto del visto di ingresso fu decretata - come prescriverebbe la legge - l'espulsione. E questo perché «anche ammettendo la sua provenienza dalla Spagna che è nazione aderente al Trattato di Schengen - accordo che mira a facilitare la circolazione transfrontaliera fra i Paesi aderenti - non per questo dovrebbe ritenersi esentato dagli adempimenti previsti dalle nostre norme sull'immigrazione».
Questa tesi non è stata però condivisa dalla Cassazione la quale ha obiettato che l'obbligo di visto di ingresso si riferisce al passaggio delle sole frontiere esterne all'«area Schengen», essendo quelle interne attraversabili senza che venga effettuato il controllo delle persone. Avendo il marocchino un visto Schengen non era dunque tenuto ad altri adempimenti per fare il suo ingresso in Italia. E rimanervi.
Fermo restando che in punta di legge il ragionamento non fa una grinza c'è da vedere se ne facesse alcuna la prima delle sentenze, quella di espulsione. Anche perché di mezzo c’è un trattato comunitario di grande portata retorica, ma pieno di insidie, tali da indurre i firmatari a prevedere un notevole numero di eccezioni e, soprattutto, il diritto di sospensione degli accordi (la qual cosa significa il ritorno dei controlli alla frontiera). Una delle insidie è proprio quella del movimento incontrollato (e incontrollabile) degli immigrati extracomunitari, ovviamente a conoscenza dei varchi più permissivi e perfettamente in grado di gestire il primo visto d'ingresso spostandosi da un Paese comunitario all'altro per eludere l'obbligo del permesso di soggiorno. Ora che gli extracomunitari sanno - queste cose le apprendono subito - che da noi funziona il giochino del visto Schengen, cosa li tratterrà dal mettersi in marcia rendendo così ancor più spinoso il già spinosissimo problema dell'immigrazione? La volontà bipartisan di regolamentarlo c'è, l'impegno anche, ma se si apre una falla nelle regole tutto il lavoro fatto e da fare va a farsi benedire.
Non è certo questo che voleva la Cassazione, però questo è lo scenario che si prospetta una volta emessa la sentenza. Senza poi aggiungere che così abbiamo fornito ai gentili ospiti immigrati la conferma di una massima molto antica, molto popolare ma umiliante per un Paese civile: trovata la legge, trovato l'inganno.



IMMIGRATI A PUNTI: PERCHÈ DICO NO LA PROPOSTA DI VELTRONI

l'Unità, 14-10-2010
Rosario Crocetta
DEPUTATO AL PARLAMENTO EUROPEO
La proposta di Veltroni di visti "a punti" per gli immigrati, pur presentandosi come un tentativo moderno per regolare i flussi immigratori, finisce in realtà per proporre il totale blocco delle autorizzazioni agli ingressi nel nostro Paese. Il modello di Veltroni favorisce l'immigrazione di coloro che per età, sesso, stato civile, istruzione, risultino più funzionali alle esigenze produttive del Paese. Naturalmente guadagneranno ulteriori punti coloro che conoscono la nostra lingua, la nostra cultura, il nostro ordinamento, che sono quasi sconosciuti nel pianeta. Il modello Veltroni è troppo mutuato dalle esperienze anglosassoni per essere credibile e applicabile in Italia. Un modello, fra l'altro, nato per gestire l'immigrazione proveniente dai territori delle ex colonie inglesi. Quali potenziali cittadini del mondo in attesa di visto hanno infatti le caratteristiche proposte da Veltroni per entrare nel nostro Paese? Pochissimi. E quei pochi o sono già stati nel nostro Paese, magari da clandestini, o sono forza lavoro fortemente professionalizzata di cui il nostro Paese non ha bisogno, a causa di una disoccupazione intellettuale diffusa, contrariamente agli altri Paesi industriali occidentali. L'immigrazione, infatti, verso l'Italia è prevalentemente povera e si rivolge alle quote più marginali del mercato del lavoro. Credo che la proposta di Veltroni sugli "immigrati a punti" non abbia utenti anche per il fatto che la lingua italiana non la conosce e non la studia quasi nessuno. Quali immigrati vuole autorizzare Veltroni a venire in Italia? Credo nessuno.
Come parlamentare europeo, poi, membro della commissione europea che si occupa dei problemi dell'immigrazione, esprimo la difficoltà a rappresentare in Europa la linea Veltroni sull'immigrazione, se essa dovesse divenire la linea ufficiale del Pd. Socialisti, democratici e liberali europei, anche inglesi, sono contrari a sistemi interdittivi della libertà di circolazione delle persone. Ciò non significa affatto che non bisogna regolare i flussi immigratori. Solo che quando lo si fa occorre tenere di vista il rapporto di rapina esistente fra paesi ricchi e paesi poveri. Che i paesi ricchi non possono considerare quelli poveri solo come mercati per le loro merci. La politiche europee sui flussi debbono, dunque, tenere conto dei rapporti economici e sociali più complessivi che esistono fra Nord e Sud del mondo. Regolare, dunque, l'immigrazione, ma favorire lo sviluppo dei paesi poveri e le politiche di scambio eguale. Se si perdono di vista le ingiustizie del mondo, si possono fare anche proposte politiche che ricevono cori di consenso che, però, fanno perdere la bussola. E fanno chiedere a uno come me che nella sua vita spesso di bussole ne ha smarrite tante, se per caso, non debba anche perdere l'unica bussola che veramente conta: la difesa degli ultimi, dei poveri e degli emarginati



Rom: «Parigi adotterà le norme Ue»
Avvenire, 14-10-2010
FRANCO SERRA
Sembra allontanarsi la procedura di infrazione A Bruxelles le assicurazioni del francese Besson
BRUXELLES -Non ci sarà alcuna procedura d'infrazione della Commissione europea contro la Francia per il trattamento che il governo di Parigi riserva ai rom immigrati illegalmente. Ne è convinto il commissario europeo Michel Barnier, come pure molti diplomatici dei Ventisette in servizio a Bruxelles, in seguito alle assicurazioni date martedì sera dal ministro francese all'immigrazione Eric Besson. Barnier, già ministro francese prima di essere nominato commissario al mercato interno, ha commentato ieri l'annuncio di Besson dicendosi «fiducioso» sui «futuri passi della Commissione»: in chiaro, per evitare la procedura d'infrazione che imprudentemente la sua collega lussemburghese Viviane Reding aveva dato per scontata il mese scorso. Per di più paragonando alle deportazioni naziste le espulsioni dei rom dalla Francia.
Tra Parigi e Bruxelles ne era nata una polemica tracimata spettacolarmente sul vertice europeo di metà settembre in un rumoroso scontro tra il leader francese Nicolas Sarkozy e José Manuel Barroso, presidente della Commissione. Martedì sera, in una telefonata con la commissaria Reding, il ministro Besson ha assicurato che «avendo la Commissione dubbi sulla trasposizione in Francia della direttiva Ue del 2004 (sulla libera circolazione delle persone, ndr) adatteremo la nostra legislazione per tener conto delle sue osservazioni».
«Del resto - ha detto ancora Besson - la Francia già applica di fatto quella direttiva in quanto nei principi del diritto francese c'è il trattamento individuale delle persone», senza quindi discriminazioni in base all'origine etnica o altro. «Forniremo - ha aggiunto Besson - tutte le prove e garanzie che ad agosto ci sono stati solo trattamenti individuali» nelle espulsioni. Il commissario Barnier ha potuto così dire che Besson ha dato «una buona notizia» e che la Commissione ne trarrà «le decisioni che si imporranno».



Immigrati italianizzati
Jacopo D'Andrea
Metronews 14 ottobre 2010
Nel 2009 le acquisizioni della cittadinanza italiana da parte degli immigrati sono cresciute del 10,6% rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 59.369, soprattutto grazie a matrimoni. Gli stranieri che risultano essere nati nel nostro Paese, alla data del primo gennaio 2010, sono 572.720, il 13,5% del complesso degli stranieri residenti e il 10,4% in più rispetto all’anno precedente. È quanto emerge da uno studio Istat che precisa inoltre come i cittadini stranieri residenti in Italia (sempre al primo gennaio 2010) siano più di 4 milioni e 200 mila, pari al 7% dei residenti complessivi. Al primo gennaio 2009, gli immigrati erano invece il 6,5%. Gli stranieri sarebbero aumentati durante il 2009 di oltre 340 mila unità.  L’Istat aggiunge che è “un incremento ancora molto elevato, sebbene inferiore a quello dei due anni precedenti”. Aumento inferiore a quelli del 2007 e del 2008 per via “della diminuzione degli ingressi dalla Romania”.



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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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