Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 ottobre 2010

Il permesso di soggiorno tarda? E io allora ti diffido
Messaggero, 25-10-2010
Corrado Giustiniani
Al di là delle chiacchere e dei sogni (diritto di voto alle comunali, riforma della cittadinanza) la prima misura di integrazione che un paese civile dovrebbe garantire agli immigrati regolari è la certezza di ottenere in tempi brevi quel permesso di soggiorno che permette loro di vivere alla luce del sole, di esistere legalmente.
Un paese civile. Non - evidentemente - il nostro. Perché stavolta la legge c'è, ma nessuno “pone mano ad ella”. Il Testo unico delle norme sull'immigrazione prescrive infatti che la trafila per il rilascio, il rinnovo e la conversione del permesso di soggiorno debba concludersi entro 20 giorni dalla presentazione della domanda. Ma gli immigrati debbono aspettare talvolta più di un anno per ottenerlo, non di rado arriva già scaduto e in diversi casi i ritardi amministrativi sono costati allo straniero la perdita del posto di lavoro.
Del resto, lo stesso ministero dell'Interno ammette che i tempi medi di attesa sono superiori ai cinque mesi. Più che un servizio, un disservizio, per il quale gli immigrati sborsano oggi 80 euro, ma il “pacchetto sicurezza” ha già deciso una pesante maggiorazione, che forse per pudore non è stata ancora applicata. 
Così, per fare valere i propri diritti, alcuni immigrati hanno deciso di diffidare la pubblica amministrazione e Cittadinanzattiva, benemerita onlus con trentadue anni di di vita e 19 sedi regionali, ha portato avanti con successo il loro ricorso, utilizzando il decreto legislativo n.198 del 2009 che permette le azioni collettive nei confronti della pubblica amministrazione. Con “viva soddisfazione” del ministro Renato Brunetta che aveva promosso il provvedimento.
In particolare, è stata diffidata la Questura di Roma in due casi, il mancato rinnovo a due cittadini extracomunitari del permesso di soggiorno per motivi di studio, e i ritardi per un altro adempimento, il rilascio della cosiddetta carta di soggiorno, e cioè il permesso per soggiornanti di lungo periodo che non deve essere rinnovato. Qui la procedura non prevede 20 giorni ma tre mesi, abbondantemente superati. La denuncia da cui è partita la diffida tramite ufficiale giudiziario perveniva, stavolta, da un numero imprecisato di cittadini extracomunitari. In entrambi i casi la Questura romana ha risposto prontamente, rilasciando i documenti richiesti.
«Certo, è un po' paradossale questa Legge Brunetta, per serve a indurre la pubblica amministrazione a fare ciò che dovrebbe fare normalmente - commenta Mimma Modica Alberti, coordinatrice di Giustizia per i diritti di Cittadinanza attiva - Ma pensiamo di ricorrervi altre volte: abbiamo ricevuto diverse segnalazioni da ogni parte d'Italia, e adesso stiamo verificando i documenti e le certificazioni che ci sono state presentate».
La mia impressione è che presto sarà tutta una diffida, tutta una “class action” contro gli uffici pubblici, perché il servizio invece che migliorare è destinato a peggiorare. La legge Finanziaria 2010, infatti, ha previsto la riduzione del 50 per cento dei precari e dei “somministrati” in servizio presso le Questure. Fra questi vi sono 650 giovani a tempo determinato, assunti con tanto di concorso pubblico, con contratto che scadrà il 31 dicembre di quest'anno, e impiegati presso gli Sportelli unici per l'immigrazione degli uffici territoriali del governo e gli Uffici immigrazione delle Questure, proprio per tentare di migliorare il servizio. E' proprio vero, non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Ammesso, e non concesso, che gli immigrati regolari siano ritenuti degni di nozze.  



Immigrati, 5 mesi per un permesso E all'alba tutti in fila in questura

la Repubblica, 24-10-2010
RICCARDO BIANCHI
I costi per la pratica sono aumentati. Tra gli stranieri c´è chi denuncia: quei moduli da compilare sono scritti in modo difficile
Firenze -Settanta persone riempiono già il marciapiede di via della Fortezza. Sono le 6.30, il sole è ancora lontano. Regna il silenzio tra gli immigrati, davanti all'ufficio della questura. Anche per Gina è il giorno X nell'annuaria gimcana per il rinnovo del permesso di soggiorno. Dopo aver compilato le prime pratiche e averle spedite via posta, oggi dovrà presentarne altre di persona e lasciare le impronte. Ha 21 anni, è arrivata dal Perù nel 2009. Tre anni fa è rientrata nel decreto flussi. Il via libera del governo italiano, però, è arrivato due anni dopo. Ora lavora come badante per un'anziana. Ha preso il giorno libero, avrà bisogno di tempo. Alle Poste gli hanno detto che il suo turno sarebbe stato alle 8.30. L'orario e la data sono una novità, la questura fiorentina è una delle prime che li sperimenta. Servirebbero per evitare le file. Servirebbero, perché in realtà c'è ancora il numerino. Perciò chi prima arriva, prima se ne va.
Alle 7 si aprono i cancelli. Le famiglie con i piccoli passano per prime. Gina prende il biglietto 68. L'ultimo ha il 233. Due bimbi arabi rincorrono uno cinese. Gli adulti si siedono. Sono le 8 quando i funzionari li chiamano uno per uno. "Cosa devi fare?". "Rinnovare il permesso di soggiorno". "Tieni". Altro numerino, H742. Ogni lettera corrisponde a un servizio: nuovo permesso, rinnovo, ricongiungimento familiare etc. Un cinese si addormenta. A un certo punto si sveglia e comincia a correre: il suo numero è già passato. Sono le 10,25 quando sul tabellone appare "H742  -  sportello 16". Gina raccoglie borsa, giubbotto e il pacco di documenti e va. "Cosa devi fare?". "Rinnovare il permesso di soggiorno". "Ma mancano i certificati dell'Inps". "Li ho chiesti, mi hanno detto che non sono ancora arrivati perché lavoro solo da maggio. Ma ho il contratto e le buste paga". "Speriamo bastino". Il commesso prende le decine di fogli e scompare. La ragazza si passa la mano tra i capelli: "Se non va bene devo rifare tutto". L'addetto torna: "Tutto ok, lascia le impronte". Gina, più tranquilla, mette le dita sul rilevatore elettronico accanto al banco, una ad una. Fatto? Non proprio. "Torna in questa data e ti daranno il permesso". "Questa data" è fissata tra tre mesi. E un'altra coda la aspetta.
Le 4 ore passate in fila sono solo le ultime di un lungo percorso. Molto prima Gina, come tutti gli altri, ha dovuto compilare i moduli. "Sono molto tecnici, sono difficili", ripetono mentre Roberto Menichetti li riempie per loro allo sportello immigrati di Scandicci. Ma soprattutto richiedono l'idoneità abitativa dell'alloggio. "Alcuni comuni vogliono pure che si paghino un geometra che faccia i calcoli", racconta Roberto. E le sorprese non mancano. In sole tre ore di un venerdì sera poco impegnativo, sono due gli immigrati che rischiano di non ottenere il certificato. La prima è una donna serba, paga 550 euro al mese per un fondo ora destinato ad abitazione, con tanto di via libera del catasto, ma che ha una sola finestra. Il secondo è un cinese che vive in una casa di 85 metri quadri, ma con troppe persone, secondo la legge: due figli piccoli, i due genitori anziani, lui e la moglie. Due situazioni che li accomunano a molte famiglie di italiani, ma che potrebbero costare loro care. Una volta finita la compilazione, i due moduli e i documenti da allegare vengono inseriti in una busta e spediti alle Poste, di persona, perché bisogna firmare. Costo complessivo: 72 euro a busta. Per una famiglia di quattro persone 284 euro. Niente sconti. Se ci sono errori, si ripaga tutto. A questo punto fissano l'appuntamento: tra un mese e mezzo. In totale tra la presentazione dei fogli e l'avere in mano il permesso passano almeno 5 mesi.



E dalla Lega, ancora approcci sterili sull’immigrazione
La strada giusta per costruire un multiculturalismo del buonsenso
Farefuturoweb magazine, 25-10-2010
Francesco De Palo
Ha detto Albert Einstein che è più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio: mentre nel continente si ragiona a più cervelli su modelli di integrazione dell’immigrazione e si valuta attentamente come attuare modifiche o miglioramenti, in Italia la politica sui flussi si fa con adesivi sui banchi di scuola o attribuendo più attenuanti del previsto (perché nato sul suolo italiano), a chi è accusato di omicidio di una donna rumena. Sicuri che sia la strada giusta per armonizzare diritti e doveri?
La riflessione di qualche giorno fa vergata dalla cancelliera tedesca sui difetti del muticulturalismo è stata da più parti strumentalizzata. Ovviamente a favore di chi pensa che un “no” preventivo a tutto e a tutti sia la risposta maggiormente efficace. Invece quelle penne che hanno colto l’occasione per scrivere tediosi e infiniti “lo avevamo detto”, avrebbero potuto leggere fra le righe di quei pensieri per fare autocritica (che sarà mai, questa sconosciuta?), per elaborare proposte più serie, per sforzarsi di evitare di parlare di immigrazione con il disinfettante in mano, come fatto anni fa dall’eurodeputato leghista Borghezio sullo strapuntino di un treno occupato da una nigeriana, in un trionfo di immane inumanità.
In Francia il dibattito ruota sul concetto di assimilazionismo, dove si è tentato di azzerare l’identità del nuovo cittadino, rendendolo ex novo un individuo francese a tutti i costi. E non tenendo in debita considerazione le sue peculiarità, le sue abitudini, i suoi sogni. Nel nord Europa, invece, si è puntato su un multiculturalismo che ha necessità, oggi, a distanza di due generazioni come i flussi turchi in Germania dimostrano, di essere registrato. Come ribadito dal presidente della Camera Gianfranco Fini in occasione della sue recente visita in Marocco, né l’anarchia interna né il rifiuto a priori possono essere due strade percorribili. Il multiculturalismo del futuro deve essere quindi declinato prevedendo l’integrazione dell’immigrato.
Ci si chiede, all’interno del dibattito europeo, cosa significhi tutelare l’identità dello straniero. La risposta è: declinandola all’interno del nuovo contenitore sociale prescelto, con una massiccia dose di buon senso. È quindi da ritenersi fallimentare quel multiculturalismo che vede lo straniero non apprendere la lingua del paese ospitante.
È chiaro che le voci discordanti manifestatesi negli ultimi mesi sul tema rappresentano la spia di un malessere ben preciso: l’esigenza di un approfondimento culturale - e di conseguenza provvedimenti umani e corretti - che tutelino i diritti fondamentali dei nuovi cittadini, accanto ai rispettivi doveri.
Invece in Italia la proposta del ministro dell’Interno Maroni pare farà il paio con requisiti abitativi: in sostanza l’immigrato, anche comunitario, potrà essere respinto se non disporrà di un'adeguata dimora. Lecito chiedersi: chi ne valuterà l'adeguatezza? L’ufficio tecnico del comune? Burocrazia su burocrazia: non è così che si armonizzeranno richieste ed esigenze, che si annoderanno i fili di esistenze diverse che, per cause storiche, politiche ed economiche- che non tutti forse rammentano - sono costrette a convivere. E non da oggi, ma da molti secoli prima che nascessero movimenti identitari con il fazzoletto verde e con gli adesivi sui banchi di scuola.



Alto Adige, gli immigrati terzo gruppo

Alto Adige, 25-10-2010
Luca Fazzi
Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i dati relativi alla presenza di stranieri in provincia di Bolzano. Gli stranieri regolari sono circa 40.000 e costituiscono ormai l’8% della popolazione residente. Con questi numeri gli stranieri sono diventati più del doppio dei ladini e quasi la metà degli italiani.
I quali nel Censimento del 2011 dovrebbero rappresentare tra il 19 e il 21% della popolazione provinciale. Il tasso di ingresso degli stranieri è in crescita dalla metà degli anni 90 e, dopo una breve fase di stasi nel periodo della crisi economica, ha ricominciato a salire rapidamente. Gli stranieri sono di età media molto più giovane dei locali e hanno un tasso di natalità superiore a quello medio provinciale pari a 1,56 nati per donna (1.80 circa per il gruppo tedesco e 1.20 circa per quello italiano a fronte di un tasso di rimpiazzo della popolazione fissato a 2,1). Il divario tra il tasso di sviluppo dell’economia locale una tra le più ricche d’E uropa e le economie dei paesi da cui provengono gli stranieri è talmente abissale da garantire un flusso costante della popolazione straniera verso la provincia di Bolzano per i prossimi venti anni almeno. Le stime di molti organismi internazionali che parlano di un’Europa nel 2050 abitata tra il 40% e il 50% da cittadini di origini extraeuropee rappresentano l’orizzonte a cui anche la realtà locale sta inesorabilmente tendendo. I sostenitori dell’A utonomia come modello perfetto di gestione del futuro della provincia di Bolzano preferiscono non addentrarsi troppo nella tematica dei nuovi flussi di immigrazione. La distinzione tra buoni e cattivi è eventualmente tra i fautori di un etnicismo moderato che accettano le basi della separazione etnica come presupposto di una convivenza civile e gli etnicisti radicali che perseguono invece il distacco anche fisico tra i gruppi. L’orizzonte delineato da questo modo di rappresentare la scena è asfittico. Lo spazio per la convivenza e i diritti ad essa correlati è occupato soltanto dagli attori che lo Statuto di autonomia vecchio ormai di 40 anni riconosce come legittimi portatori di diritti ascrittivi: i tedeschi, gli italiani e i ladini permettendo al massimo agli altri di dichiarare la propria aggregazione a uno dei tre gruppi ufficialmente riconosciuti. In questo quadro di pensiero, gli stranieri non sono stati per molto tempo semplicemente considerati. Ancora prima di essere desiderati o meno, non esistono come categoria mentale. I dati che indicano come l’immigrazione sia un fenomeno ormai parte integrante delle dinamiche socio demografiche locali hanno colto dunque i politici locali di sorpresa. Nell’anno 2010, il segretario del partito di raccolta Richard Theiner ha recentemente cercato di fornire una soluzione al problema inquadrandolo nello schema mentale istituzionalizzato. “Gli stranieri non li avremmo desiderati ma visto che ci sono e non siamo n grado di mandarli via (anche perché altrimenti metà economia locale - ristoranti, esercizi turistici, piccola industria - rischierebbe di saltare in aria) dobbiamo integrarli”. Anche perché altrimenti il rischio è che, una volta acquista la cittadinanza, si dichiarino italiani e spostino gli equilibri della proporzionale etnica che costituisce ancora oggi la leva attraverso la quale la SVP è convinta di ridurre nel medio periodo al minimo la consistenza del gruppo linguistico italiano. E’ mutatis mutandis lo stesso ragionamento che faceva qualche anno fa l’allora assessore provinciale alla cultura italiana Luisa Gnecchi quando difendeva la presenza crescente degli studenti stranieri nelle classi delle scuole italiane immaginando che poi i “nuovi cittadini”? si sarebbero dichiarati italiani ai prossimi censimenti fornendo ossigeno a un gruppo linguistico in molte parti della provincia a rischio estinzione. Quello che emerge da questo modi di ricondurre tutti i problemi sociali, economici e politici allo schema di una società divisa (e contesa) tra italiani e tedeschi è ciò che in termini tecnici viene chiamato “disgrazia del vincitore”. Quando si è abituati tropo a vincere però il rischio è di dare per scontato che gli schemi mentali e le soluzioni adottate in passato siano per sempre valide per gestire il futuro. L’aumento irrinunciabile e, allo stesso tempo, incontenibile della presenza straniera in provincia di Bolzano rompe invece brutalmente la validità dei vecchi schemi. Gl stranieri aumentano la pluralità dei gruppi etnici presenti in provincia. Distruggono le vecchie polarizzazioni tra italiani e tedeschi. Impongono una revisione radicale del sistema dei diritti su cui fino ad oggi si è fondata la vecchia autonomia. Che piaccia o meno, anche la società locale sarà nei prossimi anni più differenziata e più plurale rispetto al passato. Come si può immaginare allora anche per il futuro di continuare a categorizzare la società solo in italiani tedeschi e ladini? Come fare a giustificare all’Europa una tutela di una minoranza in un mondo di minoranze? In che modo si può gestire il fenomeno dell’i ntegrazione in base all’assunto secondo il quale ogni cittadino straniero per essere integrato nella società locale deve accettarne e interiorizzarne i valori e la cultura? La fine del sogno della società basata sulla divisione etnica ha iniziato ad avvenire lentamente senza che nessuno sia in grado di fermare il flusso della storia. Non sarà la Svp. Non sarà Theiner. Non sarà Durnwalder. Non saranno le alleanze tattiche o strategiche con il Pdl o il Pd. Lasciamo che i politici locali discutano pure di eliminare i toponimi italiani, o di mantenere ad infinitum le scuole separate. La storia non ha pietà di chi si sofferma troppo a osservare il proprio ombelico.



Non è l’immigrato che ti ruba il lavoro. È Tremonti che non fa le riforme

libertiamo, 25-10-2010
SIMONA BONFANTE
– Negli ordini professionali di immigrati non ce ne sono. I ‘negri’ fanno gli operai, le pulizie in casa della gente, badano ai nostri nonni. Non fanno l’avvocato, il giornalista, il commercialista. Il mercato professionale italiano, dunque, è immune dalla competizione a ribasso che si verifica invece nei gradini più bassi della scala dei mestieri, dove la presenza dello straniero pare minacciare di più l’occupabilità dei lavoratori italiani.
Eppure, un giovane professionista italiano oggi fatica parecchio a trovare un lavoro adeguatamente remunerato. Molto spesso anzi pur di fare capolino nell’oligarchia degli attivi, un neo-professionista accetta di lavorare gratis per un periodo indeterminatamente lungo, per poi magari negoziare col capo un simbolico contributo alla fatica versata: un tot in centesimi di euro per ogni prestazione – chessò: un articolo, una dichiarazione dei redditi, una causa civile.
Il mercato degli ordini – si dirà – è un mercato chiuso. Ed in più l’offerta di professionalità è talmente over quota rispetto alla domanda da far risultare scontato l’alto tasso di non-occupazione, o di occupazione non adeguatamente remunerata.
Il fatto però è che, proprio perché chiuso, il mercato delle professioni è immune da quella che viene emotivamente considerata la causa principale del degrado quantitativo e qualitativo della nostra occupazione, e cioè gli immigrati.
Se un giovane operaio italiano ha difficoltà ad accettare un posto di lavoro con uno stipendio da fame, mentre un operaio straniero quell’imbarazzo parrebbe non avvertirlo, il giovane compatriota in tuta blu si avvertirà vittima di una competizione sleale, a ribasso. Insostenibile, dunque.
Ebbene sappia l’amico che in realtà la stessa crudele competizione che patisce lui la subisce pure il giovane professionista che, pur non avendo i negher in studio, viene posto dalle circostanze del suo mercato laburista davanti al medesimo dilemma dell’operaio: rimanere disoccupato o tirare a campare con quel poco che il mercato è ancora in grado di dare?
E qui casca l’asino. Il problema del nostro beneamato paese non è certo la competizione sleale dei cinesi o dei polacchi regolari ma il fatto che manca il ‘cosa’ per cui competere. Scarseggia il lavoro per cui ci si è formati mentre le opportunità di fare impresa si scontrano con costi proibitivi di accesso. Questo avviene perché il sistema italiano – con le sue insopportabili rigidità – scoraggia la creazione di ricchezza. Perché l’economia – in una dimensione sotto-infrastrutturata, pachidermicamente burocratizzata e strutturalmente anti-innovativa come la nostra – l’economia, si diceva, in un sistema così non respira, soffoca.
Ci sono in Italia più disoccupati tra giovani e donne, e più al sud che al nord. Al sud tuttavia ci sono anche meno immigrati. Le alte percentuali di non occupazione dunque non sembrano davvero potersi spiegare con la concorrenza al ribasso della forza lavoro non nata sul suolo patrio.
Checché ne dicano Lega e Pdl la priorità numero uno del nostro impaurito paese non è cacciare gli immigrati ma fare quelle riforme che rendano possibile innovare, investire, mettere in moto le cose e creare ricchezza, occupazione, imprenditorialità.
Perché parliamo di questo? Perché la maggioranza di governo ha recentemente ipotecato quell’opportunità accordando alla corporazione forense quelle tariffe minime che permettono al notabilato di mantenersi viziosamente castale.
Il governo, i provvedimenti sostanziali per la crescita, si ostina a ritenerli non così urgenti, e comunque non tali da dover incidere radicalmente sugli attuali asset del nostro sviluppo. Possibile ci fossero spese pubbliche più importanti della riforma dell’Università? Se si, accidenti, che Tremonti ci spieghi quali.
Crescete e moltiplicatevi – diceva il tale. Non mi spingerei a tanto. In fondo, già riuscire a crescere è un obiettivo dall’esito affatto scontato.



IL PROBLEMA DEL BURQA LO RISOLVERANNO LE DONNE

Corriere della Sera, 25-10-2010
Risponde Sergio Romano
In un editoriale, parlando di burqa, lei sosteneva che in molti casi sì trattava di zelo religioso e che la risposta alla paura dell'integralismo risiedeva nell'integrazione. Purtroppo esempi indicano che anche dopo anni in Italia molti islamici non hanno alcuna intenzione di integrarsi. Secondo me non si tratta tanto di ottemperare ai precetti religiosi giacché il motivo principale è quello di conservare la sharia e con essa la supremazia sulla donna, cioè machismo puro e nulla più.
Vittorio di Sambuy Milano
Caro Sambuy,
Negli scorsi giorni il Cip-mo, un centro milanese per la pace in Medio Oriente diretto da Janik Cingoli, ha organizzato una tavola rotonda sul «burqa tra libertà individuale e sicurezza sociale» che si è tenuta in un antico refettorio, ora restaurato, dell'antico ospedale milanese dove ha sede da molti anni l'Università statale. Al convegno, moderato da Silvio Ferrari, docente di diritto canonico, hanno partecipato cinque donne, di cui quattro musulmane: Sara Silvestri, docente di religione e politica internazionale alla City University di Londra, Sumaya Abdel Qader, membro del Comitato esecutivo del Foro europeo delle donne musulmane, Dounia Ettaib, presidente di Dari (donne arabe in Italia), Patrizia Khadija Dal Monte, vicepresidente dell'Ucoii (Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche in Italia) e la dottoressa somala Maryan Ismail.
Delle quattro donne due — Dounia Ettaib e Maryan Ismail .— avevano il capo scoperto e hanno suscitato i rimbrotti di un anziano signore musulmano che ha chiesto la parola all'inizio del dibattito. Vi erano quindi, fra i musulmani che hanno partecipato alla discussione, diverse opinioni e intonazioni. Ma negli interventi femminili ha prevalso la tesi secondo cui il burqa apparterrebbe esclusivamente alla cultura afghana, mentre il niqab (l'abito che lascia scoperti soltanto gli occhi) sarebbe un costume dell'antica tradizione arabo-bizantina senza alcuna relazione con i precetti del Corano. Quello che mi ha maggiormente colpito, caro Sambuy, è la passione intelligente con cui tutte le donne musulmane hanno difeso le loro libere scelte. Credo che nel processo d'integrazione delle comunità islamiche in Europa le donne siano destinate ad avere una funzione decisiva. Conoscono la condizione delle loro amiche occidentali, sono attratte dai loro successi, vogliono lasciare alle figlie una società migliore di quella in cui sono cresciute e si stanno adoperando, con molta intelligenza, per trovare formule che permettano di conciliare la tradizione e la modernità, l'identità religiosa e la cittadinanza del Paese in cui vivono. Il fenomeno non è esclusivamente italiano. In un articolo apparso sul Corriere del 18 settembre, Alessandro Silj ha segnalato che i movimenti femminili del mondo arabo-musulmano stanno diventando sempre più visibili e influenti. Se non vi sarà scontro di civiltà lo dovremo soprattutto alle donne.
Una legge sul burqa o sul niqab, soprattutto in un Paese in cui le donne interamente velate sono tutt'al più qualche centinaio, sarebbe, oltre che inutile, dannosa. Verrebbe correttamente interpretata come una legge anti-musulmana e fornirebbe argomenti agli esponenti più radicali e maschilisti della comunità. Lasciamo alle donne musulmane il compito di risolvere il problema del velo. Ci riusciranno meglio di noi.



L’Unar critica il piano provinciale per l’immigrazione di Pordenone.

ImmigrazioneOggi, 25-10-2010
Una lettera del vicepresidente della Provincia invitava con una lettera gli stranieri residenti “ad un colloquio con lo psicologo, facilitatore dell’integrazione”.
L’Ufficio anti-discriminazioni razziali (Unar) presso il Ministero delle pari opportunità ha ravvisato profili non conformi “alla normativa anti-discriminatoria” nel Piano territoriale della Provincia di Pordenone in materia di immigrazione.
Lo rende noto un comunicato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) regionale del Friuli Venezia Giulia, che il 30 agosto scorso aveva espresso preoccupazioni sulla normativa. In particolare, veniva contestata la lettera di invito al colloquio con psicologi “facilitatori dell’integrazione”, firmata dal vicepresidente della Provincia, Eligio Grizzo (Lega Nord) inviata agli stranieri residenti e formulata “utilizzando un linguaggio intimidatorio e ostile”, secondo l’Asgi, facendo intendere una presunta obbligatorietà del progetto e minacciando una segnalazione alla Questura.
L’Unar – riferisce l’associazione – concorda sostanzialmente con l’analisi dell’Asgi. “Tali critiche – si legge nella nota – rispondono all’esigenza di tutelare principi e valori fondamentali di legalità costituzionale messi in discussione da provvedimenti e comportamenti istituzionali come quelli promossi dalla Provincia di Pordenone che vengono a ledere regole di civiltà fondamentali quali il valore dell’uguaglianza e della pari dignità sociale delle persone”.



Immigrazione: le nostre parole sbagliate

l'Unità 25 ottobre 2010
Valentina Brinis  Ernesto Maria Ruffini
“Le parole sono importanti” - come qualcuno ha detto - “chi parla male, pensa male, vive male” e, aggiungiamo noi, fa vivere male gli altri, che forse è anche peggio.
Negli ultimi anni, nell’affrontare il tema dell’immigrazione, la sinistra sembra avere dimenticato le proprie parole e sembra avere accolto, con rassegnazione, un vocabolario non suo, eccessivamente condizionato dalle paure collettive. Tutte da rispettare e da affrontare per disinnescarle, ma nessuna da assecondare. Troviamo tracce di questa rischiosa omologazione linguistica e politica anche in alcune posizioni espresse all’interno del Pd – e persino dei ragionamenti di Walter Veltroni - nel più recente dibattito sull’immigrazione. Si pensi alla proposta di adottare un metodo di “selezione”  delle persone che intendono venire nel nostro paese da applicare nelle ambasciate italiane all’estero. I criteri di “selezione”, valutati con un punteggio e considerati meno “discriminatori” rispetto alla cittadinanza o al sesso, sarebbero l’“età”, la “formazione” e il “progetto di vita” da attuare in Italia.
Sono queste le parole della sinistra? Davvero si possono applicare criteri di selezione così poco scientifici? Ma poi, selezionare non vuol dire identificare gli elementi migliori all’interno di un insieme omogeneo? Ma vogliamo davvero omologare l’intera categoria degli stranieri, che è per sua natura eterogenea? E ancora, abbiamo davvero deciso che qualcuno possa ergersi a giudice del “progetto di vita” di qualcun altro? E infine un’ultima domanda: che punteggio si darebbe a una persona di mezza età che non ha potuto frequentare la scuola e che desidera venire in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita?
È per questo che le parole sono importanti, e l’uso approssimativo delle stesse si rivela dannoso. E ciò è vero soprattutto oggi, quando sono già in molti ad alimentare sentimenti xenofobi e discriminatori attraverso l’utilizzo di termini inappropriati. Si pensi allo scarso supporto, emotivo oltre che giuridico, espresso dal linguaggio adottato quando si parla di clandestini a proposito delle vittime dei respingimenti in mare. Parole che lasciano perplessi per la violenza con cui sono espresse e da cui è sempre più necessario prendere le distanze. Ricordiamo infatti che le migrazioni sono esistite prima ed esisteranno anche dopo la Lega Nord.
A sinistra, ormai da tempo, si fa a gara per essere i John Kennedy o i Barack Obama del panorama italiano. Ma Kennedy e Obama, in momenti, anche drammatici della storia americana, hanno saputo affrontare le difficoltà facendosi promotori di proposte alternative e coerenti con la propria cultura e i propri valori. Saprà la sinistra essere all’altezza di due esempi che giustamente rivendica e considera punti di riferimento?



Equality Italia Quando i diritti civili si mettono in Rete

l'Unità, 25-10-2010
È una lobby per affrontare razzismo, omofobia, disabilità temi su cui l'Italia è ancora molto indietro. Tra i promotori Flavia Perina, Ivan Scalfarotto, Paola Concia e Aurelio Mancuso
Che cosa hanno in comune Flavia Perina, Ivan Scalfarotti), Paola Concia e Benedetto della Vedova? La voglia di confrontarsi su nodi insoluti, una Rete che li unisce e un presidente che si chiama Aurelio Mancuso. Alla testa di Arcigay fino a poco tempo fa, Mancuso inizia l'impegno in Equality Italia. La neonata Rete (www.equalityitalia.it) è una lobby per i diritti civili e le libertà individuali con un comitato d'onore di spessore (oltre ai nomi citati ci sono tra gli altri Saraceno, Rodotà, Cuperlo, Balbo, Mafai) e l'obiettivo di offrire strumenti per affrontare questioni che vedono l'Italia da troppo tempo in stallo. I temi sono tanti - sul sito spiccano razzismo, disabilità, questione ebraica, omofobia, e altri - come affrontarli? Con quali priorità? «Partiamo dalle discriminazioni individuate dall'Unione europea: disparità in ragione del sesso, dell'età, della condizione sociale, di appartenenza etnica, della disabilità, di convinzione religiosa e filosofica, di orientamento sessuale e identità di genere. Per noi si tratta di temi pari, sui quali sviluppare competenze specifiche. Le porremo come un pacchetto unico di riforma civile del paese», dichiara Mancuso. L'idea di fondo è palese: difficile essere all'avanguardia su un fronte e per il resto arrancare, bisogna lottare perché si affermino tutti i diritti. La misura della civiltà di un paese la danno gli atteggiamenti nei confronti di tutti i discriminati. Chiaro.
GLI OBIETTIVI
Ma cosa farà Equality Italia? «Non siamo una rete rivendicativa, proponiamo percorsi tra culture differenti. Molti temi sono fuori dall'agenda politica, noi ci poniamo come i facilitatoli, coloro che tendono a favorire il dialogo». La sfida non è da poco. Come si mettono insieme sulle nozze gay Flavia Perina, direttrice de Il secolo e Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd? «Flavia Perina non è d'accordo sulle nozze gay ma concorda su un dato: manca una legislazione sulle coppie di fatto per cui bisogna discuterne». Il tesseramento partirà a metà novembre e prevede una quota minima di 10 euro per studenti e disoccupati e una minima di 30 euro per gli altri. Il programma delle iniziative è in cantiere già adesso per maturare compiutamente in primavera. Tra i temi, un contributo all'Europride: «Nel pieno rispetto di chi sta lavorando all'Europride 2011, abbiamo in cantiere un piccolo tour di conferenze sul tema dei diritti civili in Europa e nel mondo. Noi forniamo strumenti di conoscenza, non vogliamo entrare nel merito della discussione dei movimenti».
L'AGENDA POLITICA
Equality Italia si pone al centro tra un'agenda politica che trascura o salta molti temi e le associazioni che rivendicano il massimo degli obiettivi. Avrà un'articolazione territoriale e già dispone di un comitato di coordinamento. Tra le iniziative, mettere in relazione le proposte di legge nel campo dei diritti civili, quelle sui temi etici e sui migranti. La presenza di alcune figure del mondo lgbt non è lieve. «Alcune persone lgbt hanno deciso di fare una esperienza nuova, coinvolgere etero e creare forme di incontro tra realtà differenti. Occorre realizzare una cerniera, fare in modo che mondi isolati possano parlarsi». Aurelio Mancuso cerca strategie per superare gli ostacoli incontrati nella lotta per i diritti dei gay. «Alla fine tanta generosità non è stata premiata, il movimento gay ha fatto uscire molti dalla clandestinità ma senza ottenere conquiste concrete. Viviamo una realtà particolare dove per raggiungere gli obiettivi non si va solo alla rivendicazione, che va fatta, ma si costruisce il dialogo».*



La cognata di Tony Blair si è convertita all’Islam
* Al-Quds al-Arabi, 24-10-2010
Il quotidiano inglese “Daily Mail” di domenica ha rivelato che Lauren Booth, sorella di Cherie Blair, moglie dell'ex premier britannico Tony Blair si è convertito all'Islam dopo un esperienza spirituale vissuta in Iran. Lo rivela “Daily Mail” di domenica .
Lauren, giornalista (43 anni), che lavora per “Press TV”, il canale d’informazione iraniana in lingua inglese, si convertita all’Islam circa sei settimane fa dopo aver visitato la tomba di “Fatima l’infallibile” nella città iraniana di Qom.  “Quella notte - dice lauren Booth - mi sono sentita colpita da una grande onda spirituale (..)  Ora sto leggendo il Corano tutti i giorni, sono a pagina sessanta, prego cinque volte al giorno e quando posso mi reco in moschea”.
Prima della sua conversione all'Islam, Lauren Booth ha vissuto un lungo periodo di lavoro nei territori palestinesi dove si è sviluppata la sua simpatia per l’Islam: “ Ho sempre ammirato la forza e la serenità che l’Islam offre ai fedeli”. 
Lauren Booth spera che la sua conversione possa aiutare Blair a cambiare i suoi pregiudizi sull’Islam. Tony Blair è attualmente l’inviato del Quartetto per il processo di pace in Medio Oriente.
* Al-Quds al-Arabi è un quotidiano arabo di Londra

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