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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 maggio 2013

Immigrati, il Pdl contro Kyenge E scoppia il «caso esternazioni»
Il ministro: presto la cittadinanza. Palazzo Chigi: cautela sulle dichiarazioni
Corriere dela sera, 06-05-02013
Andrea Garibaldi
ROMA — Il governo Letta soffre per le interviste dei suoi ministri e sottosegretari. Il «caso» di ieri è Cécile Kyenge, ministro per l'Integrazione. Ha detto (In mezz'ora, Rai 3) che nelle prossime settimane sarà pronto un disegno di legge sullo ius soli, il diritto di cittadinanza per chi nasce sul suolo d'Italia. Ha sostenuto, inoltre, che il reato di immigrazione clandestina andrebbe abrogato. L'ex presidente del Senato, Schifani e capogruppo dei senatori Pdl, attacca: «Non si possono fare proclami solitari, questo è un atteggiamento che non tiene in alcun conto il ruolo del Parlamento e il coordinamento con i capigruppo della maggioranza». E il suo vice, Gasparri: «Il ministro sa bene che non è lei a poter decidere sul reato di immigrazione clandestina». Letta in serata ha detto a Che tempo che fa che i temi trattati dal ministro ce li ha «nel cuore». Ma, essendo temi lasciati fuori dal suo discorso alle Camere, «bisognerà trovare un'intesa».
Appena sabato c'era stato il caso Biancofiore, il sottosegretario che in varie interviste aveva detto la sua sui gay («si autoghettizzano») e aveva portato Enrico Letta a cambiarle le deleghe, dalle Pari opportunità alla Pubblica amministrazione e Semplificazione. «Biancofiore — afferma Brunetta, capogruppo Pdl alla Camera — si è schierata contro i matrimoni gay, ma non ha detto nulla contro il programma del governo». Ieri sia Schifani, sia Brunetta hanno tirato in ballo i «due pesi e le due misure»: perché, hanno chiesto, deleghe cambiate alla Biancofiore e nessun provvedimento per il viceministro Fassina? Al Tg 3 Fassina aveva bocciato inesorabilmente Berlusconi come candidato alla presidenza della Convenzione sulle riforme. «Veto odioso», secondo Schifani, che ha aggiunto: «Letta inviti i ministri a maggior cautela». «Non si fa cadere il governo per uno spostamento di deleghe — dice Renato Brunetta —. Ma la nostra pazienza non è illimitata! Letta e Alfano devono intervenire nel più breve tempo possibile. Letta ha promesso una cabina di regia tra governo e capigruppo di maggioranza: va messa in atto. Altrimenti, fra Pdl e Pd, è un abbraccio nella sala da ballo del Titanic». Vanno cambiate le deleghe anche a Fassina? «Ma no! È stato un errore cambiarle alla Biancofiore, ora non facciamo un altro errore. Ma urge una regolazione! Già sull'Imu Letta alla Camera parlò di "stop" e il giorno dopo il ministro Franceschini dichiarò: "Ci sarà solo una proroga per la rata di giugno"...».
Da Palazzo Chigi era partito venerdì scorso l'invito ai membri del governo a essere «sobri nei comportamenti e nell'uso delle parole». Per ora non c'è l'intenzione di varare regole più stringenti: il cambio di deleghe alla Biancofiore resta un segnale valido per tutti, fanno sapere i collaboratori del premier. La questione, continuano, non concerne il rilascio di interviste, ma il contenuto delle interviste.
Come da tradizione, le interviste dei nuovi ministri e sottosegretari sono state in una sola settimana dalla formazione del governo, un diluvio. E non tutte innocue o semplicemente programmatiche. Il ministro per le Riforme, Quagliariello (Pdl) ha chiesto la presidenza della Convenzione per le riforme per il centrodestra e lo stesso giorno il ministro della Difesa, Mauro (ex Pdl, oggi montiano) ha minacciato la cancellazione della Convenzione stessa, se si continuasse a litigare sui nomi. Il ministro per lo Sport, Josefa Idem, ha definito «comprensibile» un certo risentimento degli italiani nei confronti della cancelliera Merkel, proprio nel giorno in cui Letta incontrava la stessa Merkel a Berlino... A parte questi casi spinosi, culminati poi con le esternazioni del sottosegretario Biancofiore sul mondo omosessuale, si contano almeno altre sette interviste su grandi giornali a ministri che avevano appena messo piede al ministero e tre a sottosegretari. Un'antica prassi dei governanti italiani. Prodi, inaugurando il suo ultimo governo (2006) invitò i ministri a non frequentare i salotti tv, nominò — un anno più tardi — il suo portavoce Sircana «portavoce unico del governo» e finì con alcuni ministri che partecipavano alle manifestazioni contro il governo.



Quei bambini cittadini a pieno titolo
la Repubblica, 06-05-2013
Nadia Urbinati
È DIFFICILE dire se ci riuscirò; per far approvare la legge bisogna lavorare sul buon senso e sul dialogo, trovare le persone sensibili». Così ha detto la ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge.
Bellissima considerazione che ha suscitato forti polemiche da parte di esponenti politici del Pdl come il senatore Renato Schifani, il quale ha rivolto un appello al premier Enrico Letta «affinché inviti i suoi ministri a una maggiore sobrietà, prudenza e cautela» perché, sottolinea il candidato Pdl alla presidenza della Repubblica, questi annunci «non rientrano nel programma» del governo. Segno evidente di una differenza non piccola, una delle tante probabilmente, tra i partner di questa complicata coalizione. L’onorevole Kyenge richiama l’attenzione su quelli che dovrebbero essere gli ingredienti del dialogo pubblico in una democrazia matura: buon senso e sensibilità. Ingredienti che hanno fatto difetto in questi ultimi anni di polemica politica la quale ha nutrito, invece che stemperare, pregiudizi antirazziali. Quello degli immigrati è uno status che va affrontato con buon senso e sensibilità. È questo che sta a cuore alla ministra e a molti italiani che si riconoscono nelle parole del presidente della Repubblica, il quale ha detto che è «una follia che i figli degli immigrati che nascono qui non siano italiani ». Una follia, l’opposto del buon senso e della sensibilità.
Perché è così difficile far sì che anche da noi come nella maggior parte delle nazioni occidentali a democrazia consolidata valga il principio dello ius soli nell’attribuire la cittadinanza?
Ius soli significa una cosa di grandissima importanza: che il centro di gravità dell’appartenenza politica è la persona, non la sua famiglia, non la nazione o l’etnia di appartenenza, non il colore della pelle. Un fatto di coerenza con i fondamenti della democrazia, la quale ai suoi cittadini chiede solo una competenza: quella di essere attori responsabili delle proprie azioni, e per questo punibili. Se siamo responsabili delle nostre azioni allora siamo competenti abbastanza per decidere. Su questo ragionamento basilare riposa l’idea dell’eguaglianza politica. Già dall’avvento della democrazia moderna questa disposizione giuridica all’inclusione apparve chiara se è vero che durante la Rivoluzione francese fu deciso che bastava un anno di residenza per avere il diritto di voto. Oggi in Italia, quanti sono coloro che, nati qui, sono costretti in un’identità che è a loro estranea, quella che corrisponde a una lingua che, in moltissimi casi, nemmeno conoscono o parlano più? Nelle scuole elementari studiano la storia del nostro paese “come se” fosse quella del loro paese: studiano di Garibaldi e Mazzini, di Cavour e della Costituzione della Repubblica italiana; eppure quando compiono la maggiore età non possono votare né hanno diritto a sedere nelle giurie popolari. Di quale paese è la storia che hanno studiato? Ecco perché la richiesta della ministra è di buon senso e sensibilità. Lo è ancora di più in un paese che ha milioni di emigrati, i quali, loro sì, sanno quanto importante sia sentirsi parte attiva a pieno titolo del paese dove, per scelta o necessità, vivono. A milioni di nostri espatriati è riconosciuta la doppia cittadinanza — proprio per dare a loro e ai loro figli la possibilità di averne un’altra di cittadinanza, quella del paese dove vivono, come è giusto che sia. Eppure chi vive in Italia, addirittura nascendo qui, è dichiarato un paria. Votano gli italiani che vivono all’estero da quattro generazioni e che non parlano neppure più l’italiano. Eppure chi nasce qui e parla perfettamente l’italiano e studia la nostra storia e la nostra letteratura, e paga le tasse qui, non ha voce. La ministra dell’integrazione ha ragione a dire che è una questione di buon senso e di sensibilità che i figli degli immigrati che nascono in Italia debbano essere cittadini a pieno titolo.



E arriva il sì di Balotelli: «Sono pronto Testimonial contro la discriminazione»
Corriere della sera, 06-05-2013
MILANO — Mario Balotelli risponde presente al ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge e si dichiara pronto da subito per un ruolo da testimonial di una campagna istituzionale in favore dello ius soli. «Sono sempre disponibile per la lotta al razzismo e alle discriminazioni», ha spiegato il fuoriclasse del Milan e della Nazionale Balotelli, che è nato a Palermo da genitori ghanesi e ha ricevuto la cittadinanza italiana soltanto con il compimento della maggiore età. Ieri il ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata In mezz'ora, ha parlato dell'idea di un ruolo da testimonial per la legge sulla cittadinanza: «Balotelli non lo conosco personalmente, so che lui sta subendo atti di razzismo, è sotto pressione, ma riesce a testa alta a dare un forte contributo all'Italia, che è il nostro Paese. Averlo come testimonial sarebbe una buona idea». E Balotelli le ha risposto subito dopo la partita Milan-Torino, in cui ha anche segnato il gol della vittoria: «Sono disponibile a ogni iniziativa o proposta che provenga dalle istituzioni, tesa alla lotta al razzismo e alle discriminazioni». «Ben venga Balotelli come testimonial dei diritti», ha poi promosso l'iniziativa Renato Schifani, presidente dei senatori del Pdl che, però, ha anche invitato il premier Enrico Letta a richiamare i suoi ministri a maggiore cautela quando si parla di temi che non rientrano nel programma di governo. Intervistato da SkyTg24, Schifani ha spiegato «Questo è un governo di servizio, ma quello che ha detto il ministro Kyenge non rientra nel programma. Credo sia necessario che in queste ore di avvio delicato del lavoro dell'esecutivo il premier spieghi ai propri ministri che una maggiore sobrietà su temi non discussi tra la maggioranza sarebbe auspicabile, altrimenti gli stessi ministri potrebbero creare nocumento al governo stesso».



Con la riforma ogni anno 80mila nuovi italiani”   
In un dossier della Fondazione Moressa i numeri dei figli di stranieri nati nel nostro Paese che potrebbero beneficiare del provvedimento
la Repubblica, 06-05-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA — Alda è nata a Roma, va in un asilo privato della capitale, parla italiano e dice «io magno», invece di «io mangio»: un’inflessione romanesca che preoccupa i genitori. Alda però non è italiana, almeno a leggere i suoi documenti. Tutta colpa di mamma e papà che sono ucraini. O meglio: tutta colpa della nostra legge sulla cittadinanza del ‘92, basata sullo ius sanguinis (Alda ha preso la cittadinanza dei genitori). E se passasse il principio dello ius soli?
Tutto cambierebbe. Tanti sarebbero infatti i nuovi italiani, se la cittadinanza venisse data a ciascun bambino straniero nato nel nostro Paese: 80mila solo nell’ultimo anno. A fare i conti è la fondazione Leone Moressa.
Nelle culle italiane, nell’ultimo anno sono nati 79.261 bambini con genitori stranieri: dal 2002 la loro incidenza sul totale dei nati è passata dal 6,2% al 14,5%. Questo vuol dire che se già valesse lo ius soli, il 14,5% dei nuovi cittadini italiani sarebbe figlia di immigrati. Oggi i bimbi stranieri, considerando anche coloro che sono nati all’estero, sono quasi un milione (il 10% dei minori, 7 punti in più del 2002). Ma se consideriamo solo le seconde generazioni, vale a dire coloro che sono nati in Italia, ci fermiamo a quota 730mila: un esercito di giovani italiani, se da sempre nel nostro Paese si applicasse lo ius soli.
Dove vivono questi bimbi multietnici? «Oltre la metà si concentra al Nord, il 38,2% nel Nord Ovest e il 29,2% nel Nord Est. A livello regionale - spiegano alla Moressa - è sicuramente la Lombardia la regione in cui l’applicazione dello ius soli avrebbe più impatto, in quanto qui si concentra oltre un quarto delle nascite da genitori stranieri, a seguire il Veneto e l’Emilia Romagna, rispettivamente con il 12,7% e il 12,3%». È interessante poi notare come non siano le grandi città a presentare il maggior numero di nati stranieri sul totale, ma Mantova e Brescia per la Lombardia, con rispettivamente un’incidenza del 29,9% e del 29,8%, Treviso e Vicenza per il Veneto (23,7% e 23,2%) e, infine, Modena e Reggio Emilia per l’Emilia Romagna (28,2% e 25,5%). Quanto alle origini di questi nuovi bimbi italiani, «i figli di genitori stranieri nati nel 2011 - si legge nello studio della fondazione - sono prevalentemente romeni, marocchini e albanesi, rispettivamente il 19,6%, il 15,6% e l’11,7% dei nati stranieri totali». Seguono: cinesi, indiani, tunisini, bengalesi, egiziani, pakistani, nigeriani. «L’attuale legge sulla cittadinanza - concludono i tecnici della Moressa - non trova più corrispondenza nelle realtà del fenomeno migratorio contemporaneo».



Ministro Kyenge, stiamo ai fatti
il Giornale, 06-05-2013
Stefano Filippi
Di problemi migratori non si parlava da due anni, dai tempi degli sbarchi massicci dal Nordafrica percosso dalle rivolte della «primavera araba». Ora il neo ministro Cécile Kyenge ha riaperto una discussione che non si sta sviluppando serenamente. Io eviterei le ideologizzazioni tipo «buonismo contro rigore» e starei ai fatti. Più il governo sarà pragmatico, più efficace sarà la sua azione.
La crisi economica ha profondamente modificato il fenomeno migratorio. L’emergenza sbarchi è notevolmente ridimensionata rispetto a qualche anno fa, e così pure la presenza di clandestini. Viceversa va gestito un fenomeno più consistente rispetto al passato, cioè il numero di stranieri che si stabilizza in Italia. È in continua crescita il numero di persone per le quali il nostro Paese non è un punto di approdo temporaneo ma una terra dove vivere. Lo si deduce da una serie di indicatori statistici: aumentano infatti i ricongiungimenti familiari, i matrimoni misti, le iscrizioni scolastiche, le domande di cittadinanza, le rimesse verso l’estero.
I dati tuttavia non mostrano ancora un fenomeno che va in controtendenza: c’è una quota crescente di immigrati, soprattutto da Paesi comunitari (che quindi non sono clandestini ma hanno libertà di circolazione) che stanno ritornando nei Paesi d’origine. Soprattutto dal Nord Italia questa «emigrazione di ritorno» si sta facendo sentire. Meglio tornare a casa piuttosto che restare in un Paese in declino, senza lavoro, senza prospettive.
Voglio dire che, sui temi legati ai flussi migratori, dobbiamo ragionare sempre meno in termini di emergenza e sempre più di governo. I modelli culturali prevalenti in Europa (sintetizzando: l’assimilazionismo francese e il multiculturalismo relativista inglese) hanno mostrato i loro limiti, mentre si diffonde nei fatti quel «meticciato» di cui parlò per primo il cardinale Angelo Scola: una mescolanza di persone e culture che va gestita. La gran parte degli immigrati presenti in Italia si è rivelata una risorsa per il Paese: pensiamo a quanti lavori svolgono nell’agricoltura, nell’edilizia, nei servizi alle persone, al reddito prodotto e alle tasse versate. Pensiamo al fatto che a Milano i signori Hu sono già più numerosi dei Brambilla (non ancora dei Rossi), che a Brescia il cognome più diffuso è Singh e a Prato, un tempo patria dei Gori, è Chen.
Stiamo ai fatti, dunque, non alle ideologie. L’immigrazione va affrontata con modi diversi dal recente passato. Ben venga il dibattito riaperto dal ministro. Ma anche lei, dottoressa Kyenge, che pure ha alle spalle una storia di sofferenza ma anche di successo, non ne faccia una questione di principio e affronti i problemi reali: diamo una mano, anche facilitando l’acquisizione della cittadinanza, a quanti hanno dimostrato di volersi integrare (e sono la grande maggioranza), senza dare segnali di cedimento sul fronte degli ingressi, della sicurezza e dell’ordine pubblico.



Sono 590 mila i minori stranieri che sognano di diventare Italiani
La Stampa, 06-05-2013
Flavia Amabile
La posta in gioco è alta. Sono 590 mila i bambini registrati come stranieri all'anagrafe negli ultimi 10 anni. Potranno richiedere la cittadinanza italiana solo quando diventeranno maggiorenni e solo se saranno in possesso di tutti i requisiti che spesso sono complicati e anche difficili da dimostrare. Devono, ad esempio, dimostrare di aver sempre risieduto in Italia senza interruzioni e senza allontanamenti superiori a sei mesi, ai momento della richiesta devono far parte della famiglia di origine e devono presentare la domanda entro il diciannovesimo compleanno. Dopo diventa più difficile.
Il 61,4% dei minori stranieri è nato'in Italia. I nati con entrambi i genitori stranieri residenti sono stati 77.109 nel 2010 e rap- presentano il 13,7% del totale delle nascite in Italia nell'anno. Più in generale risultano circa 573 mila residenti di cittadinanza straniera nati in Italia, pari a circa il 13,5% del totale degli stranieri residenti, che rappresentano una "fetta consistente della seconda generazione.
Quelli che non riescono a dimostrare quello che la legge chiede, torneranno ad essere dei semplici «immigrati», loro che per diciottö anni hanno frequentato le scuole italiane, parlano la lingua e spesso il dialetto come e meglio dei loro amici. Da un giorno all'altro si vedono applicare le condizioni della legge Bossi-Fini, con la necessità di chiedere i permessi di soggiorno.   

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