Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente SCHIFANI

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: «Informativa del Ministro dell'interno sui fatti di Rosarno».

Onorevoli colleghi, non appena ho avuto notizia dei gravissimi fatti di Rosarno ho preso contatto con il Ministro dell'interno affinché, come richiesto anche da diversi rappresentanti di Gruppi parlamentari, riferisse immediatamente in Senato. Il ministro Maroni ha dato prontamente la propria disponibilità e, di questo, lo ringrazio.

Abbiamo assistito nei giorni scorsi ad episodi che hanno destato in tutto il Paese fortissima preoccupazione. Sulla base di quanto riferirà il Ministro, i Gruppi politici esprimeranno le proprie valutazioni e le proprie proposte. Non posso però iniziare questa discussione senza esprimere la condanna più forte per ogni forma di violenza e, al contempo, l'invito a vigilare e a provvedere perché non si creino quelle condizioni che possono favorire, specialmente in zone già colpite da altri drammatici problemi, l'insorgere di tensioni e contrasti violenti tra cittadini e lavoratori immigrati.

Do ora la parola al ministro Maroni. Ricordo che dopo il suo intervento ciascun Gruppo avrà a disposizione cinque minuti.

Prego, onorevole Maroni.

MARONI, ministro dell'interno. Signor Presidente, onorevoli senatori, mi associo, anche a nome del Governo, alle parole del Presidente del Senato di condanna di ogni forma di violenza, che reputo intollerabile.

Questa mattina la Polizia di Stato ha eseguito a Rosarno 17 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone indagate per reati di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. L'operazione di polizia ha portato anche al sequestro di un ingente patrimonio comprendente numerose attività imprenditoriali, per un valore complessivo di decine di milioni di euro. Tra i destinatari delle misure restrittive notificate in carcere vi è anche un esponente di spicco del clan Bellocco, arrestato nel corso dei disordini di Rosarno per aver investito con l'auto alcuni extracomunitari. Questa è la risposta migliore che lo Stato potesse dare dopo i gravissimi fatti accaduti in quelle zone. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL). Questa è l'ennesima prova che lo Stato in Calabria c'è e continuerà ad esserci e non darà tregua alla 'ndrangheta e ad ogni altra forma di criminalità. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL).

Passo ora a una dettagliata ricostruzione dei fatti. Verso le ore 15 del 7 gennaio scorso, personale del commissariato di Gioia Tauro, attivato dalla sala operativa, raggiungeva il pronto soccorso del locale ospedale, dov'era stato trasportato un cittadino extracomunitario ferito da un proiettile tipico delle armi ad aria compressa. Dai primi accertamenti svolti è emerso che il cittadino, nativo del Togo e in possesso di regolare permesso di soggiorno, era stato colpito intorno alle ore 14,30 da un proiettile sparato da una persona a bordo di un'autovettura sulla strada statale 18 di Rosarno. Dopo le prime cure, lo stesso veniva dichiarato guaribile in dieci giorni.

Alla notizia del ferimento, diffusasi nel giro di poche ore, faceva seguito una manifestazione di protesta di circa 300 cittadini extracomunitari presenti nell'area dei Comuni di Rosarno e San Ferdinando, che lavorano saltuariamente come braccianti agricoli nelle campagne della piana di Gioia Tauro per la raccolta di agrumi. Gli extracomunitari inscenavano una manifestazione violenta, danneggiavano cassonetti per la raccolta di rifiuti e colpivano numerose autovetture in transito con bastoni e pietre. Contemporaneamente, nel centro abitato di Rosarno, un altro gruppo di circa 100 immigrati danneggiava cassonetti e automobili in sosta. Il numero degli immigrati aumentava progressivamente raggiungendo complessivamente le 600 unità.

La situazione di estrema gravità, esplosa rapidamente, veniva tempestivamente fronteggiata dal personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, inviato sul posto e integrato con aliquote di personale del reparto mobile di Reggio Calabria, del reparto prevenzione crimine Calabria e da personale della DIGOS. L'intervento delle forze di polizia riusciva, pur in condizioni di ulteriore disagio per la scarsa illuminazione dei luoghi, a contenere l'aggressività dei cittadini extracomunitari anche mediante il ricorso ad alcune cariche di alleggerimento e all'uso di lacrimogeni.

Veniva a quel punto avviato un tentativo di mediazione da parte del commissario straordinario di Rosarno che, a tal fine, riceveva una delegazione di immigrati. Non registrandosi un esito favorevole, i manifestanti riprendevano a creare disordini, riversandosi nuovamente sulla strada statale 18, nei pressi dell'ex fabbrica Sila e dell'ex fabbrica Rognetta, entrambe utilizzate da molti di loro come dormitori.

Anche in questa fase, le forze di polizia presenti riuscivano, con prontezza ed efficacia, a tenere sotto controllo la situazione, ricorrendo anche all'uso di lacrimogeni. Nel corso dei disordini venivano arrestati sette cittadini extracomunitari per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, devastazione e danneggiamento. Due di essi, feriti, venivano medicati presso l'ospedale di Polistena. Per cinque di essi, il giorno successivo, veniva convalidato l'arresto. Soltanto verso le ore 2 dell'8 gennaio i cittadini extracomunitari rientravano nelle strutture adibite a dormitorio in località Spartivento del Comune di Rosarno, senza creare ulteriori turbative per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Le forze di polizia mantenevano un presidio nelle principali zone interessate dagli incidenti perché la tensione rimaneva alta e si evidenziavano rischi di ritorsione da parte di alcuni abitanti di Rosarno quale reazione ai danneggiamenti compiuti dagli immigrati.

Nella mattinata di venerdì 8 gennaio circa 700 immigrati si radunavano nella piazza antistante la sede municipale di Rosarno per manifestare, questa volta pacificamente, per gli episodi di violenza di cui asserivano essere stati vittime già in passato. Un secondo incontro tra una delegazione di immigrati e il commissario straordinario del Comune di Rosarno induceva gli immigrati a porre fine ad ogni protesta. Nel frattempo, circa 50 cittadini di Rosarno si recavano presso la sede municipale per rappresentare preoccupazione per la situazione venutasi a creare.

Alle ore 14,30 di venerdì 8 gennaio, il prefetto di Reggio Calabria teneva presso la sede del Comune di Rosarno una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nel corso della quale veniva disposto il massimo impiego possibile delle forze di polizia, anche ricorrendo all'aggregazione di aliquote di personale proveniente da altri centri.

Nel corso della giornata si verificavano, inoltre, singoli episodi di violenza e intolleranza, in particolare nei confronti di cittadini extracomunitari che vivevano isolatamente nelle campagne circostanti l'abitato di Rosarno, episodi che venivano prontamente fronteggiati dalle forze di polizia grazie al dispositivo di presidio del territorio attuato. Veniva in particolare arrestato un cittadino di Rosarno, pregiudicato per vari reati, che poco prima aveva investito volontariamente con la propria autovettura un extracomunitario.

Alle ore 18,30 dello stesso giorno, due immigrati venivano feriti alle gambe da colpi di arma da fuoco sparati da ignoti e venivano ricoverati all'ospedale di Gioia Tauro per ferite giudicate guaribili in 30 giorni.

Anche nella successiva giornata del 9 gennaio si verificavano a Rosarno singoli episodi di vandalismo e di violenza: nella mattinata veniva data alle fiamme un'abitazione colonica occupata da 10 immigrati, che rimanevano illesi; nel pomeriggio, una persona armata di pistola, al momento non ancora identificata, minacciava un gruppo di 15 extracomunitari che occupavano un casolare in contrada Fabiana di Rosarno, i quali, all'arrivo della Polizia, manifestavano la volontà di lasciare Rosarno insieme ad altri 30 immigrati che occupavano un casolare vicino.

Questi i fatti, dalla cui ricostruzione emerge con chiarezza un primo importante dato: le forze dell'ordine sono intervenute tempestivamente sin dall'inizio dei disordini e questo ha permesso loro di riuscire a porre fine alle violenze, evitando che esse degenerassero in episodi ancora più gravi.

Sono stato informato dei fatti immediatamente, e immediatamente ho disposto il rafforzamento del presidio delle forze dell'ordine a Rosarno, nonché la costituzione di un'apposita task force, composta dal direttore centrale per le politiche dell'immigrazione del Ministero dell'interno, dal direttore generale dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e dal direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, con il compito di ricostruire il quadro completo e dettagliato della situazione in atto e individuare le soluzioni più adeguate per una sollecita definizione della crisi e per porre fine ad una grave situazione di degrado sociale, che si era ormai trasformata in un serio problema di ordine pubblico. La task force si è immediatamente insediata presso la prefettura di Reggio Calabria.

Risultavano dimorare presso l'immobile denominato la Rognetta di Rosarno circa 300 cittadini extracomunitari; altri 700 risultavano concentrati nell'edificio industriale dell'ex "Opera Sila" di Gioia Tauro e 200 ancora nel vicino Comune di Rizziconi. A fronte di una situazione così delicata e potenzialmente esplosiva, la task force ha ritenuto essenziale procedere all'immediato trasferimento di un primo gruppo di immigrati - quasi tutti quelli provenienti dall'area dismessa in località la Rognetta di Rosarno - presso il centro di accoglienza di Crotone. Nel pomeriggio di venerdì 8 gennaio la task force ha, pertanto, chiesto al direttore dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti l'invio di un'equipe medica per un esame complessivo della situazione igienico-sanitaria delle strutture ove erano presenti gli immigrati e per monitorare le loro condizioni di salute. Era la prima volta che veniva fatta una cosa del genere. Nelle prime ore di sabato erano presenti a Rosarno, oltre al direttore, tre medici dell'Istituto.

Sabato mattina la task force si è trasferita presso il Comune di Rosarno, ove è avvenuta una serie di incontri con organizzazioni umanitarie, quali la Caritas, Medici senza frontiere e la Croce rossa italiana, con rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, allo scopo di attivare canali di mediazione che consentissero il trasferimento degli extracomunitari quanto più rapidamente possibile.

Voglio sottolineare a questo riguardo che le operazioni di trasferimento di tutti i cittadini stranieri sono avvenute su base volontaria e senza disordini per tutta la giornata di sabato, verso i centri di Crotone e di Bari. Complessivamente le persone trasferite sono state 748, di cui 428 al centro di prima accoglienza di Crotone e 320 al centro di prima accoglienza di Bari. Circa 330 stranieri, inoltre, muniti di regolare permesso di soggiorno, si sono volontariamente allontanati in treno o con mezzi propri, verso altre destinazioni. Dei 428 stranieri trasferiti presso il centro di Crotone, 306 - la quasi totalità - sono risultati in possesso di permesso di soggiorno e, pertanto, dopo i controlli di polizia hanno lasciato il centro di accoglienza; 19, sprovvisti di titolo di soggiorno, saranno trasferiti presso i centri di identificazione ed espulsione di Lamezia Terme, Bari e Roma per la loro espulsione. Per 12 stranieri sono in fase di formalizzazione i provvedimenti di arresto per inottemperanza a precedenti ordini del questore a lasciare il territorio nazionale o di denuncia in stato di libertà per il reato di clandestinità.

Allo stato attuale, risultano ancora da valutare le posizioni amministrative di alcuni immigrati ancora presenti presso il centro di Crotone.

Dei 320 stranieri trasferiti a Bari, invece, 159 sono risultati in possesso di permesso di soggiorno, 14 sono stati arrestati perché inottemperanti all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale; i restanti verranno trattenuti presso il locale centro di identificazione ed espulsione, ad eccezione di un cittadino nigeriano che è stato accompagnato presso il CIE di Roma. Nessuno di questi, allo stato, risulta essere cittadino egiziano.

Dopo tali trasferimenti non vi sono più presenze all'interno delle due ex fabbriche utilizzate dagli immigrati come dormitori a Rosarno.

Complessivamente, i cittadini extracomunitari medicati presso gli ospedali della zona sono stati 21, di cui 8 ancora ricoverati presso gli ospedali di Reggio Calabria, Gioia Tauro e Polistena e per i quali sono state attivate le procedure per la concessione del permesso di soggiorno umanitario. Presso gli ospedali della zona sono stati medicati 10 operatori della Polizia di Stato e 8 dell'Arma dei Carabinieri, e 14 cittadini di Rosarno.

Nel corso degli incidenti sono state danneggiate due autovetture della Polizia di Stato e arrestate complessivamente 10 persone, di cui 7 extracomunitari e 3 cittadini di Rosarno. Altri 3 rosarnesi sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.

I servizi di presidio e vigilanza a Rosarno sono ancora in atto e resta rafforzato il servizio di controllo del territorio in tutta la zona. Dalla mattinata di domenica 10 gennaio si sta procedendo alla demolizione di una parte dell'immobile dell'ex fabbrica Rognetta con l'ausilio dei Vigili del fuoco, che peraltro sono stati presenti in forza sui luoghi degli incidenti sin dal primo momento al fine di garantire un adeguato presidio preventivo di soccorso pubblico.

Sono in corso approfondimenti investigativi anche presso i centri di accoglienza di Bari e Crotone per l'individuazione delle aziende della piana di Gioia Tauro che hanno irregolarmente impiegato la manodopera extracomunitaria. Le ipotesi da taluni avanzate circa l'interesse e il coinvolgimento nei disordini della criminalità organizzata locale, anche grazie all'operazione di questa mattina che ho citato all'inizio del mio intervento, sono attualmente al vaglio dell'autorità giudiziaria.

Da ultimo voglio informare che sabato 9 la task force da me costituita ha avuto incontri con le associazioni di categoria datoriali del settore agricolo, in particolare con il vice presidente e il direttore provinciale di Confagricoltura ed il presidente ed il direttore provinciale di Coldiretti. All'esito di questi incontri, la task force sta ora mettendo a punto un programma di ispezioni presso tutte le aziende della zona che impiegano lavoratori stagionali nel settore agricolo al fine di verificare il rispetto della normativa in materia che prevede, tra l'altro, l'obbligo per il datore di lavoro di assicurare la disponibilità di alloggi idonei, norma di legge che non è mai stata applicata. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).

Voglio in questa sede respingere con fermezza ogni riferimento, che pur qualcuno ha avanzato, riguardo ad una scarsa o inadeguata attenzione dello Stato verso i problemi della Calabria.

Come ho già avuto modo di dire anche in quest'Aula in altre circostanze, dal suo insediamento questo Governo ha prodotto uno sforzo straordinario ed ottenuto risultati mai visti in precedenza in termini di lotta alla criminalità organizzata, anche con riguardo proprio alla Calabria.

Abbiamo sciolto 13 Comuni per infiltrazione mafiosa, dei quali 6 proprio in Calabria e 3 nella sola Provincia di Reggio Calabria, nella zona dove si sono verificati gli incidenti. Nello stesso periodo di tempo, da quando c'è questo Governo, su 427 operazioni di polizia giudiziaria ben 102 hanno riguardato la 'ndrangheta, con l'arresto di 889 soggetti appartenenti alla criminalità organizzata calabrese. Sono stati arrestati 46 latitanti appartenenti alla 'ndrangheta, di cui 8 inseriti nel programma speciale riguardanti i 30 più pericolosi, e 9 nell'elenco dei 100 più pericolosi.

Anche in Calabria abbiamo registrato risultati straordinari nella strategia di aggressione ai patrimoni mafiosi: i beni sequestrati alla 'ndrangheta sono stati 2.569 negli ultimi 18 mesi, per un valore di circa 1.200 milioni di euro, mentre le confische alla 'ndrangheta ammontano a 730 beni, per un valore di 362 milioni di euro: è un dato che non ha precedenti negli ultimi tempi.

Ma l'attenzione che da tempo riserviamo a quei territori ha riguardato anche situazioni di degrado e disagio sociale come quella di Rosarno, della quale ci eravamo interessati allorquando, nel dicembre 2008, si era verificata un'aggressione analoga con armi ad aria compressa in danno di alcuni extracomunitari, alla quale era seguita una manifestazione di protesta dei lavoratori immigrati della zona.

Già allora la risonanza dell'accaduto e la necessità di intervenire per assicurare agli immigrati condizioni dignitose di sussistenza ed un'adeguata situazione igienico-sanitaria determinarono una serie di incontri tra i rappresentanti della Protezione civile regionale e dei Comuni di Rizziconi, Rosarno e San Ferdinando (i Comuni maggiormente interessati dalla presenza di lavoratori immigrati).

In quell'occasione, i rappresentanti degli uffici sanitari della Regione e dell'associazione Medici senza frontiere avevano constatato sul posto le precarie condizioni igienico-sanitarie dei luoghi ove vivevano gli immigrati. Ma gli interventi più tangibili sono venuti proprio dallo Stato, e segnatamente dal Ministero dell'interno. Già dal mese di aprile 2009, infatti, abbiamo erogato al Comune di Rosarno, che svolgeva le funzioni di capofila del progetto, un primo significativo contributo di 200.000 euro, utilizzati per noleggiare delle strutture di carattere sanitario. La Regione Calabria aveva disposto un finanziamento di 50.000 euro, per il quale è stato ad oggi erogato solo un acconto di 15.000 euro. La Regione aveva poi immaginato di realizzare una tendopoli ove trasferire gli immigrati, salvo desistere poi dall'intendimento allorquando apprendeva di dover sostenere i costi dell'intervento e che, come al solito, non pagava qualcun altro.

In tale contesto, va evidenziato che dal 27 luglio 2009, per un intervento disposto dal commissario straordinario del Comune di San Ferdinando, è stata definitivamente sgomberata e chiusa l'ex cartiera abbandonata "Modul System", dove gli immigrati vivevano in condizioni precarie analoghe a quelle di Rosarno, e che era stata lo scenario dove si erano svolte le principali manifestazioni di protesta del dicembre 2008.

Inoltre, nell'area dismessa di Rognetta, a Rosarno, grazie al finanziamento di 930.000 euro già disposto da parte del Ministero dell'interno, inizieranno nel prossimo mese di marzo i lavori per la realizzazione di un'area mercatale, di zone verdi di sosta per il passaggio pedonale in bicicletta nonché di un parco ludico. Oltre a ciò, si sta avviando la realizzazione di un progetto finanziato dal PON sicurezza, per 1.800.000 euro, volto alla creazione, sempre a Rosarno, di un centro diurno di accoglienza e di formazione per immigrati, utilizzando un bene confiscato proprio alla 'ndrangheta.

Vorrei ancora aggiungere, per quanto riguarda la programmazione 2007-2013 del PON sicurezza, che in quella zona sono stati finora approvati 9 progetti territoriali, per un importo complessivo superiore ai 66 milioni di euro, e un ulteriore progetto di oltre 42 milioni di euro relativo al sistema di videosorveglianza delle aree maggiormente a rischio, tra le quali Reggio Calabria, Gioia Tauro, Palmi, Rosarno, San Luca, Crotone e Lamezia Terme. Questo ulteriore progetto verrà finanziato con le risorse del PON sicurezza 2007-2013.

Sottolineo infine che a Rosarno e in alcuni Comuni limitrofi sono in via di realizzazione specifici progetti diretti all'accoglienza e all'integrazione degli immigrati presenti nell'area. In particolare, il Comune di Rosarno è interessato ad un progetto finanziato con le risorse provenienti dal Fondo sociale europeo, gestito dal Ministero del lavoro, finalizzato alla creazione di alloggi per lavoratori stranieri impiegati nel lavoro stagionale.

I fatti di Rosarno rendono evidenti anche tutte le conseguenze negative che derivano dall'immigrazione clandestina che, proprio per questo motivo, il Governo ha iniziato e continuerà a combattere senza tentennamenti. L'ingresso illegale nel territorio dello Stato costituisce il presupposto per l'emarginazione e lo sfruttamento lavorativo di molti stranieri e, spesso, il serbatoio per il reclutamento della manovalanza della criminalità. Anche su questo versante abbiamo ottenuto importanti risultati con l'azione di governo, attraverso - in particolare - il rafforzamento dei sistemi di effettiva espulsione dei clandestini. Negli ultimi due anni sono stati effettivamente rimpatriati 42.595 clandestini nei rispettivi Paesi di origine. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL).

Ma è sul fronte della prevenzione dell'immigrazione clandestina che l'azione del Governo e delle forze dell'ordine si è mostrata più efficace. Da quando abbiamo dato compiuta attuazione alle intese con la Libia - Paese di maggiore transito degli immigrati provenienti dall'Africa sub-sahariana - gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane sono diminuiti del 90 per cento, rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente: 31.281 persone sbarcate nel 2008, 3.185 nello stesso periodo del 2009. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL).

Per effetto della riduzione degli sbarchi anche i centri di prima accoglienza si sono svuotati; in particolare, quello di Lampedusa - in passato in situazione di forte sofferenza, con punte di 2.000 persone - è attualmente totalmente privo di ospiti. (Applausi dal Gruppo LNP).

Per continuare a combattere efficacemente la clandestinità bisogna proseguire nell'applicazione puntuale e rigorosa della legge Bossi-Fini che, voglio ricordarlo, lega la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro.

Questo fondamentale principio stabilito dalla nostra legge si sta affermando anche nelle più moderne legislazioni degli altri Paesi europei. Voglio citare, ad esempio, l'ultimo caso in ordine di tempo, quello della Spagna, guidata dal Governo Zapatero, ove proprio questo principio è stato ribadito e rafforzato dalla recente legge entrata in vigore in quel Paese il 13 dicembre dello scorso anno. Nella Parte V del Preambolo della nuova legge spagnola si stabilisce l'obiettivo di «perfezionare il sistema di canalizzazione legale ed ordinata dei flussi migratori per lavoro, rafforzando il vincolo tra la capacità di accoglienza dei lavoratori migranti e le necessità del mercato del lavoro».

I disordini di Rosarno trovano il loro fondamento in una situazione di insanabile tensione tra la popolazione locale e le comunità di extracomunitari presenti non solo a Rosarno, ma in tutta l'area dei Comuni limitrofi, che deriva da una grave condizione di degrado sociale che si era ormai trasformata in un serio problema di ordine pubblico.

La maggioranza degli immigrati a Rosarno era regolare dal punto di vista del permesso di soggiorno, non certo sotto il profilo del regolare contratto di lavoro. Questo è un argomento importante a sostegno della mia convinzione che non sono necessarie nuove leggi o modifiche normative: le leggi attuali, in particolare la Bossi-Fini, già impongono la regolarità delle posizioni di lavoro e la necessità di assicurare idonea sistemazione alloggiativa per i lavoratori stranieri. È invece necessario che queste leggi siano applicate integralmente da chi fino ad oggi le ha semplicemente eluse.

Per garantire il rispetto della legge saranno intensificati e resi pienamente efficaci i controlli ispettivi, con il fattivo coinvolgimento dei vari livelli istituzionali e delle parti sociali.

Intensificare una specifica, coordinata e capillare attività di contrasto dei fenomeni di illegalità e di sfruttamento del lavoro irregolare in agricoltura: questo è il nostro programma di azione, per contrastare in maniera sempre più efficace l'immigrazione clandestina, il lavoro nero e ogni forma di criminalità nel nostro Paese. (Applausi dai Gruppi LNP, PdL e dai banchi del Governo).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sull'informativa del Ministro dell'interno.

È iscritto a parlare il senatore D'Alia. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, signor Ministro dell'interno, noi abbiamo preso atto, e prendiamo tuttora atto, di ciò che è stato fatto dopo i tragici e drammatici avvenimenti di Rosarno e, ovviamente, ci associamo alle parole di soddisfazione per le operazioni che, non solo in questa circostanza, le forze dell'ordine e la magistratura hanno condotto in Calabria e in tutte le zone dove opera la criminalità organizzata.

Tuttavia, signor Ministro, con grande serenità e pacatezza, noi abbiamo il dovere di dirle che, nonostante lei abbia letto con grande diligenza il compitino che le hanno scritto, la domanda più importante alla quale doveva rispondere e rendere conto al Parlamento è rimasta senza una risposta. La domanda, molto semplice, è la seguente. Come è stato possibile ignorare per tanto tempo la presenza di centinaia di immigrati, costretti in condizioni disumane e spremuti dal lavoro nero per una manciata di euro? (Applausi della senatrice Garavaglia Mariapia). È grave, signor Ministro; e lei ha fatto delle dichiarazioni incaute e superficiali. Cito il prefetto Domenico Bagnato, commissario straordinario del Comune di Rosarno (che dal 2008 è sciolto per infiltrazioni mafiose ed è dunque retto da un prefetto, cioè da un funzionario del suo Ministero e, quindi, è retto anche da lei), il quale ha dichiarato testualmente: «La situazione era a conoscenza di tutti e a tutti i livelli. Più volte l'abbiamo segnalata e ci siamo impegnati per ottenere i finanziamenti dal Viminale, ad esempio con l'obiettivo di demolire l'ex fabbrica Rognetta e realizzare un centro di aggregazione dignitoso».

Il prefetto continua, in questa sua dichiarazione riportata da un'agenzia Adnkronos dell'11 gennaio, nel dire che vi è una segnalazione completa su questa situazione, e non da ora; come ha detto il prefetto Bagnato conversando con i giornalisti, la colpa è di tutti. Ora, io capisco che questo prefetto, come il prefetto di Venezia, sia destinato ad altra carriera e ad altra sede, però, signor Ministro, anche il presidente Obama, al quale, con tutto il rispetto, lei non somiglia, ha riconosciuto i limiti delle misure di prevenzione in un Paese così grande e complesso come gli Stati Uniti. Pertanto, da lei ci saremmo aspettati di capire come sia stato possibile che, contemporaneamente e sistematicamente (poiché questa è seconda la rivolta di Rosarno: la prima - se non ricordo male - risale all'ottobre del 2008), siano state violate e disattese tutte le norme della legge Bossi-Fini e dei vari pacchetti sicurezza che voi avete approvato in questo Parlamento; come sia stato possibile, signor Ministro, che non sia stata mai accertata una sola responsabilità di un datore di lavoro o di un imprenditore, piccolo o grande che fosse, che faceva lavorare in nero queste persone; come sia stato possibile che non sia stata operata, secondo la vostra legge, la confisca di un immobile dato in affitto agli immigrati clandestini; come sia stato possibile non perseguire nessuno per il reato di immigrazione clandestina. Parlo di norme che sono state volute da voi, e che sono norme manifesto proprio perché voi non le avete applicate, determinando così, con la negligenza verificatasi in questa circostanza, gli episodi di Rosarno e la conclusione più paradossale...

Mi rivolgo a lei, signor Ministro, anche se capisco che al momento lei sia impegnato in altre questioni.

MARONI, ministro dell'interno. La sto ascoltando, senatore D'Alia.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Ministro, la conclusione paradossale di questa vicenda è che, come ha riferito lei oggi in questa informativa, la maggior parte degli immigrati presenti a Rosarno erano in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Eppure, essi non sono stati messi nelle condizioni, avendone il diritto riconosciuto dalle nostre leggi, di poter lavorare. E in questi casi, che cosa dovevano fare? Restare lì in balia delle bande armate sul territorio, farsi sparare con i fucili a pallini o farsi investire dalle auto? Questo è il trasferimento volontario? Questa al mio paese si chiama deportazione. (Commenti del ministro Maroni).

Non so se lo Stato c'era, se era assente, oppure c'era ma si è girato da un'altra parte. So solo che l'episodio di Rosarno non fa onore a questo Paese, a tutti noi, non alla maggioranza o all'opposizione, e che rispetto a questo da lei e dal suo Governo ci saremmo aspettati di più e di meglio. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut,IdV e PD. Congratulazioni. Commenti dai banchi della maggioranza).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pardi. Ne ha facoltà.

PARDI (IdV). Signor Ministro, la sua esposizione non ci convince neanche un po'. Lei era partito con il piede sbagliato quando ha preso di petto la situazione creatasi a Rosarno con una frase veramente infelice: c'è stata troppa tolleranza verso l'immigrazione.

MARONI, ministro dell'interno. Quella clandestina!

PARDI (IdV). Lei ed il suo Governo non vi siete resi conto che c'era stata troppa tolleranza nei confronti di una situazione sociale ed economica complicata, difficile, in cui noi vediamo inseriti - nelle forme che era facile aspettarsi - quelli che, tanti anni fa, Frantz Fanon aveva chiamato i "dannati della terra". Noi li conoscevamo dalla lettura dei libri e ne avevamo una visione lontana: erano gruppi umani sconosciuti. Oggi li vediamo all'opera, ridotti a manodopera a basso e bassissimo costo, ai limiti della gratuità, in condizioni di vita inenarrabili, soggetti alle peggiori e avvilenti discriminazioni.

È vero, si può anche pensare che, di fronte ad una provocazione insensata, i gruppi degli immigrati di Rosarno si siano dati ad una furia distruttiva che ha tolto loro la ragione di mano; ma il fatto che loro si siano tolti la ragione di mano non implica che tale ragione sia passata nelle mani di una società, di un'economia, di una comunità che ha invece chiuso colpevolmente gli occhi di fronte a fatti che non voleva vedere. Non voglio insistere sul lato umano della questione, ne hanno già parlato autori di rilievo, negli ultimi giorni. Don Tonio Dell'Olio ha scritto una postfazione profetica, un anno fa, ad un libro intitolato: «Gli africani salveranno Rosarno». Gad Lerner e Barbara Spinelli hanno scritto articoli pieni di umanità, di comprensione e di autocritica.

L'argomento è difficile e spinoso e, nei cinque minuti che ho a disposizione, non posso contestare la contabilità consolatoria e apologetica che lei ci ha ammannito nel suo discorso. Sono costretto ad andare per le brevi, per cui l'aspetto fondamentale da rilevare in quella situazione, dopo avere considerato anche la furia distruttiva, è che la manodopera degli immigrati non solo era regolare - come lei stesso ha riconosciuto - nella massima parte dei casi, ma era inserita in un processo lavorativo in cui essi venivano privati sistematicamente delle basse paghe che guadagnavano, con giornate lavorative praticamente illimitate, che andavano dalle 14, alle 16 e alle 18 ore, senza la possibilità di reintegrare le proprie energie, con un minimo di agio, per essere pronti alla giornata lavorativa successiva.

È stato testimoniato che su quelle paghe bassissime la criminalità organizzata riscuoteva il pizzo per il trasporto e l'uso dei mezzi di lavoro. È stato testimoniato che la comunità locale, che oggi si difende dalle accuse di razzismo, è stata zitta di fronte ad anni e a mesi di martellamento, di esclusione e di apartheid.

Dobbiamo sapere che questo problema non sarà risolto dalle vostre misure tecniche, che pure, entro certi limiti, possono essere necessarie. Dobbiamo sapere che questo problema è immanente, presente e incancellabile. In un'economia dove le forze giovani del lavoro rifiutano in maniera fisiologica l'impiego in posti di lavoro e in occasioni di lavoro predeterminate, è evidente che i dannati della terra arriveranno a cicli continui, ripetuti, e non ci saranno leggi che potranno impedire questi arrivi. Dobbiamo sapere che questo problema deve essere affrontato con una logica che perlomeno garantisca l'esercizio dei diritti di vita e di lavoro a chi viene impiegato in queste condizioni, che sono sulla soglia della schiavitù. Non siamo noi a dirlo; c'è un'inchiesta della DIA sul lavoro agricolo nella piana di Gioia Tauro, iniziata l'anno scorso e culminata con l'arresto di tre imprenditori, accusati di estorsione e riduzione in schiavitù.

L'elemento fondamentale che questa Aula, il Parlamento e le Assemblee elettive devono ricavare da questa cognizione è che non c'è soluzione a questo problema tramite le procedure dell'ordine pubblico, ma soltanto attraverso la comprensione profonda di un processo sociale di vastissime proporzioni e, soprattutto, attraverso la garanzia dei diritti costituzionali, che noi così gelosamente - e voi meno gelosamente - vogliamo conservare e che devono essere attribuiti soprattutto a chi viene a lavorare in queste condizioni infami.

Perciò, la posizione del Gruppo dell'Italia dei Valori è fortemente negativa nei confronti della sua relazione, signor Ministro. (Applausi dai Gruppi IdV e PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bruno. Ne ha facoltà.

BRUNO (Misto-ApI). Signor Presidente, onorevoli senatori, dall'intervento che il Ministro ha svolto oggi in Senato sono evidenti alcuni aspetti di quello che ormai è diventato il caso Rosarno.

Intanto è evidente che quanto accaduto si carica di significati che vanno ben oltre la piana di Gioia Tauro.

Sia chiaro, viviamo in un pezzo d'Europa e in periodo storico in cui riteniamo non sia possibile non avere regole chiare, efficaci ed applicabili per regolamentare i flussi degli immigrati. Conosciamo l'ineludibilità di una convivenza originata dalla natura stessa dell'economia di mercato, dalla qualità della vita occidentale, dalla longevità conquistata dalla scienza, dalle stesse questioni demografiche. Ed è proprio per questo che sappiamo essere indispensabile aprire un confronto sulla necessità di un'identità da non rinnegare, ma da valorizzare come terreno per costruire una vera integrazione solidale.

Tuttavia, i fuochi accesi nella notte nella Piana hanno finito per illuminare un aspetto tra i più crudeli di quelli che riguardano l'immigrazione, che va oltre la distinzione tra immigrazione regolare e clandestina e supera persino gli inqualificabili episodi di violenza registrati. Si tratta dell'ipocrisia complessiva di uno Stato che non vede, non sente e non parla; si tratta del comportamento che, applicato ad altri soggetti, non avremmo remore a definire omertoso e mafioso. Quante "la Rognetta" ci stanno in Italia e nel Sud Italia? Chi doveva sapere ed intervenire in quel pezzo del nostro Paese? Le istituzioni locali, le prefetture, le forze dell'ordine, i datori di lavoro, i sindacati? Ma i Comuni dove insistono i maggiori insediamenti di immigrati non sono Gioia Tauro, Rosarno, San Ferdinando, quelli cioè commissariati? E non è altresì commissariata l'Azienda sanitaria locale? Di grazia, signor Ministro, possiamo sapere di quante orecchie e di quanti occhi ha bisogno per accorgersi di certe situazioni prima che esplodano? È possibile chiedere conto, non solo a lei ma anche a lei, delle pratiche di prevenzione?

In questa situazione lei è stato come minimo imprevidente e poco accorto e non basta l'elenco delle opere del PON, e non la giustifica il fatto che la situazione di Rosarno si trascina così da oltre un decennio. Semmai tutto ciò dimostra che con lei nulla è cambiato e che la situazione è semmai fortemente peggiorata, perché lei non ha voluto ascoltare e perché non si è previsto che la crisi al Nord e il susseguente licenziamento dei più deboli, gli immigrati, avrebbe costretto questi ultimi, anche quelli regolarmente residenti in Italia, a spostarsi alla ricerca di altri lavori, magari stagionali, arrivando in massa a Rosarno per impegnarsi in quei lavori che, proprio per le caratteristiche di periodicità, rendono più complicato costruire le condizioni dell'integrazione e della convivenza.

Di certo credo che ormai sia evidente a tutti che il sistema di accoglienza, integrazione e controllo in Italia è estremamente debole. Ed è proprio nella somma di questa fragilità e della debolezza del tessuto sociale di alcune comunità che attecchisce più facilmente la criminalità organizzata, sia interna agli immigrati che endogena al territorio. Non è un caso che significativi esponenti della magistratura e delle forze dell'ordine segnalino l'ipotesi di una regia accorta e diabolica della 'ndrangheta sui fatti di Rosarno.

Di certo c'è che la crescita anomala di queste comunità di immigrati, legati all'arricchimento disonesto di quanti sfruttano la miseria e la povertà di altri esseri umani, finisce per marcare, checché lei ne pensi, una pesante assenza dello Stato. Uno Stato non è tale solo quando difende le sue frontiere, ma anche quando è in grado di garantire il controllo del suo territorio. Nella piana di Gioia Tauro da tempo non è così. Per carità, non c'è alcuna giustificazione per quanti decidono di farsi giustizia da sé!

PRESIDENTE. La invito a concludere, senatore Bruno.

BRUNO (Misto-ApI). Signor Ministro, concludo il mio intervento dicendo che per affrontare la vicenda nelle sue radici culturali e sociali c'è bisogno di più risorse, di più presenza, di maggiori controlli e maggiori investimenti anche nel Sud e in zone come quelle di Rosarno. C'è qualcuno che sostiene che le vicende di Rosarno siano legate anche a quelle della bomba al tribunale di Reggio Calabria. C'è stato chi, come me e come tanti altri, ha fatto le ultime due campagne elettorali combattendo la mafia e gridando: "No ai voti della 'ndrangheta". Altri sono stati più tiepidi. Forse c'è un'unica strategia che accomuna la bomba al tribunale di Reggio Calabria alle questioni di Rosarno. Forse presso i Ministeri dell'interno e della giustizia di questo Governo si erano create altre aspettative, magari unilaterali, ma forse queste aspettative non trovano più risposta.

Noi saremo al suo fianco per quanto riguarda la repressione della criminalità organizzata, ma non siamo d'accordo con lei per quanto riguarda la prevenzione del fenomeno della criminalità organizzata. Anche per questo, ci consenta di riservare maggiore fiducia alla prossima visita che il Presidente della Repubblica effettuerà in Calabria su questi argomenti. (Applausi dai Gruppi Misto ApI, PD e IdV).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bricolo. Ne ha facoltà.

BRICOLO (LNP). Signor Presidente, ringrazio il ministro Maroni per la puntuale informativa resa oggi qui in Senato. Voglio innanzitutto fare i complimenti, anche a nome di tutti senatori del Gruppo Lega Nord, a lei e alle forze dell'ordine per il comportamento che è stato tenuto a Rosarno. (Applausi dal Gruppo LNP). Una situazione drammatica, con momenti di scontro anche molto accesi, che sono stati gestiti al meglio, con intelligenza, con la dovuta prudenza, ma anche con la necessaria fermezza.

In questi giorni si è scritto molto sui giornali in merito a questi fatti, anche a sproposito, soprattutto quando si è parlato di razzismo. Non credo che i cittadini di Rosarno siano razzisti e non credo neanche che il nostro sia un Paese razzista e xenofobo, come in molti vorrebbero far credere, soprattutto tanti colleghi del centrosinistra. Credo invece che, quando si tollerano forme di sfruttamento e degrado come quelle viste a Rosarno, allora sì che diventa inevitabile la reazione popolare. È evidente a tutti che le istituzioni locali preposte al controllo del territorio non hanno fatto il proprio dovere. E dico locali riferendomi soprattutto all'intervento fatto dal senatore D'Alia, che forse è l'unico a non aver capito che è stato dal territorio che i controlli non sono venuti.

Dov'erano gli amministratori provinciali o quelli regionali, guarda caso tutti di centrosinistra? (Applausi dal Gruppo LNP). Dov'erano gli stessi patronati sindacali o gli stessi magistrati, sempre pronti a farsi intervistare dai giornalisti o a partecipare ai dibattiti televisivi? Diciamo chiaramente che chi ha tollerato tutto questo ha permesso che si arrivasse a tanto.

Abbiamo visto scene raccapriccianti, inaccettabili per un Paese civile. Allora, basta con l'ipocrisia: a Rosarno tutti sapevano, tutti vedevano, ma nessuno è intervenuto, come se si fosse in un Far West, in una terra di nessuno. Le leggi sull'immigrazione e sul lavoro esistono, ma non sono state applicate; bastava farlo ed oggi non saremmo qui, in quest'Aula, a commentare le scene di guerriglia urbana che abbiamo visto sui telegiornali. (Applausi dal Gruppo LNP). La sinistra, invece di fare il mea culpa e di assumersi le proprie responsabilità, ha accusato il Governo e la Lega per le leggi sull'immigrazione e sulla sicurezza che hanno portato avanti.

Cari colleghi, caro onorevole Bersani (visto che anche lui oggi è intervenuto sull'argomento), non sono sbagliate le nostre leggi, ma si sbaglia quando queste non vengono applicate, come Rosarno insegna. Al Nord, in Padania, i nostri sindaci e i nostri amministratori non avrebbero mai tollerato situazioni come queste! (Applausi dal Gruppo LNP e della senatrice Rizzotti). Dove c'è la Lega, le leggi dello Stato vengono fatte rispettare a tutti; anche nelle nostre terre vengono a lavorare stagionali extracomunitari per la raccolta della frutta, dell'uva e delle mele, ai quali vengono dati un lavoro ed un alloggio dignitoso. Questo è il nostro modello di integrazione ed è l'unico modello che funziona!

Cari colleghi, sempre in questi giorni è stato affermato che serve più carità. È giusto, ma più carità non significa non far rispettare le leggi o tollerare l'illegalità. (Applausi dal Gruppo LNP e del senatore Musso). La vera carità, per quanto ci riguarda, vuol dire contrastare il lavoro nero, abolire le condizioni di sfruttamento, combattere duramente l'immigrazione clandestina favorendo quella regolare. Questa è la svolta. Chi rispetta le leggi non ha nulla da temere, sia esso un extracomunitario che un cittadino di questo Paese; chi non le rispetta deve essere perseguito senza se e senza ma.

Le proposte del centrosinistra sull'immigrazione sono un fallimento assicurato: fanno entrare tutti, bloccano l'espulsione dei clandestini facendoli così vivere nell'illegalità, nel degrado, sotto i ponti e nelle baracche. Per di più, questo è anche l'unico modo per creare scontri sociali, come quelli visti a Rosarno, dove alla fine a rimetterci davvero sono i cittadini onesti che pagano le tasse, vanno a lavorare e chiedono semplicemente il rispetto della legalità.

Dunque, ministro Maroni, vada avanti su questa strada: nessun buonismo con chi vive di criminalità; lotta alle mafie e a chi sfrutta in modo disumano i clandestini e il lavoro degli stranieri sul nostro territorio e alle associazioni mafiose che si sono specializzate su questi settori.

PRESIDENTE. Senatore Bricolo, la prego di concludere il suo intervento.

BRICOLO (LNP). Concludo, signor Presidente, facendo un accenno, una risposta dovuta al ministro egiziano che ha accusato il nostro Paese di razzismo. Noi non accettiamo lezioni da nessuno, tanto meno dal rappresentante di un Governo di un Paese in cui, in spregio alla nostra religione, vengono uccisi i cristiani semplicemente perché professano la loro fede. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL). Vorrei aggiungere che nel nostro Paese noi non discriminiamo nessuno, ma non è il benvenuto chi viene a casa nostra e non rispetta le nostre leggi, la nostra storia e le nostre tradizioni. (Applausi dai Gruppi LNP e PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Finocchiaro. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione la relazione del ministro Maroni e poc'anzi anche l'intervento del presidente Bricolo. Senatore Bricolo, mettiamoci d'accordo; quanto accaduto in questi giorni a Rosarno è avvenuto nella vigenza delle vostre leggi: se non sono state rispettate, mi permetto di ricordare che governate voi! (Applausi dal Gruppo PD).

Il ministro Maroni ha correttamente sottolineato che gran parte degli immigrati che sono rimasti coinvolti nei fatti di Rosarno sono immigrati che hanno un regolare permesso di soggiorno. Mi vorrei quindi permettere di spostare un po' il punto di vista dal quale guardare questa vicenda. Mi pare di dover concludere - sulla base di riscontri oggettivi, non di una mozione dei sentimenti - che il problema è questo: non è illegale la presenza degli immigrati sul territorio di Rosarno (almeno di buona parte di quegli immigrati); quello che è illegale è il loro sfruttamento. (Applausi dal Gruppo PD). Se è questo il punto, io credo, ministro Maroni, che noi dobbiamo anche avere l'umiltà - lo dico ponendo come soggetto non la maggioranza o l'opposizione, ma le classi dirigenti politiche di questo Paese - di guardare la questione cercando di andare a fondo e di capire come stanno realmente le cose. Gli slogan in queste occasioni funzionano poco e non hanno un grande effetto risolutivo.

Ci troviamo in una situazione nella quale circa 1.300-1.400 immigrati, in parte regolari (quindi, dotati di un regolare permesso di soggiorno), in parte non regolari, si trovano su un pezzo del territorio del nostro Mezzogiorno, perché lì, in questo momento, in questa stagione, si raccolgono gli agrumi. Si tratta quindi di persone che hanno l'animo, la volontà e l'intenzione di stare lì per lavorare. Essi vengono sottoposti ad uno sfruttamento drammatico sotto il profilo della paga e dei diritti: parliamo di compensi che si aggirano sui 3 euro l'ora, ai quali si deve comunque sottrarre il pizzo che gli immigrati sono costretti a versare non solo a chi organizza il trasporto, ma anche a chi organizza il servizio di caporalato per fornire questa manodopera agli imprenditori. A commettere questo atto di sfruttamento - non parlo adesso della criminalità, né organizzata né semplice, che ovviamente interagisce in questa vicenda e di cui si occuperà la magistratura, come ha detto correttamente il ministro Maroni - sono italianissimi imprenditori agricoli. Diciamolo!

Lo voglio dire con particolare forza, ministro Maroni, perché io credo che se non ci attestiamo sulla frontiera rigorosissima della legalità per quanto riguarda gli italiani e per quanto riguarda gli immigrati, ma senza fare nessuno sconto a coloro i quali sulla vita e sulla dignità umana accumulano reddito e ricchezza (Applausi dal Gruppo PD), noi non andremo mai al fondo della questione. Lì purtroppo la Bossi-Fini non ci sovviene; ma ci sovviene ovviamente una quantità di strumenti che sono nella disposizione sia del ministro Sacconi (che opportunamente oggi ha rilasciato una dichiarazione) sia - me lo si lasci dire - del ministro Zaia. Siamo infatti di fronte ad un enorme sfruttamento del lavoro nero, che - guardate un po' - cessa nel momento cui ci si rende conto che non coltivare e lasciare il frutto sull'albero è più conveniente, perché si ricevono i sussidi europei: a quel punto, questa massa che preme chiedendo lavoro va allontanata. Vedrà la magistratura, ma io temo che stia accadendo quello che succedeva in Sicilia con i "campieri", quando le masse dei braccianti agricoli venivano respinte nel momento in cui chiedevano lavoro e pane. (Applausi dal Gruppo PD). Stiamo attenti, quindi: è una situazione molto complessa e delicata.

Mentre accade questo, noi assistiamo ad un altro paradosso: decine di migliaia di persone sono coinvolte in un giro di truffe in agricoltura. In Calabria, secondo l'ISTAT, circa 14.000 persone ricevono una pensione da bracciante agricolo perché assumono di aver lavorato un certo numero di giorni e lo attestano falsamente. (Commenti del senatore Monti).

Vuoi mandare via i calabresi dalla loro terra? È un poco complicato. (Brusìo).

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.

Senatrice Finocchiaro, la invito a rivolgersi alla Presidenza e a concludere, per favore.

FINOCCHIARO (PD). Dico questo, ministro Maroni, perché è giusto invocare il massimo del rigore, e non creda il presidente Bricolo che copriamo con la parola carità - che io peraltro non ho mai adoperato - atteggiamenti e comportamenti criminali, come danneggiamenti, intimidazioni, minacce, lesioni e tutto quello che può accadere. È però anche vero che ci troviamo di fronte ad una realtà così complessa e così difficile che il Governo non può dire: "ho fatto tutto quello che dovevo fare". Non è vero. Semplicemente, non è vero!

PRESIDENTE.Senatrice Finocchiaro, la invito a concludere.

FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, ho quasi finito.

Vorrei a questo punto invitare l'Aula a riflettere su una necessità. Lo dico con il garbo che è necessario, signor Presidente. Ne abbiamo già discusso in sede di Conferenza dei Capigruppo: sarebbe grandemente utile che discutessimo in Aula della relazione del presidente Pisanu sull'immigrazione, per saperne di più, per capire di più ... (Applausi dal Gruppo PD) ... perché se non capiamo è inutile continuare.

Un'ultima cosa. Ovviamente siamo molto compiaciuti dei numerosi arresti, ministro Maroni. Ne siamo felici. Poiché però, come lei ha giustamente ricordato, queste sono ordinanze di custodia cautelare, quindi siamo già ben avanti nel procedimento; è un processo cominciato molto tempo fa e per queste indagini ringraziamo quei magistrati e quelle forze dell'ordine che pure in un contesto molto difficile, talvolta ostile, continuano a fare il loro mestiere. (Applausi dai Gruppi PD, IdV, UDC-SVP-Aut. Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gasparri. Ne ha facoltà.

GASPARRI (PdL). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli senatori, il Gruppo del Popolo della Libertà intende esprimere sostegno ed apprezzamento all'azione del Governo anche in questi giorni molto difficili. È una vicenda che si inscrive nella storia molto lunga e complessa dell'immigrazione in questo Paese. Dicevo, sostegno al Governo, ma anche qualche biasimo ad enti locali e ad una Regione che non hanno svolto fino in fondo il ruolo di governo del territorio. Come è stato ricordato dal ministro Maroni, una serie di interventi di carattere sociale devono essere svolti soprattutto dal sistema delle autonomie, e anche dalla Regione. Il presidente Loiero si è vantato che il regista Wenders ha fatto non so quale documentario. Si occupi del suo territorio piuttosto che delle recensioni dei film di Wenders, che forse - non lo so - ha finanziato lui. (Applausi dal Gruppo PdL).

Come centrodestra, in questi anni abbiamo fatto delle leggi. La Bossi-Fini, prima ricordata, fu accompagnata da una regolarizzazione - che non vuol dire sanatoria, cioè chi sta qui in questo momento ha titolo a rimanere - di 700.000 stranieri. Ha riguardato chi lavorava, chi poteva essere messo in regola, persone per le quali si pagavano stipendi regolari, contributi, versamenti per la sanità e la pensione. Fu quindi un'operazione di alto impatto sociale.

Qualche mese fa, lo voglio ricordare, proprio per venire incontro a quelle esigenze di assistenza, soprattutto domestica, oltre 300.000 stranieri hanno potuto fruire di procedure di regolarizzazione, che sono ancora in atto, a dimostrazione che questo Governo ed il centrodestra vogliono una politica di integrazione e di regolarizzazione e non di sfruttamento. Credo non ci sia nulla di solidale nel chiudere gli occhi proprio di fronte allo sfruttamento nel lavoro nero e nella illegalità che ancora una volta a Rosarno è emersa. Ben venga quindi la tolleranza zero contro il lavoro nero, ben vengano i voucher, le politiche di flessibilità che, nella giusta tutela dei diritti di quei lavoratori, vengono applicate. Voglio ricordare che la sinistra si è sempre opposta a quelle leggi, come la legge Biagi ed altri provvedimenti, anche di questo Governo...

FINOCCHIARO (PD). Ma che dici!

GASPARRI (PdL). ... che hanno introdotto elementi di flessibilità che possono servire anche per il lavoro stagionale, anche per il lavoro di chi viene dall'estero e che forse non resterà tutta la vita in Italia.

Noi, con quelle leggi, abbiamo creato degli strumenti che, anche nel caso del lavoro agricolo e dei lavori stagionali, offrono delle regole che tutelano nella legalità le prestazioni di lavoro, come è stato prima ricordato dal ministro Maroni.

Dopodiché la vicenda di Rosarno va inquadrata in un contesto più generale. Qualche giorno fa, l'editorialista Angelo Panebianco ha parlato sul «Corriere della Sera» del reato di immigrazione clandestina (reato che noi abbiamo introdotto e che riteniamo un compendio delle politiche di ingresso regolamentato), di quote programmate per chi viene per lavorare, di allontanamento dei clandestini e respingimenti: politiche che sono state attuate e che hanno forse contenuto quei fenomeni di sfruttamento ed emarginazione che non sono accoglienza.

Ebbene, Panebianco, contestando le posizioni di alcuni magistrati che, come sapete, hanno chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare incostituzionale il reato di immigrazione clandestina, dice che se questa sentenza dovesse mai giungere, e ci auguriamo di no, la Corte stabilirebbe solennemente che ciò che abbiamo sempre creduto uno Stato non è tale, che la Repubblica italiana è un'entità non statuale. Si chiede Panebianco: che cosa è il reato di clandestinità? Nient'altro che la rivendicazione da parte di uno Stato del suo diritto sovrano al pieno controllo del territorio, dei suoi confini e della sua prerogativa a decidere chi può risiedere legalmente all'interno di essi e chi no.

Noi la pensiamo come Panebianco, e le nostre leggi servono a stabilire chi può risiedere legalmente in Italia, senza sfruttamenti e senza quei ghetti orrendi che a Rosarno e altrove sono sorti grazie ad una politica di falsa tolleranza e di un buonismo demagogico che lo stesso Panebianco, in questo articolo di qualche giorno fa, ha stroncato e criticato facendo riferimento alle anime belle che, in nome di un presunto umanitarismo, hanno creato le premesse per queste situazioni di degrado.

Ben venga, quindi, la politica di ordine e di legalità, e credo che, se ci sono ambienti criminali italiani, della 'ndrangheta o di altre organizzazioni, che sfruttano questi fenomeni e li alimentano, la nostra determinazione di stroncarli sia fortissima. Oltre venti tra i trenta principali latitanti sono stati arrestati negli ultimi 18 mesi, miliardi e miliardi di euro sono stati confiscati alle organizzazioni criminali. Notizie come quelle di oggi si susseguono con un ritmo importante. (Applausi dal Gruppo PdL).

Noi respingiamo ogni tentazione xenofoba, ed è proprio il degrado ereditato dal passato e le situazioni come quella di Rosarno che possono fare esplodere tensioni e scontri che non vogliamo tollerare. La politica delle quote - se il mercato del lavoro consentirà di attuarla (sono anni difficili per le economie del mondo occidentale) - e la politica del lavoro nella legalità è stata e sarà la nostra politica, come lo sarà la politica del contrasto alla clandestinità, la politica che ha voluto introdurre il reato di immigrazione clandestina e la politica dei respingimenti che prima è stata ricordata. Considerate infatti che è molto più seria una politica di fermezza rispetto all'ipocrisia di chi permette gli ingressi e poi solo di fronte a fatti eclatanti come questi scopre il degrado dei ghetti di Rosarno.

In conclusione, rivolgiamo un invito al ministro Maroni e al ministro Sacconi, per quanto di sua competenza, a prevenire situazioni come queste e ad andare, come è stato annunciato e come è già stato fatto, in Campania e altrove, nelle zone più degradate, per fare in modo che il lavoro per chi arriva dall'estero sia svolto nel rispetto delle norme, delle prassi, delle regole, a tutela per primi di quegli stranieri che noi vogliamo qui in Italia se sono inseriti secondo le regole, e per stroncare clandestinità e illegalità, le cui prime vittime sono coloro che finiscono poi nelle mani del caporalato. Più realismo, cari colleghi, più fermezza: è ciò che noi abbiamo praticato anche in nome di principi umanitari che vogliono che la solidarietà, se deve essere vera, debba essere erogata nelle modalità che la legge prevede. Vada avanti il Governo affinché l'ordine e la legge prevalgano in ogni angolo d'Italia. (Applausi dai Gruppi PdL, LNP e del senatore Burgaretta Aparo).

PRESIDENTE. Dichiaro così concluso il dibattito sull'informativa resa dal ministro dell'interno, onorevole Maroni, che ringrazio per la disponibilità.

Discussione del disegno di legge:

(1880) GASPARRI ed altri. - Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ore 18,15)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1880.

LEGNINI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEGNINI (PD). Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento, ai sensi dell'articolo 92 dello stesso. Ho bisogno di qualche minuto per illustrare e motivare le richieste che mi appresto a formulare.

Signor Presidente e onorevoli colleghi, come sappiamo tutti, ieri sera sono stati presentati dal relatore otto emendamenti al disegno di legge in esame. Il relatore, come ci è noto, rappresenta la maggioranza e parla e agisce a nome e su mandato della Commissione di merito. È un fatto notorio, signor Presidente, che il relatore ha presentato questi otto emendamenti all'esito di un incontro, tenutosi al massimo livello, che egli e altri esponenti della maggioranza hanno avuto ieri sera con il Governo e con il Presidente del Consiglio. I testi degli emendamenti, sia quelli integrativi che quelli interamente sostituivi di parti del disegno di legge, non si configurano come mere modificazioni o aggiunte al testo licenziato dalla Commissione, ma configurano di fatto la presentazione all'Assemblea di un disegno di legge nuovo nei suoi contenuti essenziali, certamente molto diverso da quello che era stato licenziato in Commissione.

Non c'è bisogno di motivare a lungo questo aspetto: mi limito a dire che gli emendamenti 1.1000 e 1.1001 intervengono in modo molto incisivo, riformando pressoché integralmente, almeno sotto il profilo processuale, la legge n. 89 del 2001, la cosiddetta legge Pinto, con una riscrittura delle condizioni e dei modi di attivazione dello strumento di tutela ivi previsto.

Con gli altri emendamenti si dispone l'applicazione del cosiddetto processo breve a tutti i reati e a tutti gli imputati, eliminando qualunque esclusione oggettiva e soggettiva, in tal modo prefigurando un intervento sul processo che è altra cosa rispetto al disegno di legge originario. Viene totalmente riscritta la tempistica di estinzione dei processi in rapporto anche alla tipologia e alla gravità dei reati. Viene totalmente riscritta la disciplina transitoria sui processi in corso, fino a restringerla di molto: ciò potrebbe essere un fatto positivo se non fosse che la finalizzazione di questo restringimento salvaguarda l'estinzione di quei processi che sappiamo. Viene introdotto il processo breve - è un fatto molto rilevante - anche per i giudizi erariali, per i giudizi contabili davanti alla Corte dei conti, aggravando l'impatto finanziario di questo provvedimento, che abbiamo denunciato più volte in 5a Commissione e che riprenderemo nel corso dell'esame del provvedimento.

Signor Presidente, si tratta, in sostanza, di un corpus di norme nuovo e diverso, perché le norme che resisterebbero all'approvazione degli otto emendamenti del relatore sarebbero abbastanza marginali. L'articolo 72 della Costituzione, non ho bisogno di ricordarlo, pone un principio inderogabile, cioè che ogni disegno di legge deve essere preventivamente esaminato da una Commissione di merito. Il nostro Regolamento - e qui vengo al preciso richiamo regolamentare - declina questo principio costituzionale, cosicché almeno su questo punto del Regolamento occorre adottare un'interpretazione rigorosa.

Il fatto che l'Assemblea - signor Presidente, questo è il punto - sia oggi chiamata ad esaminare, discutere ed eventualmente votare un testo che, per i motivi che ho detto, è diverso e nuovo rispetto a quello fino ad oggi conosciuto ed esaminato dalla Commissione di merito, viola l'assetto complessivo del procedimento legislativo. Si snatura così la funzione tipica degli emendamenti, tanto più se presentati dal Governo e dal relatore, che evidentemente non può essere quella di riscrivere totalmente o quasi totalmente il testo.

Pertanto, tale modo di procedere, cioè con emendamenti del relatore integralmente sostitutivi o molto innovativi rispetto al testo sottoposto al nostro esame, viola palesemente gli articoli 34, 40, 43, 44, 47 e 49 del Regolamento. Infatti, la funzione della Commissione di merito risulterebbe in questo caso totalmente svuotata, con un vulnus inaccettabile della riserva costituzionale, che ho prima richiamato, della preventiva istruttoria in Commissione richiesta su ogni disegno di legge.

Si preclude, in effetti, alla Commissione di accedere all'acquisizione degli elementi informativi previsti dall'articolo 47 del Regolamento; si tratta di elementi che si debbono o si possono acquisire dal Governo ma anche da altre pubbliche amministrazioni. Per esempio, nessuno di noi sarà messo nelle condizioni di conoscere quale sarà l'impatto sui processi pendenti davanti alla Corte dei conti con l'innovazione contenuta in uno degli emendamenti del relatore; si preclude, per esempio, la possibilità di richiedere i pareri al CNEL previsti dall'articolo 49 del Regolamento (e l'impatto economico?sociale di questa riforma è indiscutibile, altrimenti non avrebbero alcun senso le litanie o le cose giuste che abbiamo ascoltato e che ascoltiamo da molti anni sul gap di competitività del nostro sistema economico derivante dal malfunzionamento del sistema giudiziario).

Si viola inoltre, signor Presidente, l'articolo 76-bis del Regolamento, perché gli emendamenti presentati dal relatore devono ritenersi, per qualità tecnica e per investitura politica (nei termini che ho detto), d'iniziativa sostanzialmente governativa; a nostro modo di vedere sarebbe stato necessario allegare la Relazione tecnica.

Arrivo alla richiesta e concludo. Non le chiedo, signor Presidente, un rinvio in Commissione ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento: mi è perfettamente chiaro qual è l'ambito di operatività di quella norma regolamentare e delle cose che sto dicendo; questa richiesta, se del caso, sarà presentata al momento che il Regolamento individua, indicato all'articolo 93, appunto. Le chiedo però una decisione, che auspicabilmente (lo valuterà lei nella sua discrezionalità) sarebbe il caso di affidare alla Conferenza dei Capigruppo, di sospensione dei lavori dell'Aula e di ridefinizione, alla luce degli argomenti che ho svolto, di un normale iter legislativo, per eliminare quel vulnus regolamentare che altrimenti si determinerebbe.

Se lei, signor Presidente, a fronte di questa situazione che si è determinata consentisse di procedere ugualmente, si determinerebbe appunto una vera e propria innovazione della prassi regolamentare, che sarebbe sostanzialmente sovvertitrice del principio costituzionale di cui all'articolo 72 della Costituzione e delle norme regolamentari che declinano quel principio costituzionale. In sostanza, le Commissioni parlamentari di merito sarebbero sostituite in questo caso da una riunione a Palazzo Grazioli o, in altri casi, da riunioni non si sa dove svolte, il che, signor Presidente, è inaccettabile.

Siamo certi che lei si farà carico degli argomenti che ho svolto, altrimenti si determinerebbe una ferita molto seria al principio costituzionale richiamato di normale svolgimento dell'iter di formazione delle leggi; da oggi in poi il Governo e il relatore sarebbero autorizzati a sostituire sostanzialmente i testi licenziati dalle Commissioni di merito a loro piacimento, il che, signor Presidente, sarebbe veramente troppo.

La prego quindi di esaminare attentamente questa situazione che si è determinata. (Applausi dal Gruppo PD).

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, intervengo molto brevemente per fare mie le considerazioni del collega Legnini, in particolar modo il richiamo alle norme del Regolamento che imporrebbero un ulteriore approfondimento del testo, come risulta dal maxiemendamento che il relatore ha presentato ieri sera.

Signor Presidente, mi permetto di ricordare brevemente le considerazioni che qualche mese fa, con una lettura inviata a lei e ai Capigruppo, il Capo dello Stato ha fatto in occasione dell'esame e dell'approvazione del pacchetto sicurezza da parte di quest'Aula, con particolare riferimento al corretto iter del procedimento legislativo e alla garanzia che il Parlamento sia messo nelle condizioni di esaminare ed approvare un provvedimento che abbia contenuti omogenei e facilmente applicabili. In questo caso, ma non solo in questo, a noi sembra che l'invito molto responsabile del Capo dello Stato sia stato disatteso. Infatti, per diverse settimane in Commissione abbiamo esaminato un testo ed abbiamo svolto una serie di audizioni legate all'impatto che quel complesso di norme poteva avere sull'ordinamento e sul sistema finanziario anche del bilancio della giustizia, mentre oggi in Aula ci troviamo di fronte a un altro testo, che stravolge sostanzialmente le norme di procedura che riguardano la cosiddetta legge Pinto; che stravolge sostanzialmente i giudizi contabili, introducendo una doppia prescrizione; che stravolge sostanzialmente le regole che avevamo esaminato in Commissione sulla prescrizione processuale; che stravolge, proseguendo una coda dell'indulto del 2006, anche la norma transitoria, endendola ancora più complessa e di inquietante interpretazione.

Ora, noi chiediamo il minimo indispensabile per poter esaminare tali disposizioni, e certamente non possiamo farlo con le regole imposte dalla presentazione, ieri sera, di un maxiemendamento. Mi associo pertanto alle considerazioni esposte dal collega Legnini, le faccio mie e le chiedo, signor Presidente, per quanto possibile, di tenerle nella dovuta considerazione. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut e PD).

LI GOTTI (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI GOTTI (IdV). Signor Presidente, dobbiamo dircelo con chiarezza: la questione posta dal senatore Legnini affronta un tema particolarmente delicato di questo iter legislativo. Il Gruppo dell'Italia dei Valori aveva optato per una strada ben precisa, ossia quella di non ritenere emendabile il disegno di legge così come proposto all'Aula, evidenziandone quindi le lacune sotto il profilo di costituzionalità.

Il rito imporrebbe che si andasse a discutere, ad illustrare e a votare le pregiudiziali di costituzionalità su un testo che sappiamo non essere più quello di prima, bensì un altro. Il rito appartiene al rispetto delle regole, ma l'ottusità nel rispetto del rito diventa anche offesa all'intelligenza di ciascuno di noi. Non possiamo sottovalutare il lavoro proposto dal senatore Valentino, che è alternativo e diverso rispetto al disegno di legge che ancora ora dovremmo discutere. Basterebbe pensare che la modifica principale del disegno di legge in esame passa dalla collocazione sistematica del Libro quinto del codice al Libro settimo, dalle condizioni di procedibilità alle sentenze di proscioglimento; basterebbe pensare che si sta discutendo del cosiddetto processo breve, mentre invece, nel testo che dovrebbe essere emendato secondo la prospettiva della maggioranza, il processo breve, nelle ipotesi di reato più grave, è ritenuto ragionevole qualora si concluda nell'arco di tredici anni e quattro mesi: questo è il processo breve che offriamo all'Europa che, come dice il ministro Alfano, ci sta chiedendo di provvedere in tal senso? Un processo che, nei casi più gravi, può durare ragionevolmente - perché questa è norma sulla ragionevole durata - tredici anni e quattro mesi?

Sinora ritenevamo che la durata irragionevole del processo costituisse una patologia del sistema: ora invece, attraverso l'inserimento di tale norma nel codice, trasformiamo la patologia del sistema in regola, sicché potremo andare orgogliosi in Europa a dire che siamo in grado di fare un processo ragionevole in tredici anni e quattro mesi! Ma insomma!

Se questa è la materia che dobbiamo affrontare, anche attraverso gli emendamenti del relatore, è inutile che ci prendiamo in giro per svolgere il rito delle pregiudiziali. La materia infatti è cambiata, è destinata ad essere diversa. Si introduce la prescrizione del processo contabile con termini brevi, cosa che non era invece prevista nel disegno di legge presentato dal Capogruppo del Popolo della Libertà e da altri colleghi senatori. Cambia dunque la materia, per cui penso che l'invito alla ragionevolezza, al buonsenso e all'intelligenza dovrebbe indurre ad un passaggio in sede di Conferenza dei Capigruppo, al fine di modulare il lavoro che sappiamo dover affrontare su questo tema nel rispetto della correttezza procedurale e sostanziale.

Ritengo quindi che quanto proposto dal senatore Legnini esprima innanzitutto rispetto per il nostro lavoro e non un inutile omaggio ad un rito che diventerebbe assolutamente ridicolo e non comprensibile. (Applausi dai Gruppi IdV, PD e del senatore D'Alia).

PRESIDENTE. Colleghi, ho ascoltato con la doverosa massima attenzione gli interventi che sono stati svolti.

Non è sfuggito al senatore Legnini il richiamo all'articolo 93 del Regolamento, in ordine alla richiesta di sospensione della discussione del provvedimento, con rinvio in Commissione, che può essere regolarmente formulata, come probabilmente verrà fatto da qui a breve, in occasione della proposizione delle questioni pregiudiziali. In quella sede l'opposizione avrà il diritto, riconosciuto dal Regolamento, di avanzare tale richiesta, su cui l'Assemblea sarà sovrana a pronunziarsi.

Conoscete benissimo la prassi consolidata del Senato - e credo anche della Camera - che non prevede il rinvio in Commissione del testo di un disegno di legge, deliberato già dalla Commissione, in assenza di un voto dell'Assemblea. Non rientra nei poteri del Presidente l'adozione di una decisione monocratica di questo tipo. Non sfugge neppure alla Presidenza, però, che ieri sono stati presentati degli emendamenti fortemente innovativi del testo esitato dalla Commissione.

Quindi, è intenzione di questa Presidenza procedere in tal senso: dar vita all'illustrazione e all'esame delle questioni pregiudiziali, con il voto dell'Aula, naturalmente dopo aver ascoltato le relazioni; successivamente, iniziare la discussione generale e, durante l'iter previsto per l'esame di questo disegno di legge, in relazione all'andamento dei lavori ed all'eventuale assenza di atteggiamenti ostruzionistici, convocare una Conferenza dei Capigruppo, la quale, nel prendere atto dell'andamento dei lavori, possa, come hanno chiesto i senatori Li Gotti e Legnini, eventualmente rimodulare i tempi, i quali sono stati assegnati, in passato, a seguito della decisione di una Conferenza dei Capigruppo che si è pronunciata all'unanimità.

Questi tempi, naturalmente, sono stati accettati da tutti i Gruppi e possono essere tranquillamente impiegati anche nell'esame del nuovo disegno di legge, tenuto conto del fatto che è stata consentita alle opposizioni la possibilità di presentare subemendamenti sino a questa sera e, quindi, di intervenire sulle loro proposte da domani in poi.

Questa, quindi, è la decisione della Presidenza.

FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, intervengo affinché restino ai verbali di questa seduta che, come immagino, saranno affollati da moltissimi altri interventi da parte di rappresentanti del mio Gruppo e degli altri Gruppi dell'opposizione, alcune osservazioni di natura squisitamente politica che, mi creda, non sono risolvibili né soltanto con una rigorosa applicazione del Regolamento (e non adopero altri aggettivi) e neanche con una rinunzia ad una funzione che lei, presidente Schifani, mi lasci dire, ha il dovere di esercitare.

Come lei sa meglio di me, il Presidente del Senato non è soltanto notaio; non è soltanto registratore, è anche, più sottilmente e autorevolmente, arbitro in una partita che - lo ripeto - è squisitamente politica.

Infatti, la storia qui si compone di molte facce. La prima: quante volte, in quest'Aula, abbiamo sollevato la questione (che è stata più volte oggetto anche di richiami da parte del Presidente della Repubblica) relativa al fatto che a decreti-legge, quindi nella responsabilità del Governo, venivano presentati maxiemendamenti che ne stravolgevano il contenuto, spesso recando nuove disposizioni e, comunque, sostituendo un contenuto che era stato oggetto di esame da parte della Commissione? Questa volta, noi questo procedimento lo vediamo, forse per la prima volta con questa violenza, adoperato nei confronti di un disegno di legge! Ci sono parti interamente nuove! Mi si lasci dire che, nell'interesse dell'opposizione e delle sue osservazioni (e non anche, forse, molto più chiaramente per cercare di parare i rilievi di incostituzionalità che gravavano, e ancora in parte gravano, sul testo), si sarebbe potuto procedere a una discussione in Commissione, e non all'imposizione di un maxiemendamento. Invece noi oggi, per la prima volta, affrontiamo la questione inedita di un maxiemendamento che profondamente incide sul contenuto di un disegno legge, che non viene discusso in Commissione e che arriva nell'Aula di Palazzo Madama quando i tempi della discussione sono già fissati.

È questo un disegno di legge qualunque? No, signor Presidente, questo è un disegno di legge particolarmente sensibile, anzi sensibilissimo, non soltanto per il dibattito politico che lo ha accompagnato, ma per il modo con cui questo disegno di legge è accompagnato in sé: il processo breve al Senato, il legittimo impedimento, la costituzionalizzazione del lodo Alfano e la riforma della giustizia che, come dice il ministro Alfano, è da approvare in tempi rapidi.

Io non vedo qui il principio di una interlocuzione con le opposizioni e tutto questo avviene in un contesto e in un passaggio in cui ci saremmo dovuti inoltrare verso una reciproca disponibilità e capacità di discutere le riforme istituzionali.

Francamente, signor Presidente, credo che il suo ruolo, verso il quale abbiamo un grandissimo rispetto, non potrà che essere ulteriormente rafforzato, se lei si farà carico di un'applicazione non ottusa (il termine riguarda la modalità di applicazione, non la sua persona) del Regolamento, valutando la delicatezza della sua decisione. Mi appello a lei in quanto da lei mi sento garantita, come penso qualunque Capogruppo.

È una questione delicatissima, per cui le chiediamo - e sappiamo di avere ottime ragioni per farlo - di valutarla per il peso e per gli effetti, le conseguenze che può avere.

La sua decisione non può basarsi solo sul fatto che noi facciamo i bravi e non presentiamo la grande quantità di emendamenti che abbiamo intenzione di presentare. (Applausi dai Gruppi PD, UDC-SVP-Aut e IdV).

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Valentino, vorrei ribadire alla senatrice Finocchiaro che non rientra nei poteri monocratici di questa Presidenza quanto viene chiesto, cioè il rinvio del disegno di legge in Commissione.

Ribadisco la mia disponibilità a convocare, durante i lavori relativi all'esame di questo disegno di legge, una Conferenza dei Capigruppo per un'eventuale rimodulazione dei tempi.

Darei ora la parola al senatore Valentino.

CASSON, relatore di minoranza. Signor Presidente, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ha già parlato la presidente Finocchiaro.

CASSON, relatore di minoranza. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha parlato la sua Capogruppo, ora deve intervenire il relatore. Lei potrà intervenire durante la discussione delle questioni pregiudiziali. (Commenti del senatore Casson).

Senatore Casson, abbiamo svolto un ampio dibattito, abbiamo discusso e affrontato tutti i temi, ha parlato la sua Capogruppo, adesso deve parlare il relatore. Durante la discussione delle questioni pregiudiziali, lei potrà intervenire tutte le volte che vorrà.

CASSON, relatore di minoranza. Ma chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori!

PRESIDENTE. Senatore Casson, la prego di non insistere. Come lei sa, sono tollerante con tutti. Ho garantito lo svolgimento di un ampio dibattito (è molto tempo che discutiamo di questioni pregiudiziali), come faccio sempre, che si è concluso con l'intervento del suo Capogruppo.

Peraltro, come relatore di minoranza, quando illustrerà la sua relazione, potrà sviluppare la sua richiesta.

CASSON,relatore di minoranza. Sull'ordine dei lavori, signor Presidente! (Proteste dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, senatore Casson. (Commenti dai banchi della maggioranza).

CASSON, relatore di minoranza. Grazie, signor Presidente.

Devo sollevare una questione che non è stata affrontata e che ovviamente si ricollega alla vicenda del cosiddetto processo breve. Si tratta della formulazione di una nuova richiesta, che concerne il termine per i subemendamenti. Questo termine è stato fissato alle ore 20 di stasera, ma è assolutamente insufficiente, proprio in relazione alla portata dell'emendamento 2.1000 presentato dal relatore. In esso, infatti, ci sono - a tale proposito mi ricollego in parte a quanto detto - materie assolutamente nuove, che indicherò tra poco, e che pertanto devono essere approfondite in maniera adeguata.

Un senso di proporzione rispetto al termine per gli emendamenti a questo disegno di legge, originariamente stabilito, impone che quanto meno venga concessa una proroga. Proprio a causa della complessità, della profondità di questo disegno di legge, era stato dato un termine di alcune settimane per la presentazione degli emendamenti. Ovviamente, chiediamo una proroga non di alcune settimane per i subemendamenti all'emendamento 2.1000 del relatore, che pure è molto complesso, ma che sia adeguata, quindi un termine che sia almeno il doppio di quello che è stato dato, perché si propone di inserire nuovi commi, nuove norme al testo del disegno di legge.

Il primo emendamento propone di inserire disposizioni completamente nuove sulla domanda di equa riparazione.

Anche con il secondo emendamento (procedo rapidamente perché non ho intenzione di perdere tempo) si chiede un inserimento ex novo in relazione all'applicazione del procedimento di cui ai commi 4 e seguenti dell'articolo 3 della legge n. 89 del 2001.

Il terzo emendamento contiene una norma di interpretazione autentica e s'inserisce addirittura in materia di scudo fiscale; materia particolarmente difficoltosa, che dovrebbe passare anche l'esame delle Commissioni di merito. L'emendamento si inserisce all'interno del processo contabile e nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti. Esso parla di estinzione del processo e, di conseguenza, ha pesanti ripercussioni in ordine alla possibilità di risarcimento in relazione al danno erariale.

L'altro emendamento concerne il processo penale ed è amplissimo; è stato il motivo fondamentale per cui sono state date alcune settimane ai Gruppi per la presentazione degli emendamenti.

Crediamo, in altri termini, che queste proposte siano assolutamente da approfondire in maniera adeguata, così come l'ultima in materia di disposizioni transitorie. Viene reintrodotto il principio del tempus regit actum eccetto che per una categoria estremamente limitata di reati.

Concludo, pertanto, il mio intervento chiedendo che venga dato un termine adeguato per la presentazione dei subemendamenti.

PRESIDENTE. La ringrazio, senatore Casson.

Il termine per la presentazione dei subemendamenti è stato già dato ieri sera dalla Presidenza ed è estremamente ampio (24 ore), tenuto conto che le consuetudini della Presidenza storicizzate sono quelle di alcune ore per i subemendamenti. Questa Presidenza, tenuto conto del fatto che erano stati presentati alcuni emendamenti innovativi, ha voluto derogare alla prassi e concedere, naturalmente a tutti i Gruppi politici, un'intera giornata per esaminare i nuovi emendamenti e presentare i subemendamenti. Non v'è dubbio che questa Presidenza sarà tollerante in relazione ad eventuali ritardi di qualche ora nella presentazione di subemendamenti, però questa scelta è stata adottata già ieri sera e comunicata tempestivamente e correttamente ai Gruppi. A questo punto, possiamo procedere con l'esame del provvedimento.

La relazione è stata già stampata e distribuita. Chiedo al relatore se intende integrarla.

VALENTINO, relatore. Signor Presidente, mi rendo conto come la presentazione di emendamenti che così peculiarmente incidono nell'originario impianto del disegno di legge possa suscitare legittime richieste di chiarimenti e puntualizzazioni che, sia pure in maniera sintetica, cercherò di fornire già nel corso della mia relazione.

Già nella relazione scritta ho anticipato quali sarebbero state le vicende ulteriori che avrebbero caratterizzato il comportamento del relatore. Ho registrato le criticità che erano state manifestate nel corso della discussione in Commissione e ho preso atto di tutta una serie di censure mosse al disegno di legge che meritavano certamente approfondimento e ipotesi di soluzione, perché i miei emendamenti vengono naturalmente rassegnati alla valutazione che poi ne farà il Senato.

Il dato che mi preme rilevare, che è stato registrato anche nella relazione scritta, è che il principio della ragionevole durata del processo è stato condiviso in maniera generale. Nessuno dei numerosi oratori che si sono avvicendati nel corso della discussione durante i lavori in Commissione ha contestato l'esigenza di connotare in maniera precisa e puntuale i tempi del processo, che andavano scanditi attraverso un'iniziativa legislativa; un'iniziativa legislativa che ci era imposta dal dettato costituzionale. È noto a tutti, onorevoli colleghi, che nel 1999 il legislatore modificò l'articolo 111 della Costituzione, imponendo una serie di regole in forza delle quali si sarebbe dovuto realizzare quello che venne chiamato il giusto processo.

Devo dire che anche gli studiosi che si sono avvicendati sul tema (e parlo in particolare delle Commissioni di studio che sono state costituite nel corso di questi anni, la commissione Pisapia e la commissione Riccio), hanno ipotizzato soluzioni assolutamente coincidenti, in via di principio, con le prospettazioni formulate dall'originario disegno di legge redatto e firmato dal Capogruppo del Popolo della Libertà.

Quindi, il principio è certamente avvertito e condiviso... (Brusìo).

PRESIDENTE. Colleghi, vi invito ad un maggiore silenzio. Chi non è interessato può anche allontanarsi dall'Aula.

VALENTINO, relatore. Questo principio è stato dunque avvertito e condiviso, anche nelle legislature precedenti, dai colleghi che ora siedono sui banchi dell'opposizione. In effetti, il principio di scandire per fasi la durata del processo, ipotizzando una sanzione processuale, era stato previsto nella XIV e XV legislatura da colleghi di grande autorevolezza, da giuristi noti, del cui talento nessuno ha mai discusso e che siedono sui banchi dell'opposizione.

Quindi, il dato che mi preme rilevare in questo momento, che va sottolineato e che ha costituito l'oggetto principale della relazione da me redatta, è proprio questa convergenza sul principio. Nel momento in cui si è dovuto ipotizzare l'esecuzione del principio, la valutazione del relatore non ha potuto prescindere da una serie di segnalazioni, censure ed indicazioni di grande puntualità che l'opposizione ha fornito nel corso del dibattito in Commissione. L'irragionevolezza di immaginare un termine di ragionevole durata - mi si scusi il bisticcio - soltanto per coloro che fossero incensurati era certamente argomento che è stato sostenuto dall'opposizione in maniera mirabile e convincente, tant'è vero che negli emendamenti che ho presentato ritengo che questo problema sia stato risolto in maniera definitiva, considerato che tutti i cittadini italiani che incappano nelle maglie della giustizia, che si scontrano o vengono coinvolti in vicende processuali, hanno diritto ad un termine ragionevole di durata del processo.

Sulla scorta poi delle indicazioni fornite proprio dall'opposizione, ho trovato altrettanto irragionevole e in conflitto con l'articolo 3 della Costituzione il fatto che soltanto una determinata tipologia di reati potesse rientrare nelle categorie per le quali si applica il principio previsto dall'articolo 111 della Costituzione.

E allora, ecco che l'ipotesi rassegnata di immaginare tre fasce di reati che, in relazione alla gravità e all'allarme sociale, possono essere trattate con tempi differenti mi è sembrata assolutamente ragionevole e soprattutto assolutamente coerente con il sistema.

Una garbatissima risposta voglio darla poi al senatore Li Gotti, il quale ha lamentato l'entità dei termini previsti per i delitti di mafia e terrorismo. Ebbene, il metro al quale mi sono uniformato, il parametro che ho voluto prendere in considerazione, è quello del tempo normalmente impegnato nell'espletamento di tutte le complesse attività, prevalentemente dibattimentali, che questo tipo di processo impone. Come è noto, la prova si costituisce al dibattimento ed è in quella fase che si devono realizzare le attività più peculiari e finalizzate delle parti, accusa e difesa. È la consapevolezza dell'importanza della costituzione della prova ad aver indotto una riconsiderazione sensibile dei tempi previsti per la celebrazione del dibattimento.

Quindi, dovevano rientrare nelle previsioni del provvedimento non soltanto, come ipotizzato nell'originaria stesura (pur apprezzabile perché poneva in discussione un principio sacrosanto), i reati per i quali la pena fosse sotto la soglia dei dieci anni, ma tutti i reati; per tutti i reati bisognava individuare tempi coerenti con le difficoltà, la necessità e l'importanza di consentire l'acquisizione di un bagaglio di elementi utile affinché il giudice potesse emettere una sentenza equa e oltre ogni ragionevole dubbio, così come si impone.

Per tale ragione, onorevoli colleghi, recependo in parte ma nella sostanza princìpi che voi avete introdotto in modo assolutamente convincente, mi sono determinato alla stesura di questi emendamenti. Signor Presidente, mi riservo di illustrare, a mano a mano che esse saranno trattate in sede di discussione specifica, le motivazioni che sottendono le varie proposte emendative presentate.

In questa fase, mi limito a porre in evidenza come un'esigenza condivisa ed avvertita da tutti - quella cioè di sancire in termini rigorosi e perentori, non più affidati alla valutazione, che è sempre contingente e frutto di situazioni particolari, i tempi del processo - mi abbia indotto alle modifiche che ho formulato.

Onorevoli colleghi, oggi il presidente dell'Associazione nazionale magistrati ha rilasciato una dichiarazione, della quale abbiamo preso atto, che certamente è stata sostenuta dalla conoscenza che egli aveva del testo originario. Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati ha affermato che sarebbe impossibile, alla stregua delle attività imposte dall'originaria stesura del disegno di legge, rispettare i tempi previsti e, pertanto, si sarebbe fatalmente determinata l'estinzione di un numero indeterminato di processi. È legittima la considerazione, o la doglianza, che egli ha affidato all'opinione pubblica, anche se è contraddetta dai dati statistici - a mio avviso ineludibili - che sono stati illustrati dai tecnici del Ministero: gli uffici ministeriali hanno assicurato che questo impatto non vi sarebbe stato. Ma io credo che, se vi fosse stata una cognizione delle ipotesi emendative che sono state proposte, con buona probabilità questa valutazione non sarebbe stata fatta. Infatti, proprio per fugare ogni perplessità in ordine ad ipotesi di impatto che potrebbero compromettere indagini, attività investigative, attività giurisdizionali e quant'altro, le ipotesi formulate sono state proposte e i tempi sono congrui per la celebrazione dei processi, in relazione all'entità delle sanzioni previste.

Questo è il quadro di insieme, onorevoli colleghi. Mi riservo naturalmente nel corso del dibattito, allorquando saranno trattati argomenti specifici, come l'innovazione relativa al procedimento previsto dalla legge Pinto o il processo contabile o la norma transitoria, di essere più esplicito e di rassegnare di volta in volta alla vostra considerazione le ragioni per le quali ho inteso proporre questi emendamenti.

Resta un punto fondamentale, signor Presidente ed onorevoli colleghi: tutto quello che è stato fatto è stato realizzato perché si ha a cuore il giusto processo, che non è soltanto quello disegnato dalla norma costituzionale del 1999, ma è quello definito qualche secolo fa da Gaetano Filangieri, il quale, dopo una serie di valutazioni sulle opportunità che dovevano essere indotte dal processo, affermò che un processo è giusto se non vi è alcuna speranza per il responsabile. A questo principio noi ci siamo ispirati scrivendo le norme che oggi voi dovrete valutare. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, senatore Casson, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il senatore Casson.

CASSON, relatore di minoranza. Signor Presidente, il Partito Democratico aveva espresso fin dall'origine fortissime preoccupazioni in relazione alla presentazione di questo disegno di legge. Anche dopo l'operazione di pulizia costituzionale delle norme effettuata con l'emendamento del relatore di maggioranza, rimangono fortissime ragioni e perplessità di ordine costituzionale, nonché motivi che fanno parlare di inopportunità in merito alla prosecuzione dell'esame e al voto di questo disegno di legge, così come modificato. In questo mio intervento come relatore di minoranza illustrerò anzitutto una prima parte tecnica, per quello che concerne le più evidenti ragioni di incostituzionalità e di inopportunità di questo disegno di legge, e concluderò con alcune osservazioni di natura politica che fanno riferimento a quello che sarà il comportamento del Partito Democratico durante i lavori d'Aula.

Osservo innanzitutto l'assoluta contradditorietà del sistema di estinzione del processo con la funzione cognitiva del processo accusatorio, così come delineato dallo stesso articolo 111 della Costituzione e dall'articolo 6 della CEDU. Infatti, la declaratoria di immediata estinzione del processo, anche in assenza dell'accertamento dei fatti contestati, impedisce al processo accusatorio di realizzare il fine cui è preordinato il processo penale, che è quello, com'è noto, di consentire al giudice di assumere una decisione nel merito. La ratio stessa dell'esistenza del processo penale è infatti quella di consentire al giudice di formulare una decisione di merito che va intesa come verifica di convalida ovvero, scientificamente, di falsificazione del predicato accusatorio, formalizzato nel capo di imputazione. Le moderne democrazie hanno dato effettività alla tutela dei diritti delle parti trasformando il potere dello ius dicere da incontrollato potere potestativo a funzione cognitiva, assoggettabile a verifica secondo prefissati criteri giuridici, logici e semantici.

Tale sistema di generalizzata ed automatica estinzione del processo ribalta completamente questo processo di democratizzazione del processo accusatorio, impedendo l'accertamento dei fatti e privando soprattutto la vittima del reato della possibilità di ottenere una decisione in sede penale circa la verità processuale dei fatti subiti. Né l'esigenza sottesa all'accertamento giudiziale del fatto di reato può ritenersi del tutto recessiva rispetto alla ragionevole durata del processo, in quanto la Corte costituzionale, interpretando il disposto di cui all'articolo 111, comma secondo, della Costituzione, ha rilevato che il principio della ragionevole durata deve essere considerato in rapporto alle esigenze di tutela di altri interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo nel processo penale. Infatti, nell'escludere che i meccanismi processuali che obbligano alla ripetizione di determinati incombenti istruttori violino il principio sancito dall'articolo 111 della Costituzione, la Corte ha letteralmente affermato che: «il principio della ragionevole durata del processo deve essere contemperato con le esigenze di tutela di altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti rilevanti nel processo penale, la cui attuazione positiva, ove sia frutto di scelte assistite da valide giustificazioni, non è sindacabile sul terreno costituzionale».

La fissazione di un termine perentorio per il compimento dei singoli gradi di giudizio, che produce l'effetto di estinguere il processo, non considera adeguatamente la previsione costituzionale del giusto processo in senso oggettivo, giacché il nuovo strumento privilegia il rispetto della rapidità formale fissata con scansione temporale rigida, non curandosi della necessità che il processo realizzi appieno la funzione cognitiva che lo caratterizza.

Se da un lato la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia in relazione al diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole, dall'altro la Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato, nell'ambito dei giudizi celebrati in Italia, per esaminare il merito della causa ed ha conseguentemente affermato la responsabilità dello Stato discendente dalla violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo. Non sembra allora che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così sinteticamente richiamata, legittimi in alcun modo l'introduzione di termini perentori per la celebrazione dei singoli gradi di giudizio, se ciò è di ostacolo all'accertamento sul merito della questione dedotta in giudizio.

Insomma, il diritto consacrato dall'articolo 6 della Convenzione e, prima di esso, dagli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione, è anzitutto che il processo ci sia e che si concluda con una decisione di merito, mentre con il disegno di legge al nostro esame e, in particolare, con questo emendamento, il processo viene sfasciato, vengono cancellati ancora una volta decine di migliaia di processi e non si arriva a decisione di merito; in secondo luogo, che sia un processo di durata non irragionevole e improntato agli altri principi descritti dalla norma costituzionale.

Vi è poi l'assoluta irragionevolezza di far dipendere la procedibilità dal grado di efficienza dell'ufficio giudiziario competente, per cui si rischia che per uno stesso reato si giunga ad una condanna, ovvero al proscioglimento o alla assoluzione, a seconda che venga commesso a Bolzano o a Reggio Calabria. Ciò determinerà una sorta di dumping o di forum shopping del crimine, in quanto la criminalità preferirà agire o fare in modo che la competenza finisca nei distretti giudiziari meno efficienti, lucrando l'impunità e aggravandone l'inefficienza con un maggior carico di lavoro.

Come osservato dal Consiglio superiore della magistratura, questa disciplina determinerà certamente una fuga dai riti alternativi. È chiaro infatti che essi non saranno più convenienti e appetibili a fronte della possibilità di fruire dell'effetto estintivo connesso all'esaurimento dei termini processuali.

Effetto paradossale di questa disciplina sarà che i delitti più gravi, essendo soggetti a termini di prescrizione processuale più lunghi, passeranno in coda, e dunque dureranno ancora di più, e questo con pregiudizio dei diritti degli imputati, delle vittime e soprattutto della sicurezza di tutti i cittadini. Ciò appare ancora più irragionevole, ove si consideri che nel luglio del 2008, con l'articolo 2-bis del decreto sicurezza voluto da questo Governo e da questa maggioranza, tali gravi delitti sono stati ricompresi tra quelli per i quali è assicurata la «priorità assoluta» nella trattazione dei relativi processi e nella formazione dei ruoli di udienza.

Costituisce inoltre nuovo motivo di incostituzionalità l'irragionevole assimilazione, all'interno di ciascuna fascia di reati, di fattispecie dal disvalore penale assolutamente diverso. Si consideri che proprio la Corte europea di Strasburgo, nel valutare la ragionevolezza della durata del processo, ricorre a parametri quali la natura del reato, la complessità del giudizio, la condotta processuale della parte e delle autorità procedenti. Perplessità suscita, ad esempio, l'esclusione dal novero dei reati di seconda fascia - per i quali ci sarebbe una maggiore possibilità di indagare e di avere un termine adeguato per il processo - degli omicidi derivanti da colpa professionale e in genere di tutti gli omicidi colposi, anche derivanti da infortuni sul lavoro e da circolazione stradale. In questo ambito, ricordo gli omicidi e le morti causate da malattie professionali, in particolare dall'esposizione all'amianto, e sappiamo quanti siano, in questo momento, i processi pendenti in tutta Italia, con centinaia e centinaia di vittime.

Si consideri, inoltre, che l'esclusione del reato di corruzione dalla fascia "alta" per cui i termini di prescrizione sono più lunghi contrasta con l'obbligo assunto dall'Italia con la ratifica della Convenzione ONU contro la corruzione (legge 3 agosto 2009, n. 116). L'articolo 29 della Convenzione ONU contro la corruzione stabilisce che: «...ciascuno Stato Parte fissa, nell'ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione» - sottolineo: un lungo termine di prescrizione - «entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione». La previsione risente ovviamente dell'ambiente di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra si è rilevato, l'esercizio dell'azione penale mediante l'instaurazione del giudizio preclude l'ulteriore corso della prescrizione del reato. Non vi è dubbio che la ratio della disposizione sia quella di garantire l'effettiva celebrazione dei processi in materia di corruzione.

Rafforza il convincimento la lettura dell'articolo 30 della Convenzione stessa, che raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di "ricercare, perseguire e giudicare effettivamente" - così recita letteralmente - "i responsabili di fatti corruttivi". L'articolo in commento invita poi gli Stati membri ad adoperarsi affinché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da «ottimizzare l'efficacia di misure di individuazione e di repressione di tali reati».

Orbene, la previsione dell'estinzione dello strumento processuale in soli anni tre, più due, più uno e mezzo, che ben può riguardare anche i delitti di corruzione, quale effetto automatico derivante dal decorso dei suddetti limiti temporali, sembra quindi porsi in netto contrasto con i principi sanciti dalla richiamata Convenzione ONU contro la corruzione ai quali l'azione degli Stati firmatari dovrebbe ispirarsi.

Un'ulteriore considerazione riguarda poi la violazione del principio di pari trattamento rispetto alla giurisdizione e di ragionevolezza in relazione alla previsione, quale termine prescrizionale applicabile ai processi in corso per la disciplina transitoria, di due anni anziché tre per il primo grado di giudizio.

Passo al rapido esame di un aspetto di illegittimità costituzionale che riguarda l'insieme del disegno di legge in questione, comprensivo dell'emendamento del relatore: il disegno di legge contrasta anche con il quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione, per una serie di ragioni. Innanzitutto, l'approvazione del disegno di legge, nel testo sottoposto all'esame dell'Aula, determinerebbe inevitabilmente un notevole onere finanziario a carico del bilancio dello Stato, dal momento che l'articolo 1 introduce significative modifiche all'articolo 2 della cosiddetta legge Pinto, inserendovi in particolare il comma 3-ter, che sancisce una presunzione iuris tantum di non irragionevole durata dei procedimenti giurisdizionali dinanzi a qualsiasi giudice ordinario o speciale nei quali ciascun grado di giudizio si sia protratto per un periodo non superiore ai due anni (un anno per ogni successivo grado di giudizio in caso di rinvio).

Tale presunzione relativa di durata irragionevole per i procedimenti la cui durata eccede due anni per ciascun grado di giudizio è suscettibile di incrementare significativamente le richieste di equa riparazione rispetto alla situazione attuale, dal momento che la giurisprudenza prevalente, nel valutare in concreto la ragionevolezza della durata del procedimento, applica i parametri elaborati sul punto dalla Corte europea dei diritti umani, che considera in linea di massima non irragionevole una durata inferiore ai tre anni per un grado, ai quattro anni per due gradi, ai sei anni per tre gradi di giurisdizione.

Inoltre, rilevo come l'articolo 2 del disegno di legge, nell'introdurre nel codice di rito penale una peculiare ipotesi di improcedibilità per causa sopravvenuta, prevedendo conseguentemente una disciplina speciale per il trasferimento in sede civile dell'azione già intentata ed estinta nella sede penale, al comma 6 sancisce, in favore dei procedimenti attivati dalla persona offesa in sede civile, una presunzione di priorità che obbliga il giudice a dare precedenza al processo trasferito. Tale disciplina determinerà inevitabilmente un significativo incremento del contenzioso in sede civile, in assenza peraltro di qualsiasi misura idonea a sopperire a tale aggravio del carico giudiziario.

Nonostante il significativo impatto finanziario che l'approvazione del disegno di legge in esame certamente determinerà, questo disegno di legge non contiene affatto, come sarebbe imposto dall'articolo 81 della Costituzione, alcuna previsione di spesa a tal fine idonea. Infatti non può in alcun modo ritenersi tale la mera clausola di monitoraggio, per così dire, di cui all'articolo 2-ter, che si limita ad imporre l'adozione - con norma di dubbia legittimità - delle conseguenti iniziative legislative da parte del Ministro dell'economia e delle finanze allorché lo reputi necessario, sulla base di una valutazione che appare estremamente discrezionale.

Desidero fare ora riferimento a un accenno compiuto dal relatore, il senatore Valentino, ai disegni di legge presentati in precedenti legislature da senatori del centrosinistra. Ricordo come in quelle legislature, ma anche in questa, il Partito Democratico si sia fatto carico dei problemi relativi alla durata dei processi non pensando soltanto a tagliare i tempi di un processo per un determinato imputato, ma pensando al sistema processuale nel suo complesso e al sistema sostanziale penale, proponendo quindi riforme concrete in materia sostanziale da una parte e in materia procedurale dall'altra.

Tra l'altro, il disegno di legge di riforma del codice penale presentato dal Partito Democratico in questa legislatura presenta degli aspetti che sono assolutamente e totalmente diversi rispetto a quelli ricordati dal relatore, senatore Valentino, o da quello che si vorrebbe far capire. Innanzitutto, nel disegno di legge di riforma della parte generale del codice penale presentato dal Partito Democratico si prevede un sistema sinergico di prescrizione sostanziale e processuale del reato, in cui cioè il tempo trascorso dal momento della commissione del reato rilevi anche in funzione degli atti processuali realizzati e dunque delle modalità di esercizio dell'azione penale. Quindi, la disciplina della prescrizione nel disegno di legge del Partito Democratico si orienta secondo diverse direttive.

Innanzitutto viene regolamentato un doppio regime prescrizionale: uno precedente all'azione penale, l'altro che interviene quando l'interesse pubblico alla punizione si sia manifestato tramite l'esercizio dell'azione penale. Ci sono indicazioni specifiche a seguire su questo punto; mi limito a ricordare quello che il nostro disegno di legge prevede sulla prescrizione del reato, che allunga i tempi rispetto a quelli della famigerata legge Cirielli. E ricordo ancora come, quanto alla decorrenza dei termini di prescrizione, il disegno di legge del Partito Democratico preveda che, ove sia stata esercitata l'azione penale entro i termini indicati dal codice di procedura penale, ai fini della prescrizione decorrano i seguenti ulteriori termini. Ripeto e sottolineo, per chi non lo ha capito - e anche per chi, forse, non lo vuole capire - che ai fini della prescrizione decorrono i seguenti ulteriori termini, che vanno quindi ad aggiungersi: si parla di cinque anni per la pronuncia del dispositivo che conclude il primo grado di giudizio, di due anni...

PRESIDENTE. Senatore Casson, la invito a concludere, perché sta superando il limite dei venti minuti previsti per ogni singolo intervento.

CASSON, relatore di mminoranza. Signor Presidente, concludo questo mio primo intervento dicendo che, nonostante il tentativo di pulizia dell'illegittimità costituzionale, il nuovo testo proposto conserva evidenti limiti di ragionevolezza e profili di illegittimità costituzionale. È quasi come il gioco delle tre carte, quasi una presa in giro, perché quello che si temeva è stato confermato. C'è un rifiuto degli emendamenti del Partito Democratico volti ad accelerare realmente indagini e processi in materia di notifiche, nullità, avvisi ai difensori; si prevede ancora una superficiale pulizia ed eliminazione dei vizi costituzionali più evidenti; c'è una riproposizione di norme che condurranno allo sfascio del sistema processuale penale e ci sono norme che recheranno un favore a chi delinque e un danno alle vittime dei reati.

PRESIDENTE. Senatore Casson, le do un altro minuto in via del tutto eccezionale. La prego di concludere.

CASSON, relatore di mminoranza. Ci sono soprattutto norme che nel regime transitorio non si sono scordate del motivo reale per cui sono state inventate: pur facendo entrare in vigore questo cosiddetto giusto processo solo dopo l'entrata in vigore di tale legge, se sarà approvata, i processi pendenti a carico del Presidente del Consiglio dei ministri vengono invece cancellati immediatamente.

Complimenti, la vostra operazione è riuscita: sfasciate il processo penale e cancellate il processo contro il Presidente del Consiglio. (Applausi dal Gruppo PD).

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, vorrei intervenire molto brevemente sull'ordine dei lavori. Abbiamo ascoltato con attenzione la relazione del senatore Valentino, che conferma la portata innovativa degli emendamenti presentati, e ci rendiamo conto anche di ciò che lei in maniera molto garbata ci ha detto sui limiti dei suoi poteri. Poiché obiettivamente c'è la necessità, stante questo fatto nuovo, di rimodulare i tempi di esame del provvedimento, le chiederei se non sia il caso di convocare la Conferenza dei Capigruppo per stabilire questi tempi, facendo seguito a quanto ha precisato lei nella sua replica.

PRESIDENTE. Senatore D'Alia, prendo atto della sua richiesta, ma mi ero già pronunciato in merito; mi riservo di convocare la Conferenza dei Capigruppo nel corso dei nostri lavori, anche alla luce della scadenza del termine per la presentazione dei subemendamenti, degli emendamenti presentati e degli interventi che verranno effettuati. Sicuramente sarà fatto.

BELISARIO (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, visto che ci sono queste richieste da parte dell'opposizione e visto che lei ritiene di non poter accogliere la richiesta dell'opposizione di un rinvio in Commissione, per avere certezza di questa interpretazione, senza voler mettere in dubbio quanto ella ci ha detto in Aula, non le pare sia il caso di ricondurre la questione alla Giunta per il Regolamento, che lei potrebbe convocare immediatamente?

PRESIDENTE. Presidente Belisario, confermo la mia convinzione.

Innanzitutto in merito alla Conferenza dei Capigruppo mi sono pronunciato; per quanto riguarda poi la mia interpretazione del Regolamento, si tratta di una interpretazione consolidata da decenni di applicazione: non esiste una norma del Regolamento che consenta alla Presidenza di rinviare un intero disegno di legge in Commissione. (Commenti del senatore Garraffa).

Senatore Garraffa, sarà consentito a tutti i colleghi che ne faranno richiesta, nel rispetto dei tempi previsti, di poter intervenire serenamente, come questa Presidenza ha sempre cercato di fare.

Comunico che sono state presentate questioni pregiudiziali e sospensive.

Ha chiesto di intervenire il senatore Belisario per illustrare la questione pregiudiziale QP1. Ne ha facoltà.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire, ritiene che il sentimento di giustizia sia talmente avvertito nell'uomo da sembrare indipendente da singole leggi, da convincimenti politici o religiosi. A tale principio, evidentemente violando un sentimento naturale, la maggioranza intende rispondere infrangendolo, per porre rimedio ai problemi giudiziari del Presidente del Consiglio. È con rammarico che constatiamo come il disegno di legge in questione intervenga in modo devastante sul processo al fine di estinguerlo, piuttosto che di velocizzarlo, in palese violazione dell'articolo 111 della Costituzione. (Brusìo).

PRESIDENTE.Colleghi, per cortesia, chi non è interessato può lasciare l'emiciclo. Il senatore Belisario sta intervenendo ed ha diritto di farlo in un'Aula silenziosa.

BELISARIO (IdV). Procedere ad un'attività emendativa tradizionale ci è sembrato uno strumento inadeguato, perché l'Italia dei Valori ritiene che il testo approvato dalla Commissione giustizia sia del tutto inemendabile. Non si può mettere il belletto a un provvedimento legislativo nato con metastasi inguaribili. Per questo motivo, abbiamo inteso sottolineare i profili di palese incostituzionalità, decisamente insormontabili, e lo abbiamo voluto fare in modo corale assegnando a ciascuno dei componenti del Gruppo di testimoniare la totale contrarietà dell'Italia dei Valori a un provvedimento che se non è ad personam - su questo si potrebbe persino concordare con il Premier - è decisamente ad libertatem... suam, naturalmente!

In presenza di tale disegno di legge, che evidentemente è la risposta a chi ha in animo di abboccare all'esca lanciata dal partito dell'amore in materia di riforme, l'Italia dei Valori, noto soggetto politico pericoloso ed eversore perché richiede il rispetto della Costituzione, si è posta il problema di come esercitare l'attività legislativa. Ancora una volta, a dispetto di chi con le invettive cerca di svilire il nostro impegno parlamentare, possiamo dire di aver visto giusto. Il testo era inemendabile, al punto che il relatore, per migliorarlo ed attenuarne i profili di incostituzionalità, lo ha profondamente peggiorato, estendendo l'applicazione del cosiddetto ammazzaprocessi a tutti i reati e - udite udite! - riducendo i tempi del giudizio per responsabilità contabile, con evidente danno per l'erario, ha introdotto un nuovo cattivo rimedio. (Brusìo).

Presidente, è un po' difficile proseguire.

PRESIDENTE. Ho già richiamato l'Aula. Colleghi, sospenderò i lavori dell'Aula se si continua con questo andazzo. (Applausi dai Gruppi IdV e PD). Senatore Caligiuri, per favore!

GARRAFFA (PD). È un provvedimento ad personam, che c'entrano loro? Non riguarda loro!

PRESIDENTE.Colleghi, potete prendere posto oppure lasciare l'Aula?

BELISARIO (IdV). Al fine di garantire una ragionevole durata del processo, sarebbero invece fondamentali lo snellimento e la semplificazione delle procedure - oltre che congrue dotazioni di personale e di mezzi per gli uffici giudiziari - e non già l'introduzione di un istituto sconosciuto agli altri ordinamenti qual è quello dell'estinzione del processo per la scadenza dei termini. Per la prima volta si prescrive il processo e non il reato.

Sarebbe stato inoltre opportuno prevedere un calendario delle udienze.

PRESIDENTE. Senatore Belisario, come Capogruppo lei si è autoassegnato cinque minuti; le chiedo di indicare alla Presidenza come regolarsi.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, invitandola a tener conto anche delle interruzioni, mi avvio a concludere il mio intervento.

Non si può poi non tener conto di quello che patiranno le persone offese dal reato e le parti civili.

Insomma, riteniamo che spesso si lascia in pace chi appicca l'incendio - come diceva qualcuno - e si castiga invece chi ha dato l'allarme: purtroppo questa frase, specie per quello di cui stiamo parlando, appare assolutamente attuale. Se continueremo così, la tavola dei valori costituenti diverrà cenere: chi leva grida avverso la mercificazione della giustizia verrà castigato e chi ha appiccato l'incendio diverrà una vittima.

L'Italia dei Valori non vuole partecipare alla distruzione del sistema giustizia perché ci sta a cuore la vita e la giustizia dei nostri concittadini ai quali vogliamo rispondere. Per questo riteniamo che tale disegno di legge sia innanzitutto incongruo, ma soprattutto, preliminarmente, assolutamente incostituzionale. (Applausi dal Gruppo IdV e delle senatrici Biondelli e Donaggio).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Li Gotti per illustrare la questione pregiudiziale QP2. Ne ha facoltà.

LI GOTTI (IdV). Signor Presidente, sei mesi fa, a partire cioè dal giugno dello scorso anno, abbiamo iniziato in Commissione giustizia l'esame della riforma, sia pur parziale, del codice di procedura penale, discutendo il disegno di legge presentato dal Governo, nonché i disegni di legge che sulla stessa materia erano stati presentati dall'Italia dei Valori e dagli altri Gruppi.

Nel disegno di legge presentato dal Governo nel giugno del 2009 non c'era la minima traccia del nuovo istituto che si vuole ora introdurre; non solo, ma finanche oggi, in Commissione giustizia, in Ufficio di Presidenza, si è deciso di andare avanti nell'esame dei disegni di legge aventi quel contenuto e non quello di cui stiamo invece discutendo oggi.

Il Governo dunque propone al Parlamento una propria visione della procedura penale e vuole che si vada avanti nell'esame delle sue proposte, che non ha abbandonato; la maggioranza, da parte sua, risponde con un disegno di legge totalmente antagonista a quello del Governo, che dovrebbe difendere le proprie idee. Accade allora che, se da un lato il Governo vuole che si discuta il proprio disegno di legge, dall'altro è però favorevole al disegno di legge della maggioranza, che è antagonista rispetto al proprio. È un atteggiamento veramente schizofrenico. Facciamo una cosa, ma ne stiamo facendo un'altra, e chi sostiene la cosa a me contraria è sostenuto proprio da me che dovrei ostacolarlo.

Nonostante ciò che il ministro Alfano continua amabilmente a ripetere, ossia che l'Europa ci chiede questa norma, noi stiamo facendo qualcosa che l'Europa non conosce. Il diritto comparato non offre spazio all'istituto che oggi si vuole introdurre. Il nostro sistema processuale è organizzato e modulato da sempre sull'estinzione del reato. Oggi si introduce l'istituto dell'estinzione del processo, un istituto di natura processuale che non si armonizza con il sistema, perché il nostro codice non contiene rimedi a questo tipo di intervento o accorgimenti su questo tipo di intervento.

Ha ragione il collega Valentino a dire che partiamo tutti dalla convinzione comune che il processo in Italia duri troppo. Si intervenga, allora, sulla macchina del processo per farlo durare di meno, sui tempi morti del processo, sui grumi processuali, individuati e conosciuti. Noi sappiamo quali sono, tanto è vero che le proposte di riforma vanno in quella direzione. Invece, improvvisamente si decide, con legge e con una norma secca, che i processi dureranno di meno. Non è così. Con legge si prevede che i processi moriranno se supereranno il termine.

È come se, come è stato detto in più occasioni anche in Commissione giustizia, il Ministro della salute volesse abbattere la lista di attesa di un paziente che si vuole sottoporre a una TAC stabilendo che, trascorsi tre mesi dall'iscrizione nella lista di attesa e non avendo ottenuto la prestazione, il paziente decade dal diritto a ricevere la prescrizione, abbattendo così le liste di attesa. Questa non è una risposta ma è esclusivamente un inganno.

Ma voi riuscite a immaginare che, dopo le fatiche di un processo, mentre sta entrando in camera di consiglio, il giudice si fermi sull'uscio, torni indietro e dica: «Fermi tutti, mi sono accorto che in questo momento il tempo è scaduto»? (Applausi dal Gruppo IDV). Quindi, mentre sta per decidere, il giudice comunica alla parte offesa, alla parte civile e all'imputato (probabilmente, ne sarà più felice l'imputato e meno felice la parte civile) che il tempo è scaduto e che egli non può emettere la sentenza.

PRESIDENTE. Anche il suo tempo sta per scadere! (Ilarità. Applausi dal Gruppo PdL).

LI GOTTI (IdV). Questo è il principio generale contenuto nell'articolo 2, che viene aggravato all'articolo 5, nel momento in cui, violando l'articolo 11 delle preleggi e un principio antichissimo, quello del tempus regit actum, si introduce in materia processuale una norma retroattiva. Ciò è contro tutti i principi del nostro Stato di diritto e del mondo occidentale! È una norma retroattiva che va ad attingere su quei comportamenti modulati quando non esisteva tale disciplina. Questo è l'assurdo di incostituzionalità di ciò che si viene a proporre: si penalizzano comportamenti che si sono modulati in assenza della normativa che oggi si vuole introdurre e si fa morire quel processo per fatti non che si devono compiere, ma che si sono in precedenza compiuti.

Questa norma è palesemente incostituzionale e caratterizza questo provvedimento, che è offensivo e rappresenta una delle fasi della morte della giustizia. (Applausi dai Gruppi IdV e PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Mascitelli per illustrare la questione pregiudiziale QP3. Ne ha facoltà.

MASCITELLI (IdV). Signor Presidente, onorevoli colleghi, indipendentemente da ogni altra valutazione, il disegno di legge in questione, in spregio al disposto costituzionale del quarto comma dell'articolo 81 della Carta costituzionale, omette di prevedere una copertura finanziaria per fronteggiare i nuovi impegni di spesa che la nuova legge indubbiamente introduce.

È evidente che, passando da una normativa, qual è quella vigente, che stabilisce una valutazione piuttosto flessibile dei tempi ritenuti non ragionevoli, ad una normativa che invece introduce criteri rigidi per determinare l'irragionevolezza dei termini, si amplierà notevolmente la platea dei beneficiari dei rimborsi per la riparazione dei danni subiti.

È sufficiente riflettere che, per stessa ammissione del Ministero della giustizia, le stime operate dal Governo sul numero di processi interessati dalla disposizione in esame non comprendono l'ambito civile e quello amministrativo e nell'ambito penale non hanno una proiezione dinamica, che cioè tenga conto del meccanismo a regime, limitandosi, per così dire, ad una stima istantanea sottodimensionata.

D'altronde, la questione più che mai attuale dei costi della legge Pinto attualmente in vigore è stata sollevata di recente dal primo presidente della Corte di cassazione, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2009. Egli ha ricordato che l'incremento di tali costi continua ad essere esponenziale e allarmante: alla fine del 2006, erano 41 milioni; in due anni, sono aumentati a 81 milioni. In più vi sono altri 36,6 milioni dovuti ma non pagati. Questa parte è già oggetto di procedure di pignoramento nei confronti del Ministero della giustizia, che non ha potuto onorare l'ulteriore debito derivante dai provvedimenti di condanna delle varie corti d'appello. Stiamo parlando, ripeto, di pignoramenti a danno del Ministero della giustizia. Ciò nonostante, il Governo finge che non vi sia alcun onere e si nasconde dietro l'aleatorietà dei fattori che sono alla base del meccanismo di riconoscimento dell'equa riparazione.

Come se non bastasse, con il disegno di legge si riduce esponenzialmente l'attrattività dei procedimenti speciali, quali l'applicazione della pena su richiesta delle parti o il rito abbreviato, introdotti per attuare una deflazione del carico di lavoro pendente sui tribunali, causando quindi, al contrario, un ulteriore maggiore onere a carico dello Stato.

La stessa Avvocatura associata, che è stata audita nella seduta n. 102 del 2009 della 2a Commissione, ha lamentato gli effetti inflazionistici di questo disegno di legge sulla giustizia civile, il che è suscettibile di determinare inevitabilmente nuovi e maggiori oneri per l'amministrazione della giustizia.

Questi rilievi, signor Presidente, sono stati solo marginalmente rilevati dalla Commissione bilancio nel suo parere del 9 dicembre scorso. Il richiamo ad una generica e non meglio identificata clausola di salvaguardia o di monitoraggio non è in linea con quanto stabilito dalla nuova legge di riforma di contabilità dello Stato, la quale al comma 12 dell'articolo 17, relativo alla copertura finanziaria, specifica che la clausola di salvaguardia deve essere effettiva e automatica e deve indicare le misure di riduzione delle spese o di aumenti di entrata nel caso si verificano o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria.

Con il provvedimento in esame, signor Presidente, non si rispetta quindi neppure la legge vigente, introdotta di recente, e si viola la norma riferita alla specifica clausola di salvaguardia, da redigere secondo i criteri di cui al comma 12 dell'articolo 17.

Per queste ragioni, il disegno di legge avrebbe dovuto quantomeno prevedere risorse aggiuntive per un settore nel quale, al contrario (la Commissione bilancio ne ha preso atto in sede di legge finanziaria), sono stati registrati tagli di risorse negli ultimi anni.

Per questi motivi, poniamo in maniera ferma la questione pregiudiziale di costituzionalità sul disegno di legge in esame.

FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, avevo sottolineato poc'anzi come delicato fosse il passaggio politico che ci stiamo trovando ad affrontare con la discussione di questo provvedimento. Avevo anche sottolineato che la maggiore difficoltà derivava dalla concomitanza di numerosi provvedimenti, tutti univocamente orientati: dal legittimo impedimento alla costituzionalizzazione del lodo Alfano, alla riforma della giustizia preannunciata e a questo processo breve che muta caratteri e forme. È proprio un mutante, questo provvedimento!

Apprendiamo ora da un'agenzia di stampa che domani, come se non bastasse, il Consiglio dei ministri si appresta ad esaminare un decreto-legge ad hoc "sospendi processi".

Ebbene, signor Presidente, lei non vuole convocare la Conferenza dei Capigruppo e non ritiene di dover dare all'opposizione ulteriore spazio e modo per poter prendere in esame il contenuto. Questo fatto nuovo motiva me, nella mia responsabilità di Presidente del maggior Gruppo di opposizione, a convocare immediatamente l'assemblea del mio Gruppo. E in ragione di questo, le chiedo di sospendere la seduta. (Applausi dai Gruppi PD e IdV ).

PRESIDENTE. Senatrice Finocchiaro, non è un'agenzia che può far cambiare l'opinione di questa Presidenza. (Commenti dal Gruppo PD). La Presidenza ha assicurato che durante il corso dei lavori di questo provvedimento convocherà una Conferenza dei Capigruppo. Non è - ripeto - un'agenzia che può indurre questa Presidenza a cambiare idea (Applausi dal Gruppo PdL), tra l'altro per un provvedimento che ancora non esiste. (Commenti del senatore Zanda. Alcuni senatori del Gruppo PD battono ritmicamente le mani sui banchi).

BARBOLINI (PD). E il Governo cosa dice?

PRESIDENTE. Il Governo è presente, c'è qui il sottosegretario Palma. (Vivaci commenti dei senatori Finocchiaro e Zanda).

Senatore Zanda, allo stato attuale stiamo parlando del nulla; stiamo parlando, per ora, di dichiarazioni e di indiscrezioni che non entrano in quest'Aula. Non cambio idea per questo motivo, non sono fatti che possono incidere sull'andamento dei lavori di questo provvedimento. Si tratta - ripeto - di indiscrezioni di agenzie di stampa. Domani vedremo, ma sono provvedimenti ancora da venire, se verranno. Non mi lascio condizionare - né io né qualunque Presidente si può far condizionare - da agenzie di stampa che non attengono a questo provvedimento. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP). Io ho garantito all'opposizione che convocherò la Conferenza dei Capigruppo per rimodulare i tempi e su questa posizione non cambio idea. Mi pare di avere già adempiuto ai miei compiti di garanzia.

ZANDA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZANDA (PD). Signor Presidente, io non le chiedo di cambiare opinione, ma di difendere la dignità del Parlamento. Questo è il suo compito. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE.Senatore Zanda, non abbiamo ancora alcun provvedimento. (Commenti del senatore Zanda). Questo è un dibattito politico che non attiene all'andamento dei lavori parlamentari. Questo Parlamento, allo stato attuale, non è stato offeso da nessuno.

ZANDA (PD). Signor Presidente, lei mi ha dato la parola: mi lasci parlare, per cortesia.

Come ha molto chiaramente illustrato la senatrice Finocchiaro, stiamo trattando una materia di delicatezza estrema. Giunge la notizia che il Governo starebbe per emanare un provvedimento d'urgenza per sospendere i processi.

Il Governo è in Aula e lei è in grado di interpellare il Presidente del Consiglio come vuole. Le chiedo di far smentire immediatamente questa notizia ovvero di consentire al maggior Gruppo di opposizione di riunirsi per valutare politicamente questo fatto gravissimo.

PRESIDENTE. Senatore Zanda, domani avrà luogo una riunione del Consiglio dei ministri per cui si potrà valutare la veridicità o no di questa notizia. Questo è un dibattito politico. (Commenti del senatore D'Alia). Senatore D'Alia, mi sembra che si stia parlando del nulla, parliamo piuttosto di attività parlamentare (Commenti del senatore Zanda); qui si approvano leggi nel rispetto dei diritti della maggioranza, dell'opposizione, del Governo, di tutti. Parliamo di questo.

ZANDA (PD). Signor Presidente, lei ha un dovere nei confronti dell'opposizione; lei ha dei doveri nei confronti dell'opposizione.

PRESIDENTE. Senatore Zanda, la ringrazio.

Ha chiesto di intervenire la senatrice Bugnano per illustrare la questione pregiudiziale QP4. (Vivaci commenti dai Gruppi PD e IdV. Alcuni senatori del Gruppo PD battono ritmicamente le mani sui banchi).

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, mi permetto di reiterare la richiesta di convocazione della Conferenza dei Capigruppo, anche perché il preannunziato decreto-legge incide anche sul provvedimento in esame. Sarebbe pertanto utile ed opportuno un coordinamento e un'organizzazione dei lavori parlamentari, al di là delle opinioni che ciascuno di noi può avere su questi provvedimenti. Se fosse possibile sospendere la seduta e convocare la Conferenza dei Capigruppo...

PRESIDENTE. Senatore D'Alia, la Presidenza si è già pronunciata sull'argomento. È la terza volta che si richiede...

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). È la seconda volta.

PRESIDENTE. Mi correggo, senatore D'Alia, è la seconda volta.

Ho già assunto un impegno in tal senso e lo manterrò. Convocherò la Conferenza dei Capigruppo nel prosieguo dei lavori e prima di passare alla votazione degli emendamenti. Mi sembra di essermi già espresso in tal senso e non credo che eventi da venire, comunicati tramite agenzia stampa, possano indurre a modificare decisioni assunte dalla Presidenza sul disegno di legge in esame. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).

Non mi lascio trascinare dalla polemica politica. È mio dovere mantenere la barra al centro sull'andamento dei lavori, nel rispetto dei diritti dell'opposizione, che ha reclamato più tempi alla luce degli emendamenti presentati ieri, tant'è vero che due ore fa mi sono espresso dicendo che a questa Presidenza non sfugge la circostanza che ieri sera sono stati presentati emendamenti forti ed innovativi. Lo ripeto, a questa Presidenza non sfuggono questo argomento e questa circostanza, per cui, alla luce di tale evento, la Presidenza si riservava, così come si riserva e si impegna, a convocare domani una Conferenza dei Capigruppo.

Adesso invito i colleghi a consentire agli esponenti dell'opposizione che hanno presentato questioni pregiudiziali di poterle serenamente illustrare. Domani è un altro giorno; domani ci riuniremo e convocheremo la Conferenza dei Capigruppo.

BELISARIO (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, già avevamo espresso all'inizio dei nostri lavori odierni alcune perplessità e lo avevamo fatto con grande garbo e puntualità. Mentre si discute è evidente che ciò che lei definisce il nulla non è il nulla e allora con grande pacatezza le ribadisco la richiesta di una convocazione della Conferenza dei Capigruppo, ma non per...

PRESIDENTE. Su che cosa, senatore Belisario? La Presidenza ha assunto una determinazione sulla quale non intende ritornare, perché convinta del fatto che la Conferenza dei Capigruppo vada convocata per rimodulare i tempi di spettanza dell'opposizione per esaminare nuove proposte. (Commenti del senatore Belisario). Noi interveniamo su questo processo legislativo. La polemica politica la si faccia nelle trasmissioni televisive, la si faccia altrove, non in quest'Aula.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, abbiamo provato a mantenere un livello di confronto il meno acceso possibile e vogliamo continuare a mantenerlo.

PRESIDENTE. Ve ne do atto.

BELISARIO (IdV). Mi pare però che in questa maniera ne vengano meno le condizioni. (Alcuni senatori del Gruppo PD battono ritmicamente le mani sui banchi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, questo atteggiamento non vi fa certamente onore. Vi prego di mantenere la vostra storica compostezza, della quale ho sempre fatto cenno nei miei interventi.

Senatrice Bugnano, ritiene di dover illustrare la questione pregiudiziale QP4?

BUGNANO (IdV). Sì, signor Presidente, ma non posso intervenire in queste condizioni. (Il senatore Della Seta batte ritmicamente le mani sul banco).

PRESIDENTE. Non cambio idea: la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari sarà convocata nella giornata di domani.

Senatore Della Seta, la richiamo all'ordine. (Il senatore Della Seta continua a battere ritmicamente le mani sul banco. Vivaci proteste dal Gruppo PD).

Senatore Della Seta, la richiamo per la seconda volta. (Alcuni senatori dei Gruppi PD e IdV battono ritmicamente le mani sui banchi). Perché dovete creare un incidente d'Aula? (Commenti del senatore Bianco). Colleghi, non costringetemi a fare delle espulsioni, perché ciò è contrario al mio carattere.

BIANCO (PD). Faccia pure un'espulsione! (Vivaci proteste dal Gruppo PD).

PRESIDENTE.Sospendo la seduta per cinque minuti. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).

(La seduta, sospesa alle ore 19,56, è ripresa alle ore 20,03).

La seduta è ripresa.

GASPARRI (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPARRI (PdL). Signor Presidente, visto che lei ha più volte detto - e noi siamo d'accordo con lei - che è ovvia ed è possibile una diversa definizione dei tempi, anche in ragione dei nuovi argomenti introdotti con gli emendamenti, che peraltro accolgono molte delle osservazioni emerse dal dibattito, la proposta del nostro Gruppo è di sospendere adesso i lavori dell'Aula e di convocare domani mattina la Conferenza dei Capigruppo, prima dell'inizio della seduta, al fine di valutare una diversa modulazione dei tempi.

PRESIDENTE. Allora, apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

La Conferenza dei Capigruppo è convocata domani mattina alle ore 9.

Mozioni e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza una mozione e interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno
per le sedute di mercoledì 13 gennaio 2010

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi domani, mercoledì 13 gennaio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 9,30 e la seconda alle ore 16,30, con il seguente ordine del giorno:

(Vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 20,05).

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