Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 novembre 2014

Il Papa sferza l`Europa: «Basta paure»
Storica visita di Francesco all`Europarlamento: «Smarriti gli ideali che hanno ispirato l`Ue»
Chiede di ridare dignità al lavoro e difende i migranti: «Il Mediterraneo non sia un cimitero»
Corriere della sera, 26-11-2014
Gian Guido Vecchi
STRASBURGO Il luogo è a suo modo simbolico, un cilindro di vetro e acciaio che appare avulso e chiuso in se stesso tra le brume, i cipressi e i villaggi di tetti spioventi della campagna alsaziana. «È giunto il momento di abbandonare l`idea di una Europa impaurita e piegata su se stessa», dice Francesco. L`ultimo pontefice a passare di qui era stato Wojtyla nel 1988, c`era ancora il Muro di Berlino e nel frattempo è cambiato il mondo, «sempre più interconnesso e globale, sempre meno eurocentrico».
Dai banchi piovono applausi, quando il Papa dice che «è necessario favorire le politiche di occupazione e ridare dignità al lavoro» o parla dei migranti ed esclama: «Non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero!». Ma le parole di Francesco al Parlamento europeo suonano la sveglia alla «Europa nonna, non più fertile e vivace», danno voce «alla sfiducia dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose» e alla impressione generale di stanchezza e di invecchiamento», tanto che «i grandi ideali che hanno ispirato l`Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore di tecnicismi burocratici delle sue istituzioni».
A tutto questo si aggiungono «stili di vita egoisti», una «opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente, soprattutto verso i più poveri», l`essere umano che rischia d`essere ridotto a «bene di consumo da utilizzare», finché «la vita ritenuta non funzionale viene scartata, come nel caso dei malati terminali, gli anziani abbandonati, i bambini uccisi prima di nascere». Di contro al «prevalere delle questioni tecniche ed economiche» si tratta di porre al centro «l`uomo in quanto persona dotata di dignità trascendente». Francesco sceglie come immagine della storia europea la «Scuola di Atene» di Raffaello, il dito di Platone a indicare il cielo, la mano di Aristotele rivolta a terra: «Un`Europa non più capace di aprirsi alla dimensione trascendente, lentamente rischia di perdere la propria anima».
Così dice che «il patrimonio del cristianesimo» è un «arricchimento» e non un «pericolo» per la laicità: proprio le «radici religiose» sono un antidoto «ai tanti estremismi» perché il fondamentalismo «è soprattutto nemico di Dio». E chiede di «mantenere viva la democrazia» evitando che una «concezione omologante della globalità» e «la pressione di interessi multinazionali» arrivino a «rimuovere» le democrazie, trasformandole in «sistemi uniformanti di poteri finanziari al servizio di imperi sconosciuti». E quando si rivolge al vicino Consiglio d`Europa, che comprende anche Russia e Turchia, Francesco parla della «pace troppo spesso ferita», della necessità di cercare «soluzioni politiche» e delle «sfide» di un Continente chiamato ad essere «multipolare» e accettare la «trasversalità». Il Papa elogia per questo i «politici giovani» e ne parla nel volo di
ritorno: «Sono coraggiosi, non hanno paura di uscire dalla loro appartenenza, senza negarla, per dialogare: l`Europa ha bisogno di questo, oggi».
A Strasburgo ha denunciato le «barbare violenze» contro i cristiani e le minoranze, nel «silenzio vergognoso e complice di tanti». Gli si chiede dell`Isis: si potrebbe dialogare anche con i terroristi? «Io mai chiudo una porta. È difficile, puoi dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta, no?». Del resto, aggiunge, esiste un`altra minaccia: «Il terrorismo di Stato: quando uno Stato, da sé, si sente in diritto di massacrare i terroristi, e con loro cadono tanti che sono innocenti. Questa è un`anarchia di livello molto alto e molto pericolosa. Contro il terrorismo si deve lottare, ma ripeto: l`aggressore ingiusto va fermato con il consenso internazionale. Nessun Paese ha diritto di agire per conto suo».



Immigrati, la strage infinita che l’Europa non vuol vedere
Ecco i numeri dei morti che volevano una vita migliore. Spese folli a carico dell’Italia lasciata sola nell’emergenza
Il Tempo.it, 26-11-2014
Luca Rocca
«Il Mediterraneo non sia un cimitero». Le parole di Papa Francesco risuonate ieri a Strasburgo descrivono, tristemente, ciò che quelle acque sono diventate negli ultimi tempi: sepolcri negli abissi.
Sono stati migliaia i migranti morti negli ultimi anni nel tentativo di fuggire dall’Africa in fiamme o dal Medio Oriente. Uomini, donne, vecchi e bambini che hanno perso la vita nella ricerca, vana, di una speranza. L’incapacità dell’Europa di affrontare, con raziocinio, il drammatico problema, e l’illusione dei governi italiani di fronteggiarlo inventandosi una missione, Mare Nostrum, che ha indotto i migranti a salire in massa sui barconi nel tentativo di raggiungere le nostre coste, sono la dimostrazione plastica di cosa ci si debba ancora attendere.

CIFRE DA BRIVIDO
Secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) da gennaio scorso nel Mediterraneo sono morti 3.072 migranti. Ma dal 18 ottobre 2013, giorno in cui è partita l’operazione Mare Nostrum (che sta per essere sostituita da Triton, una missione europea di controllo delle frontiere e non di salvataggio in mare) il Mediterraneo, secondo l’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, ha inghiottito 4mila migranti, a dimostrazione che, in questi casi, avere certezze sui numeri è quasi impossibile (per il ministro dell’Interno Angelino Alfano nello stesso periodo i morti sarebbero stati quasi 3mila).
TRATTA DI ESSERI UMANI
L’11 per cento di quei 4.000 morti proveniva dal Corno d’Africa, il 30 dal Medio Oriente, la stessa percentuale dall’Africa subsahariana e per il restate 29 per cento la provenienza è rimasta sconosciuta. Fa raggelare apprendere che negli ultimi 14 anni le persone che hanno pero la vita cercando di raggiungere via mare il Vecchio Continente, sono state oltre 23mila. Disperati che pagano una fortuna per salire su imbarcazioni dove verranno malmenati, accoltellati e gettati in acqua come animali. Le autopsie sui cadaveri, infatti, rivelano colpi letali alla testa o alla schiena, o decessi causati dallo schiacciamento fra “compagni di viaggio”.
VITTIME INNOCENTI
Ciò che il Santo Padre ha detto a Strasburgo, ha un valore particolare per i migranti minori. Dall’ottobre 2013, mese in cui si è verificata la tragedia di Lampedusa coi sui 300 morti, ad oggi, sulle nostre coste sono arrivati 24mila fra bambini e adolescenti. Un numero cinque volte superiore a quello di tre anni fa, quando in Nord Africa sono scoppiate le prime rivolte. Ben 12mila minori sono senza genitori o parenti, e spesso le strutture che li accolgono sono del tutto inadeguate.
L’ITALIA NON PUÃ’ FARCELA
Dall’avvio dell’operazione la nostra Marina Militare ha assistito 94mila disperati, ma il numero totale, se si contano anche quelli soccorsi dai mercantili, arriva a 150mila. Cifra da cui sono esclusi coloro che aggirano il cordone marittimo e approdano in Italia con imbarcazioni meno pericolose. Un numero inimmaginabile fino a poco tempo fa, che triplica il dato del 2013 ed è più del doppio rispetto al 2011, che fu l’anno record per gli sbarchi. Dal primo gennaio al settembre 2014, secondo i dati forniti dal Viminale, sono sbarcati in Italia 125.876 migranti. Mare Nostrum, come detto, sta per esaurirsi. Il ministro Alfano ne ha annunciato la “rapida dismissione” entro l’anno. Il dispositivo navale è già stato ridotto.Nel Mediterraneo opererà Triton, missione avviata l’uno novembre scorso.
L’Italia non era più in grado di sostenere i costi del soccorso in mare. Mare Nostrum è costata 300mila euro al giorno, cioè 9 milioni al mese, 110 milioni all’anno. Triton, che fa capo a Frontex, l’Agenzia europea di controllo delle frontiere, costerà un terzo. FLUSSO CONTINUO
Intanto l’arrivo dell’autunno non ferma i migranti. Se negli anni precedenti la cattive condizioni del mare inducevano i disperati a non tentare la traversata, ora pare non sia più così. Nei giorni scorsi, a Pozzallo, in Sicilia, la Guardia Costiera è giunta in porto con a bordo 248 migranti. Erano stati soccorsi nel Canale di Sicilia su tre gommoni, uno dei quali, con a bordo 107 persone, già in avaria. Che sia Mare Nostrum, che sia Triton, il flusso migratorio, e le morti, non potranno essere fermate con misure tampone. E l’appello del Papa resterà tale.


Calderoli: "Stop cimitero Mediterraneo, aiuto migranti a casa loro"
"Se avessero condizioni migliori di vita e prospettive per il futuro in Africa non sarebbero più incentivati a fuggire"
stranieriinitaòia.it, 26-11-2014
Roma, 26 novembre 2014 - "Il Papa ha detto che e' necessario affrontare la questione migratoria: non posso che concordare con lui, sarebbe ora che l'Europa iniziasse ad aprire gli occhi e rendersi conto che quella che stiamo subendo e, anzi, favorendo e' una vera e propria invasione".
Lo ha detto Roberto Calderoli, vice presidente leghista del Senato, in riferimento alle parole pronunciate da Papa Francesco a Strasburgo al Parlamento europeo.
"Coloro che incentivano con false illusioni i disperati a venire da noi - accusa Calderoli - spesso per consentire a chi ci guadagna col business dell'immigrazione di lucrare sulla loro pelle, stanno trasformando il Mediterraneo in un cimitero come denunciato dal Pontefice". "La soluzione quindi non puo' essere quella di accogliere tutta la popolazione africana da noi - spiega l'esponente della Lega Nord - ma deve necessariamente trovarsi nei respingimenti, nell'espulsione dei clandestini, nel ripristino della legalita' e nell'aiuto, non qui, ma a casa loro.
Se avessero condizioni migliori di vita e prospettive per il futuro in Africa, non sarebbero piu' incentivati a fuggire - conclude Calderoli - e in questo la Chiesa puo' sicuramente fare molto".



Dopo gli scontri, cittadini e associazioni insieme per una Tor Sapienza "solidale"
Lanciata una fiaccolata il 4 dicembre al Campidoglio contro il razzismo. Carlotta Sami (Unhcr): "E' stato fatto un uso strumentale e allarmistico dei fatti. Tensione ancora alta, chiediamo quindi al sindaco Marino di mantenere viva l'attenzione su questo quartiere"
Redattore sociale, 25-11-2014
ROMA - Un'assemblea pubblica, con i cittadini e le associazioni per costruire una "comunità solidale e inclusiva", capace di rispondere con atti concreti e buone pratiche ai gravi fatti di dieci giorni fa. L'altra Tor Sapienza, quella non raccontata dalle cronache, prova a ripartire dal basso. Si è svolto questa sera, davanti al mercato del quartiere, un incontro pubblico per dare voce ai cittadini che vogliono pensare a come portare avanti soluzioni fattibili, perché - come dicono in molti - "tra qualche giorno i riflettori si spegneranno e non sarà cambiato nulla".
Circa un centinaio le persone che hanno partecipato all'evento. Tra loro anche molti rappresentanti delle associazioni (da Medicina solidale all'Arci, fino a Sant'Egidio e Tor Sapienza cattolica), che hanno lanciato una fiaccolata il 4 dicembre al Campidoglio contro il razzismo. All'incontro c'era anche Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr: "Continuiamo a essere presenti qui per sostenere tutte le iniziative di solidarietà dei cittadini ma anche le persone che lavorano per l'accoglienza - spiega -. A dieci giorni di distanza è evidente che non erano i minori non accompagnati il problema di questo quartiere. Ma è stato fatto un uso strumentale e allarmistico dei fatti. E ancora oggi i rifugiati rimasti a via Giorgio Morandi hanno paura di uscire, la tensione è rimasta alta. Per il resto non è cambiato nulla. Chiediamo quindi al sindaco Marino di mantenere viva l'attenzione su questo quartiere".
L'obiettivo della serata è quello di dare voce alle idee degli abitanti: "Non basta fare un makeup delle strade per risolvere la situazione - spiega Carlo Gori, insegnante del centro culturale Giorgio Morandi -. Insieme vogliamo ragionare, invece, sulle iniziative, anche piccole, per fare comunità, valorizzare la solidarietà e le buone prassi nel quartiere. Stiamo pensando per esempio a iniziative di mutuo soccorso tra gli abitanti".  Tra gli abitanti, una signora del quartiere sottolinea che il problema è "l'abbandono da parte dei politici, perché qui c'è degrado e ci rimarrà. Il problema non sono gli stranieri ma che nessuno si preoccupa di noi.".



Effetto Tor Sapienza: protesta anti immigrati in Sicilia
Siciliainformazione.com, 26-11-2014
Per quasi una settimana gli schermi dei network sono stati occupati dalla rivolta di Tor Sapienza a Roma, provocata dalla presenza di un centro di accoglienza per minori immigrati. E per la prima volta in Sicilia, segnatamente a San Cataldo, si registra una protesta contro un centro di accoglienza.
La prefettura ha deciso di utilizzare un altro edificio per ospitare i profughi in attesa di asilo e i cittadini del quartiere di cristo Re si sono messi di traverso. Non li vogliamo, hanno urlato chiaro e tondo. Se ne vadano altrove. Dove? In periferia, è il suggerimento. Non si tratta, perciò, di una cacciata, ma di una gomitata, un invito pressante a farsi più in là.
Mentre Tor Sapienza è la periferia che protesta, a San Cataldo è un quartiere bene. Ma non è l’unica diversità, perché i romani hanno estremizzato la battaglia, non vogliono più emigrati, ed hanno perciò ricevuto solidarietà e visite dei “contras”.
I sancataldesi di cristo Re, invece, perorano una causa molto più terra-terra, vadano altrove. Come si fa con le discariche. Non le vuole nessuno, ma tutti riconoscono che sono necessarie per smaltire la monnezza.
L’accostamento, è vero, appare inverecondo, ma la protesta di San Cataldo suscita perplessità e si presta alle più svariate considerazioni. È un problema di sicurezza o che cosa? Per rabbonire la protesta qualcuno ha ricordato che non si devono temere illegalità né turbative dell’ordine pubblico, perché gli ospiti, accolti nei centro, rischierebbero di tornare al loro Paese. Dopo un viaggio terribile per il quale si sono svenati, rischiare di mandare all’aria tutto sarebbe una follia.
Quanto alla salute ed ai timori di contagio, è stato ribadito, che solo chi è in buona salute decide di attraversare il deserto con mezzi di fortuna e salire su un barcone. O semplicemente lasciare il luogo in cui vive.
I costi, infine. Un problema che San Cataldo non ha affrontato, invero, visto che la richiesta di di spostare in periferia il centro di accoglienza. Le risorse, in larga parte, provengono dall’Unione Europea, e vengono assegnati a cooperative ed associazioni, per la gestione delle strutture. La qualcosa significa che i centri fanno lavorare molti siciliani.



Grecia - La protesta dei richiedenti asilo siriani nella piazza del Parlamento
Da Atene la richiesta di corridoi umanitari veri e di revisione del Regolamento Dublino
Melting Pot Europa,  26-11-2014
Prof. Fulvio Vassallo Paleologo
La protesta messa in atto dai profughi siriani davanti alla sede del Parlamento greco ad Atene, a partire da lunedì 24 novembre 2014, ha ad oggetto le deprecabili condizioni di accoglienza in Grecia e l’impossibilità di lasciare legalmente quel paese per un successivo trasferimento in altri stati dell’Unione Europea, stati dai quali, tra l’altro, per effetto di decisioni dei tribunali amministrativi interni o della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sono già stati bloccati numerosi tentativi di riammissione in Grecia di richiedenti asilo che vi erano transitati come stato UE di primo ingresso.
I profughi siriani in sciopero della fame ad Atene chiedono in sostanza una prima accoglienza in condizioni dignitose ed un canale legale per il trasferimento verso il Nordeuropa, dove hanno già parenti o persone di riferimento provenienti dalle stesse comunità di appartenenza,. Molti hanno finito i soldi e i controlli alle frontiere interne dello Spazio Schengen hanno di molto aumentato i costi dei viaggi (ed i profitti dei trafficanti). Un numero sempre maggiore di profughi, in prevalenza siriani, si trova così intrappolato in Grecia senza avere alcuna speranza di potere uscire legalmente da quel paese. Ennesimo effetto perverso del Regolamento Dublino III che inchioda nel primo paese di ingresso nell’Unione Europea la maggior parte dei richiedenti asilo, soprattutto se hanno già subito il prelievo (spesso violento) delle impronte digitali, o se hanno avuto respinta una richiesta di protezione internazionale.
L’Unione Europea, ed i singoli stati che ne fanno parte, non possono continuare a ignorare le profonde differenze che ancora caratterizzano le procedure ed i sistemi di accoglienza previsti per i richiedenti asilo. Deficit dei sistemi di accoglienza che comportano il mancato rispetto del diritto di asilo “europeo”, da cui discendono diffuse violazioni dei più elementari diritti umani dei profughi e dei richiedenti asilo. Da anni queste inadempienze nel sistema di accoglienza, queste difformità nell’applicazione delle regole comuni in materia di qualifiche e di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, che assumono spesso carattere discriminatorio, sono oggetto di critiche assai documentate da parte delle istituzioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa.
Il 27 gennaio 2011 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, riunita a Strasburgo, individuava alcuni stati che già allora presentavano “major systemic deficiencies”, deficienze sistematiche nella legislazione e nelle prassi di polizia che producevano le più frequenti violazioni della Convenzione Europea a protezione dei diritti fondamentali della persona, “which are causing repeated violations of the European Convention on Human Rights”. Questi paesi erano la Bulgaria, la Grecia, la Moldavia, la Polonia, la Romania, la Russia, la Turchia e l’Italia. In particolare, si contestava a questi stati di non rispettare o di ritardare il riconoscimento delle sentenze della Corte Europea di Strasburgo, casi di morte e trattamenti disumani applicati a persone sottoposte a privazione della libertà personale, oltre a misure detentive di durata sproporzionata o al di là di quanto previsto dalla legge.
L’Assemblea del Consiglio d’Europa, prendendo atto che le misure di allontanamento forzato si rivolgono tanto contro i migranti economici che nei confronti di richiedenti asilo, ha rilevato poi come alcuni paesi, tra i quali l’Italia, ignorino le richieste contenute nelle misure urgenti adottate dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ai sensi dell’articolo 39 della CEDU, al fine di bloccare le deportazioni di persone che potrebbero essere esposte a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. “Some states which had ignored its clear instructions not to deport individuals who might be at risk of torture or ill-treatment. Such “interim measures”, usually involving failed asylum seekers or irregular migrants whose expulsion is imminent, are intended to give the Court time to consider their complaints. States should “fully comply with the letter and spirit” of these requests”.
L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha inoltre espresso una grave preoccupazione per il rapido incremento delle richieste di misure provvisorie per bloccare espulsioni o trasferimenti in base al Regolamento Dublino 2, che assegna al primo paese di ingresso in Europa la competenza a ricevere e ad esaminare le richieste di protezione internazionale, richiamando la circostanza che alcuni stati - come la Grecia - non possono essere considerati paesi sicuri (safe for returns) per ricevere immigrati espulsi, allontanati o trasferiti da altri stati membri dell’Unione Europea.
Con la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo relativa all’applicazione del "Regolamento Dublino" tra Belgio e Grecia (sentenza 21.01.2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia), si è affermato che il Regolamento Dublino 2, n. 343 del Consiglio, adottato il 18 febbraio 2003, non impedisce che gli Stati, in alcuni casi, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali affermati dalla Convenzione deroghino all’applicazione dei criteri generali di competenza nell’individuazione del Paese che deve decidere sulla richiesta di asilo.
Secondo la sentenza, è stato il Belgio a violare la Convenzione dei diritti dell’uomo e non può trincerarsi dietro il rispetto di obblighi internazionali come l’attuazione del Regolamento Dublino proprio perché, avendo dati certi sulla situazione dei richiedenti asilo in Grecia, non avrebbe dovuto procedere all’espulsione di un cittadino afgano trasferito ad Atene. Lo ha deciso la Grande Camera della Corte di Strasburgo che si è pronunciata con sentenza del 21 gennaio 2011 (M.S.S. contro Belgio e Grecia, 30696/09), precisando che lo stesso Regolamento n.343 del 2003 impone il rispetto della Convenzione di Ginevra e contempla precise eccezioni nell’applicazione dei criteri di competenza per l’esame della domanda di asilo, se nel Paese che sarebbe competente non sono garantiti i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale. La Corte, ha ritenuto che, il Belgio, decidendo di consegnare un cittadino afgano - che vi era transitato - alla Grecia, primo stato di ingresso nell’area Dublino, abbia violato l’articolo 3 della Convenzione che vieta i trattamenti disumani e degradanti, nonché gli articoli 13 ( diritto ad un ricorso effettivo) e 46 ( forza vincolante ed esecuzione delle sentenze CEDU) della stessa Convenzione. La Corte ha anche condannato la Grecia per le gravi violazioni relative al trattamento dei richiedenti asilo e ha stabilito misure per indennizzare il ricorrente.
In precedenza la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seconda Sezione, il 18 novembre 2008, emanava un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 39 CEDU, nel quale si ravvisava la possibile violazione dell’art. 34 della CEDU intimando allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Nella motivazione del provvedimento di sospensiva la Corte faceva riferimento ad una sua precedente decisione nel caso Mamatkulov et Askarov c. Turquie (n 46827/99 et 46951/99) paragrafi 128 e 129 e dispositivo numero 5, nella quale si sanzionava il mancato rispetto, da parte della Turchia, del diritto ad un ricorso individuale, ai sensi dell’art. 34 del Regolamento di procedura della stessa Corte.
Il Regolamento (UE) n. 604/2013, del 26 giugno 2013, che ha sostituito il precedente Regolamento 343/2003/CE, detto comunemente Dublino II, ha ridefinito i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione), superando in parte, con criteri apparentemente più flessibili, il precedente Regolamento che sarà abrogato. Rimane comunque applicabile la cd. clausola umanitaria secondo la quale uno stato di secondo ingresso può comunque prendere in esame la richiesta di protezione di un richiedente che sia transitato in altro stato dell’Unione per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familiari culturali o umanitari. In base all’art. 17 (“Clausole discrezionali”) del nuovo Regolamento, “in deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento.
Lo Stato membro che decide di esaminare una domanda di protezione internazionale ai sensi del presente paragrafo diventa lo Stato membro competente e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Se applicabile, esso ne informa, utilizzando la rete telematica «DubliNet» istituita a norma dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1560/2003, lo Stato membro precedentemente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente.
Lo Stato membro che diventa competente ai sensi del presente paragrafo lo indica immediatamente nell’Eurodac ai sensi del regolamento (UE) n. 603/2013, aggiungendo la data in cui è stata adottata la decisione di esaminare la domanda”.
Da tempo, nelle diverse istituzioni europee, erano emerse posizioni critiche verso le modalità applicative del Regolamento Dublino, per le ingiustizie, soprattutto disparità di trattamento, che si verificavano nelle prassi applicate dai ministeri dell’interno dei diversi paesi U.E. presso i quali avevano sede le cd. “Unità Dublino”, uffici preposti specificamente alla realizzazione delle procedure di trasferimento forzato. Le posizioni di chiusura di alcuni paesi, come la Gran Bretagna e l’Irlanda, che traevano evidenti benefici dal blocco dei richiedenti asilo nei paesi di primo ingresso, hanno però impedito il raggiungimento di un accordo e l’adozione di un testo generalmente condiviso.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si era già pronunciata sul tema dei rinvii di richiedenti asilo, sempre in base al regolamento Dublino 2, verso paesi che non garantivano adeguati standard di accoglienza e procedurali, come nel caso della Grecia. Nella causa C-411/10 davanti alla Corte di Lussemburgo, un cittadino afgano, risultava tratto in arresto il 24 settembre 2008 in Grecia dove non aveva potuto presentare domanda di asilo. Dopo la liberazione, gli veniva ingiunto di lasciare il territorio greco entro trenta giorni, e quindi veniva espulso in Turchia. Evaso dalle carceri turche, riusciva a raggiungere infine il Regno Unito, dove arrivava il 12 gennaio 2009 chiedendo contestualmente asilo. Il 30 luglio 2009 veniva informato che sarebbe stato trasferito in Grecia il 6 agosto 2009, in conformità delle disposizioni del Regolamento Dublino 343/2003.
Con la sentenza del 21 dicembre 2011 (cause riunite C-411 e 493/2010), con riferimento ai casi di trasferimento di richiedenti asilo dal Regno Unito e dall’Irlanda verso la Grecia, la Corte di giustizia della UE ha riconosciuto che «il diritto dell’Unione osta a una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che il Regolamento designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione Europea. Gli Stati membri, infatti, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro designato come competente quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Secondo la Corte, gli Stati membri dispongono di vari strumenti adeguati per valutare il rispetto dei diritti fondamentali e, pertanto, i rischi realmente corsi da un richiedente asilo nel caso in cui venga trasferito verso lo Stato competente.
Il nuovo Regolamento dell’Unione Europea 604/2013, che potremmo definire Dublino III, fissa, all’art. 2 comma 3, stabilisce adesso il principio che “Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente. Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente”.
Nel nuovo regolamento Dublino III si considera anche la possibile gestione congiunta delle emergenze derivanti da un afflusso massiccio di richiedenti protezione internazionale, in quanto in base all’articolo 33 si prevede un “Meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi” che dovrebbe dare una ruolo concreto al nuovo Ufficio europeo per il sostegno dei richiedenti asilo, EASO, “Qualora, sulla base in particolare delle informazioni ottenute dall’EASO a norma del regolamento (UE) n. 439/2010, la Commissione stabilisca che l’applicazione del presente regolamento può essere ostacolata da un rischio comprovato di speciale pressione sul sistema di asilo di uno Stato membro e/o da problemi nel funzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro, in cooperazione con l’EASO, rivolge raccomandazioni a tale Stato membro invitandolo a redigere un piano d’azione preventivo. Lo Stato membro interessato informa il Consiglio e la Commissione della sua intenzione di presentare un piano d’azione preventivo al fine di porre rimedio alla pressione e/o ai problemi nel funzionamento del sistema di asilo pur garantendo la protezione dei diritti fondamentali dei richiedenti la protezione internazionale. Uno Stato membro può redigere, su propria discrezione e iniziativa, un piano d’azione preventivo e procedere alle revisioni successive del medesimo. Nell’elaborare tale piano, lo Stato membro può chiedere l’assistenza della Commissione, di altri Stati membri, dell’EASO e di altre agenzie pertinenti dell’Unione”.
Rimane tuttavia il fatto che gli stati dell’Unione Europea non sembrano affatto propensi ad adottare le misure previste dalla Direttiva 2001/55/CE in caso di “afflusso massiccio di sfollati”, né sembrano chiari i criteri di eventuale ripartizione tra i diversi paesi dei profughi che dovessero arrivare da stati dell’Unione, come la Grecia, verso i quali non risulta possibile riammettere i richiedenti asilo, per la conclamata inadeguatezza del sistema nazionale di accoglienza e per il mancato adempimento delle Direttive dell’Unione Europea in materia di qualifiche e di procedure previste per i richiedenti asilo. Sarà dunque necessario un impegno straordinario perché la questione della modifica sostanziale del Regolamento Dublino III rientri nell’agenda di lavoro della Commissione e del Consiglio, dopo una precisa assunzione di responsabilità da parte del Parlamento Europeo.
Occorre “deflazionare” le procedure di riconoscimento della protezione internazionale con una applicazione estesa della “protezione temporanea” prevista dalla Direttiva 2001/55/CE salvo il diritto di presentare una successiva richiesta di protezione internazionale in un paese dell’Unione diverso da quello di primo ingresso. Si deve arrivare anche al riconoscimento reciproco tra i diversi stati UE delle decisioni amministrative o giudiziarie che riconoscono lo status di asilo o la protezione sussidiaria. Vanno aperti canali umanitari che consentano un ingresso protetto e legale in Europa a persone che si trovano in condizioni soggettive di particolare vulnerabilità, come i nuclei familiari con bambini piccoli e le donne sole o con i loro figli. Vanno altresì garantiti canali legali di trasferimento dal primo paese di ingresso ad altri stati di destinazione, sulla base di una valutazione delle possibilità effettive di accoglienza, dei legami familiari e sociali già esistenti e del rispetto delle norme europee in materia di accoglienza. Occorre rafforzare, in collaborazione con le reti locali, contro tutti i tentativi di respingimento e di detenzione arbitraria le pratiche di assistenza e difesa legale “dal basso”, già sperimentate con successo nella proposizione del ricorso Sharifi contro Italia e Grecia alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Vanno infine garantite, con un monitoraggio rigoroso, oltre che con le necessarie riforme legislative, regole procedurali e standard minimi di accoglienza che siano omogenei nei diversi paesi europei, anche allo scopo di evitare movimenti secondari, che se in parte si verificherebbero comunque, sono determinati anche dalle condizioni di accoglienza inadeguate e da procedure di durata indeterminata e di esito spesso del tutto incerto, se non apertamente discriminatorio ( con riferimento alle persone che provengono da paesi terzi ritenuti “sicuri”).
Riportiamo di seguito l’appello dei rifugiati siriani dalla piazza di Atene
Syrian Refugees in in Greece at Syntagma Square
We are the Syrian refugees who are standing from 19 November 2014 outside of Greek Parliament in Athens at Syntagma square.
We started hunger strike on 24 of November.
We demand full asylum rights as refugees.
We escaped from death in Syria. We escaped from death passing the Aegean sea. We want to live with dignity in Europe.
Our demands are the following:
- Open the boarding gates by affording us proper travel documents to enable us to travel abroad, inside European Union.
- Support the Syrian refugees who are blocked in Greece. Book ships to transfer them to the countries which have already announced that they are ready to accept them.
- Support Syrian refugees with full rights of refugee which include: regular salaries, shelter, food, health insurance, education, reunification of their families, and work permit.
We call the Greek government to solve this issue immediately.
We appeal to Greek Parliament to support our case.
We appeal to Greek people for solidarity to our demand for full asylum rights.
vedi sito Il blog personale dell’autore

 

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