Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 marzo 2012

Permessi di soggiorno Vanno rimossi i danni della legge Bossi-Fini
Italia-razzismo
l'Unità, 07-03-2012
La politica su rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno è stata finora confusa e contraddittoria. Da una parte ogni cinque anni è stata fatta una regolarizzazione rivolta a persone straniere già presenti sul territorio; dall’altra, nel momento del primo rinnovo, si adottavano interpretazioni talmente restrittive da rendere questo passaggio davvero complicato. In molti, per un motivo o per l’altro, hanno perso il permesso di soggiorno diventando irregolari.
Con la Bossi-Fini (L.189/2002) il numero dei permessi di soggiorno non rinnovati è aumentato da decine di migliaia a centinaia di migliaia: secondo il Dossier Caritas 2011, nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413. La Bossi-Fini ha subordinato il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro: mentre con la legge Martelli (39/90) e la legge Turco Napolitano (40/98) era possibile rinnovare il permesso anche attraverso la dimostrazione di un reddito sufficiente, e coloro che non riuscivano a dimostrare il reddito e non avevano un contratto potevano comunque iscriversi al collocamento per un periodo non inferiore a 12 mesi.
Erano previsti inoltre per il primo rilascio una durata biennale dei permessi per lavoro e famiglia, e al rinnovo un periodo non inferiore al doppio della precedente (4 anni). La Bossi-Fini ha legato la durata del permesso a quella del contratto di lavoro ed è stata eliminata la previsione del raddoppio del tempo al momento del rinnovo. Ora per mettere ordine sul tema basterebbe ripartire dalle norme precedenti alla Bossi-Fini. Semplice, no?



Immigrati, protesta con ostaggio al centro d'accoglienza di Agrigento
Un gruppo di nigeriani barricati all'interno. "Siamo qui da dieci mesi, non ne possiamo più".Trattenuto anche un addetto della comunità che gestiste la struttura
la Repubblica, 07-03-2012
Fabio Russello

Un gruppo di 18 nigeriani, tutti uomini e maggiorenni, richiedenti asilo, si è asserragliato all'interno del centro di accoglienza situato a Palma di Montechiaro, lungo la Strada Statale 115, trattenendo all'interno anche uno degli addetti alla gestione della comunità, un italiano di 30 anni.
Sul posto si sono recati i poliziotti del commissariato di Palma di Montechiaro e i vigili del fuoco di Agrigento perché si teme che i manifestanti possanon dare fuoco alle suppellettili in segno di protesta. La tensione è comunque altissima e una segnalazione è già stata inoltrata alla Procura della Repubblica di Agrigento dove si ipotizzano anche i reati di violenza privata e sequestro di persona.
L'addetto della comunità tenuto in ostaggio sta comunque bene e non sarebbe stato sottoposto ad alcun maltrattamento. I profughi sono giunti a Lampedusa nel giugno scorso e da ormai dieci mesi sono trattenuti nel centro. Protestano perché vogliono essere trasferiti nel centro di Mineo a Catania dove molti di loro hanno parenti e amici. Il centro di Palma ospita in tutto 24 persone, ma sei di loro si sono dissociati dalla protesta.



Calabria: l’Unhcr invita il presidente della Regione a varare la prima legge regionale per l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.
Ieri il convegno “Informazione ed immigrazione” a Isola Capo Rizzuto.
ImmigrazioneOggi, 07-03-2012
“Il presidente Scopelliti potrebbe dare un primato alla Calabria: quello di avere una prima legge regionale per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati”. È questo l’appello lanciato al governatore della Calabria da Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, nel corso di un seminario tenuto ieri a Isola Capo Rizzuto organizzato dalla Federazione nazionale della stampa e dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali presso la Presidenza del Consiglio, sul tema “Informazione ed immigrazione”.
Boldrini ha ricordato che, nella precedente legislatura, Regione e Alto Commissario dell’Onu avevano messo a punto il testo di una legge regionale per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati alla quale mancava solo un tassello finale per entrare in vigore: l’istituzione di un corpo di garanti. “Sarebbe un segnale molto positivo – ha affermato la portavoce Unhcr – se il presidente Scopelliti desse seguito a questa legge che coniuga lo sviluppo del territorio locale con le istanze dei rifugiati, anche sulla scia delle buone esperienze di Riace”. Nel corso del seminario svoltosi nell’auditorium del Centro Rosmini di Isola Capo Rizzuto, sede del Centro di accoglienza per immigrati più grande d’Europa, Laura Boldrini ha parlato del ruolo fondamentale svolto dai mezzi di informazione per “contribuire a creare una società italiana meno incentrata sulle paure dell’altro e più coesa”.
Il presidente della Federazione nazionale della stampa, Roberto Natale, illustrando il protocollo deontologico dei giornalisti chiamato Carta di Roma ha sottolineato come “una questione tanto delicata va raccontata sapendo i problemi che comporta, ma anche la potenzialità che reca con sé, ricordando che stiamo parlando di persone. Non possono bastare le statistiche men che meno le statistiche che rendono tutto una questione di ordine pubblico, di sicurezza o di criminalità. L’immigrazione è fenomeno più ricco, diverso, complesso. Dobbiamo raccontarlo in tutte le sue sfaccettature”.



Un terzo viene dal profondo Nord. Adesso la parola al Parlamento
Due le proposte di legge di iniziativa popolare. Beni (Arci): «È già tardi»
Più di 100mila firme per cambiare l’Italia
Di firme a sostegno ne servivano 50mila. Il comitato promotore ne ha raccolte più del doppio. Graziano Delrio, presidente dei Comuni italiani: «Chi paga le tasse ha diritto al voto, è una battaglia di civiltà».
l'Unita, 07-03-2012
Mariagrazia Gerina
«Forse c’è un’Italia che è più avanti di chi la rappresenta», suggeriscono, con un certo orgoglio, i promotori che quell’Italia se la sono andata a cercare firma per firma. Alla fine, ne contano più di centomila, raccolte coi banchetti, comune per comune. Tante, più di 35mila, vengono dal profondo Nord, dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte. Territorio di caccia per la Lega. Nomi e cognomi di chi, da italiano, vuole che le regole di accesso alla cittadinanza cambino. Perché non è possibile che chi nasce in Italia ma è figlio di immigrati debba sentirsi straniero. Si riparte da qui, hanno detto con la loro firma a sostegno delle due proposte di legge di iniziativa popolare, che il comitato L’Italia sono anch’io ha consegnato ieri a Montecitorio. La prima stabilisce che «chi nasce in Italia da almeno un genitore legalmente presente in Italia da un anno è italiano». Subito. Come pure i bambini che in Italia hanno frequentato le scuole. Senza aspettare i 18 anni anche solo er fare domanda. Mentre gli adulti possono diventarlo dopo 5 anni di soggiorno regolare. E sempre dopo cinque anni, secondo quanto recita la seconda proposta di legge, possono accedere al voto amministrativo. Votare ed essere votati.
Adesso tocca al Parlamento fare i conti con questa mobilitazione. Di firme a sostegno ne servivano 50mila. Il Comitato promotore Arci, Acli, Caritas, Centro Astalli, Cgil, Feltrinelli, Cnca, Chiese Evangelinche, Seconde generazioni, Libera, Tavola per la Pace, Cnca, il Comitato 1mo Marzo, Emmaus Italia, Fondazione Migrantes,Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Terra del Fuoco ne ha raccolte il doppio: 109.268 per lo ius soli, 106.329 per il diritto al voto. «Siamo sicuri che chi siede in parlamento non vorrà deludere queste attese», fa pressione Graziano Derio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani: «Chi paga le tasse ha diritto al voto e, come fu per il voto alle donne, questa è una battaglia che riguarda tutti, non solo gli immigrati».
SUBITO LA DISCUSSIONE
«È già tardi, veniamo da trent’anni di politiche fallimentari, mosse da una malintesa ricerca del consenso», avverte il presidente dell’Arci, Paolo Beni, invocando, insieme a Filippo Miraglia, «uno sforzo collettivo per un nuovo patto di convivenza». Sulle politiche per l’immigrazione «occorre invertire la rotta», scandisce d’altra parte padre Giovanni Lamanna, direttore del Centro Astalli. «C’è tempo anche in questo scorcio di leglislatura», aggiunge Antonio Russo, delle Acli. «Non si tratta di gentili concessioni ma di far maturare la democrazia in questo paese», ricorda Massimo Aquilante, a nome delle Chiese Evangeliche.
«Abbiamo generato nel Paese una discussione molto ricca», rivendica Vera Lamonica a nome della Cgil. Mentre «tempi celeri per la discussione nelle aule parlamentari», invoca il Forum Immigrazione del Pd, che ha aderito fin dall’inizio alla campagna di raccolta firme. «Questa è una grande questione nazionale che deve essere affrontata a salvaguardia di milioni di donne e uomini che contribuiscono alla ricchezza economica e sociale del nostro Paese».



«Seconde generazioni. È la nostra battaglia»
Il portavoce della rete G2: «Vivo qui da 32 anni ma non sono cittadino. Serve coraggio politico»
l'Unità, 07-03-2012
Ma.Ge.
Per noi seconde generazioni, figli di immigrati nati in Italia, provare a cambiare le leggi sulla cittadinanza è “la” battaglia ed è anche un modo di dare un contributo al Paese in cui siamo nati», spiega Mohamed Tailmon, 38 anni, mediatore culturale e portavoce della rete G2.
Tu dove sei nato?
«Sono nato a Tripoli e sono venuto in Italia con i miei genitori all’età di 5 anni, a Roma, dove sono cresciuto e andato a scuola, dove ho frequentato l’università... E dove nel 2005 insieme ad altri figli di immigrati abbiamo fondato la rete G2, delle seconde generazioni».
Com’è crescere in un Paese che non ti riconosce come suo cittadino?
«Io come tutti gli altri delle seconde generazioni abbiamo patito questa discriminazione burocratica di non essere anche formalmente cittadini italiani pur non essendolo formalmente».
E dopo 32 anni niente cittadinanza?
«No, non ancora. La documentazione che bisogna presentare per chi arriva da piccolo con i proprio genitori comprende una serie di documenti che bisogna procurarsi nel Paese d’origine. E in Libia, soprattutto negli ultimi anni, gli uffici difficilmente rilasciavano quei documenti». Fai ancora la fila per il permesso? «No, ma le ho fatte per tanti anni». Fino a che età?
«Venticinque anni. Poi ho ottenuto la carta di soggiorno a tempo indeterminato perché avevo un lavoro regolare, ero incensurato. Però questo non toglie che vivo ancora la condizione di cittadino con il permesso di soggiorno. Alcuni tipi di lavoro non li posso fare. Non posso votare, né essere votato. Non posso neppure girare liberamente per il mondo. Come molti miei coetanei sarei voluto andare a Londra a studiare l’inglese. Non l’ho potuto fare perché l’Inghilterra era uno di quei Paesi con cui la Libia non aveva rapporti diplomatici».
Le difficoltà incontrate sono diventate la ragione di un impegno politico... «Sì, siamo all’inizio di un lungo percorso per convincere il Parlamento a cambiare la legge sulla cittadinanza. C’è da fare parecchia strada...». Alla politica cosa chiedete?
«Di avere coraggio e di assumersi le proprie responsabilità. Finora, su questo tema, non lo ha fatto».



Lombardia, cure negate agli immigrati comunitari. Le associazioni: “Colmare le lacune legislative”.
Naga, Casa per la pace, Centro Helder Camara e Sant’angelo solidale lanciano un appello alle istituzioni: regolare in maniera univoca l’assistenza. Tutelare i minori: ogni bambino abbia diritto al pediatra.
ImmigrazioneOggi, 07-03-2012
Un appello per colmare le “lacune legislative” che di fatto negano il diritto alla salute degli immigrati comunitari.
L’iniziativa, rivolta ai consiglieri regionali della Lombardia, è promossa da Naga, Casa per la pace di Milano, Centro Helder Camara e Sant’angelo solidale onlus che hanno svolto una ricerca dalla quale emerge che i problemi nascono dal fatto che le circolari dell’assessorato regionale alla sanità (in particolare la 4 del 2008) non sono chiare sul riconoscimento del diritto alla salute degli immigrati comunitari.
Secondo le quattro organizzazioni “occorre quindi mettere mano alle norme per regolarne in maniera univoca l’assistenza”. Nell’appello si chiede inoltre alla Regione che ogni bambino abbia diritto al pediatra, indifferentemente dalla nazionalità.
I consultori di Milano dovrebbero già garantire un’assistenza alle donne in gravidanza, ma spesso rifiutano le neocomunitarie: “La direzione dall’Asl di Milano si renda garante che i consultori rispettino la legge” si legge nell’appello.
Le associazioni chiedono infine che in “ogni ospedale sia organizzato un presidio di riferimento al quale possano accedere questi pazienti per facilitarne l’accesso ai servizi sanitari”. L’appello è aperto alla sottoscrizione da parte di associazioni e singoli, inviando una mail all’indirizzo Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .
Secondo l’attuale legge, hanno diritto alle cure mediche solo coloro che hanno un lavoro in regola oppure la Tessera europea di assicurazione malattia (Team) che viene rilasciata dal Paese d’origine. Non tutti i romeni e i bulgari hanno però la Team. Di conseguenza i disoccupati e persino i familiari a carico di chi ha un’occupazione in regola non hanno diritto alle cure. Secondo il Naga, associazione di medici volontari, in Lombardia sono dai 20 mila ai 40mila senza assistenza sanitaria (circa 6mila a Milano).
Per due mesi, novembre e dicembre 2011, il Naga ha raccolto i dati di 167 pazienti comunitari che si sono presentati all’ambulatorio gestito dai volontari in via Zamenhof, per capire che tipo di accoglienza trovano nelle strutture sanitarie pubbliche di Milano. E i risultati sono sconfortanti: nonostante siano in Italia in media da cinque anni e mezzo, due su tre (116 persone) è stato visitato solo dal Naga o da altre associazioni, ma mai da ospedali o da ambulatori pubblici. 68 hanno ricevuto assistenza anche dai pronto soccorso. La situazione dei bambini è addirittura peggiore: su 71 casi, risulta che 29 non sono mai stati visitati da un medico in vita loro, 28 dai pronto soccorso e 13 solo da medici di organizzazioni di volontariato (la somma è maggiore dei casi perché alcuni hanno ricevuto visite da diverse realtà). Inoltre, 17 non sono mai stati vaccinati e di 13 i genitori non ricordavano quali vaccinazioni avessero fatto.
La Lombardia – spiegano le organizzazioni – rappresenta un caso particolare. Molte Regioni infatti per evitare che ci fossero persone senza assistenza sanitaria sono corse ai ripari istituendo il codice Eni (Europei non iscritti), che apre le porte di ospedali e medici di base. La Lombardia no: in una circolare (la 4 del 2008) ha riconosciuto a tutti il diritto alla salute, ma non ha stabilito come. E così i romeni e bulgari privi di qualsiasi tessera sanitaria quando si presentano ai centri prenotazione degli ospedali per visite ambulatoriali vengono rifiutati.



Rosarno e la guerra delle arance
Coca-Cola minaccia: via dall'Italia
Inchiesta sullo sfruttamento degli agricoli nella piana calabrese... E la multinazionale: non vogliamo più quelle arance.
l'Unità, 06-03-2012
Laura Matteucci
La guerra delle arance riparte dalla piazza di Rosarno, nella piana di Gioia Tauro. Due anni dopo la caccia all’extracomunitario che aveva scatenato la rivolta di centinaia di migranti, lavoratori dell’agricoltura, sfruttati nei campi e assiepati in condizioni inumane tra fabbriche dismesse e strutture abbandonate, i problemi sono ancora tutti là. Anzi, se ne sono aggiunti di nuovi. E oggi ad elencarli uno ad uno sarà una mobilitazione che si preannuncia imponente, lanciata da Coldiretti Calabria col titolo «No all’aranciata che spreme agricoltori e lavoratori e inganna i consumatori», che coinvolge centinaia e centinaia di lavoratori e anche le istituzioni locali, a partire dal sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi. Il punto è sempre «la bassissima remunerazione agli operatori del settore che ha generato una forte crisi nella piana - dice - E l’impossibilità per il comparto agrumicolo di continuare così».
TUTELARE L’IMMAGINE O IL LAVORO?
Ma stavolta c’è di mezzo anche la Coca-Cola che, in qualitàdi proprietaria del marchio Fanta, è tra gli acquirenti delle arance di Rosarno, quelle che a raccoglierle si guadagna 7-8 centesimi al chilo se va bene, ovvero se si è un lavoratore in regola. L’arancia sottopagata, che Coldiretti denuncia datempo, è finita da poco anche in un’inchiesta di una rivista inglese, The ecologist, e questo la multinazionale della Coca-Cola proprio non l’ha gradito. Tanto da minacciare seduta stante di chiudere con gli approvvigionamenti da Rosarno, per «tutelare la propria immagine», ha spiegato. C’è stata un’interrogazione parlamentare dei deputati del Pd Minniti, Oliverio, Laganà Fortugno, Laratta, Lo Moro, Marini e Villecco Calipari, poi è nata l’idea della giornata di mobilitazione, corteo di trattori dalle 9 del mattino di fronte al Comune.
Nelle stesse ore, la Coca-Cola Corporation incontra il ministro per le Politiche agricole Mario Catania, il che lascia sperare in uno spiraglio e in una possibile marcia indietro. «Un primo effetto positivo dell’annuncio della mobilitazione», dicono da Coldiretti. Che vuole essere l’occasione per spezzare la catena dello sfruttamento, al di là di Fanta e Coca-Cola: «Tre le nostre richieste - spiega Coldiretti - il riconoscimento di un giusto prezzo ai produttori, l’aumento della percentuale irrisoria di arance contenute nelle bevande, oggi appena il 12%, e rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine della frutta».
Nicodemo Oliverio, capogruppo Pd in commissione Agricoltura alla Camera, ricorda che «quei pochi centesimi sono appena sufficienti a pagare lamanodopera per la raccolta del prodotto e molti preferiscono lasciarlo sulle piante». E Salvatore Magarò, presidente della commissione contro la ‘ndrangheta del consiglio regionale della Calabria fa il punto: «A Rosarno si sta giocando una partita importante contro la multinazionale della Coca-Cola e della Fanta, ma anche contro una globalizzazione stanca, che pretende di etichettare tutto sotto un unico marchio e inglobare la produzione sotto un’unica egida ». «La rivolta dei migranti nel 2010 e lo sfruttamento della Cola-Cola oggi rappresentano segnali diversi di un unico malessere - continua - il predominio delle multinazionali e dell’economia, che ha finito paradossalmente col mettere sullo stesso piano i raccoglitori di arance, mele, olive ecc. e i produttori; gli operai delle aziende di trasformazione e gli imprenditori».



Trapani, pestarono un immigrato: condannati quattro agenti di polizia
I poliziotti falsificarono il verbale di arresto affermando che era stato l'extracomunitario a procurarsi le ferite
Corriere.it, 06-03-2012
TRAPANI - Picchiarono un immigrato e falsificarono verbali. Confermata, dalla Cassazione la condanna a un anno e un mese di reclusione ciascuno - pena sospesa dalla condizionale - nei confronti di quattro agenti di polizia in servizio all'epoca dei fatti alla questura di Trapani. Gli agenti pestarono Othmane Lahmar, il cinque maggio 2005, attestando poi falsamente sul verbale di arresto che era stato l'extracomunitario a procurarsi le ferite con atti di autolesionismo nella cella di sicurezza. Senza successo, innanzi alla Suprema Corte, - Tommaso Marino, Angelo Calò, Stefano Incardona e Giovanni Agueli - hanno contestato la condanna inflittagli in primo grado dal tribunale di Trapani il 22 luglio del 2008, e poi convalidata dalla Corte di Appello di Palermo il 27 settembre del 2010.
I TESTIMONI - La Cassazione, infatti, ha replicato - nella sentenza 8579 depositata ieri e relativa all'udienza svoltasi lo scorso 30 novembre - che il «pestaggio» è provato non solo dalle ferite riportate dalla vittima ma anche da «plurimi elementi di riscontro». Tra questi, le dichiarazioni di tre testimoni che hanno assistito «direttamente» all'episodio violento mentre l'immigrato veniva portato nel parcheggio della questura per poi essere ulteriormente picchiato in una macchina. Inoltre, la Cassazione ha confermato anche il «diniego del beneficio della non menzione della pena» che, ad avviso dei supremi giudici, è stata «correttamente esclusa dalla corte di Palermo con la necessità di un monito al rispetto dei limiti nell'esercizio delle pubbliche funzioni». Strada sbarrata anche al riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, richiesta ritenuta dalla Suprema Corte «infondata» dal momento che, come ha rilevato la Corte di Appello, si tratta di una vicenda che ha coinvolto «addetti alla tutela dell'ordine pubblico» che hanno «manifestato dispregio per elementari regole deontologiche».



La sinistra dei falsi buonisti schizzinosi con gli immigrati
Palermo, la strana morale dell’ex Idv che ha vinto le primarie sfasciando il Pd: fa il paladino dei poveri ma rifiuta il marchio di candidato degli extracomunitari. E sulle primarie ora la procura indaga sui brogli
il Giornale, 07-03-2012
Fabrizio Rondolino
I poveri vanno bene, e anzi sono i benvenuti, ma soltanto se di nazionalità italiana: il giovane Fabrizio Ferrandelli, inaspettato vincitore delle primarie palermitane che hanno assestato il colpo definitivo all’alleanza di Vasto e probabilmente anche alla segreteria Bersani, confessa a Repubblica di amare i «disoccupati organizzati», i «senza casa», i «senza niente» e i finanche «figli della strada», ma non gli immigrati che pure sono stati invitati a partecipare alle primarie del Pd: «Quelli - dice convinto - hanno votato per Faraone», il candidato di Matteo Renzi già pizzicato da Striscia per un presunto episodio di voto di scambio.
È un modo ben curioso di essere di sinistra, questo del candidato sindaco della sinistra: persino Gianfranco Fini propone il voto amministrativo per gli immigrati. Ferrandelli invece lo equipara, nei fatti, ad un imbroglio: perché il senso di quella frase, se non significa che gli stranieri puzzano, vuol dire che i loro voti sono manipolati e strumentalizzati.
Non è un’accusa da poco verso chi ha organizzato le primarie, ed è un clamoroso insulto a chi vi ha partecipato senza avere il passaporto italiano. È vero, a Napoli i gazebo erano affollati di «cinesi democratici», pare quasi tutti simpatizzanti del bassoliniano Andrea Cozzolino, e anche allora qualcuno parlò di brogli. Però è curioso che il centrosinistra dapprima decida di far votare tutti alle sue primarie, anche gli extracomunitari, e addirittura si vanti (giustamente) di promuovere in questo modo le politiche di integrazione e di accoglienza; e poi, a urne chiuse e a schede contate e ricontate, indichi proprio negli stranieri un elemento di scarsa limpidezza, di manipolazione del voto se non di vero e proprio imbroglio.
I volponi della politica siciliana che siedono a palazzo d’Orléans, dal governatore Raffaele Lombardo al capogruppo del Pd Antonello Cracolici, hanno sostenuto massicciamente Ferrandelli e oggi sicilianamente gioiscono: in silenzio. Lasciano che sia il loro golden boy a sbracciarsi e a incassare il risultato, mentre a Roma il Pd si dilania per l’ennesima disfatta. La vittoria di Lombardo e Cracolici è tanto più dolce quanto più Ferrandelli, in pubblico, si presenta come un irriducibile difensore degli ultimi, un rinnovatore senza se e senza ma, un’espressione autentica della società civile, e via con tutta l’abituale paccottiglia ereditata dal suo ex guru e ora fierissimo avversario Leoluca Orlando.
Di Orlando il giovane Ferrandelli sembra possedere le due qualità fondamentali: la demagogia e la furbizia. Si presenta come candidato anti-sistema, e ne rappresenta invece a tutti gli effetti la parte sostanziosa che governa con generosità la Regione Sicilia. Si propone come candidato di strada, del «volontariato», della «rete civica» e dei «movimenti», ma respinge come un affronto il voto degli extracomunitari. Si proclama espressione della società civile contro i partiti, ma rivendica con orgoglio di aver iniziato a far politica quando aveva quindici anni, e di farla «da più tempo di Rita Borsellino». Insomma, ha capito che si può dire la qualunque, purché con convinzione e guardando fisso nella telecamera.
Gli manca ancora uno slogan efficace e vuoto come la «primavera palermitana» di orlandiana memoria («C’è futuro a Palermo» è soltanto vuoto), ma, proprio come il suo maestro vent’anni fa, ha capito perfettamente che la sinistra in Sicilia è un castello diroccato e sguarnito che si può saccheggiare a piacimento per accumulare potere personale da giocare ai tavoli che contano davvero, quelli dove la sinistra non è neppure invitata.
Titolava ieri l'Unità con meritevole autoironia: «Sono le primarie, bellezza». E un Ferrandelli in più o in meno, a conti fatti, non cambia molto la situazione. Ma almeno lasciate stare gli immigrati.



«Io, regista curda, in cella per un documentario»
Il giro di vite in Turchia
Sono 105 i giornalisti in carcere, spesso accusati di terrorismo senza prove Il governo di Ankara perde terreno nel percorso d’ingresso in Europa
Le denunce da parte di Human Right Watch e Reporter senza Frontiere
l'Unità, 07-03-2012
Alberto Tetta
ISTANBUL. Alle cinque del mattino la polizia ha bussato alla porta di casa mia, sei accusata di essere la responsabile culturale del Partito dei lavoratori del Kurdistan mi hanno detto, poi mi hanno portata via» Müjde Arslan, giovane regista curda, dopo giorni di interrogatori sul suo ultimo documentario, il 16 gennaio è stata rilasciata, ma ora ha paura. «Dopo le indagini non è stato aperto nessun procedimento penale nei miei confronti, però non riesco più a dormire, appena sento un rumore penso che sia la polizia che torna a prendermi. Sapevo che il documentario che ho appena terminato, “Io sono volato via, tu sei rimasto qui”, sarebbe stato oggetto di critiche perché parla di un tema caldo come il conflitto turco-curdo, ma non mi sarei mai aspettata l’arresto». Quello di Arslan non è un caso isolato. Sono 105 i giornalisti in carcere secondo gli ultimi dati pubblicati dal TgS, il sindacato dei giornalisti turchi, una cifra tre volte superiore rispetto al 2010.
Il numero crescente di operatori dell’informazione in carcere sta mettendo a rischio il già accidentato percorso di adesione di Ankara all’Ue. La Turchia deve affrontare «urgentemente» il problema dei giornalisti in carcere modificando «un codice penale e una legislazione anti-terrorismo che non garantiscono adeguatamente la libertà d’espressione dando spazio ad abusi» ha dichiarato il Commissario per l’allargamento Stefan Füle.
Secondo Human Rights Watch: «In Turchia i giudici iniziano processi contro individui solo per articoli o discorsi non-violenti e gli arresti avvengono senza tenere nella giusta considerazione l’obbligo di garantire la libertà d’espressione» scrive l’organizzazione internazionale nel suo ultimo rapporto pubblicato il 22 gennaio. Severa anche Reporter senza frontiere che ha declassato la Turchia dal 138 ? al 148 ? posto della sua classifica mondiale sulla libertà di stampa.
Dal canto suo il primo ministro turco Erdogan ha rispedito al mittente le critiche, sarebbero molto pochi, infatti, secondo il premier, gli operatori della comunicazione sotto processo per reati d’opinione e la maggior parte dei giornalisti avrebbe commesso reati comuni o legati al terrorismo. «È in corso una campagna denigratoria contro la Turchia alimentata dall’opposizione, i paesi occidentali non ci capiscono perché lì i giornalisti non partecipano a piani golpisti» ha dichiarato Erdogan.
Nel frattempo il ministro della Giustizia turco Sadullah Ergin, dopo le critiche arrivate dell’Europa, è corso ai ripari preparando una proposta di legge che il Parlamento discuterà entro marzo. La nuova normativa prevede pene ridotte per i reati commessi a mezzo stampa e la sospensione automatica della condanna se l’imputato non reitera il reato. È un timido passo avanti, che non rimuove però l’ostacolo principale all’esercizio della libertà di stampa, la legislazione anti-terrorismo. «Secondo i principi contenuti nella Legge anti-terrorismo, approvata nel 1991, i giornalisti possono essere facilmente arrestati e processati con l’accusa di fare propaganda o sostenere un’organizzazione illegale – spiega Emel Gülcan, giornalista e autrice dei rapporti sulla libertà di stampa dell’associazione turca Bianet – il problema principale è che nella legge non vengono tracciati in modo chiaro i limiti entro i quali il lavoro dei giornalisti deve rimanere per non essere considerato “propaganda terrorista” e questo rende chi scrive di temi scomodi come la questione curda o critica il governo un facile bersaglio».
Il 3 marzo il Sindacato dei giornalisti ha indetto una manifestazione a Taksim per chiedere l’abrogazione delle leggi anti-terrorismo e la liberazione di Nedim Sener e Ahmet Sik nel primo anniversario del loro arresto. I due giornalisti, che sono diventati, in questi mesi, il simbolo della lotta per la libertà d’espressione in Turchia, prima di essere fermati, stavano indagando sulla crescente influenza delle organizzazioni islamiste nella polizia. «Sener e Sik sono accusati di aver “generato supporto morale” verso Ergenekon, una rete segreta ultranazionalista che voleva rovesciare, con la violenza, il governo islamista moderato di Recep Tayyip Erdogan, simile alla vostra Gladio» spiega a l’Unità Can Atalay avvocato di Ahmet Sik – «tuttavia le uniche prove che confermerebbero, secondo i Pm, che Sener e Sik sono membri di Ergenekon sono gli articoli che hanno scritto e la bozza di un libro che non è mai stato pubblicato».

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