Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 agosto 2013

In fuga dai conflitti e dalla povertà
Internazionle, 30-08-2013
Harriet Alexander, The Daily Telegraph, Regno Unito
Gli sbarchi sulle coste italiane aumentano e sono sempre di più i migranti che arrivano dalla Siria e dall'Egitto
Dalla sua sedia a sdraio su una spiaggia dell'Italia meridionale, Gina Bova guardava incuriosita lo sgangherato peschereccio che veniva spinto dalle onde vicino alla riva. Era un ventoso pomeriggio di un sabato d'agosto e la spiaggia era affollata di famiglie in vacanza impegnate in picnic a base di pasta e fichi freschi.
Quando la barca si è incagliata in un banco di sabbia, i passeggeri sono saltati in mare e hanno cominciato a correre verso la riva. "C'erano molti più migranti che poliziotti", dice la signora Bova, 63 anni. "La polizia ne ha presi un paio, ma la maggior parte è corsa attraverso la spiaggia verso le colline. Non si poteva fare altro".
Una sensazione di inevitabilità condivisa anche dalle autorità di tutta Europa. Nella settimana dal 19 al 25 agosto dal Nordafrica sono partiti oltre mille migranti che, dopo aver attraversato il mar Mediterraneo, sono sbarcati sulle coste italiane. Un'ondata di migrazioni che non accenna a diminuire. Il 23 agosto 140 persone, egiziani e siriani, sono sbarcati in Sicilia. Altri duecento sono sbarcati il 24 agosto. L'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati afferma che il numero di egiziani che arriva in Italia è rad- doppiato: 836 nel 2012, mentre quest'anno sono già 1.641. "L'aumento degli sbarchi è enorme", dice Carla Trommino, avvocato specializzato in materia di richieste d'asilo dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. "Il percorso dei migranti è cambiato, prima sbarcavano sull'isola di Lampedusa, ma ora preferiscono arrivare direttamente nell'Italia continentale. Fino a due settimane fa li rimandavano subito indietro. Ma ora ci sono anche gli egiziani, che potranno rimanere e chiedere asilo".
A luglio le Nazioni Unite hanno dichiarato che quest'anno in Italia sono arrivati 7.800 migranti, più del doppio rispetto ai primi sei mesi dei 2012. Molti vendono tutto quello che hanno per pagare i trafficanti di esseri umani: una traversata costa dai mille ai 1.500 euro.
"I trafficanti non si preoccupano minimamente delle condizioni dei passeggeri", dice Trommino. "In Sicilia abbiamo parlato con persone scese da una barca con a bordo duecento migranti. Non c'era abbastanza acqua per tutti e c'era chi la rubava ai bambini. Si rende conto?".
La barca che la signora Bova e la sua famiglia hanno visto arrivare vicino a Monasterace era la quinta in quindici giorni e trasportava sessantotto migranti tutti egiziani, tranne tre, fuggiti dagli scontri nel loro paese. Costeggiando la Grecia, le barche provenienti dall'Egitto possono arrivare sulla costa Calabrese in cinque-dieci giorni. Ai siriani, e ora agli egiziani, è consentito di restare. I siriani sono vestiti meglio e sono più ricchi rispetto agli altri immigrati. Alcuni di loro rifiutano le ofFerte di aiuto, preferiscono salire su un taxi e andarsene. Un uomo è addirittura arrivato con un iPad, dicendo che in passato veniva in vacanza in Italia, ma la mancanza di documenti lo aveva costretto a tornare come "clandestino". Anche le donne in gravidanza o che hanno partorito da meno di sei mesi hanno il diritto di restare, e questo spinge molte mamme in attesa a tentare la traversata.
Soluzione miracolosa
"L'ltalia dovrebbe fare di più per aiutare queste persone", dice Ivan Lazzarino, 36 anni, che ha una casa vicino alla spiaggia Calabrese su cui sono sbarcati i migranti, Guarda la barca naufragata, intanto poco distante i bagnanti prendono il sole: "Sono venuti qui in una notte di tempesta, anche i bambini, per cercare una vita migliore. Non è solo un problema italiano, ma europeo. Noi, però, siamo piü vicini all'Africa". Dei sessantotto passeggeri, venticinque sono bambini, ai quali sarà
L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni Roma (OIM): nei primi otto mesi del 2013 i siriani sbarcati in Italia sono stati circa 2.800, in tutto il 2012 erano stati 582, mentre nel 2011 furono 328. Lungo rotte diverse arrivano in Calabria, Puglia e Sicilia. Il grande business dei trafficanti sulla pelle di un popolo dilaniato
la Repubblica, 30-08-2013
ROMA - Il numero di siriani arrivati in Italia via mare sta registrando un aumento costante e interessa in modo particolare le coste della Calabria, della Puglia e della Sicilia. E' questo il dato raccolto dai I dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni Roma) che, nell'ambito di Praesidium - progetto realizzato assieme a UNHCR, Save The Children e Croce Rossa italiana e finanziato dal Ministero dell'Interno - sono presenti nelle tre regioni del Sud Italia per supportare le autorità nell'accoglienza, assistenza e individuazione delle diverse categorie di migranti giunti via mare e monitorare i centri di accoglienza.
 I trafficanti si fanno pagare da 8 a 12 mila dollari. "Nei primi otto mesi del 2013 i siriani sbarcati in Italia sono stati finora circa 2.800" - racconta José Angel Oropeza,  Direttore dell'Ufficio di Coordinamento OIM per il Mediterraneo - "in tutto il 2012 erano stati 582, mentre nel 2011 furono 328". Dai colloqui degli operatori OIM con i migranti sbarcati è stato possibile ricostruire le diverse rotte da loro seguite dopo esser fuggiti dalla Siria. Chi arriva in Sicilia percorre infatti un itinerario diverso rispetto a chi giunge in Calabria e in Puglia. "I siriani che sbarcano in Sicilia", spiega Oropeza, "dopo aver lasciato il loro paese passano generalmente per il Libano e la Giordania. Di lì raggiugono l'Egitto e partono poi verso l'Italia. I trafficanti che organizzano il viaggio si fanno pagare dagli 8.000 ai 12.000 dollari".
Il tragitto via-Turchia è rischioso. "Chi arriva in Calabria e in Puglia - continua il Direttore OIM - si dirige dai campi profughi verso la Turchia. Di lì una rete di trafficanti fornisce passaporti falsi per una cifra che va dai 2.500 ai 6.000 dollari. Il viaggio 'diretto' dalla Turchia all'Italia costa 2-3.000 dollari ma, trattandosi di una rotta molto lunga e pericolosa, spesso si opta per un passaggio per la Grecia, da dove ci si imbarca per raggiungere le coste italiane". Da quanto emerso dai racconti dei siriani, l'Italia è generalmente considerata come un paese di transito: la loro vera meta è il nord Europa (Germania, Svezia, Norvegia), e i trafficanti - durante tutto il percorso - li rassicurano sulla possibilità di raggiungere la loro destinazione proprio grazie ai passaporti falsi che gli sono stati forniti.
 Il grande business a spese dei 42 mila sfollati. "I dati che abbiamo raccolto - conclude Oropeza - confermano ancora una volta come queste persone siano vittime di trafficanti senza scrupoli che approfittano dei loro drammi per arricchirsi, anche a costo di costringerli a viaggiare in condizioni estremamente pericolose". Si calcola che, dall'inizio del conflitto, siano oltre un milione e mezzo i siriani fuggiti dal paese. La maggior parte di loro si trova nei campi profughi di Giordania e Libano, che ospitano in totale quasi un milione di persone. A partire dal 15 agosto sono stati invece oltre 42.000 i profughi che hanno varcato il confine siriano verso l'Iraq. L'OIM Iraq ha facilitato il trasferimento di oltre 32.000 siriani, attraverso i punti di confine di Sahela e Peshkhabour, verso sei campi profughi e due  posti di transito e, insieme all'UNHCR, si occupa di fornire alloggi temporanei nelle tende e di distribuire acqua e generi di prima necessità nelle aree di accoglienza.
 


Ovazioni e rivolte Cecile superstar
il Venerdì supplemento Repubblica, 30-08-2013  
Pietro Veronese
I SOLA CAPO RIZZUTO.(Crotone). «Cazzo, digli che la ministra li incontrerà, digli che devono scegliere cinque di loro e la ministra li ascolterà nella sala della Commissione, però adesso digli che ci lascino passare, cazzo!». L'interprete arabo traduce le parole del funzionario, non sappiamo quanto alla lettera, chiuso in mezzo alla ressa di corpi sudati e occhi furiosi che sbarrano il passaggio. Quindici metri più in là le macchine del convoglio ministeriale si sono disposte a V, come una barricata improvvisata, e in mezzo ad esse sta in piedi Cécile Kyenge, ministra per l'lntegrazione, come sempre composta nel colorato tailleur, però corrucciata, tesa, severa. Nel cuore del Centro di accoglienza migranti di Sant'Anna, una ex struttura militare trasformata in campo d'internamento per il doppio di persone di quante ne potrebbe ospitare, è come se il cerchio di un mondo impazzito si stesse richiudendo su di lei.
Tra pochi giorni compirà 49 anni e la sua vita è già uno stupefacente paradosso dei nostri tempi e della nostra Italia, è nata nel Katanga Congolese e da nemmeno quattro mesi è ministra della Repubblica, la prima nera, in un governo votato tra gli altri da un partito che fino a un anno e mezzo prima era alleato della più razzista delle nostre formazioni politiche. Per tutta la vita la ministra Cécile si è battuta perche non esistessero luoghi come il CdA di Sant'Anna, un lager della nostra indifferenza, che qualcuno definisce il più grande campo migranti d'Europa. E adesso se ne sta in piedi li in mezzo, protetta da un esile velo di militi e agenti che sembrano quasi più inquieti di lei, davanti a una babele di lingue e religioni, afgani, sudanesi, eritrei, bangladesi, ghanesi, egiziani, uomini in ciabatte di plastica e donne velate che urlano perché sono tre giorni che manca l'acqua, le gridano, e il mangiare fa schifo e nei container la luce non arriva, non hanno sigarette né schede per telefonare, e sono diciotto mesi che sono fermi qua dentro e non ne possono più.
Da questo momento in poi, la visita ministeriale a Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, província di Crotone, Calabria, già di per sé totalmente inusitata (è mai stato qui dentro un ministro della Repubblica?) prenderá una piega impazzita. Il miniconvoglio di auto blu procede a zig-zag tra file di container-dormitori e alti recinti di sicurezza metallici. Ogni volta che sembra fare dietrofront finisce invece spinto più avanti, non si capisce se per volontà di Cécile o della calca di migranti che lo incalza dappresso, o magari di entrambi. «B! B! B!», grida la folla di internati quando sembra che i visitatori stiano per saltare uno dei settori in cui sono suddivise le aree container, designate da lettere. «Toilet! Toilet! Toilet!», e la ministra allunga il giro fino alle fetide latrine e alle docce. Allora la rabbia si scioglie e scrosciano applausi. Il governo repubblicano ha visto, ha annusato, ha capito. Cécile Kyenge saluta agitando la mano, come uno statista che si conceda un bagno di folia. W l'Italia.
È ancora agosto, mezzo Paese è in vacanza, il governo vacilla e la ministra per l'lntegrazione si fa questo giro in Calabria perché è una regione che ha molto da dire e molto da mostrare in tema di immigrazione. In Calabria c'è Rosarno, dove i migranti schiavizzati nel bracciantato agricolo si ribellarono tre anni e mezzo fa. E 70 chilometri più in là c'è Riace, esempio luminoso di integrazione grazie alla passione umana e civile - vogliamo dire all'amore? - di un sindaco profeta, Domenico Lucano. In Calabria ci sono gli sbarchi e i centri di accoglienza come Sant'Anna, luci e ombre, i nuovi alloggi, il centro diurno per le donne e per i bambini, e il buio sovraffollato dei container.
In Calabria Cécile Kyenge, borsista di Medicina alla Cattolica di Roma, venne qualche volta a passare giorni d'estate invitata da una compagna d'università, a Roccella Jonica. La stessa Roccella il cui Consiglio comunale le ha conferito adesso la cittadinanza onoraria. «Lei venne qui e una famiglia le dette le chiavi di casa» dice il sindaco alla ministra, «io oggi le consegno le chiavi della città».
La ministra, la più mediatizzata, la più ovviamente riconoscibile del nostro governo grazie al colore della sua pelle e agli abietti attacchi di cui l'hanno fatta oggetto i Calderoli e í Borghezio, ha in mezzo alla gente un evidente status di star. Se ne va sul lungomare di Roccella con il sindaco Certomà tutto sudato e ogni tre passi s'avvicina una ragazza a stringerle la mano, una signora a offrirle una stella marina «simbolo dei costruttori di pace». Un bagnante in costume grida «Buonasera ministra!», gruppi di ragazzi interrompono il beach volley per improvvisare un applauso e un bambino le chiede se è davvero lei e commenta: «Fico!».
Allo stabilimento Lido delle Stelle aspettando la cena è un pellegrinaggio per farsi la foto con la ministra e lei non si tira mai indietro. «Le dispiace se la metto su Facebook?», chiede una signora al settimo cielo. Certo che no. Arriva una mamma con il pupo avvolto nell'asciugamano e Cécile fa per prenderlo tra le braccia: «È senza pannolino, glielo sconsiglio...». Risa, flash e baci. An- ziane appoggiate al bastone, famiglie intere, alia fine anche gli ufficiali dei Carabinieri e delia Guardia di Finanza, tutti in posa accanto a Cécile. Avanti cosi finché è buio. W L'Italia.
Ogni volta che prende la parola la ministra dice che è venuta in Calabria a vedere le «buone pratiche», gli esempi positivi di integrazione, la quale dev'essere piuttosto «interazione», un altro suo mantra. Liberarsi dai ruoli, «dalla schiavitù mentale e dalla schiavitù dei territorio», e «mettere al centro la persona». Insiste sulla riforma del diritto di cittadinanza, che è il suo principale obbiettivo politico. Perora la causa dei migranti, «persone e non più clandestini», invita a fare dell'incontro «una ricchezza e un'opportunità per tutti». Il pubblico applaude, a Riace e a Crotone, a Caulonia, a Reggio, a Cosenza, il messaggio sembra passare. A Roccella dice: «Il giorno in cui mi vedrete andare in giro senza la scorta, completamente libera, allora saprete che l'Italia è davvero cambiata», e si prende una standing ovation di pubblico e autorità, compreso un parterre di sindaci dei comuni circonvicini con tanto di fascia tricolore. Resta seduto soltanto il consigliere d'opposizione.
Di «buone pratiche» la ministra parla anche uscendo dal campo di Sant'Anna. Ci aspettavamo espressioni di sdegno, di denuncia, e invece è molto abbottonata, adopera espressioni impeccabili come la sua elegante giacca di seta, misura le parole, elogia tutti, la Prefettura e la Misericordia (l'associazione che gestisce i servizi agli internati), sottolinea le «migliorie» e quello che non va lo attribuisce piuttosto «all'Europa» che a responsabilità locali o nazionali o alle politiche delle maggioranze che hanno retto il Paese per quasi tutti gli anni Duemila.
Le notizie da Roma riferiscono che il governo è appeso a un filo e non sarà certo lei a complicare la situazione con dichiarazioni improvvide, emotive.
La seguiamo passo passo da qualche giorno e ci sembra che poco a poco incominciamo a conoscerla: cauta, controllata, istituzionale, molto più di tanti sgangherati suoi predecessori. Viva l'Italia di Cécile.



Lampedusa avrà la sua biblioteca: migliaia di persone hanno accolto l’appello del sindaco Giusi Nicolini e donato libri.
Il primo cittadino presenta il progetto: la biblioteca aprirà il prossimo inverno e chiede libri sull’immigrazione per costituire una specifica sezione.
Immigrazioneoggi, 30-08-2013
Oltre 400 scatole contenenti migliaia di libri, provenienti da tutta Italia. Cittadini privati, associazioni, case editrici, comuni, province e altre istituzioni hanno accolto l’appello lanciato a fine luglio dal sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, per l’apertura di una biblioteca sull’isola delle Pelagie.
L’iniziativa è stata presentata ieri nella libreria Modusvivendi di Palermo che ha avviato una raccolta di fondi da trasformare in buoni libri per inviarli al Comune di Lampedusa in vista dell’apertura della biblioteca prevista per questo inverno. “Sono molto emozionata – ha spiegato Giusi Nicolini all’agenzia Adnkronos - non avrei mai pensato che il mio appello, poi rilanciato da Twitter e Facebook, ottenesse un’eco così grande. Sono davvero stordita da tanta partecipazione”.
Per la biblioteca di Lampedusa, mai esistita sull’Isola, si è mosso anche il Quirinale, che ha telefonato al primo cittadino. “Ho ricevuto pacchi da tutta Italia – spiega ancora Nicolini – ci sono sia libri nuovi che usati. È un segnale bellissimo. Perfino autori di libri mi hanno mandato le loro opere appena saputo del mio appello”. In particolare, il sindaco Nicolini chiede l’invio di libri per ragazzi. “Naturalmente accoglieremmo anche volentieri libri di narrativa, saggistica e di ogni altro genere. Mi piacerebbe aprire una sezione dedicata all’immigrazione, ma anche al mare Mediterraneo, visto che la nostra Isola è al centro del Mediterraneo”.

 

In Sicilia sbarca la guerra
l'Unità,30 agosto 2013      
di Flore Murard-Yovanovitch
All’improvviso eccola la guerra che sembrava “distante” o confinata alla Tv. Eccola sui moli, sulle spiagge e le scogliere della costa sud-orientale della Sicilia dove giungono pescherecci colmi di rifugiati. Il flusso è cambiato, non sono più migranti economici ma profughi, per lo più siriani, sfuggiti ad un sterminio: bambini, anche piccolissimi,che rappresentano quasi un terzo degli ultimi arrivi di questi giorni. Donne, famiglie intere messe in salvo da padri di famiglia che trovano ancora l’energia, malgrado siano allo stremo, di raccontarti le bombe, le milizie, i gas, le armi chimiche perché la verità sia detta. L’orrore, quando intorno a te è tutto crollo e sangue.
“Ad Aleppo avevo un negozio ben avviato, è stato raso al suolo dall’esercito. Io ero salvo ma ho visto mio vicino tagliato a metà da un razzo. E’ stato un’ istante, posso perdere tutto ma non miei figli. Possono distruggere tutto ma noi dobbiamo restare vivi, restare umani”, come racconta Anas, un giovane padre di tre bimbe. E’ giunto l’altro ieri insieme ad altri centinaia di siriani tra cui circa 30 bambini e neonati, dopo che il barcone si fosse arenato sulla scogliera di Punta Milocca. Eccoli seduti, con un unico zaino, all’ombra della stazione di servizio di Fanusa a pochi kilometri da Siracusa. Mohammed, un ex-soldato dell’esercito governativo per non essere costretto ad uccidere è sfuggito e mi fa vedere ferite di armi nella schiena: “Il sangue deve essere fermato; è molto diverso quando senti parlare di una strage e ce l’hai sotto gli occhi. Era tutto distrutto, un rogo. Avrei voluto che sia solo un incubo e risvegliarmi”. Ali, invece padre cinquantenne, dieci anni di lavoro come in Germania, mi racconta in tedesco: “La vita era diventata impossibile. Per strada ho visto dai miei occhi decine di cadaveri uccisi con le armi chimiche, poi con le pance gonfie per veri giorni. Era diventato invibile”. “Voglio solo fare vivere miei bambini in pace – racconta ancora – senza i rumori e il male di testa dalle bombe e farli tornare, dopo tre anni, a scuola. Non so dove ci siamo imbarcatati né dove sono approdato, si scappa e basta. Mi ricordo solo che ci hanno trasferiti varie volte, da una piccola barca ad una più grande, per cinque giorni consecutivi, senza cibo né acqua”.
La fuga dura giorni, mesi. Anas non si ricorda nemmeno più bene quando è diventato esule “credo circa due anni fa”. Vari campi, paesi attraversati. Provengono da tutte le città dalla Siria e ognuno avrebbe una storia da sé grande come un libro da raccontare; dai racconti emerge quale sia la nuova ruota migratoria: Libano, Giordania, Egitto o Turchia Egitto e poi il nuovo tratto via mare Cairo – Sicilia. Decine di giorni nelle mani dei trafficanti (non siriani), raggomitolati a centinaia in pescherecci, mentre ci vorrebbero da mesi cordoni umanitari sicuri e gestiti dalla comunità internazionale. Poi l’approdo in Sicilia, senza nemmeno sapere dove sono giunti. Solo che sono vivi. Chi mi parla è stremato. Non insisto con le domande. Ma la loro gioia è palpabile, visibile dai lunghi e luminosi sorrisi che mi regalano, che hanno il sapore della vita salva.
Qui non è il molo di Lampedusa però. Le file ordinate, il presidio sanitario e le cineprese. In Sicilia sud-orientale gli sbarchi da sei mesi sono informali, spontanei, avvengono senza la dovuta assistenza, a volte non vengono informate neanche le istituzioni competenti. A chiamare la polizia o il 118 sono gli abitanti o i passanti. Ad accogliere i migranti, il dispositivo quasi militare di polizia, carabinieri, guardia di finanza: gestione di ordine pubblico e non vera e propria accoglienza (al di sotto di ogni standard internazionale). Il pullman, le lunghe procedure di identificazione e di foto segnalazione all’Ufficio immigrazione, poi il trasferimento nel centro di cosiddetta  accoglienza ex Umberto I. La struttura ospedaliera in disuso, gestita dal luglio 2012 dalla “Clean Services” senza una vera e propria gara d’appalto ma che può operare grazie ad una seria di verbali di affidamento della Questura, sarebbe in procinto di diventare giuridicamente un centro di primo soccorso e accoglienza (Cspa). Un edificio fatiscente, dove se non fosse per il polibus di Emergency – l’ambulatorio sanitario che assicura un presidio 24 su 24 nel cortile del centro – non supererebbe il test dei minimi requisiti igienico-sanitario. Materassi sporchi senza lenzuola, nessuna mediazione di associazioni indipendenti né assistenza post-traumatica, nessuna informazione né tutela, solo sbarre e cordoni di poliziotti. Da lì comunque ieri mattina rifugiati appena rimessi si erano già allontanati, alcuni mi chiamano dai treni, dai taxi “stiamo andando in Svizzera, in Svezia dai nostri parenti”: fuori dall’Italia. Non vogliono rilasciare le impronte digitali qua, ed è la grave criticità che identificano nell’accoglienza in Italia che ringraziano peraltro, perché vogliono ricongiungersi con le loro famiglie nei altri paesi europei. Persone che sarebbero meritevoli di protezione internazionale, di ricevere un’appropriata informazione e tutela legale, non l’accoglienza emergenziale e impreparata della regione Sicilia di fronte a questo fenomeno. Gestito come questione di ordine pubblico, senza voler riconoscere che, invece, ha tmutato natura: si tratta di una questione umanitaria, che non mancherà di  peggiorare se USA e Europa dovessero decidere l’intervento armato.
Pubblicato nell’edizione nazionale dell’Unità del 29 agosto 2013, sezione “Le storie”, p.13

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