Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Olimpiadi e nuovi italiani

Khalid Chouki
Partono le olimpiadi e tutti i media italiani hanno esaltato la “straordinaria” partecipazione di 25 nuovi italiani nella delegazione azzurra. Siamo ancora indietro rispetto ai nostri concorrenti europei e americani, dove la presenza di atleti di origine lontane non fa più notizia e dove vige anzi la gara a chi procede alla naturalizzazione ad personam dei recordman sparsi per il mondo. I 25 nostrani sono già un passo in avanti, ma non basta affatto.

A Londra sarebbe dovuta esserci anche Dariya Derkach, l’erede naturale di Fiona May, 18enne e miglior under 20 al mondo nel salto in lungo e seconda under 20 nel salto triplo. La sua colpa: non essere ancora cittadina italiana. E’ nata in Ucraina ma è cresciuta a Salerno insieme alla propria famiglia.
L’ascia della palese ingiustizia ha spezzato anche i sogni di Eusebio Haliti, classe 1991, campione italiano juniores sui 400 metri indoor e su pista. Haliti vive a Bisceglie, in provincia di Bari, ed è una delle promesse dell’atletica italiana che sognava le Olimpiadi.

Nato a Scutari in Albania deve dimostrare di risiedere da almeno 10 anni in Italia. Per Haliti tale data sarà nel settembre 2012, qualche settimana dopo il termine dei giochi olimpici di Londra.
“Chi vince il tricolore è il primo candidato per la nazionale. Ma io non posso gareggiare vestendo la maglia azzurra: questa è la cosa più frustrante” ha spiegato l’atleta. A lui è stata impedita anche la possibilità di far parte dei gruppi sportivi militari”.
L’ennesimo campione che ci permettiamo il lusso di lasciare a casa è Hakim Chebakia, classe 1998 e boxeur bolognese, arrivato in Emilia con la famiglia quando aveva sei anni. Hakim ha chiesto la cittadinanza italiana e sta aspettando da quattro anni. La sua storia la racconta in prima persona con un filo di rassegnazione al Paese che continua a rinnegare i propri nuovi figli: “Certe volte non ci voglio più pensare. E’ una chimera! La Prefettura ha richiesto il mio stato di famiglia, poi la mia dichiarazione dei redditi, poi, visto che non era sufficiente,  gli ultimi tre CUD di mio padre. Adesso mi hanno detto che bastano solo gli ultimi due CUD, però vogliono uno stato di famiglia aggiornato, che è uguale a quello che ho consegnato già qualche anno fa”.
Questa è la nostra Italia, ancora cieca di fronte alla grande trasformazione della nostra società, di come le nuove generazioni siano ormai meticce, lontane dalle demagogie ottuse di Maroni e Gasparri. Ottusità e demagogie che sfiorano il razzismo e ci fanno perdere in primis l’Italia e insieme ad essa il diritto sacrosanto di questi ragazzi di poter realizzare le proprie aspirazioni e i propri sogni.
Credo che l’Italia debba delle scuse a
questi ragazzi. Buona vergogna a tutti!
l'Unità 28 luglio 2012

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