Il circuito Sprar funziona Perché non ampliarlo?

Italia-razzismo
Dal 1 febbraio 2014 sono stati aumentati i posti in accoglienza all’interno del circuito Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Si tratta di un sistema particolare in cui i migranti non ricevono solo vitto e alloggio in un centro, ma hanno a diposizione molti altri servizi, utili al loro percorso di integrazione. I numeri che vengono resi noti annualmente sull’andamento di questi progetti, descrivono come essi incidano positivamente sulla vita delle persone accolte.

Pare siano pochi, infatti, quelli che escono senza aver appreso la lingua italiana e con principi minimi di educazione civica e di formazione all’attività lavorativa. Il successo è anche decretato dal fatto che i progetti coinvolgono quasi sempre piccoli gruppi di persone e si svolgono per lo più in piccoli paesi individuati ad hoc per la facilità di adattamento del progetto ideato.
Dalla nascita di questo sistema ad oggi migliaia di migranti hanno preso parte a progetti Sprar, a fronte di una disponibilità di pochi posti che si rinnovano ogni sei mesi. Il sistema Sprar è stato ampliato dal Viminale cinque volte dal 2012 a oggi, passando da 3mila a 16mila. Tra dicembre 2012 e novembre 2013 sono stati trovati 6.356 posti aggiuntivi e, con l’attuale finanziamento, si è arrivati a 13.020. È sicuramente un vantaggio per loro ma lo è anche per la società intera che, spesso, sottovaluta l’importanza di investire nei primi mesi dell’arrivo in Italia dei migranti. È in questa primissima fase che il migrante in fuga deve essere messo nella condizione di raccontare il proprio viaggio, il motivo per il quale si è allontanato dal Paese di origine e quello per cui vuole chiedere asilo.
L’accoglienza è utile per poter recuperare le energie e investire sul proprio futuro. Se questa possibilità non viene data al migrante, le conseguenze saranno deleterie. Sono numerosi gli esempi di percorsi di integrazione falliti, proprio perché sono state ignorate le esigenze dettate dalla condizione di neo-arrivato. È quanto accade negli attuali Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) in cui le persone dovrebbero rimanere fino a un massimo di 35 giorni per poi essere trasferite, qualora lo chiedessero, in un centro Sprar. La prassi è molto lontana da quanto descritto. Infatti, i tempi di permanenza sono lunghi, fino ad arrivare in alcuni casi a otto mesi e la causa è da ricercarsi nel lavoro che prosegue a rilento della Commissione Territoriale per l’Asilo. Il compito di questo organo è di valutare la storia di ogni richiedente asilo e di rispondere decretando quale tipo di protezione rilasciare. Solo a questo punto la persona potrà lasciare il Cara. Il punto è che, se in quel periodo non ha svolto alcun tipo di attività, se non quella di attendere con ansia il parere della Commissione, si porrà il problema di dove andare e che cosa fare. Finora in pochi sono riusciti a realizzare il proprio progetto migratorio. Tutti gli altri hanno seguito altre strade, alcune di queste non sempre proficue.
l'Unità, 20-02-2014

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