Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

I Rom di San Paolo e il problema dell’accoglienza a Roma

Valentina Calderone
Si è conclusa positivamente, almeno per una volta, la vicenda degli oltre centocinquanta rom romeni sgomberati dalle loro baracche del campo di via dei Cluniacensi, a Roma. Questo sgombero, avvenuto il 22 aprile, è stato soltanto l’ultimo in ordine di tempo degli oltre settanta avvenuti solo nel mese di aprile 2011 nella capitale. Sgomberi ingiusti, inutili, effettuati senza fornire neanche quel minimo di assistenza e di garanzie per la reale costruzione di un’alternativa. L’unico risultato raggiunto, se di risultato si può parlare, è stato quello di togliere ogni riparo a seicento persone tra bambini, donne e uomini, costretti a nascondersi e a disperdersi in chissà quale angolo remoto della città.

 

Gli ex abitanti di via dei Cluniacensi, già precedentemente sfollati da altri insediamenti, il 22 aprile, a due giorni dalla celebrazione della Pasqua (che quest’anno è coincisa per cristiani e ortodossi), non volevano vagare per la città, con i bambini in braccio e le valigie in cui erano raccolte poche ed essenziali cose, per trovare l’ennesimo rifugio di fortuna. Insieme ai volontari di molte associazioni, hanno deciso di chiedere ospitalità all’interno di un luogo che difficilmente li avrebbe respinti: la basilica di San Paolo fuori le mura. I centocinquanta rom sono entrati in chiesa, i bambini hanno iniziato a giocare , i grandi a pregare e alcuni di loro, insieme alle associazioni, hanno mediato la loro accoglienza all’interno della struttura del Vaticano. Le loro richieste hanno trovato accoglimento e, nonostante il comune avesse proposto di ospitare solo donne e bambini, la ferma volontà di non dividere i gruppi familiari è prevalsa e a tutti loro è stato destinato un capannone adiacente alla basilica. Il giorno dopo, 23 aprile, alcuni rom sono usciti per andare a fare la spesa (chi lasciando i propri figli, chi il marito, chi la moglie) e, al loro ritorno, non sono stati fatti rientrare. Tutta la giornata di sabato 23 si è svolta così: fuori, i rom “espulsi” e le associazioni, a chiedere a gran voce il ricongiungimento dei nuclei familiari, dentro, quasi cento persone a cui era delegata la mediazione con la Caritas e il comune. Verso le 10 di sera, succede l’impensabile: ai rom e ai volontari vieni impedito l’accesso alla chiesa per la veglia pasquale e un cordone composto da gendarmi del vaticano “seleziona” chi può entrare ad ascoltare la messa e chi no. Verso le 23, stanchi bagnati e infreddoliti, i rom rimasti fuori (principalmente donne e bambini) vengono accolti dalla comunità di base di Don Franzoni. L’unica proposta dell’amministrazione capitolina, in questi due giorni, consiste nella divisione delle famiglie: le donne e i bambini al Cara di Castelnuovo di Porto, gli uomini in un centro di accoglienza notturno e, per chi non avesse accettato, l’alternativa à il rimpatrio volontario in Romania, con un contributo di 1000 euro. Qualcuno, stremato, ha scelto il rimpatrio (come una giovane coppia con cinque figli, di cui le ultime due, gemelle, di appena 15 giorni), tutti gli altri, invece, si sono fermamente dichiarati indisponibili a soluzioni che dividessero le famiglie. E così è stato. Il 24 aprile, domenica di Pasqua, le associazioni hanno organizzato un pranzo sul selciato davanti alla chiesa e tanti cittadini hanno risposto all’appello di solidarietà, portando chi del cibo cucinato, chi uova di cioccolato e altro. Il cibo rimasto è stato portato dentro il capannone e chi era all’interno ha potuto trarre forza e coraggio dalla consapevolezza che, fuori, non erano stati lasciati soli. La protesta, nonostante il giorno di festa, non si è fermata e finalmente, verso le 8 di sera, si è raggiunto l’accordo: uomini donne e bambini, quelli dentro e quelli fuori, sarebbero stati ospitati in un centro di accoglienza messo a disposizione dalla Caritas per tre mesi. A margine di tutto questo, il sindaco Gianni Alemanno ha dichiarato che non effettuerà altri sgomberi fino al 1 maggio, giorno in cui verrà beatificato Papa Giovanni Paolo II. Noi chiediamo, invece, che lo scempio di questi sgomberi senza alternative finisca immediatamente e che il tanto decantato piano nomadi venga finalmente messo in un cassetto, come deve succedere alle cose che, evidentemente, rappresentano un totale fallimento.

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