Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 maggio 2013

Migranti, due referendum "No clandestinità, via la Bossi-Fini"
Non c'è in ballo soltanto lo "Ius Soli", il diritto alla cittadinanza per i figli degli stranieri nati in Italia. Adesso l'attenzione di alcune forze politiche e di ampi strati della società civile si concentra sull'abolizione del reato di clandestinità e sulla cancellazione di un pezzo della legge firmata dall'ex presidente della Camera e dal leader del Carroccio
la Repubblica, 24-05-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Non solo ius soli e cittadinanza a chi nasce in Italia. Due nuove battaglie promettono di scuotere il pianeta immigrazione: abrogazione del reato di clandestinità e cancellazione di un pezzo della Bossi-Fini. Due campagne che viaggiano sulle gambe di due quesiti referendari pronti a marciare uniti, dal 7 giugno prossimo, con il via alla raccolta delle firme. E mentre parte il conto alla rovescia, si allunga di giorno in giorno la conta delle adesioni.
Le prime adesioni politiche. I due quesiti riguardano l'abrogazione del reato di clandestinità e dell'accordo di integrazione e contratto di soggiorno per lavoro subordinato. Il referendum infatti prevede la cancellazione degli articoli 4 bis e 5 bis del testo unico sull'immigrazione, che legano indissolubilmente la possibilità di restare nel nostro Paese alla stipula di un contratto di lavoro. I primi partiti a impegnarsi sono Radicali italiani e Psi. "Vogliamo eliminare quelle norme discriminatorie che spingono almeno 500mila migranti a lavorare in nero o ad accettare condizioni così infime da far gridare alla concorrenza sleale verso gli italiani - spiega Mario Staderini, segretario dei Radicali - Non è una questione umanitaria, ci sono 3 miliardi di ragioni per farlo, tante quanti sarebbero i contributi che ogni anno lo Stato incasserebbe dall'emersione dalla irregolarità. Peraltro, senza offrire garanzie e diritti non ci potrà essere ripresa economica. I referendum saranno anche l'occasione per far uscire il dibattito dalla campagna securitaria che in questi giorni è ripartita su alcuni media. Sfido Maroni, lo stesso Grillo, a far decidere gli italiani se ha ragione chi si illude di arrestare i flussi migratori con la criminalizzazione oppure chi vuole governarli considerandoli un'opportunità da regolare".
L'assemblea referendaria del primo giugno. Per il segretario del Psi, Riccardo Nencini, "c'è un'Italia che apprezza valori come inclusione e integrazione sociale e un governo che sui diritti civili è stato fin troppo evanescente. Il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di genitori stranieri che vivono e lavorano in Italia, per esempio, renderebbe il nostro Paese più libero, inclusivo, civile. Ci batteremo, fuori e dentro il parlamento, per colmare il grave deficit di libertà di cui soffre questa Italia". In vista dell'assemblea referendaria fissata a Roma l'1 giugno prossimo, arrivano anche le adesioni di Luigi Manconi (Presidente Commissione parlamentare diritti umani), Giusi Nicolini (sindaco di Lampedusa), Livia Turco (Forum immigrazione PD), Jean Leonard Toudi e Giovanni Russo Spena.
La spinta della "società civile". Non mancano poi adesioni di associazioni e sindacalisti. Tra questi, Antigone, A buon diritto, Forum Droghe, LasciateCientrare, Pietro Soldini (responsabile nazionale immigrazione Cgil), Filippo Miraglia (responsabile nazionale immigrazione Arci), Mercedes Frias (Prendiamo la parola), Otto Bitjoka (Ethnoland), Jean Renè Bilongo (responsabile coordinamento immigrati Flai-Cgil nazionale), Ivan Sagnet (coordinatore Progetto "gli Invisibili"), Kurosh Danesh (Cgil nazionale), Abdou Faye (Filcams-Cgil), Selly Kane (Cgil Marche), Moulay Elahkkioui (Fillea-Cgil). E ancora: Anna Maria Rivera, Gian Mario Gillio, direttore "Confronti", il Movimento dei rifugiati e migranti di Caserta e l'Associazione Senza Confine.
La Cgil: "Basta con le logiche proibizioniste". "È arrivato il momento di sondare con un test l'opinione pubblica - sostiene Pietro Soldini, responsabile immigrazione Cgil - dopo le tante manipolazioni che in questi anni hanno prodotto un quadro legislativo fallimentare, fatto di Bossi-Fini e Pacchetto sicurezza. Il referendum sarà un momento alto di confronto su un tema complesso. E sono convinto che su tali questioni il Paese sia più avanti del sistema dei partiti. Oggi, i dati Onu - aggiunge Soldini - ci raccontano di 220 milioni di immigrati nel mondo, così suddivisi: un terzo si muove all'interno dell'area del sottosviluppo, un altro terzo dai Paesi sottosviluppati si sposta verso i Paesi più ricchi e l'ultimo terzo si muove dai Paesi sviluppati verso il resto del mondo. Insomma l'immigrazione è ormai un fenomeno globale che riguarda tutti gli Stati e che non può più essere affrontato in un quadro legislativo proibizionista, cioè con norme nazionali che si illudono ancora di difendere le frontiere".



Dieci immigrati fuggono dal Cie Tre ripresi dalla polizia
Erano tutti ospiti del Centro di contrada Milo. Un giovane, durante la fuga, è finito in un canalone, ferendosi.
Live TRAPANI - Dieci immigrati sono fuggiti ieri sera dal Cie di Trapani Milo. In tre sono stati fermati, poco dopo, dalle forze di polizia. Un giovane, durante la fuga, è finito in un canalone, ferendosi. E' stato soccorso, accompagnato in ospedale e riportato al Cie. Nessuna traccia degli altri sette extracomunitari.



Immigrazione:Puglia, salvati 17 migranti
Da personale nave traghetto diretta a Brindisi
Corriere dello sport.it, 23-05-2013
(ANSA) - BRINDISI, 23 MAG - Un gruppo di 17 immigrati, per lo più pakistani, è stato tratto in salvo la scorsa notte in mare dal personale della nave traghetto 'Sorrento' della compagnia Grimaldi, in viaggio da Igoumenitsa verso Brindisi. E' giunta segnalazione dalla Guardia costiera ellenica della presenza in acque greche di un barcone in difficoltà per via del mare grosso. I migranti, il cui arrivo in Italia e' previsto nella tarda mattinata di oggi a Brindisi, sarebbero tutti in buone condizioni di salute.



Amira e le altre: "Non vogliamo essere invisibili"
Vogliamo gli stessi diritti – Storie come le altre
Melting Pot Europa, 24-05-2013
Davide Carnemolla, Progetto Melting Pot Europa
Non c’è luogo migliore della scuola per toccare con mano la distanza che divide il dibattito in corso sullo ius soli dalla realtà di migliaia di giovani privati del diritto a divenire cittadini. “Vogliamo gli stessi diritti! Lo dobbiamo urlare, dobbiamo lottare e soprattutto aver fiducia che tutto questo possa cambiare!”. Così esordisce Ingrid, studentessa brasiliana da molti anni in Italia. “Negare la cittadinanza – dice – vuol dire rendere invisibile un essere umano”. I pregiudizi la fanno stare male e per lei rappresentano un virus che colpisce molte persone. Poi ci sono Amira e Malek, sono nate in Italia da genitori tunisini ed hanno avuto la cittadinanza l’anno scorso. Pensano che il nostro paese sia ancora indietro sulla questione dei diritti. Avere la cittadinanza per loro non significa solo poter dire io sono italiana ma vivere e crescere in un paese in cui si hanno gli stessi diritti dei propri coetanei: “molti hanno paura degli italiani neri o degli italiani che hanno un’origine diversa ma noi chiediamo solo di poter vivere normalmente”. Islam invece è nata in Tunisia ma è arrivata qui quando aveva 3 mesi. “Ho aperto gli occhi in Tunisia ma ho scoperto tutto il resto qui” - dice. “Io penso di meritarmi la cittadinanza così come tutti quelli che nascono o crescono in Italia. E spero che queste parole possano servire a tutti quelli come me che non hanno ancora un documento”. Amira, Islam e Malek fanno parte del gruppo “Occhio ai media” di Ferrara che analizza il linguaggio dell’informazione per svelare e rivelare il razzismo di cui è intriso. Poi incontriamo Ndack, una ragazza nata in Senegal e cresciuta in Italia, da anni attiva per il diritto allo studio ed i diritti dei migranti. Per lei la cittadinanza è “il primo passo per riprenderci quello di cui ci stiamo privando e cioè il diritto ad esprimerci nel senso più ampio. Ed è necessario riconoscerla non solo a chi è nato qui, ma anche a chi ha compiuto o sta compiendo i propri studi in Italia”. Ed ancora Maria che vive in Trentino e studia a Verona. Per lei – nata in Italia da genitori marocchini – ottenere la cittadinanza è stata un’odissea burocratica. “Appena compiamo diciotto anni dobbiamo subito fare la richiesta di cittadinanza altrimenti non possiamo ottenerla e poi per averla spesso si aspettano anni”. A parlare per ultima è Shaden, una ragazza italo-palestinese che organizza a Venezia iniziative in favore dei diritti dei palestinesi. Senza lo ius soli – dice - “si rimane relegati ad una classe inferiore, si resta cittadini di serie B”. E aggiunge: “bisognerebbe cercare di aprire le menti verso nuove prospettive, verso orizzonti che contemplino l’idea di un mondo che non conosca limiti e confini”.
Alla fine l’impressione che ci rimane è che il mondo di cui sta parlando non sia molto diverso da quello che tutte queste ragazze stanno provando a costruire.



Il rogo della via svedese all’integrazione
Cinque giorni di fuoco per la ribellione degli stranieri di Stoccolma, prime vittime della crisi
il Fatto, 24-05-2013
Alessandro Oppes
Dopo cinque giorni - anzi cinque notti - infiammate dalla violenza, il vero incubo della Svezia è che si ripeta, con la stessa tragica intensità, l'esplosione di protesta sociale che nel 2005 sconvolse le banlieue parigine e le periferie di altri grandi centri francesi. I problemi, e la rabbia, sono gli stessi: quelli delle giovani generazioni di immigrati che vedono sfuggire, ogni giorno di più, la prospettiva di un lavoro e di una piena integrazione sociale. Proprio nel paese che, per decenni, è stato considerato a ragione il vero paradiso del welfare, e in più la terra dell'accoglienza per eccellenza. Ma l'equilibrio si è rotto da tempo, il “modello svedese” è in crisi. E la battaglia campale permanente che dallo scorso fine settimana tiene in scacco le autorità locali ne è solo la riprova più clamorosa. Decine di arresti tra i giovani e giovanissimi (parecchi sono minorenni), centinaia di auto date alle fiamme, vetrine in frantumi, l'assalto a una stazione di polizia, un ristorante incendiato. Dai quartieri marginali di Stoccolma a quelli di Malmoe, terza città del paese, è un ripetersi incessante di scene di guerriglia urbana, con il lavoro dei vigili del fuoco ostacolato in continuazione da gruppi di teppisti che accolgono i soccorritori con fitte sassaiole.
SIN DA DOMENICA, il centro della contestazione resta Husby, 17 chilometri a nord-ovest della capitale, un quartiere dormitorio di 12mila abitanti dove l'85% della popolazione è formato da immigrati di prima o seconda generazione. È qui che, lunedì 13 scoppiò la scintilla che ha provocato la sollevazione: un anziano migrante di 69 anni, con problemi psichici, abbattuto a colpi di pistola dalla polizia nel suo appartamento perché aveva miinacciato gli agenti con un machete.
Nei giorni successivi, la tensione nel quartiere andò crescendo fino a quando, domenica, un gruppo di una cinquantina di giovani cominciò a dare fuoco alle auto in sosta, rispondendo poi con il lancio di pietre all'arrivo della polizia. Invano, prima che fosse troppo tardi, e temendo quello che poi sarebbe accaduto, per giorni l'ong Megafonen, molto attiva nelle zone marginali della capitale, aveva chiesto che la polizia si scusasse con la vedova dell'anziano ucciso e che venisse aperta un'indagine sui poliziotti che avevano sparato.
Tutto inutile. Anzi, secondo numerose testimonianze, le forze dell'ordine non farebbero altro che inasprire le tensioni, rivolgendosi spesso agli immigrati con espressioni sprezzanti, come “negri”, “topi” o “scimmie”.
Ulteriore benzina sul fuoco nella situazione esplosiva di un quartiere, come Husby dove, secondo le statistiche ufficiali, un giovane su cinque nè studia nè lavoro, mentre l'8,8% ricevono il sussidio di disoccupazione e il 12% vivono degli aiuti sociali. Difficile, dunque, credere al ministro dell'Integrazione del governo di centro-destra, Erik Ullenhag, quando sostiene che ciò che sta accadendo in questi giorni in Svezia è solo “un problema di ordine pubblico”.
In crescente difficoltà, il premier Fredrik Reinfeldt lancia, inascoltato, un appello alla calma. Il tabloid di sinistra Aftonbladet gli risponde che gli scontri rappresentano “un gigantesco fallimento” della politica di un governo che ha portato a incrementare la ghettizzazione delle periferie urbane. In ascesa nei sondaggi, il partito di estrema destra Democratici di Svezia cerca di cavalcare la situazione dicendo “basta all'immigrazione e al multiculturalismo”.



Il Paese dei diritti negati Giornalisti e cittadini per capire l’Italia di oggi
L’iniziativa del settimanale ieri all’università di Sassari Informazione e società civile per confrontarsi sui temi dell’attualità
la Nuova Sardegna, 24-05-2013
Anna Sanna
SASSARI Diritti negati alle minoranze o alle fasce più deboli della popolazione. Libertà date per scontate e acquisite che vengono invece costantemente rimesse in discussione. Il diritto al lavoro, all’istruzione e alla salute aggrediti da politiche che non puntano al benessere di tutti ma al privilegio di pochi. Un’Italia che pretende di essere una democrazia compiuta ma deve fare i conti ogni giorno con la progressiva erosione dei diritti dei propri cittadini. Di questo si è parlato ieri mattina nell’Aula Magna dell’Università di Sassari nella sesta tappa dei “Dialoghi dell’Espresso”, l’iniziativa del settimanale “l’Espresso” che sta portando nei principali atenei italiani giornalisti e protagonisti della politica, della cultura e dell’economia per discutere insieme a studenti e cittadini dei grandi temi di attualità. All’incontro hanno partecipato il direttore dell’Espresso Bruno Manfellotto, il giurista Michele Ainis, il deputato di Sinistra e Libertà Giorgio Airaudo e Fabrizio Gatti, inviato dell’Espresso che qualche mese fa è stato premiato proprio a Sassari per le sue coraggiose inchieste con il premio Pino Careddu. Il dibattito è stato moderato da Tommaso Cerno, giornalista dell’Espresso e autore di numerose inchieste sui diritti civili negati, dal caso di Eluana Englaro all’assenza di tutele per le coppie omosessuali nel nostro Paese. «Il periodo che stiamo vivendo è dominato da un paradosso: siamo circondati quotidianamente da una massa di notizie, sensazioni, sentimenti, fatti ma forse l’informazione non è mai stata carente come è ora – ha sottolineato il direttore dell’Espresso Bruno Manfellotto – la gente non riesce a orientarsi tra tanti dati, capire cosa sta succedendo davvero e perché. Per questo abbiamo scelto di far conoscere chi scrive il nostro giornale portando in ogni università un tema su cui si sentisse il bisogno di approfondire, creare dibattito e cercare delle risposte». Inquinamento, impresa e legalità, corruzione, cultura e ricerca nei precedenti incontri a Napoli, Palermo, Milano, Bologna e Pisa. A Sassari, i diritti e le libertà fondamentali non ancora conquistati – come i diritti civili delle coppie omosessuali – o di nuovo minacciati e scardinati, con al centro quello che nell’Italia di oggi è forse il simbolo di tutti gli altri diritti negati, della mancanza di dignità e speranza nel futuro: il diritto al lavoro. Per questo nell’introdurre l'incontro il rettore dell’Università Attilio Mastino ha voluto porre l’attenzione sulla precarizzazione dei ricercatori universitari e sulle conseguenze anche sul diritto allo studio della legge 240 dell’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini: «La legge ha ridotto i momenti di autonomia e confronto all’interno dell’Università – ha ribadito il rettore – ha ridotto le risorse penalizzando soprattutto gli Atenei del Mezzogiorno». Giorgio Airaudo, per anni dirigente Fiom, ha affrontato il tema della crescente precarizzazione e dell’assenza di garanzie lavorative per un numero crescente di persone, assunte senza protezioni e private di tutto in un ricatto spietato che baratta il lavoro con le tutele fondamentali dei lavoratori o con il diritto alla salute, come nel caso dell’Ilva di Taranto. «Abbiamo assistito a un uso ideologico della crisi con una grande impresa nazionale che ha cercato di far passare l’idea che gli investimenti di una multinazionale possano dipendere dal fatto che i lavoratori facciano una pausa di dieci minuti in più – ha detto Airaudo, in riferimento alla dura vertenza Fiat – non soltanto gli articoli della Costituzione non sono attuati, anzi vediamo un loro rovesciamento quando si dice ai giovani che se vogliono lavorare devono rinunciare alle garanzie del contratto collettivo. Per uscirne dobbiamo immaginare un New Deal italiano che crei attività di impresa e occupazione. Ma questo può essere fatto soltanto in un’Europa che si doti di una banca di ultima istanza e di un sistema fiscale condiviso». Testimone in prima persona, narratore dei diritti negati che escono dalla comoda definizione di emergenza – quella dell’immigrazione, per esempio - per diventare storie vive, vere, di individui che lasciano il proprio paese in fuga dalla povertà o dalla guerra: per realizzare le sue inchieste sull’immigrazione il giornalista Fabrizio Gatti si è finto clandestino, è sbarcato a Lampedusa e ha raccontato ciò che centinaia di migranti hanno dovuto ancora subire al loro arrivo in Italia. La detenzione nei Cie – i Centri di identificazione ed espulsione – ma anche lo sfruttamento durante la raccolta agricola al Sud o l’impiego come manodopera a basso costo nelle ditte tessili del Veneto. «Dopo la Guerra Fredda i Paesi ricchi hanno deciso che pur di avere il guadagno derivante dalla delocalizzazione del lavoro si poteva anche fare a meno di alcuni diritti dei lavoratori. In Italia la destrutturazione dei diritti è in atto da anni e gode del consenso dei cittadini. A mio parere tutto è cominciato vent’anni fa quando Cosa Nostra iniziava l’attacco allo Stato – ha detto Gatti, ricordando l’anniversario della Strage di Capaci che ricorreva ieri – non abbiamo saputo troncare il patto tra politica, economia e criminalità che è molto forte». Ha chiuso il dibattito il costituzionalista ed editorialista dell’Espresso Michele Ainis, autore del libro “Le libertà negate” in cui racconta l’assurdità di un Paese, l’Italia, prigioniero di una libertà apparente perché a parole i diritti aumentano mentre nei fatti sono sempre più formali e sostanziali. «La parola lavoro, con le sue varianti, è quella che ricorre maggiormente nella Costituzione dopo la parola legge – ha detto il giurista – perché è qualcosa che si fa per gli altri, significa appartenere a una comunità attraverso un servizio. La nostra Costituzione è ancorata a due principi, la libertà e l’uguaglianza, principi scritti ma spesso calpestati di fatto. Alcuni diritti sono negati dal contesto, in questo caso l’Italia che soffre di una scarsa sensibilità sui diritti. Non credo che potrà mai esserci per l’uomo una società completamente libera dalla disuguaglianza, e allora ciò che conta davvero è la tensione verso la realizzazione di alcuni valori. Perché i diritti vivono nella prassi e non nelle dichiarazioni di carta». Dopo Sassari, i “Dialoghi dell’Espresso” si sposteranno a Roma e poi a L'Aquila.



Calcio e razzismo: l’Uefa approva sanzioni più dure.
Chiusura parziale o totale degli stadi, sanzioni di 50.000 euro e una squalifica minima di dieci turni per i giocatori o i dirigenti che adottino comportamenti discriminatori.
Immigrazioneoggi, 24-05-2013
Misure più dure contro il razzismo negli stadi inserite nei nuovi regolamenti disciplinari che entreranno in vigore dal 1 giugno 2013. È quanto è stato approvato dal Comitato esecutivo Uefa nel corso della riunione tenutasi ieri e mercoledì a Londra, in linea con la politica di tolleranza zero emersa attraverso la risoluzione adottata dal Consiglio strategico per il calcio professionistico il 27 marzo 2013 a Sofia.
È attesa inoltre per oggi, nell’ambito del XXXVII Congresso ordinario UEF, una risoluzione separata dedicata alla lotta al razzismo. Secondo quanto dichiarato in una nota Uefa, i tifosi coinvolti in comportamenti razzisti rischieranno di provocare la chiusura parziale dello stadio alla prima offesa e la chiusura totale alla seconda oltre a un’ammenda di 50.000 euro. I giocatori o i dirigenti rischieranno ancora di più: una squalifica minima di dieci turni. La Uefa, inoltre, incoraggia le autorità statali a vietare l’accesso allo stadio ai tifosi colpevoli di comportamenti razzisti. “Sono misure purtroppo inevitabili: la partita contro il razzismo si combatte dentro e fuori il campo, con una strategia comune, e in nome della dignità dell’uomo. Su quanto è avvenuto durante alcune manifestazioni sportive, si dovrebbe riflettere a lungo. Nella coscienza degli sportivi e di tutte le persone che amano la libertà democratica, deve passare un dato: il razzismo ci condannerebbe alla retrocessione in serie Z, per assurde discriminazioni che non hanno ragione di esistere” ha dichiarato il vice capo della Polizia Francesco Cirillo.
(Maria Rita Porceddu)

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