Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 novembre 2014

La spending review per i migranti del Cie. Bando al ribasso, servizi a rischio tagli
Ponte Galeria, risparmi su pulizia e catering, il costo pro capite passa da 40,9 a 28,8 al giorno
la Repubblica.it, 27-11-2014
MAURO FAVALE
Un presidio infermieristico anziché un medico h24, una riduzione dell'assistenza psicologica, un contributo economico per gli "ospiti" di 2,5 euro al giorno anziché di 3,5. E poi risparmi sul catering e sui servizi di pulizia. Nel mirino della spending review finisce il Cie, il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria dove a partire da metà dicembre, il costo pro capite per ogni immigrato che viene rinchiuso lì passerà da 40,9 euro al giorno di oggi a 28,8.
È questo l'effetto di una gara d'appalto bandita più di un anno fa dalla Prefettura di Roma che ha premiato, sul criterio del massimo ribasso con base d'asta 30 euro, un raggruppamento temporaneo di imprese formato dalla francese Gepsa e dall'associazione culturale siciliana Acuarinto. A partire dal 15 dicembre subentreranno alla Auxilium (classificatasi seconda nella gara) nella gestione di uno dei 5 Cie rimasti in Italia, quello di Ponte Galeria che nell'ultimo anno ha ospitato in media 120 immigrati al giorno in attesa di identificazione ed espulsione.
A meno di un mese dal passaggio di testimone c'è preoccupazione da parte di Cgil, Cisl e Uil che temono per le sorti di 67 lavoratori presenti attualmente nella struttura e che potrebbero essere sostituiti dal personale della Gepsa. I tre sindacati hanno già scritto al prefetto Giuseppe Pecoraro affinché favorisca un incontro tra i lavoratori e la nuova società, di proprietà del colosso multinazionale Gdf Suez. In Francia gestisce già 13 carceri e in Italia ha vinto in primavera il bando per la riapertura del Cie di via Corelli a Milano. Qui a Roma, fino a pochi mesi fa, si occupava del Cara, il centro per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto. Una gestione finita sotto la lente proprio della Prefettura che a fine settembre ha inviato a Gepsa e alla Acuarinto quattro dettagliate pagine di rilievi espressi dopo un sopralluogo nel centro.
Si va da un'ambulanza mai acquistata "contrariamente al capitolato d'appalto" al "numero dei pasti preparati ed erogati inferiori al numero di ospiti". E ancora, scrive il prefetto Pecoraro che firma le 4 pagine: "Non vi è corrispondenza tra le 11 mila ore del servizio di pulizia previste dall'offerta tecnica e quelle che si risultano dal calcolo delle ore effettivamente lavorate dal personale concretamente impiegato". Inoltre viene contestato il subappalto per la somministrazione dei pasti (non per la preparazione, invece) che secondo il contratto spettava direttamente alla Gepsa.
Rilievi, però, che non hanno impedito al raggruppamento temporaneo di imprese di vincere l'appalto e avvicendarsi con Auxilium. Quest'ultima società, infatti, dal Cie è passata ora a gestire proprio il Cara di Castelnuovo di Porto.



Centinaia di profughi siriani abbandonati in mare
L'odissea di 700 persone in fuga dalla guerra: partite dalla Turchia, sono state lasciate dallo scafista a bordo di un mercantile con il motore in avaria. Le foto che hanno fatto arrivare a degli attivisti testimoniano l'ennesima tragedia alle porte dell'Europa
la Repubblica.it, 27-11-2014
RAFFAELLA COSENTINO
SOS dai confini dell'Unione europea, dove la tragedia della guerra siriana si trasforma in odissea del terrore. Un mercantile con a bordo circa 700 profughi, in maggioranza famiglie siriane, ha il motore in avaria ed è stato preso al traino da una nave militare greca. Tra loro anche palestinesi siriani. I migranti raccontano di essere partiti dalla Turchia e di essere rimasti bloccati fra onde alte lunedì. Hanno pagato alle organizzazioni di trafficanti migliaia di dollari a testa per arrivare in Europa, ma lo scafista li ha abbandonati portandosi via il telefono satellitare.
I siriani hanno contattato una rete di attivisti e dato l'allarme con il proprio cellulare inviando delle fotografie. Per ventiquattro ore, denunciano, sono stati lasciati soli in mezzo al mare, poi agganciati e trainati dalla nave greca. Temono però che la loro imbarcazione possa spezzarsi, viste le condizioni del mare. Chiedono di essere trasbordati al sicuro, perché sostengono che le condizioni strutturali della nave non permettono il traino. Dagli scatti che hanno inviato, a bordo della nave si vedono donne, bambini anche molto piccoli e persone con le stampelle, stipati all'interno dell'imbarcazione. Si tratta di un vecchio mercantile, più grande rispetto ai pescherecci che partono dalla Libia o dall'Egitto. Hanno visto passare vicino a loro altri mercantili che però non li hanno presi a bordo, probabilmente per l'alto numero di persone imbarcate.
Un altro gruppo di circa 50 persone, fra cui una decina di donne, sempre di nazionalità siriana, è stato respinto sul fiume Evros, al confine tra Grecia e Turchia, nei pressi di Didimitichos la notte scorsa.
Hanno raccontato di essere stati malmenati da guardie di confine, che parlavano in tedesco, e di essere stati respinti sulla costa turca. Le fotografie che hanno inviato li mostrano a scaldarsi attorno a un fuoco e ritraggono una persona semi svenuta. Tutti i profughi chiedono assistenza, sottolineando che fra loro ci sono persone che stanno male. Il gruppo è stato lasciato senza cibo né acqua.
Gli attivisti che hanno raccolto l'appello dei siriani denunciano violazioni dei diritti umani da parte dell'agenzia europea delle frontiere, Frontex. Il fatto che al confine tra Grecia e Turchia ci siano agenti che parlano in tedesco, secondo gli attivisti, sarebbe indice di una presenza di Frontex in questa operazione di respingimento.
Intanto rifugiati siriani protestano da una settimana a piazza Syntagma, davanti al Parlamento greco e dal 24 novembre sono in sciopero della fame, per chiedere alla Grecia il rispetto dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico. "Siamo fuggiti dalla morte in Siria. Siamo sfuggiti alla morte in mare. Vogliamo vivere in Europa dignitosamente", hanno scritto in un appello diffuso anche in lingua inglese. Tra le richieste dei rifugiati c'è anche quella di ottenere i documenti per raggiungere  i Paesi europei che hanno annunciato di volerli accogliere, come la Svezia.



Per un giorno sulla nave salva-migranti
La spagnola Rio Mino è uno dei mezzi della missione Triton
Ansa.it, 27-11-2014
Salvatore Lussu
Il comandante Jose Maria Duenas controlla con attenzione i monitor nella plancia di comando. Non sa se oggi dovrà salvare dal mare qualche barcone carico di migranti o se la navigazione procederà tranquilla.Fino a qualche mese fa, con il suo equipaggio della Guardia Civil, controllava le rotte delle migrazioni che dal Marocco vanno verso la Spagna. Oggi fa lo stesso lavoro, ma in Italia.
La sua Rio Mino, una vecchia nave giapponese che un tempo pescava tonni e oggi raccoglie disperati, è uno dei vascelli impegnati nell'operazione Triton, gestita dall'agenzia europea Frontex e che di fatto raccoglie il testimone della missione italiana Mare Nostrum. Dal primo novembre i mezzi messi in campo da Triton - sette imbarcazioni, due aerei e un elicottero - hanno salvato duemila persone che cercavano di attraversare il Mediterraneo lungo la rotta Libia-Italia.
Alla missione partecipano diversi Paesi europei per pattugliare le coste al largo della Sicilia, intercettare i barconi della morte e soccorrere, se necessario, i migranti in viaggio. Una delle navi più grandi impegnate in questo lavoro è proprio la Rio Mino, della Guardia Civil spagnola, dove l'ANSA è potuta salire per un'intera giornata di pattugliamento. A bordo, oltre alla polizia iberica, c'è anche un ispettore della guardia di finanza, che si occupa del collegamento con il comando aeronavale della Gdf di Pratica di Mare, responsabile del coordinamento della missione.
Un impegno duro, quello degli equipaggi, che lavorano 24 ore su 24 per cinque giorni alla settimana. L'operazione Triton si presenta molto diversa da Mare Nostrum, a cominciare dal raggio d'azione, che non si spinge più fin quasi alle coste libiche, ma anche dalla dimensione inferiore delle navi utilizzate. La Rio Mino è lunga 50 metri, con un equipaggio di 25 persone e la possibilità di prendere a bordo fino a 250 persone. La nave si occupa del pattugliamento in alto mare, insieme ad altri due vascelli. Quattro, invece, le imbarcazioni impegnate sotto costa.
Per ora la Rio Mino non ha ancora dovuto effettuare alcun intervento di salvataggio, ma a bordo c'è tutto quello che serve per salvare vite umane: vestiti, coperte, acqua e cibo, un'infermeria con medicinali, un defibrillatore e altre attrezzature di primo soccorso. Un protocollo speciale è stato adottato per far fronte a casi sospetti di Ebola. "L'equipaggio - spiega il comandante Duenas - è stato addestrato per fare fronte al virus". Sulla nave ci sono tute e maschere da indossare per evitare il contagio e a chi sale a bordo viene per prima cosa misurata la temperatura. In caso di febbre scatta l'isolamento.
La Rio Mino continuerà a pattugliare le coste fino alla fine di dicembre, quando sarà sostituita da un'altra nave Frontex.  Jose Maria e gli altri cercheranno di salvare altre vite, in quello che però, dati alla mano, appare uno sforzo titanico. Se nel 2014, spiegano i responsabili di Frontex, sono stati 150 mila i migranti soccorsi al largo delle coste italiane, si stima che siano circa il doppio quelli che non ce l'hanno fatta e hanno perso la vita in mare.


 


Europa e Africa, accordo sui migranti
il manifesto, 27-11-2014
Carlo Lania
Le spe­ranze sono molte, almeno quante sono le pre­oc­cu­pa­zioni che da diverse set­ti­mane cir­con­dano l’iniziativa. Dopo Tri­ton, la mis­sione euro­pea che ha il com­pito di con­trol­lare le fron­tiere marit­time del con­ti­nente, l’Unione euro­pea si pre­para ora a lan­ciare un nuovo piano — bat­tez­zato Pro­cesso di Khar­toum — desti­nato a con­tra­stare il traf­fico di esseri umani ma anche al con­trollo dei flussi migra­tori pro­ve­nienti dal Corno d’Africa. Un pro­getto messo a punto nei mesi scorso in accordo con l’Unione afri­cana e che verrà pre­sen­tato domani al ter­mine della IV Con­fe­renza mini­ste­riale euro-africana su migra­zioni e svi­luppo in corso a Roma. Per l’occasione sono pre­senti i mini­stri degli Esteri e degli Interni dei 28 Paesi mem­bri dell’Unione, più quelli di Eri­trea, Egitto, Etio­pia, Gibuti, Kenya, Libia, Soma­lia, Sudan, Sud Sudan e Tuni­sia, ovvero i paesi da cui parte o in cui tran­sita la mag­gior parte dei migranti che — attra­ver­sano viaggi estre­ma­mente peri­coli che spesso durano molti mesi — cer­cano di arri­vare in Europa.
L’iniziativa prende avvio a pochi giorni di distanza dallo stop impo­sto dal governo ita­liano all’operazione Mare nostrum che in un anno ha sal­vato 160 mila migranti, e pro­prio come Tri­ton punta sì al con­tra­sto dei traf­fi­canti di uomini, ma anche a una ridu­zione degli arrivi lungo le nostre coste.
I dubbi sulla nuova ope­ra­zione nascono pro­prio sui metodi scelti per rag­giun­gere que­sti due obiet­tivi. Anche se finora non c’è nulla di uffi­ciale al cen­tro del Pro­cesso di Khar­toum c’è la rea­liz­za­zione di campi pro­fu­ghi nei Paesi che si tro­vano a Sud della Libia, in par­ti­co­lare Etio­pia, Sudan, Sud Sudan e Niger, attra­ver­sati oggi con mille peri­coli dai migranti prima di arri­vare nel Paese nor­da­fri­cano dove poi si imbar­cano diretti verso le coste ita­liane. I campi dovrebbe essere gestiti dall’Alto com­mis­sa­riato dell’Onu per i rifu­giati (Unhcr) e dall’Organizzazione inter­na­zio­nale per le migra­zioni (Oim), e dovreb­bero offrire un rifu­gio pro­tetto ai migranti con­sen­tendo anche di sta­bi­lire quanti di loro hanno diritto alla pro­te­zione inter­na­zio­nale.
Da parte sua l’Europa si impe­gna ad acco­gliere, divi­den­doli nei vari Paesi mem­bri, i rifu­giati la cui richie­sta di asilo è stata accolta. «In que­sto modo — spie­gano al Vimi­nale — riu­sciamo a togliere i pro­fu­ghi dalle mani dei traf­fi­canti, dal momento che non dovreb­bero più affi­darsi a loro per attra­ver­sare il Medi­ter­ra­neo».
Del Pro­cesso di Khar­toum si è par­lato ieri a Bru­xel­les nella sede del nuovo com­mis­sa­rio euro­peo per l’immigrazione, il greco Dimi­tris Avra­mo­pou­los, men­tre a dicem­bre a Gine­vra si terrà la con­fe­renza dei Paesi dell’Ue per sta­bi­lire le quote di acco­glienza e i finan­zia­menti da desti­nare all’operazione. Soldi che dovranno ser­vire anche per l’addestramento delle varie poli­zie di fron­tiera afri­cane e per avviare cam­pa­gne di infor­ma­zione nei Paesi di ori­gine dei migranti. Pro­ba­bile, come già avviene in alcuni Paesi afri­cani, che l’obiettivo sia quello di dis­sua­dere quanti fug­gono dall’intraprendere il viag­gio, ponendo l’accento sui rischi che que­sto com­porta.
Fin qui il pro­getto, che però al di là delle buone inten­zioni non è privo di zone gri­gie. A par­tire dalla scelta fatta dall’Europa, e in par­ti­co­lare dall’Italia, di avviare rap­porti di col­la­bo­ra­zione con dit­ta­ture come quelle pre­senti in Sudan e Eri­trea. Come spiega don Mus­sie Zerai, pre­si­dente dell’Agenzia Habe­shia che da anni denun­cia le vio­lenze del regime di Asmara. «Che garan­zie offrono que­sti paesi per­ché l’Italia possa dia­lo­gare con loro?», chiede il sacer­dote. «L’Onu ha avviato una com­mis­sione d’inchiesta pro­prio per accer­tare le vio­la­zione dei diritti umani in Eri­trea, e adesso l’Italia legit­tima quel paese che è privo per­fino di una Costi­tu­zione». Dubbi che si esten­dono anche alla rea­liz­za­zione dei campi, che secondo don Zerai l’Europa potrebbe usare per rac­co­gliere i migranti lascian­doli poi lì. «Campi così esi­stono già nel nord dell’Etiopia, dove sono sti­pati 80 mila pro­fu­ghi, e in Sudan dove migliaia e migliaia di per­sone aspet­tano mesi e mesi che qual­cuno esa­mini le loro domande di asilo».
C’è poi, e non è certo secon­da­rio, il pro­blema su chi garan­ti­sce la sicu­rezza dei campi. L’idea sarebbe di affi­darla alla poli­zia dei locale che però, come ricorda don Zerai, è spesso cor­rotta e col­lusa con i traf­fi­canti. «La mia paura — con­clude il sacer­dote — è che in realtà l’Europa voglia aprire quest campi per trat­te­nere i pro­fu­ghi, impe­den­do­gli così di arri­vare fino a noi».



Sport e cittadinanza. Un libro e 100 campioni
Corriere.it, 27-11-2014
Carlo Baroni
Era più facile diventare italiani quando l’Italia (quasi) non sapeva ancora di esserci. Bastava nascerci. Era quello che i giuristi chiamano ius soli. L’anno, il 1865. L’Italia aveva quattro anni. Ma, forse, un cuore più grande e generoso. Adesso ci è rimasta (quasi) solo l’anima ipocrita. Sei italiano se corri più veloce, salti più in alto, tiri più forte. Straniero per tutto il resto. Come dire: più facile indossare la maglia azzurra che diventare cittadino del nostro Paese. Era successo a Hristo Zlatanov, campione di pallavolo, nato a Sofia ma in Italia da sempre. C’era voluta una deroga della federazione mondiale per permettergli di giocare con la nostra nazionale. Italiano part time, come tutti i campioni che non sono nati nel nostro Paese. Eppure proprio loro possono diventare il grimaldello per cambiare la normativa. La popolarità e il successo che vengono prima della giustizia e del diritto.
In Campioni d’Italia? Le seconde generazioni e lo sport edito da Sinnos, Mohamed Abdalla Tailmoun, Mauro Valeri e Isaac Tesfaye provano a guardare a questo problema da prospettive talvolta inedite. Per arrivare alla conclusione che per un pallavolista col cognome straniero ma più italiano di Dante è molto più difficile abbattere il muro della burocrazia che quello delle mani degli avversari.
E la discriminazione colpisce tutti: persino una star del pallone come Mario Balotelli, che parla bresciano meglio di Evaristo Beccalossi. Bene, quando a 18 anni gli è stata “concessa” la cittadinanza sembrava avesse usufruito di chissà quale privilegio. L’attuale normativa è così assurda che ci sono figli di italiani (e per questo cittadini della Repubblica) nati all’estero che a sentirli parlare non capisci cosa stano dicendo. Italiani “di sangue” se tutto questo vuol dire ancora qualcosa. E poi mettiamoci anche i risultati: prendiamo la Germania campione del mondo di calcio. Insieme i Muller e ai Neuer, c’erano Ozil, Khedira, Boateng e Klose. E sanno persino cantare l’inno.



Servizio Civile Nazionale. Si cercano 5500 giovani, anche stranieri
Pubblicati i bandi per i progetti del piano Garanzia Giovani, la cittadinanza non conta. I volontari impegnati per un anno e pagati 433,80 euro al mese. Domande entro il 15 dicembre
stranieriinitalia.it, 27-11-2014
Roma – 27 novembre 2014 - C'è posto anche per i ragazzi stranieri tra i nuovi 5504 volontari del Servizio Civile Nazionale che parteciperanno ai progetti promossi dalle Regioni nell'ambito del piano ”Garanzia giovani”.
Secondo i bandi, pubblicati il 14 novembre, la cittadinanza non conta.  L'importante è essere giovani tra i 18 e i 28 anni “regolarmente residenti in Italia”, disoccupati e non iscritti a un corso di studio. Fondamentale anche l' adesione al programma Garanzia Giovani, che si fa online.
Si cercano volontari in dieci Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria. Verranno impiegati per un anno e pagati 433,80 euro al mese.
A ogni bando è allegata la lista dei progetti con i posti disponibili. Le domande di partecipazione vanno presentate direttamente agli enti che promuovono il progetto prescelto entro le ore 14.00 del 15 dicembre.



Il problema è il numero di immigrati arrivati in poco tempo!
Corriere.it, 27-11-2014
Beppe Severgnini
Caro Beppe, il medico mi ha detto che, per stare decisamente meglio, devo bere almeno 2 litri di acqua al giorno. Siccome so di essere smemorato, ho pensato: perché non mi porto avanti e mi bevo subito i 60 l. che devo bere ogni mese? E così ho iniziato: 1 l. è andato giù più o meno liscio; il secondo meno liscio; il terzo ho faticato un po’; il quarto è stata dura; il quinto… il quinto mi ha costretto a mettermi a letto, dove, purtroppo, ho vomitato tutto, rendendo inutile il sacrificio fatto in precedenza. Che dici? Sono scemo? Forse, ma sono come quelli che non capiscono che il problema non è l’immigrazione, né il numero di persone che arrivano: il problema è il numero di immigrati che sono arrivati in Italia in poco tempo. La Germania ha molti più immigrati di noi, ma li ha assorbiti in più di 50 anni! La Francia e la Gran Bretagna li hanno da secoli, provenienti dalle innumerevoli colonie che hanno sempre avuto. Noi no: per noi è stato un fenomeno di massa iniziato negli anni ’80 – ’90, e la cecità dei governanti dell’epoca ha fatto sì che non venissero studiati modi idonei a dar loro un’ospitalità dignitosa. Ovviamente quelli che non hanno trovato un lavoro onesto sono andati a rimpinguare le fila di coloro che campano sbarcando il lunario (eufemismo), dove vi erano già tanti italiani. In più li abbiamo sfruttati per i lavori più duri, pagandoli sempre meno. Ora, dopo anni di fatica ad assorbirne l’arrivo, stiamo rigettandoli e senza far alcun tipo di distinguo. Non credo che la colpa sia della crisi: probabilmente ha accelerato il fenomeno, ma temo che ci si saremmo arrivati lo stesso. Il problema, inoltre, è che chiunque prova a dire che non ne può più, viene tacciato di razzismo, soprattutto da coloro che mai e poi mai hanno vissuto con immigrati vicino a casa loro.
Mario Orlando, Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.     
Grazie del tono ragionevole, Mario. Quando si parla di immigrazione è importante, anzi necessario.  Non c’è dubbio che la percezione conti più della realtà dei numeri (gli immigrati in Italia sono circa la metà rispetto a UK e Germania). L’ondata di nuovi arrivi, uniti a una crisi economica che dura  da cinque annni,  provoca ansia. E all’ansia non si comanda.
Quello che non mi piace è che la Lega sfrutti questa inquietudine e crei sentimenti xenofobi; che la sinistra parli parli e non decida (quale immigrazione?); che la destra non abbia un’idea che è una;  che il governo, formato da sinistra e destra, si limiti a fronteggiare le emergenze, dimostrandosi incapace di una strategia;  che tutti quanti stiamo andando a cacciarci in un bel guaio.



Immigrati: 500 ragazzi scomparsi, mamma tunisina cerca disperatamente il figlio
strettoweb.com, 26-11-2014
Ilaria Calabrò
immigrati reggioC’era anche Mounira Chagraoui, una mamma tunisina diventata una sorta di portavoce di un comitato formato da genitori di ragazzi sbarcati in Italia prima e dopo le rivolte nordafricane del 2011 e 2012 e dei quali si sono perse le tracce, all’iniziativa sui temi dell’immigrazione e dello sfruttamento della manodopera extracomunitaria nella Piana di Gioia Tauro, che si e’ svolta a Rosarno su iniziativa di Amnesty International. La donna, prendendo la parola nel corso dell’incontro, ha chiesto alle autorita’ italiane di aiutarla a rintracciare il figlio e tutti i giovani spariti nel nulla (si parla di 500 persone), per alcuni dei quali si ha la certezza che siano giunti in Italia grazie alle immagini televisive. Mounira si e’ appellata a Amnesty e alle organizzazioni umanitarie che si occupano di accoglienza e di assistenza per venire a capo di un mistero che ha sconvolto la vita di centinaia di famiglie in attesa di avere notizie sui loro cari in Tunisia. Tanti di questi ragazzi, infatti, sbarcati negli anni a Lampedusa e in Sicilia, potrebbero trovarsi adesso in Italia o in Europa.



Duemila euro al mese alla famiglia di Zakhir Hossain, ucciso per strada con un pugno
Il cameriere bangladese fu aggredito senza motivo  a Pisa mentre tornava a casa dal ristorante. L'Inail riconosce una rendita ai superstiti per morte "in itinere"
stranieriinitalia.it, 26-11-2014
Pisa Р26 novembre 2014 - Zakhir Hossain ̬ stato ucciso lo scorso aprile nel centro di Pisa.
Aveva 34 anni, veniva dal Bangladesh e una domenica notte, mentre tornava a casa dopo il suo turno da cameriere in un ristorante, fu colpito con un pugno in faccia da un uomo che non conosceva. Spirò in ospedale dopo 36 ore di agonia.
Il suo assassino, il 27enne Hamza Hamrouni, è latitante in Tunisia. Secondo la ricostruzione degli investigatori lo aggredì senza motivo: lui ed alcuni amici si “divertivano” a provocare e picchiare gente per strada.
Zakhir ha lasciato in Bangladesh una moglie e tre figli, che vivevano grazie ai risparmi che lui riusciva a mandare a casa. D'ora in poi la sua famiglia potrà contare su un assegno mensile dell'Inail di circa 2 mila euro al mese, compresi gli arretrati calcolati dal giorno della sua morte. Non è un regalo, ma la “rendita ai superstiti” garantita dall'Inail quando un lavoratore muore “in itinere”, cioè mentre si sta recando o sta tornando dal luogo di lavoro. La moglie potrà beneficiarne per tutta la vita, i figli fino alla maggiore età o al termine degli studi.
Lo concessione della rendita verrà annunciata domani dal direttore dell'Inail di Pisa Giovanni Lorenzini durante il consiglio comunale aperto in occasione della Festa della Toscana. La città quest'anno ha voluto dedicare la festa proprio a Zakhir Hossai.
 

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