Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 febbraio 2011

La velleità e la realtà
Luigi Manconi
l'Unità 20 febbraio 2011
Sarà pure logora l’immagine del cucchiaino che pretende di svuotare il mare, ma stavolta – davanti a quel Mediterraneo brulicante di fuggiaschi e alle goffe parole dei nostri governanti – può risultare pertinente: e, tuttavia, inadeguata a dare l’esatta misura della sproporzione tra l’enormità dei fatti e la gracilità delle risposte. Risposte di breve, brevissimo respiro se è vero, come è vero, che anche la parola d’ordine  orgogliosamente rivendicata dell’azzeramento degli sbarchi si è rivelata un messaggio vaniloquente. Ne è uscita ridicolizzata, ad appena pochi mesi dal suo proclamato successo, la velleitaria “strategia del Mediterraneo” del Governo italiano. Come stupirsene? La politica dei respingimenti e del pattugliamento delle due sponde del Mediterraneo era destinata inevitabilmente - per ragioni demografiche, economiche e sociali – al fallimento: ma Silvio Berlusconi, Roberto Maroni e Franco Frattini hanno provato a farci credere il contrario. O forse (il che, per certi versi, è persino più inquietante) erano proprio loro i primi a crederci davvero. Viene da domandarsi: ma che giornali e libri leggono e a quali paper e dossier ricorrono, questi nostri statisti? Ignorando pervicacemente i dati di realtà e gli effetti dei processi di globalizzazione, hanno affidato l’intera politica per l’immigrazione a due pilastri, la cui fragilità non ha tardato a rivelarsi: a) la chiusura delle frontiere dell’Italia meridionale e insulare; b) la sudditanza del governo nei confronti dei regimi dispotici dell’Africa settentrionale. Esemplare come sempre, tra inconsapevole umorismo nero e sgangherata politica estera, Berlusconi che, mentre la Libia insorge, dice di “non voler disturbare Mohamed Gheddafi”. Di quei due pilastri della politica per l’immigrazione, il primo ha ceduto immediatamente: il blocco degli sbarchi a Lampedusa ha prodotto l’incremento degli arrivi via mare in Sardegna, in Calabria e in Puglia e, attraverso itinerari più lunghi e pericolosi, in altre regioni. Questi flussi hanno una relazione diretta con i movimenti interni ai paesi di provenienza e si contraggono o si espandono in rapporto alle dinamiche dei blocchi di potere lì dominanti. La crisi che ha scosso e continua  a scuotere paesi come la Tunisia, l’Algeria, l’Egitto, la Libia e altri ancora, ha effetti contraddittori: nel breve periodo, produce fughe collettive ma anche nuove ragioni per restare e costruire lì un futuro diverso. Nel medio e lungo periodo, determinerà grandi movimenti migratori: sia perché l’irrisolta crisi economica mondiale non offre adeguate soluzioni locali, sia perché le nuove generazioni non possono trovare in quei paesi risorse adeguate alle proprie crescenti aspettative. I nuovi migranti saranno giovani e giovanissimi, provenienti da controverse esperienze di democrazia, con livelli medio-alti di istruzione ed elevate competenze tecnico-scientifiche, dotati di strumenti di informazione e comunicazione e titolari di una identità storico culturale, disposta alla negoziazione ma non alla rinuncia. La sfida che ci aspetta è, dunque, assai difficile. Meglio esserne consapevoli che affidarsi alle motovedette della Marina italiana.


 
IMMIGRATI: 143 SOCCORSI A LAMPEDUSA SU 2 BARCHE
(AGI) - Palermo, 21 feb. - Altri 143 immigrati, su due diverse imbarcazioni, sono stati soccorsi all'alba dalla Guardia costiera nel mare di Lampedusa. Un gruppo di 89 persone era a bordo di un natante di 15 metri, che e' stato il primo a essere individuato, mentre i restanti 43 viaggiavano su uno scafo piu' piccolo di 8 metri. Entrambe le barche sono state scortate fino nel porto dell'isola dove gli stranieri, che ad un primo esame sono apparsi tutti uomini adulti, hanno dichiarato di essere tunisini. La Guardia costiera ritiene che le due imbarcazioni soccorse stamane siano le stesse segnalate ieri a una cinquantina di miglia da Lampedusa.


 
La Libia all'Ue: vi inondiamo di clandestini

L 'ultima minaccia di Gheddafi: se l'Unione Europea continua ad appoggiare la rivolta verra sospesa la cooperazione per impedire le partenze dei migranti. E la Farnesina si prepara a fronteggiare l'esodo
il Giornale, 21-022-2011
Francesco De Remigis    
Dal Viminale alla Farnesina si cerca di scongiurare un solo scénario: l'invasione, considerata possibile dopo l'annuncio dato ieri dalla presidenza di turno dell'Unione europea. La Libia ha infatti comunicato che la cooperazione sulla gestione dei flussi sarà «totalmente congelata», se non cessera immediatamente il sostegno alle rivolte espresso dal- l'Unione europea. A Tripoli già non è piaciuta la dichiarazione dell'Alto rappresentante per la Politica estera dei Vecchio Continente, Catherine Ashton. Mercoledi aveva invitato la Libia ad ascoltare la voce del popolo. E, soprattutto, ad evitare ogni forma di violenza nel fronteggiare le manifestazioni anti Gheddafi. Ieri ha rincarato la dose: «L'Ue fa ciò che è giusto». Parole che hanno incrinato il muro libico all'immigrazione clandestina.
Dopo l'ondata egiziana e quella tunisina,il rischio grava soprattutto sull'Italia. Il Viminale ricorda bene i 15 mila sbarchi affrontati prima degli accordi dei 2009, con cui gli ingressi sono stati azzerati dei 90 per cento. Proprio grazie alie motovedette in campo libico che oggi potrebbero essere bloccate. Tripoli, finora, ha provveduto al controllo delle spiagge e, in soli tre mesi dall'applicazione del trattato, i risultati sono stati evidenti. Solo poche decine le partenze verso l'Europa e quasi nessun approdo in territorio italiano; anche grazie ai respingimenti, a cui sono state abbinate immediate procedure di rim- patrio, tutto ha funzionato. Almeno finora. Perché la minaccia di interrompere la collaborazione con l'Europa ha allertato piú che mai il governo italiano.
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è «estremamente preoccupato». La Farnesina non è però impreparata, anzi è stata informata per tempo sul da farsi per uscire dal pantano. La Libia pone precise condizioni. Giovedi scorso il segretario del Ministero  degli Esteri di Tripoli ha convocato l'ambasciatore italiano in separata sede, insieme ai colleghi di altri cinque paesi, spiegando quali sono le direttive da rispettare per continuare a collaborare; almeno con i sei paesi che la Libia considera «piú che amici, fratelli». Italia, Spagna, Porto- gallo, Malta, Grécia, Cipro, per cui si poterebbe fare «un'eccezione alie misure di ritorsione» paventate contro l'Europa (e la Ashton). In primis, il silenzio su ciò che sta accadendo in Libia. II rapporto di amicizia che unisce Roma a Tripoli offre dunque chances per evitare di lasciare scoperto un altro fronte maghrebino. Tutto purché la collaborazione con l'unica fetta di Nordafri- ca ancora sorvegliata non salti: secondo le ultime analisi dell'intelligence, dalla Libia potrebbero partire decine di migliaia di clandestini, mutando ulteriormente lo scenario, già definito «biblico» dal ministro Maroni. L'annuncio di ieri, che ha reso la minaccia ufficiale, rende tutto più dificile. E se al Ministero dell'Interno l'analisi dei rischi è più préoccupante del già grave bilancio espresso da Maroni, alia Farnesina si cerca di parlare il meno possibile. Per non irritare Tripoli. Perché l'Italia rischia. Ma è anche in una posizione diplomatica privilegiata rispetto ad altri paesi. Se i pattugliamenti libici saltassero, sarebbe letale per la gestione dei l'emergenza sbarchi, ieri ripresi anche a Lampedusa: dopo una pausa dovuta al maltempo è partita da Sfax, in Tunisia, un'imbarcazione con 13 persone. Poiunbarco- ne con a bordo una cinquatina di migranti. La causa del- l'assenza di referenti tra le autorità tunisine in grado di governare le coste dopo le ri¬volte sta generando questi ri¬sultati. Meglio evitare un altro mosaico di imbarcazioni dirette in Italia anche dai porti libici. Altrimenti lo scena¬rio disegnato nei giorni scorsi dal ministro Maroni, che aveva evocato la possibilità di superare gli 80mila arrivi soltanto dall'Egitto e dalla Tunisia, andrebbe aggiornato drammaticamente.



Riprendono gli sbarchi a Lampedusa Gli abitanti: "L'isola sta per esplodere"
Ieri mattina sono arrivati 13 uomini su un gommone, e la sera altri 40 profughi
La Stampa, 21-02-2011
LAURA ANELLO
LAMPEDUSA  -Lo sapevano qui, che era soltanto una trégua. Che era stato il mare grosso, e nient'altro, a fermare l'on-data di barconi dalla Tunisia. La certezza si è materializzata ieri mattina, quando è apparsa all'orizzonte la sagoma di 13 uomini a bordo di un gommone. Ed è diventata allarme quando ne sono arrivati altri 40, fat-ti sbarcare alle otto di sera dopo un lungo stop a 30 miglia dalla costa.
A Lampedusa si torna in trincea, con oltre 1.200 immigrati sull'isola e il fragile equilibrio della convivenza forzata che rischia di spezzarsi da un momento all'altro. «Il rischio di ri-volta è doppio - racconta un operato-re, - i locali cominciano a non poterne più, i tunisini immaginavano di es-sersi conquistati la libertà e restano qui a contare i giorni».
Basta farsi un giro in paese per co-gliere segnali di paura, di diffidenza, di nervosismo. Le due donne che gesti-
scono l'edicola chiudono aile sette e scappano a casa. Da un negozio esce un piccoletto con un paio di bottiglie di birra sotto braccio, in barba al divieto di vendere alcolici. Probabilmente, die-tro l'angolo, ci sarà una mano a porge-re la mancia. Un ragazzo racconta con i pugni chiusi dalla rabbia: «Passeggia-vo con la mia fidanzata, uno di loro le ha fatto un'avance pesante. Ho tirato dritto, non voglio problemi, ma la pros-sima volta lo prendo a pugni». Agli an-goli della strada, qualcuno scambia di-nari in euro, perché le banche locali non hanno valuta straniera. Ma i soldi in tasca agli immigrati stanno finendo e nell'isola cresce la tensione: «Voglia-mo andarcene, vogliamo lavorare».
Due supermarket, quelli più piccoli e con meno personale, tengono le porte chiuse e aprono solo ai clienti cono-sciuti, i più grandi contengono a fatica le code di tunisini ché fanno incetta di biscotti e scatolette. Perché non tutti dormono al Centro di accoglienza, do-ve tetto e pasti sono garantiti. Un gruppo sta ancora nei locali messi a di-
sposizione dal Comune, ma c'è anche chi ha occupato villette disabitate e cu-cina li, nel barbecue delle vacanze estive. Immaginando che fuori dal centro sia più semplice, al momento opportu-no, dileguarsi e andare via.
Già. La contraddizione dell'isola-pri-gione sta esplodendo, proprio mentre cresce la paura «che salti anche il tap-po Libia». Chi sono oggi questi immigrati?.  Clandestini no, perché il reato di immigrazione irregolare è come conge-lato in attesa degli sviluppi internazio-nali, ma neanche uomini liberi. Né profughi, né asilanti, né buoni né cattivi. Qui, su questi 21-chilometri quadrati in mezzo al Mediterraneo, possono andare ovunque, come se Lampedusa fosse diventata una sorta di Centro di accoglienza diffuso. Ma non possono parti-re: le forze dell'ordine controllano pure i teloni dei Tir prima che si imbarchino verso Porto Empedocle. Incertezza che si vive nei centri di accoglienza di tutta Italia, dove i migranti portati via da qui affollano sia i Cie, i Centri di identificazione e di espulsione, sia i Cara, dedicati a coloro che richiedono asilo. Rimpatri sospesi, indicazioni con-traddittorie. Nessuno sa esattamente cosa fare. Soltanto i tunisini, qui a Lampedusa, hanno le idee chiare: «Vogliamo andare in Francia, in Germania, viaggiare, raggiungere i nostri parenti». Ma l'illusione si spegne ogni giorno, confermata dalle notizie che i più esperti pescano negli Internet point.
Cosi, mentre sbarcano i nuovi arrivati, mentre l'Europa batte un colpo con l'arrivo ieri mattina dei primi funzionari delia missione di Frontex incaricata di aiutare l'Italia nel pattuglia-mento e nell'accoglienza, qui negli occhi di tutti c'è la stessa domanda: «Quanto durerà ancora?».



A Bengasi una carnefícina Gheddafi minaccia l'Europa
II massacro in Cirenaica non si ferma, i morti sono centinaia. Il Colonnello usa il pugno duro e minaccia l'Europa: se continuera ad appoggiare i manifestanti, Tripoli fermera la coope-razione sui clandestini.
l'Unità, 21-02-2011
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
Fa sparare con razzi e cannonate sulla folia. Ordina agli elicotteri di mitragliare anche i bambini. Cerca e ottiene il massacro «esemplare». Assolda mercenari per semi nare morte e terrore. E ora ricatta l'Europa. È 1'ordine firmato Muam mar Gheddafi. Bengasi è insorta Una città messa a ferro e fuoco dall'esercito libico e dagli squadro ni delia morte assoldati dal Colon nello. II bilancio delle vittime cresce di ora in ora. E dà conto di un massacro. Fonti mediche citate dal sito «Lybia al Youm» afferma-no che sono 285 le persone rimaste uccise durante gli scontri fra manifestanti e le forze armate dei regime. È tutta la Cirenaica in fiamme: Bengasi, Al Bayda, Darna, Tobruk. La protesta si estende anche in altre aree dei Paese e ini-zia a lambire la capitale, Tripoli. Secondo 1'organizzazione umanitaria Human Rights Watch gli scontri in Libia da martedi hanno provocato almeno 173 morti in tutto il Paese.
FUOCO SUL FUNERALE
Per la Cnn, che cita fonti mediche, i morti in Libia sarebbero almeno 209. Negli scontri di ieri a Bengasi, descritti come «una carnefícina», le persone rimaste uccise sarebbero almeno 25. L'emittente americana riporta, citando testimoni oculari, che gli scontri di Bengasi hanno avuto inizio quando i partecipanti ad alcuni funerali sono passati a Bengasi davanti al campo militare Alfadeel Abu Omar. Alcuni militari hanno aperto il fuoco contro i funerali. In risposta, alcuni manifestanti hanno riempito di esplosi-ví un'auto e 1'hanno lanciata contro i militari. Gli scontri sono dege-nerati in quella che alcuni testimoni hanno riferito alia Cnn come «una carnefícina» L'esercito ha sparato razzi Rpg sui manifestanti a Bengasi. Lo riferisce un testimone alia tv satellitare Al Jazira aggiungendo che le forze del regime stanno anche utilizzando proiettili urticanti per disperdere la manifestazioni. Secondo un attivista anti-Gheddafi, Mohamed Nabus, sono 258 i corpi all'obitorio dell'ospedale al Galaa delia città. Racconta Mahmoud che a Bengasi si è svolta ieri una manifestazione di circa 50mila persone davanti alla stazione di polizia. Secondo un altro attivista dei diritti uma-ni, Essam Hassan, sempre nella più grande città délia Cirenaica, si sono svolti ieri 100 funerali di vittime degli scontri, provenienti tutti dallo stesso ospedale. In un'altra città libica, a Derna, Saleh Naji racconta ad Al Jazira che all'aeroporto militare di El Abraq è atterrato un gruppo di circa 70 militari, fra i quali numerosi mercenari africani, a presidio dello scalo militare attorno al quale, ha riferito il testimone, ci sono numerosi cadaveri, anche bruciati.
IL RICATTO
Dalle macerie di Bengasi ai ricatti di Tripoli. Ricatti all'Europa. Se l'Unio-ne Europea non cessera di sostene-re le rivolte in corso nei Paesi del Nord Africa e in particolare in Libia, Tripoli cesserà ogni cooperazione con la Ue in materia di gestione dei flussi migratori: è questa la minaccia arrivata alla presidenza ungherese di turno delia Ue da parte delle autorità libiche. «Il nostro ambasciatore è stato convocato giovedi a Tripoli e gli è stato detto che se l'Unione europea non smetterà di sostenere i manifestanti, la Libia interromperá gli accordi di cooperazione sull'immigrazione illegale, ha riferito il portavoce délia presidenza, Gergely Polner. Lo stesso messaggio «è stato poi trasmesso agli altri rappresentanti europei a Tripoli», aggiunge il portavoce,precisando che le autorità libiche hanno voluto in questo modo esprimere la loro insoddisfazione per le dichiarazioni giunte dall'Europa. In particolare per le dichiarazioni fatte mercoledi dall'Alto rappresentante delia Politica estera délia Ue, Catherine Ashton, con le quali si invitava Tripoli ad ascoltare la voce del popolo e, soprattutto, ad evitare qualsiasi forma di violenza. Al ricatto del Colonnello ribatte seccamente Lady Pesc: l'Unione europea fa ciò che è giusto e chiede aile autorità libiche di fermare «subito» le violenze contro i manifestanti. dichiara da Bruxelles Ashton, al suo arrivo al Consiglio esteri. Da Bruxelles riacquista la parola anche Franco Frattini: nessuna condanna per i massacri in atto, neanche una parvenza di critica verso la brutale repressione ordita da Gheddafi. L'Italia, comunica il titolare della Farnesina, è preoccupata «per le ripercussioni» sui flussi migratori nel Mediterraneo.*



Cirenaica, un'altra polveriera che esplode sotto la bandiera dell'Islam
Il Messaggero, 21-02-2011
MARCO GUIDI
C'erano tutti i motivi per presupporre che anche la Libia non sarebbe rimasta immune da manifestazioni popolari contro il più che quarantennale domínio di Gheddafi. Soprattutto hanno visto giusto quellicheavevano identificato in Cirenaica e a Bengasila zona più rischio per il regime. Bengasi ha fama dicittà turbolenta e molto critica nei confronti delpotere. Ci sono motivi geograflci e cultwali: la Cirenaica non ha mai gradito troppo essere sottoposta ai potere di Tripoli, considera-to troppo accentratore, troppo favorito dal governo nella  spartizione delle immense risorsepetrolifere. Ma, soprattutto, Bengasi e la Cirenaica vedono una fortepresenza islamica che guarda con saspetto al troppo laico Gheddafi. D'altra parte proprio in Cirenaica avevano il loro centro di potere i Senussi, che non sono solo una confraternita islamica, ma sono da sempre capeggiati da una dinastia di sceicchi da cui è uscito il primo e unico re di Libia, Idris, spodestato da Gheddafi nel 1969.
L'Islam nella versione Senussita non è mai stato estirpato dalla Cirenaica e dal deserto, nê dagli italiani né da Gheddafi. E adesso si è aggiunto l'altro Islam, quello più propriamente politico e militante. Ora che la rivolta (non la chiameremmo rivoluzione, come non chiameremmo rivoluzioni quelle tunisine ed egiziane) tende a estendersi più a Ovest, lo fa seguendo i canali islamici Insommà, in Libia, la rivolta ha il colore verde dell'Islam. Un colore che, peraltro, sta tingendo anche altre rivolte in altre zone dei mondo arabo. Nella cosiddetta laica Tunisiasisegnalano fenomenipreoccupanti, come l'assassinio, venerdi scorso, dei sacerdote cattolico Ma-rek Rybinski e come la manifestazione di integralisti contro le case di. tolleranza tunisine dell'antica Medina. Certo alla manifestazioni degli islamici sono seguite contro manifestazioni dei laici, ma il segnale c'è, preciso.
Un segnale che non ha bisogno di essere    messo in rilievo in Algéria, dove la contestazione, anche violentíssima e. armata, al governo corrotto e accentratore degli eredi del Fnl è sempre stata islamica. Dopo annidi massacri ediguerra civile, oggi gli islamici si dimostrano più moderati, ma non vinti né assenti Lostesso discorso non puà essere fatto cheparzialmente per il Marocco dovegli islamici si mescolanû, mimetizzandosi tra i manifestanti 'laici", anche considerando che il re Maometto VI vanta una discendenza diretta dal profeta Maometto.
Le cose si fanno più complesse invece in Egitto, dove si prospetta una sorta di accordo strisciante tra i Fratelli Musul-mani e i militari che hanno oggi tutto il potere. La grande manifestazione del 18 a piazza Tahrir ha visto il dominio assoluto dei Fratelli e del loro ispiratore, lo sceicco Yusuf al-Karadawi. Un dominio sottolineato da due fatti: primo, l'allontanamento dal podio di Wael Ghonim, responsabile di Google ederoedella piazza quando si gridava "Via Mubarak". Il seconda fatto è stata la dkhiarazione di Karadawi sulfatto che Gerusalemmedovrà tornarearaba. Un'affermazione che si sposa con la volontà dei Fratelli Musulmani di indire un referendum sugliaccordidi Camp David che hanno segnato la pace con Israele. Al di là delle rivolte sciite del Bahrein e dello Yemen si tratta di segnali precisi: l'Islam politico, messo in ombrà neiprimigiomi delle sollevazioni tunisine ed egiziane, sta mettendo fuori la testa. Ed essendo la sola organizzazione strutturata, potente e articolata mette una seria ipoteca sul futuro di un intero scacchiere.



Emergenza sbarchi, altri 132 tunisini a Lampedusa
Ier due barche hanno portato in Italia 54 tunisini. Parte l'operazione Frontex.
Il Salvagente, 21-02-2011
Giulia Nitti
È ormai un vero e proprio filo diretto quello che va dalla Tunisia a Lampedusa. Due barche con a bordo circa 130 persone sono giunte nelle nella notte nell’isola siciliana, dove da giorni si susseguono gli sbarchi.
Le due imbarcazioni, che erano state segnalate ieri pomeriggio ma di cui poi si erano perse le tracce, sono arrivate sull'isola nel Mediterraneo tra le 4 e le 5, con a bordo rispettivamente 89 e 43 persone, che hanno tutte dichiarato di essere di nazionalità tunisina.
Intanto, dopo i trasferimenti in altre regioni dei primi migranti giunti, sono oltre 1.000 le persone ancora ospitate a Lampedusa, dove ha riaperto il centro di accoglienza.
Partita l’operazione Frontex
E ieri è cominciata ufficialmente un'operazione congiunta tra Italia, Malta e Frontex, l'agenzia dell'Unione europea per il controllo delle frontiere, che prevede il dispiegamento di altre unità aeree e navali.
"Nei giorni successivi saranno attivate le attività di seconda linea con il dispiegamento di esperti in informazione/screening - dice un comunicato diffuso sabato scorso da Frontex - Il loro compito sarà quello di raccogliere informazioni necessarie per l'analisi, per definire la nazionalità dei migranti, e garantire una rapida individuazione e prevenzione di possibili attività criminali ai confini esterni della Ue".
Gli sbarchi di ieri
Sono ripresi gli sbarchi d'immigrati a Lampedusa. Stasera infatti, è entrato nel porto di Lampedusa il barcone che era stato avvistato nel primo pomeriggio a circa 30 miglia a Sud di Lampedusa da un aereo della Guardia Costiera in ricognizione nel Canale di Sicilia.
Sono quaranta, tutti uomini. Sono già stati trasportati nel centro di accoglienza che ospita attualmente 1.173 extracomunitari dopo la partenza di 270 tunisini avvenuta ieri con dei ponti aerei.
È questo il secondo sbarco registrato in poche ore dopo quello avvenuto in mattinata con 14 tunisini. Il barcone è stato scortato da due motovedette della Capitaneria di Porto, da una della guardia di finanza e e da una nave della Marina Militare. Gli extracomunitari saranno adesso soccorsi ed identificati.
Il vecchio aggiornamento
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha firmato oggi l'ordinanza di protezione civile che contiene le misure per affrontare l'emergenza immigrazione dopo gli sbarchi avvenuti a Lampedusa.
L'ordinanza contiene tra l'altro la nomina del prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, a commissario straordinario e i fondi per la trasformazione del Villaggio degli aranci a Mineo, in provincia di Catania, dove dovrebbero essere ospitati i richiedenti asilo.
La Cei: serve un decreto flussi
Stamattina sul tema era intervenuta la Cei.
"Occorre valutare la possibilità di un decreto flussi straordinario per fare fronte all'ondata di sbarchi di rifugiati dal Nordafrica": è stata la richiesta della Conferenza episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, che oggi hanno diffuso una nota stampa in merito agli sbarchi dei giorni scorsi.
Il decreto avrebbe come obiettivo quello di dare la possibilità agli immigrati di trovare un lavoro regolare.
Tra le proposte dei due organismi c'è anche quella di "rafforzare la cooperazione internazionale nel Paesi del Nord Africa, con risorse e piani di sviluppo che guardino non solo alla creazione di macro-progetti, ma anche di microprogetti, costruiti con la partecipazione delle persone, famiglie sul territorio, che rispondano immediatamente ai bisogni delle famiglie, delle città nordafricane".  
Il destino dei profughi
In un'intervista al tg di Sky tg 24 il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis, ha annunciato ieri che entro 10 giorni gli  immigrati approdati sull'isola verranno dirottati verso altre destinazioni. Intanto è trascorsa la quarta notte senza sbarchi, anche se non si hanno ancora notizie del barcone di 45 metri di cui si sarebbero perse le tracce da ieri intorno a mezzogiorno.
L'incontro con il ministro
Questa mattina De Rubeis, ha incontrato al Viminale il ministro dell'Interno Roberto Maroni e da lui ha avuito rassicurazioni sui trasferimenti. "Il ministro", ha detto il sindaco a margine dell''incontro", mi ha già comunicato che due voli sono già a Lampedusa per trasferire 200 immigrati. Si sta aprendo inoltre il 'villaggio della solidarietà' di Mineo dove andranno i richiedenti asilo. Per quanto riguarda i 'Car' che si renderanno liberi, ospiteranno i tunisini che sono attualmente a Lampedusa e quelli che potrebbero arrivare nei prossimi giorni". Attualmente sono ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa 1.740 immigrati tunisini.
Azioni concrete
Dalla prossima settimana l'Ue agirà concretamente per far fronte all'emergenza immigrati. Lo ha detto oggi il ministro dell'Interno Roberto Maroni, rispondendo al Question time alla Camera sulla nuova emergenza immigrazione seguita alla crisi politica in Tunisia.
"Dopo il mio intervento, quello del premier (Silvio) Berlusconi e del presidente della Repubblica (Giorgio) Napolitano le nostre richieste sono state accolte e dalla prossima settimana ci saranno azioni specifiche da parte delle istituzioni europee, in primis la riunione del Consiglio Gai (responsabili Giustizia e Affari interni, ndr)", ha aggiunto il responsabile del Viminale.
Le promesse dell'Ue
La Commissione europea cede alla pressioni di Maroni e assicura una sua assistenza finanziaria, pur non quantificandola. Anche per questo lavora per far partire una missione nel Mediterraneo di Frontex, l'agenzia per la cooperazione nelle operazioni di confine.
Lo ha detto  il portavoce della commissaria Ue agli Affari interni, in risposta alle richieste di assistenza avanzate dall'Italia. "Abbiamo ricevuto la lettera inviata da (il ministro dell'Interno Roberto) Maroni e stiamo identificando le misure più convenienti. La Commissione può fornire assistenza finanziaria per far fronte all'emergenza", ha detto Michele Cercone, portavoce della commissaria Ue per gli Affari Interni Cecilia Malmstrom,.
Il portavoce di Malmstrom non ha fornito dettagli sul possibile supporto finanziario, ma ha ricordato che nel caso dell'emergenza verificatasi in Grecia nel 2010, per far fronte a ondate di migranti provenienti dalla Turchia, la Commissione mise a disposizione 9,8 milioni di euro.
Sui tempi necessari per sbloccare possibili fondi Ue, Cercone ha detto che "il finanziamento può essere disponibile abbastanza presto."
Berlusconi se ne va
Il capo del governo Silvio Berlusconi non sarà presente alla conferenza stampa prevista per questa mattina alla prefettura di catania. La notizia è trapelata dopo la diffusione della decisione del gip di Milano di rinviare il premier a giudizio per il caso Ruby. Questa mattina Berlusconi aveva deciso di accompagnare il ministro dell'Interno Maroni in Sicilia, per inaugurare una struttura a Mineo (Ct) che dovrà ospitare gli immigrati sbarcati a Lampedusa.
L'emergenza
Maroni è allarmatissimo: "Possono sbarcare in 80.000" - afferma, mentre tutt la giornata di ieri è stata segnata dalla polemica sugli sbarchi di migranti a Lampedusa tra i rappresentanti della Commissione europea e lo stesso Maroni.
Il ministro, dopo aver annunciato che è stato dichiarato lo stato di emergenza per la gestione dell'aspetto umanitario, ieri sera ha precisato che in una lettera formale inviata alla Commissione europea, l'Italia ha chiesto uno stanziamento di 100 milioni di euro per fronteggiare l'emergenza immigrazione, e nuovo ruolo operativo di Frontex, l'Agenzia europea delle frontiere.
Il botta e risposta di ieri
Ieri c'era stato un duro botta e risposta tra il ministro leghista e la commissaria agli Affari interni Cecilia Malmstrom. In risposta alle parole della commissaria, Maroni ha reagito negando che l'Italia vesse rifiutato il supporto da Bruxelles: "Non è vero che l'Italia ha rifiutato l'aiuto offerto dalla Commissione europea. Ho sentito la commissaria sabato scorso e ho avanzato alcune richieste, peraltro non nuove: l'intervento di Frontex per controllare il Mediterraneo, gestire i centri per gli immigrati e rimpatriare i clandestini, nonché il rispetto del principio del 'burden sharing', che cioè siano tutti i paesi dell'Unione a farsi carico di rifugiati e clandestini. Rispetto a queste richieste per ora non abbiamo avuto risposta".
Poi ha puntualizzato: "In ogni caso non è nostra intenzione polemizzare con la commissaria Malmstrom. La critica è rivolta più in generale all'Europa, dalla quale ci aspettiamo che passi dalle parole ai fatti, dando risposte concrete alle richieste da tempo avanzate dall'Italia".
La polemica dopo le lamentele di Maroni
La polemica era scoppiata dopo le lamentele di Maroni, preoccupato per l'ondata di sbarchi dalla Tunisia degli ultimi giorni. Alle dure parole del ministro, che aveva detto "l'Europa non ci aiuta",  la commissaria Malmstrom ha risposto stamattina bacchettandolo. Dicendo che il ministro dell'Interno italiano ha "rifiutato il nostro aiuto". Nonostante ciò, ha detto la Malmstrom, la Commissione “è pronta ad aiutare e a mostrare concreta solidarietà all'Italia” per fronteggiare l'eccezionale ondata di arrivi dalla Tunisia.
Cecilia Malmstrom ha infatti raccontato di essere stata formalmente in contatto proprio sabato scorso con le autorità italiane, chiedendo in che modo la Commissioine potesse fornire sostegno. "La loro risposta", queste le parole della commissaria, "è stata: 'no grazie, in questo momento non ne abbiamo bisogno'". Per questo la rappresentante si è  dichiarata “molto sorpresa” dalle dichiarazioni del ministro italiano.
L'intervento del Vaticano
Sulla questione interviene anche il Vaticano attraverso il sottosegretario del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, padre Gabriele Bentoglio: ''Le nazioni dell'Unione europea si sono trovate impreparate di fronte a una situazione che non può essere considerata un'emergenza, anche la politica doveva essere preparata a questi avvenimenti''.
E ''di fronte agli sconvolgimenti che hanno interessato il Nord Africa - osserva - era immaginabile che prima o poi questo tipo di ripresa degli sbarchi sarebbe avvenuta, non c'è dunque sorpresa. È una ripresa di movimenti degli anni scorsi''.
Ma ''quello che manca - aggiunge - è una legislazione concordata a livello di Unione europea, nessun Paese può affrontare da solo questo fenomeno. Auspichiamo quindi una presa di posizione dell'Ue su quanto sta avvenendo''.
Rappresentanti Ue in Tunisia
Non solo. Da Bruxelles hanno fatto anche sapere che l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, è già in Tunisia, e oggi incontrerà il premier Ghannouchi, per "sollevare il problema" dei flussi migratori verso l'Italia. Lo ha annunciato la sua portavoce, Maja Kocijancic.
Un'altra riunione è in programma oggi al Viminale per decidere come fronteggiare l'emergenza. A questa seguirà una seduta del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica ''per decidere le misure di contrasto e di controllo degli sbarchi''.
Le parole del ministro degli Interni
Dopo l’esodo di disperati in arrivo dal paese nordafricano, il titolare dell’Interno ha puntato più volte il dito contro l’immobilismo dell’Europa “lenta e burocratica”, e ha chiesto una convocazione urgente del Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo per “darsi una strategia” nel contrasto all'immigrazione nel Mediterraneo. “Siamo di fronte alla caduta del muro di Berlino, il Maghreb, il nuovo '89”, ha detto Maroni questa mattina a margine di una riunione sui patti di sicurezza a Varese, e ha chiesto all’Ue di farsi carico dell’emergenza.
Il governo tunisino: “Pronto a collaborare”
Nel frattempo l'Italia sta trattando con il governo di transizione tunisino per arginare l’ondata di arrivi. Le autorità del paese magrebino si sono dette “pronte a cooperare” per fare fronte all’ondata di migrazione che sta travolgendo le coste italiane. Dopo i 5mila disperati sbarcati nei giorni scorsi sulle coste di Lampedusa il titolare degli Esteri Franco Frattini si è messo in moto per concordare con il governo del paese nordafricano una strategia comune di contenimento. Intanto il sito arabo "Attounisia" annuncia lo speronamento al largo di Gabes da parte di una motovedetta tunisina. L’incidente avrebbe provocato 29 morti, altre 86 persone sarebbero invece state tratte in salvo.
La Tunisia rifiuta “ogni ingerenza”
Questa sera Frattini sarà in Tunisia, per parlare direttamente con le autorità del paese. Ma la strada da fare per giungere a una soluzione è tutta in salita. La Tunisia ha infatti rifiutato "qualunque ingerenza nei suoi affari interni", dopo che il titolare della Farnesina aveva lanciato l’ipotesi di dispiegare forze di polizia in mare e sulla terraferma per contenere il flusso di immigrazione clandestina verso l'Europa.
L’esodo dei giorni scorsi.
Nei giorni passati l’ondata di arrivi è stata impressionante, con una media di 1.000 persone sbarcate ogni giorno e centinaia di immigrati stipati in campi di fortuna. Per fare fronte all’emergenza improvvisa circa 1500 persone sono state stipate nel campo da calcio di Lampedusa. Da questa mattina è partito il piano straordinario approntato dal prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, nominato da Maroni commissario straordinario per l’emergenza.
Riaperto il Cpt
Il prefetto ha anche riaperto il centro di identificazione ed espulsione sull'isola, chiuso dallo scorso marzo. Sono già iniziate le prime identificazioni, e ieri sera sono arrivato sull’isola cinquanta carabinieri. Altri cinquanta poliziotti dovrebbero raggiungere le forse dell’ordine sull’isola nella giornata di oggi.
Maroni preoccupato
Ieri sera il ministro dell’Interno Maroni, intervista a “Che tempo che fa”, si è detto molto preoccupato. “Stiamo cercando di metterci in contatto con le forze di polizia tunisine per vedere come gestire questa emergenza, ma non ci riusciamo, perché il sistema è collassato”. Anche per questo Maroni ha puntato il dito contro l’Europa, chiedendo che il problema degli sbarchi venga condiviso e affrontato anche da Bruxelles.  



Quella morte a Palermo per un' ora di dignità
la Repubblica, 20-02-2011
ADRIANO SOFRI
IL PROBLEMA di Palermo è il traffico, diceva "lo zio" di un film, e anche qualche palermitano onesto la trovò una battuta troppo facile. Ma è difficile oggi non ricalcarla: il problema di Palermo sono gli ambulanti regolari che stazionano per più di un' ora nello stesso posto con la loro bancarella di giocattoli, accendini, torce, bambole, cappellini e sciarpette. È durata otto giorni l' agonia senza speranza di Noureddine Adnane, l' ambulante marocchino che si era dato fuoco a Palermo. La breve nota di cronaca che informò del suo gesto era accompagnata da una fotografia formato tessera, di quelle che per lo più danno alla gente un aspetto losco. Forse l' avete vista: la foto di Noureddine aveva una singolare purezza di lineamentie di espressione. Non vuol dire niente, naturalmente: ma si leggevano le notizie, e si scopriva che il giovane era in Italia da dieci anni - dunque da quando era adolescente - con un padre, un fratello, cugini; che aveva un regolare permesso di soggiorno e una regolare licenza di ambulante, e che nel corso di una settimana, come testimoniavano i suoi parenti, era stato più volte sottoposto a controlli e vessazioni da parte di poliziotti municipali. Questa voltala trasgressione che gli veniva imputata era di essersi fermato con la sua bancarella nello stesso punto della via Basile per più di un' ora. Si leggeva, e si restava sbigottiti dalla smisuratezza del gesto del giovane: del resto, quale proporzione potrebbe esserci fra un malanno e la decisione di immolarsi col fuoco? Si rileggeva, e si restava attoniti dalla enormità del comportamento dei vigili. Che proporzione può esserci fra la trasgressione regolamentare di Noureddine e la decisione di sequestrargli sciarpette accendini bambole e cappellini, e di non muovere un dito mentre lui annuncia il suo gesto, si cosparge di benzina e si dà davvero fuoco? Un' enormità tale che si esita a giudicarne. Ora, compiuta l' agonia nel modo inevitabile, quelle domande sbigottite sono ancora lì, e bisogna ammettere che è più facile, più "naturale", spiegarsi il gesto del giovane marocchino che non quelli compiuti e omessi dai suoi controllori. Noureddine lavorava senza sosta e per i suoi spiccioli tutti i giorni, senza orario, per mantenere i suoi fratelli più piccoli e una moglie e una figlioletta di tre anni rimaste in Marocco, fino a che non potesse permettersi di farle venire in Italia. Era diventato regolare, si era procurato una licenza: imprese difficili come scalare la montagna più impervia, e prima aveva dovuto attraversare un mare. Essere controllato ogni giorno, ecco qualcosa che assomiglia a stare in una galera da libero. Essere privato di una mercanzia da quattro soldi, ecco qualcosa che spinge alla disperazione e all' umiliazione. La sua storia, l' ho scritto l' altro giorno, somiglia passo per passoa quella di Mohamed Bouaziz, il suo coetaneo di Sidi Bouzid in Tunisia che, dopo un' ennesima vessazione e il sequestro del carretto di frutta e verdura, si era dato fuoco davanti alla prefettura della cittadina, e il suo gesto aveva acceso la ribellione propagata all' intero Nordafrica e al vicino oriente. Forse Noureddine Adnane ha pensato a lui, e agli altri che ne avevano seguito l' esempio - quindici, sembra, che si sono tolti la vita, e decine che l' hanno tentato - e ha immaginato nella sua via Basile di essere uno di un popolo in rivolta e non uno inerme e solo in un mondo altrui, contro l' autorità inesorabile di un paio di vigili urbani invece che contro i carri armati di una tirannide. Per quanto sia possibile capire la vita e la morte del nostro prossimo, abbiamo l' impressione di capire vita e morte di Noureddine. È duro ammetterlo, ma è molto più difficile capire quei suoi controllori. Dice piangendo Rashid, cugino di Noureddine: «Mio cugino è rimasto per 10 minuti con la bottiglia di benzina in mano minacciando di darsi fuoco per protestare contro l' ennesimo controllo, nonostante avesse tutte le carte in regola. Nessuno dei vigili urbani ha mosso un dito per impedirgli di darsi fuoco». Si può forse averne pena, ora, figurarsi che non abbiano creduto che il giovane uomo facesse sul serio, e trovare chissà quale altra attenuanteo esimente di quelle che si faranno valere nell' inchiesta che si assicura d' ufficio tempestiva e smagliante da parte delle autorità superiori di una città che ieri ha garantito di assumersi le spese del funerale e del rimpatrio della salma. È già parecchio: spesso salme di questo rango restano inevase. Ieri sera a Palermo c' è stata una manifestazione, convocata quando Noureddine era ancora in vita, di alcune centinaia di persone, marocchini e stranieri e italiani. "Sindacati, forum antirazzista, comboniani laici, la redazione locale di Repubblica e la onluss Ciss...". Avranno disturbato il traffico. Nonè il traffico, né il commercio ambulante, il problema di Palermo, e nemmeno di Roma o di Milano, e nemmeno del Cairo e di Algeri e di Tripoli e di Teheran. Le primavere dei popoli, affare di ragazze e ragazzi, arrivano inspiegabili e intempestive come certe giornate di sole fuori tempo che fanno fiorirei mandorli in anticipo, com' era ieri a Palermo, e che possono essere tradite da una gelata qualche giorno dopo. Oppure possono dare frutti. Non solo nei paesi delle tirannidi volgari e brutali, con i cui titolari nostri festeggiano, ma anche dove fiorisce lussureggiante la democrazia, e i suoi regolamenti municipali.



Ordinanza di Protezione civile per i nuovi arrivi
È in virtù degli sbarchi di queste persone che suggeriamo di valutare la possibilità di un decreto flussi straordinario Commissione episcopale per le migrazioni E la Conferenza dei vescovi chiede un decreto flussi
Corriere della Sera 19 febbraio 2011
Alessandra Arachi
ROMA - Sarà un' ordinanza di Protezione civile a regolamentare l' emergenza immigrazione che si è rovesciata in questi giorni sulle coste di Lampedusa. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi l' ha firmata ieri, ratificando anche la nomina di Giuseppe Caruso, prefetto di Palermo, come commissario straordinario di questa onda decisamente anomala di sbarchi di barconi colmi di clandestini. Oltre cinquemila persone in pochi giorni. Quasi tutti i naufraghi sono arrivati a Lampedusa dalla Tunisia in rivolta. Qualcuno in altre parti della Sicilia dall' Egitto. Ora, inevitabilmente, si teme anche l' ondata libica. «Ed è in virtù degli sbarchi di queste persone in arrivo dai Paesi del Nord Africa che suggeriamo di valutare la possibilità di un decreto flussi straordinario», hanno scritto in una nota congiunta la Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e la Fondazione Migrantes. Spiegano, infatti: «Il decreto flussi straordinario può servire per offrire regolarmente un lavoro agli immigrati e rafforzare la cooperazione internazionale nei Paesi del Nord Africa, con risorse e piani di sviluppo che guardino non solo alla creazione di macroprogetti, ma anche di microprogetti costruiti con la partecipazione delle persone e delle famiglie sul territorio». Per la Cei e la Migrantes «chi fugge oggi dal Nord Africa ha paura di una guerra civile, e quindi è importante saper raccogliere la domanda delle persone che chiedono protezione sussidiaria, protezione umanitaria, protezione temporanea». E a rafforzare la politica degli aiuti al Nord Africa ci stanno pensando un po' tutti i Paesi d' Europa. Da un lato c' è l' Italia che con il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini si appresta a presentare la proposta di un «Piano Marshall» per i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Dall' altro lato ci sono sei stati membri dell' Unione Europea che proprio ieri hanno firmato un documento per rivedere la politica di vicinato dei 27, rafforzando i mezzi a disposizione. Il documento è stato firmato da Francia e Spagna, Grecia e Cipro, Malta e Slovenia, ed è stato redatto in vista della cena dei ministri degli Esteri dell' Unione Europea che domenica sera a Bruxelles faranno il punto della situazione dei Paesi del Mediterraneo, dalla Tunisia all' Egitto e, naturalmente, la Libia. I sei Stati auspicano «un rafforzamento della componente mediterranea della politica europea di vicinato» e chiedono un potenziamento dei mezzi, sottolineando come le disparità esistenti oggi nella concessione degli aiuti siano diventate ingiustificabili e insostenibili. Hanno fatto i conti i sei Stati: «L' Unione Europea oggi versa 1,8 euro all' anno per abitante all' Egitto, 7 euro alla Tunisia e ben 25 euro alla Moldavia». Chiedono quindi una perequazione, «un' allocazione delle risorse che tenga realmente conto dei progressi che i vari Paesi partner compiono in direzione dei valori dell' Unione Europea». In Italia, intanto, si cerca di fare posto ai nuovi arrivati. Con l' ordinanza di Protezione civile firmata ieri da Berlusconi, vengono previsti anche i fondi per la trasformazione del «villaggio degli Aranci» in provincia di Catania, vicino alla ex base di Sigonella: Berlusconi ha pensato di trasformarlo in un «villaggio della solidarietà» portando lì tutti i richiedenti asilo residenti nelle strutture sparse in Italia. I posti lasciati liberi da loro andranno ai nuovi immigrati arrivati.
    


Immigrati, il lavoro regolare resta un miraggio I posti disponibili 100 mila, le domande 400 mila
Una valanga di domande stando agli ultimi dati forniti dal Viminale, a 15 giorni dall'ultimo giorno dedicato alle domande via internet, dopo due anni di black out. Un'apertura parziale ara arrivata con la sanatoria del 2009, limitata però a colf e badanti. Il nuovo decreto-flussi è così giunto inaspettato. Hanno vinto solo i più veloci
VLADIMIRO POLCHI
Repubblica.it 20 febbraio 2011
ROMA  - Uno su quattro ce la fa. Tutti gli altri dovranno attendere la prossima "lotteria". E' la corsa alle quote del decreto flussi: il miraggio di un contratto di lavoro regolare. I posti in palio? Meno di 100mila. Le domande? Oltre 400mila.
Le quote a disposizione. L'ultimo decreto flussi risaliva al 2008: 150mila i posti messi allora a disposizione. Poi sono seguiti due anni di black out: nessuna quota. Stop agli ingressi. Un'apertura parziale è arrivata con la sanatoria 2009, limitata però a colf e badanti: 294mila le domande presentate, di cui 180mila per colf e 114mila per badanti. Poi, inaspettato, è arrivato il nuovo decreto flussi. A vincere un "posto da regolare" solo i più veloci, visto la scarsità delle quote in palio: 86.580 nuovi ingressi e 11.500 conversioni di permessi di soggiorno.
La valanga delle domande. Secondo gli ultimi dati forniti dal Viminale: a 15 giorni dall'ultimo click day, le domande hanno raggiunto quota 406.392. Nel dettaglio:
334.141 domande relative ai lavoratori dei Paesi che hanno sottoscritto specifici accordi con l'Italia, di cui:
236.463 per lavoro domestico e 97.678 per lavoro subordinato (click day del 31 gennaio).
64.600 domande relative ai lavoratori domestici provenienti da Paesi senza accordi con l'Italia, di cui:
56.727 per colf e 7.873 per badanti (click day del 2 febbraio)
7.651 domande relative alle conversioni di permessi di soggiorno e ai discendenti degli italiani (click day del 3 febbraio).
Giochi chiusi. Insomma le quote sono andate esaurite rapidamente, anche se sulla carta la procedura di invio telematico delle domande rimarrà aperta fino al 30 giugno 2011
 


Donatori sangue: uno su dieci è immigrato
Chiara Roverotto
Il giornale di Vicenza.it, 21/02/2011
FIDAS. Ieri l'associazione è stata in assemblea con novità nello statuto. Largo ai giovani: su 240 delegati un terzo dovrà avere dai 18  ai 28 anni. Munaretto: «Così aumentiamo ancora le donazioni»
Il tavolo della presidenza: l'assemblea Fidas ha cambiato una norma statutaria per far entrare più giovani | Donatori Fidas nel reparto di ematologia del San Bortolo
Vicenza. La prima Fidas del Veneto e la terza in Italia per numero di donazioni di sangue. «Traguardi importanti, ma bisogna guardare avanti».
A parlare è il presidente dell'associazione Giuseppe Munaretto che ha deciso di lavorare sulla sensibilizzazione con i
giovani. O meglio attraverso i messaggi che questi ultimi sono in grado di lanciare e produrre. «I dati del Censis dicono che la popolazione sta invecchiando, di sangue c'è sempre più bisogno ed è necessario far entrare nelle associazioni sempre più ragazzi. Bisogna essere lungimiranti nei confronti di un servizio indispensabile».
STATUTO. La riunione straordinaria di ieri nella sala congressi della Confartigianato aveva un obiettivo preciso: far sì che all'interno dell'assemblea, almeno un terzo dei rappresentati, abbia meno dei 28 anni che prima erano una "barriera". «Si tratta di una svolta storica, votata all'unanimità - aggiunge il segretario Franco Saccardo - In molte associazioni si parla spesso di come riuscire a coinvolgere i giovani, noi l'abbiamo fatto in maniera concreta. Se l'assemblea è composta da 240 delegati significa che, almeno 82, dovranno avere meno di 28 anni. A quell'età molti di loro sono già laureati, hanno una famiglia, ricoprono ruoli importanti e di conseguenza sono in grado di portare idee e, soprattutto, muovi iscritti».
DATI. Fidas Vicenza è la prima associazione del Veneto e con altri quattro gruppi (Avis, Rds Bassano, Adosalbi di Campese e Trevisan di Montecchio Maggiore) assicura l'autonomia alla richiesta di sangue in tutte le 4 Ulss del Vicentino. Inoltre altre sacche vanno direttamente in Sicilia, Lazio , Sardegna e nell'Azienda di Padova.
«Nel 2010 - precisa il presidente- abbiamo raggiunto quota 36.208 donazioni con 18.500 iscritti attivi, abbiamo superato la fatidica quota 36 mila che ci eravamo prefissati nel 2009».
IMMIGRATI.Il loro numero è in costante aumento. La Fidas ne conta circa 2 mila tra quelli attivi, più o meno il 10%. «Crescono - aggiunge il segretario - e fra loro ci sono molti albanesi, marocchini. Spesso si avvicinano spontaneamente, altre volte vengono portati in associazione e poi, a loro volta, chiamano altri connazionali. Anche questo è un segnale importante, che non dobbiamo sottovalutare e che deve essere coltivato perché la loro presenza significa nuova linfa al volontariato».
TESTIMONIAL. Giulia Nicole Magro, seconda a Miss Italia è l'ultima arrivata nella lunga lista di testimonial che in questi anni Munaretto & soci sono riusciti a mettere assieme. È stata anticipata dalla squadra di pallavolo femminile Minetti, da Filippo Pozzato, Tom Perry, Tatiana Guderzo e ora si sono aggiunte le squadre di pallamano "Riviera 98" e di rugby. «Queste testimonianze sono fondamentali per l'associazione - conclude il presidente - Ci aiutano ad arrivare a mondi dove raccogliere nuovi associati, oltre all'attività che continuiamo a svolgere nelle scuole. I giovani rappresentano il futuro in ogni comparto della vita. Per il dono del sangue sono fondamentali:devono capirlo e seguirci. Possono salvare moltissime vite, non è poco. Basta solo che ci pensino, che recepiscano il messaggio e lo facciano girare».



Tutte le lingue del mondo
Fastweb,21-02-2011
Selene Pascarella
Il 21 febbraio si celebra la "Giornata internazionale della lingua madre". Voluta dall'UNESCO nel 1999 per promuovere la diversità culturale e il multilinguismo, vedrà a Parigi un simposio sull'uso della tecnologia per la salvaguardia degli idiomi minacciati e in Italia un convegno sul rapporto tra lingua madre degli immigrati e italiano.
Il 21 febbraio si celebra in tutto il mondo la “Giornata internazionale della lingua madre”. Istituita in occasione della XXIX Conferenza Generale dell'UNESCO nel 1999, su proposta del Bangladesh e con il sostegno degli altri 28 Paesi partecipanti, ricorda la sollevazione avvenuta in quella data nel 1952 nell'allora Pakistan orientale in difesa del bangla, madre lingua di quella parte del Paese, e ha come obiettivo promuovere la diversità culturale e il multilinguismo.
La diversità linguistica, intesa come strumento di conservazione culturale di ogni popolo, è infatti fortemente compromessa: secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre la metà delle 6000 lingue parlate sul pianeta è in pericolo e ogni due settimane un idioma scompare senza lasciare traccia. Un dato preoccupante soprattutto se si considera che il 96% delle lingue mondiali è parlato dal 4% della popolazione della terra, il 90% di esse non è rappresentato su Internet e il 50% di coloro che le utilizzano per comunicare risiede in soli 8 paesi: Papua Nuova Guinea (832), Indonesia (731), Nigeria (515), India (400), Messico (295), Camerun (286), Australia (268) e Brasile (234).
Una perdita inestimabile se si considera, come ha affermato la Direttrice generale dell’UNESCO Irina Bokova, che “le lingue madri hanno la particolare funzione di esprimere per la prima volta il mondo con le parole e costituiscono la lente attraverso la quale lo si comprende”e il multilinguismo “apre fantastiche opportunità di dialogo, necessario per la comprensione e la cooperazione”.
La Giornata verrà celebrata in diverse forme nelle varie sedi UNESCO nel mondo. A Parigi è in programma un simposio sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la salvaguardia e la promozione delle lingue e della diversità linguistica.
Per quanto riguarda il nostro paese, invece, la Commissione nazionale Italiana per l’UNESCO terrà il 21 febbraio a Roma, presso il Museo Nazionale dell’Emigrazione di Roma, nel complesso del Vittoriano, un convegno dal tema “Lingua Madre e Immigrazione” per analizzare il rapporto tra la lingua madre degli immigrati in Italia e l’italiano, loro lingua adottiva. “L’incontro – si legge nel comunicato di presentazione - costituirà un momento di sensibilizzazione e confronto sul valore della lingua madre e della diversità linguistica nelle società multiculturali, visto attraverso l’esperienza dei nuovi italiani, il cui percorso di integrazione si è tradotto in una pratica di interazione e scambio reciproco di culture”.
Interverranno i professori Tullio Gregory, Giuseppe Antonelli e Paolo Proietti, gli scrittori Amara Lakhous, Igiaba Scego e Claudiléia Lemes Dias. Chiuderà i lavori l’Ambasciatore del Bangladesh, che annuncerà la contemporanea inaugurazione nella capitale del monumento alla Lingua Madre.
 

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