Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 maggio 2013

ius soli - il dibattito
Grasso: “Garantire i diritti ma sono necessari limiti precisi”
Il presidente del Senato: concedere senza condizioni la cittadinanza è un regalo ai trafficanti di esseri umani
La stampa, 09-05-2013
Paolo Festuccia
Parlare di «ius soli» senza condizioni né regole certe dà luogo solo ad equivoci anche perché non è stato inserito in nessuna proposta di legge. E del resto il diritto di cittadinanza, seppur con tempi e con modalità diverse, in alcun Paese europeo è concesso senza precise garanzie. Detto questo - chiarisce il Presidente del Senato, Pietro Grasso, «sono certo che su questo tema sia io che la ministra Kyenge, ma anche la presidente della Camera Boldrini la pensiamo allo stesso modo: dobbiamo lavorare per quello che è stato definito da tutti uno “ius soli temperato”. Non c’è, insomma, nessuna differenza».  
Ma alcuni paletti da lei posti, però, qualche polemica l’hanno creata. Qualcuno ha molto indugiato sul «rischio puerpere» che lei ha paventato...  
«Guardi. È accaduto che si partisse dalla coda del mio pensiero, invece che dalla testa. Che trae origine dalla mia passata attività di magistrato, e che nasce dalla preoccupazione che parlare di “ius soli” senza condizioni - e cioè che basta nascere in Italia (e basta) per godere del diritto di cittadinanza - può trasformarsi in un grosso affare per i trafficanti di essere umani. In modo particolare in un Paese (nel nostro) laddove si prevedesse una legislazione senza alcun vincolo né limiti. E questo si potrebbe trasformare in abusi e reati gravissimi contro la persona e la loro dignità di essere umani. Per questo ribadisco che in una materia così delicata è indispensabile trovare i giusti equilibri anche nel dibattito. E la mia precedente esperienza professionale mi ha fatto anticipare questi timori».
E quindi con modalità “calibrate” anche lei ritiene che sia indispensabile ridiscutere la materia?  
«Non posso certamente ammettere che a causa di una norma sulla cittadinanza tra le più severe in Europa come lo stretto “ius sanguinis”, che è vigente in Italia, rischiano di restare esclusi dai diritti di cittadinanza, centinaia, migliaia, forse milioni di individui che risiedono, lavorano, e si relazione in tutto e per tutto nel nostro Paese. Ecco, questo deve essere un punto fermo all’interno del nostro dibattito. E quindi, non possiamo escludere dal godimento di questi diritti nemmeno i loro figli che studiano in Italia, parlano la nostra lingua, e tifano le nostre squadre di calcio. In prima persona, per anni, nelle mie passate esperienze professionali, mi sono ritrovato con loro in decine di iniziative a favore della legalità. È impensabile, allora, vedere tanti giovani che partecipano a iniziative per la legalità in un Paese che vogliono legale ma di cui, però, non sono cittadini».
Già, ma come uscirne? Giovanna Zincone su “La Stampa” di ieri chiede come sia possibile «continuare anche in questa legislatura a lasciar marcire la questione della riforma della cittadinanza in cantina...», lei cosa dice?
«Che in Europa siamo gli ultimi. E dobbiamo conquistare molte posizioni con impegno e ragionevolezza. In buona sostanza dobbiamo far si che la nostra legislazione sia adeguata alla realtà, alla nuove realtà sociali, ma anche ai sentimenti che viviamo nel nostro Paese».
Ma come? Saprebbe indicare un percorso e delimitarne magari anche i confini?  
«Alcune indicazioni interessanti sono già presenti in molti dei disegni di legge già depositati. Inoltre, penso a un diritto di cittadinanza che possa andare anche oltre il concetto stesso di “nascere in Italia”. Perché credo che anche se non sei nato nel nostro Paese puoi averne diritto, chiaramente con alcune regole ben salde. E da questo punto di vista tutte le proposte saranno esaminate e valutate dal Parlamento che sarà sovrano».
Senta Presidente Grasso la ministra Cecile Kyenge, tra le altre questioni, ha puntato il dito contro il reato di immigrazione clandestina, che «andrebbe abolito». Lei cosa ne pensa?  
«Credo che debba essere adeguato alla realtà esistente. Anche qui ci sono dei disegni di legge già depositati e che presto diventeranno oggetto di valutazioni. Non c’è dubbio, però, ad esempio, che la legge Bossi-Fini ha contribuito a creare una popolazione carceraria abnorme. È chiaro ora che le cause del sovraffollamento carcerario non possono essere ricondotte esclusivamente alla Bossi-Fini, ma certamente è una delle ragioni. Per questo sostengo che anche questa materia andrà ridiscussa e rivista con pacatezza e senza riserve mentali da parte di nessuno».



Come diventare italiani. Diritto del suolo e del sangue
risponde Sergio Romano
Corriere dela sera, 09-05-2013
Ultimamente si sente ripetere anche da personaggi di alto livello, che è necessario stabilire in Italia lo «ius soli», perché «è giusto che chi è nato, cresciuto e ha studiato in Italia venga riconosciuto come cittadino italiano». Peccato che sia chiaramente una contraddizione in termini che sconfina nell'assurdo, dato che secondo lo «ius soli» si acquisirebbe la cittadinanza per il solo fatto del nascere in Italia (anche casualmente), ed è piuttosto difficile che un neonato sia già cresciuto e abbia già studiato! Quale Atena quando nacque dalla testa di Zeus… Possibile che non si possa approfondire seriamente questa delicata questione, e non limitarsi a slogan che hanno ben poco senso!
Giacomo Ivancich, Venezia
Caro Ivancich,
Preferisco il «diritto del suolo» perché non credo che certe materie, come quella della cittadinanza, debbano essere regolate da un fantomatico «diritto del sangue». Non mi piacciono i nazionalismi e in particolare quelli «biologici», frutto di teorie perniciose e screditate. Credo che un bambino nato in Italia da stranieri residenti nella Penisola sia potenzialmente un cittadino italiano. La legge potrebbe prevedere qualche limite e privare della cittadinanza, per esempio, coloro che lasciano definitivamente l'Italia. Una maggiore liberalità avrebbe per effetto l'aumento delle doppie cittadinanze, ma il fenomeno è il naturale risultato dei grandi cambiamenti della società umana negli ultimi decenni. Gli Stati nazionali non sono più creazioni mistiche. Le frontiere, soprattutto in Europa, non sono più barriere invalicabili fra opposti nazionalismi. Gli attori e i protagonisti dell'economia internazionale sono tutti transfrontalieri, destinati in misura crescente a trascorrere una parte della loro vita in luoghi diversi da quelli in cui sono nati e cresciuti. Se la persona che ha due passaporti si comporta correttamente in ciascuno dei Paesi a cui appartiene, la cosa non dovrebbe sorprenderci o, peggio, scandalizzarci.
Il maggiore problema italiano, comunque, non è quello dei bambini, ma dei loro genitori. Le leggi e le procedure che regolano la concessione della cittadinanza agli stranieri sono ancora troppo avare e macchinose. In molti Paesi europei sono stati introdotti esami di cittadinanza a cui sottoporre i candidati. I metodi adottati e le prove d'esame variano da Paese a Paese e rispondono a criteri diversi. I Paesi Bassi, ad esempio, cercano di scoraggiare i fondamentalisti e distribuiscono libretti d'istruzioni in cui appaiono, tra l'altro, nudi femminili e scene di matrimoni omosessuali. Negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna di David Cameron, i candidati devono rispondere a domande sulla storia nazionale del Paese di cui vogliono diventare cittadini. I quesiti sono discutibili e possono cambiare da un governo all'altro. Ma hanno almeno il merito di ridurre il tasso di discrezionalità e rendere la procedura più trasparente.
Non è tutto, caro Ivancich. Alla fine di questo percorso la cittadinanza è ufficialmente concessa durante una cerimonia generalmente organizzata nel palazzo municipale del Comune d'appartenenza alla presenza del sindaco o di una persona da lui delegata. Da un articolo recente del Financial Times apprendo che in Gran Bretagna il numero delle nuove cittadinanze è approssimativamente di circa 200.000. In Italia invece l'ostilità della Lega ha avvolto questa materia in una nebbia burocratica che non giova né al Paese né all'inserimento dei nuovi arrivati nella società italiana.



Miei figli di quale Paese? su Nuovi Italiani
l'Unità, 07-05-2013
Khalid Chaouki
In questi giorni ho pensato ai miei due figli. Il primo nato a Roma, il secondo nato a Rovereto. Cittadini italiani perché figli di italiani. Io e mia moglie, entrambi nati in Marocco e cresciuti in Italia. Non siamo solo italiani, ma ci sentiamo dei super italiani. Vorrei che qualcuno mi rispondesse a quale legge del sangue dovrebbero appartenere Adam e Ilyas? E a quale gradazione di italianità dovremmo appartenere sia io che mia moglie?
Aldilà delle battute, il clima che si è creato in questi giorni, che sarebbero dovuti essere giorni di festa per la rottura di un tabù, mi ha amareggiato. Un segnale preoccupante per l’evidente difficoltà del nostro Paese nel guardarsi serenamente allo specchio . La scelta coerente e coraggiosa, dopo un percorso avviato in seno al Partito Democratico in questi anni, del neo Presidente del Consiglio Enrico Letta di nominare Cécile Kyenge, il primo ministro nero della storia d’Italia, non è solo una bella notizia, ma è l’affermazione di un l’Italia che in questi ultimi anni è cambiata grazie alla presenza di milioni di nuovi italiani. Invece della festa, siamo ripiombati nella volgare collezione di battute e insulti di stampo razzista diffusi in numerosi siti dell’estrema destra e purtroppo ripresi anche da qualche noto e fortunatamente isolato esponente politico.
Quello che fa paura non è la presenza dei soliti, forse ancora troppi, difensori della razza pura che continuano a fomentare odio indisturbati sui social network. La nostra vera preoccupazione riguarda il livello scarso di conoscenza tra la nostra classe dirigente, e non parliamo solo della politica, della realtà della nuova Italia e di come la società si sia effettivamente trasformata in questi ultimi anni. Parlare di cinque milioni di immigrati e di un milione di minori figli di immigrati non significa solo snocciolare gli ultimi dati statistici, ma dovrebbe far riflettere sul vissuto di una parte dell’intera popolazione che oggi vive, lavora e studia in questo Paese. Non si tratta di braccia prese in prestito in attesa di restituzione ai Paesi di provenienza, ma di donne e uomini che hanno lasciato dietro di sé memorie e passioni sfidando le proprie paure e superando enormi difficoltà nella speranza di un futuro migliore. Persone che oggi offrono un contributo straordinario al tessuto sociale e soprattutto economico dell’Italia. Si tratta di bambini e bambine che non hanno conosciuto altri orizzonti fuori dall’Italia. Ragazzi che alla domanda “Di dove sei?”, non trovano ancora le parole giuste per offrire una risposta. E non c’è nulla di più frustrante e pericoloso per un adolescente della non capacità di darsi una identità, urlare con orgoglio il nome della propria madre, l’Italia. Ecco, oggi la nostra Italia continua a rinnegare quel milione di propri figli in nome di non si sa bene quale ideologia. La nostra battaglia per la riforma della legge sulla cittadinanza per chi nasce o cresce in Italia non vuole nascondere le difficoltà sul cammino della società multietnica e nemmeno vuole sminuire l’alto valore che l’appartenenza ad una nazione giustamente deve comportare.
Nessuna persona che abbia conosciuto o vissuto sulla propria pelle esperienze migratorie può affermare che la convivenza tra persone di diverse origini culturali sia una passeggiata come sanno tutti gli italiani che sono stati emigrati all’esetro. La costruzione della convivenza è un progetto che richiede a tutti noi, italiani, immigrati e nuovi italiani tanta fatica e soprattutto spirito di condivisione e volontà di costruire insieme un domani comune. Ma queste difficoltà non riguardano e non devono confondersi con il vissuto dei nostri figli, che non sono immigrati ma figli di immigrati.
Si tratta di dare cittadinanza ad uno stato d’animo, ad un modo di essere, ad un legame profondo con il Paese dove si nasce. Un’aspirazione naturale a cui lo Stato deve riconoscere piena legittimità come ci ha ripetuto più volte il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La legge sulla cittadinanza non è una legge tra le tante: è una legge su cui si misura la cultura democratica di un Paese, di una società. Ed è per questo che il Partito Democratico, insieme ad un largo schieramento trasversale, il più ampio possibile in Parlamento, ambisce a certificare tutti insieme il cambiamento già avvenuto nella società italiana.
Arrivare ad una legge moderna e avanzata in materia di cittadinanza non è solo un modo di tenere fede ad un fondamentale principio di uguaglianza, sancito peraltro anche dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Non è solo una questione di giustizia sociale, cosa che già sarebbe di per sé sufficiente. Ma rappresenta la cifra della nostra civiltà. Insieme a Cécile, siamo quindi pronti per fare un ulteriore nuovo passo. Una nuova legge che riconosca con chiarezza che chi nasce o cresce in Italia è italiano!



Forza Nuova: «Kyenge torna in Congo» A Macerata insulti contro il ministro
La scritta razzista comparsa davanti alla sede locale del Pd
Corriere della sera.it, 09-05-2013
«Kyenge torna in Congo». Questa la scritta apparsa davanti alla sede del Pd, in via Spalato a Macerata, firmata dai militanti di Forza Nuova. L'attacco razzista contro il ministro per l'Integrazione da parte del movimento di estrema destra arriva dopo la proposta del senatore Mario Morgoni di concedere la cittadinanza onoraria a Cecile Kyenge. Un modo per sostenere la proposta, avanzata di Kyenge, di introdurre in Italia una legge per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di genitori stranieri che vivono e lavorano in Italia. Il cosiddetto «ius soli».
CONTRO IL MINISTRO - «Le recenti dichiarazioni del ministro della (dis)integrazione, che si è vantata di essere arrivata clandestinamente in Italia elogiando la poligamia - si legge nel comunicato di Fn di Macerata -, una pratica avulsa alla nostra tradizione e altamente lesiva della dignità della donna, ci portano a ribadire la più totale contrarietà di Forza Nuova allo ius soli». Le parole dei militanti di Fn fanno eco anche a quelle dell'eurodeputato della Lega Nord Mario Borghezio che nei giorni scorsi aveva dichiarato: «Questo è un governo del bonga bonga, vogliono cambiare la legge sulla cittadinanza con lo ius soli e la Kyenge ci vuole imporre le sue tradizioni tribali, quelle del Congo. Lei è italiana? Il Paese è quello che è, le leggi sono fatte alla cazzo...».
INSULTI RAZZISTI - Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli insulti razzisti contro Cecile Kyenge anche sul web. «Attacchi razzisti inaccettabili, ma purtroppo già sperimentati sulla propria pelle da molti stranieri in Italia , tra i quali tanti medici», aveva commentato Foad Aodi presidente dell'Amsi (Associazione medici stranieri in Italia). Contro gli insulti razzisti al ministro anche una nota del vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che ha espresso, a nome della presidenza di Palazzo Madama, in particolare «ferma condanna» contro le «frasi razziste» pronunciate anche da Borghezio.


    
Migranti, flop della "norma-manifesto" Solo 12 "clandestini" in 18 mesi

Una macchina che non ha mai funzionato. E' la storia del fallimento di una legge (la 94 del 15 luglio 2009 - il Pacchetto sicurezza) che ha introdotto la nuova ipotesi di reato dell'ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato che la neo-ministra all'Integrazione, Cecile Kyenge, chiede oggi di abrogare. I numeri confermano il flop già annunciato da Repubblica.it nel gennaio dell'anno scorso
la Repubblica, 09-05-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Questa è la storia di un flop annunciato. Di una macchina che non ha mai funzionato a pieno regime. Questa è la storia del fallimento di una "norma manifesto": il reato di immigrazione clandestina. I numeri sono lì a dimostrarlo: solo 12 condanne in 18 mesi. E così l'arma che la neo-ministra all'Integrazione, Cecile Kyenge, chiede oggi di abrogare, si rivela alla prova dei fatti già spuntata.
Un passo indietro. La legge 94 del 15 luglio 2009 (il Pacchetto sicurezza) ha introdotto la nuova ipotesi di reato dell'ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Pertanto, lo straniero che entra o permane illegalmente nel territorio italiano è punito con l'ammenda da cinquemila a diecimila euro. Per monitorarne l'applicazione, la Direzione generale della giustizia penale ha controllato i dati relativi al 79 per cento dei fascicoli iscritti nel 2010 presso i tribunali italiani. Dunque un primo bilancio, un anno e mezzo dopo l'approvazione della legge. Come è andata? I numeri confermano il flop già annunciato da Repubblica.it nel gennaio dell'anno scorso.
Solo 12 condanne. I dati (resi noti da Redattore Sociale) registrano appena 172 fascicoli aperti nei tribunali, all'interno dei quali è stata rintracciata la voce relativa al reato in questione. Di questi, solo 55 sono stati definiti. Più nello specifico, sono solo 12 le sentenze di condanna, mentre 18 sono le sentenze concluse con un patteggiamento e una la sentenza "promiscua" (vale a dire definitasi con una condanna per un reato e un'assoluzione per l'altro). Il totale delle sentenze di assoluzione sono 4 e 20 quelle chiuse con altre modalità di definizione. I dati del Ministero, seppure parziali, paiono dunque fotografare un fallimento di questo strumento repressivo.
"Una legge manifesto". "E non può essere diversamente - commenta Patrizio Gonnella dell'Associazione Antigone - visto che stiamo parlando di leggi-manifesto, assolutamente inapplicabili. In realtà sulla questione possono essere fatti due ordini di considerazioni. La prima è quella che fa riferimento alla lentezza dei processi in Italia, per cui è difficile che in un solo anno si sia arrivati a numeri importanti. La seconda, invece, è che di fronte a questi numeri è chiaro che siamo di fronte a una norma impossibile da realizzare".



Karim non deve partire’, una firma per impedire un’espulsione ingiusta
Zeroviolenzadonne.it, 09-05-2013
“Karim ha la prossima udienza il 10 maggio. Qualcuno deciderà in base alle regole (ma quali regole?!) se deve salire su un aereo oppure se può rimanere in Italia. Che è il suo paese. Dove ha una famiglia, la sua famiglia. Ha me ed un figlio in arrivo. KARIM NON DEVE PARTIRE“.
Finisce così l’appello di Federica, una giovane futura mamma, che si è scontrata con la burocrazia italiana e i suoi errori, che chiede aiuto per firmare la petizione che potrebbe fermare l’espulsione del suo ragazzo.
La loro è una storia come quella di tanti altri: lui, egiziano, arriva in Italia a sei anni, vive con la nuova famiglia del padre, cresce nel paese che lo ha accolto e lo sente suo. Poi, quando il padre muore, frequenta brutte compagnie e viene arrestato per abuso di stupefacenti. Seguono gli anni in carcere, il recupero, la libertà ritrovata e l’incontro con lei, Federica. Vanno a vivere insieme a Milano. Tre anni d’amore, una casa e ora, un bimbo in arrivo. Il 4 aprile scorso però, un poliziotto lo ferma e lo arresta perché non ha i documenti in regola. Poco contano le spiegazioni, Karim viene mandato al CIE di Ponte Galeria a Roma, pronto per l’estradizione nel “suo” paese.
Ora, come glielo spieghi che il suo paese non è quello che l’ha visto nascere ma quello che l’ha visto crescere? Come puoi spiegare ad uno Stato che applica la legge Bossi Fini che Karim è molto più italiano che egiziano, che la sua vita è qui, che la sua famiglia è italiana e che non è colpa sua se i suoi documenti non erano in regola, ma di un funzionario magari distratto, magari stanco, che ha commesso un errore?
A prendersi a cuore la causa di Karim, e di molti altri costretti a vivere nei CIE, è la campagna LasciateCIEntrare che monitora costantemente il rispetto delle normative europee in questi centri, facendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei migranti. Inutile dire che molto spesso queste strutture sono degradate, “oltre il limite della vivibilità e del rispetto della dignità umana e dove si verificano continue e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali“. Loro hanno aiutato Karim, hanno, momentaneamente, fermato il rimpatrio e hanno trovato un avvocato esperto di ASGI – Studi Giuridici sull’Immigrazione che sta spiegando a lui e alla sua giovane compagna cosa fare.
Tra meno quarantotto ore qualcuno stabilirà se Karim deve salire su un aereo e tornare “a casa” o no. Nel mentre c’è una petizione da firmare. E una famiglia da riunire.



CIE, tutti contro il documento Ruperto "Trattati come fosse un ergastolo bianco"
Le associazioni chiedono al governo Letta di non tenere conto della pesante eredità del governo Monti in tema di Cie. Un rapporto che mette nero su bianco che l'estensione a 18 mesi della detenzione introdotta nel 2011 era giustificata dall'esigenza di scoraggiare il calcolo di convenienza compiuto dagli stranieri trattenuti. Questo dimostra che la direttiva rimpatri è usata per prevenzione generale
RAFFAELLA COSENTINO
ROMA -"Abbiamo visto gente di tanti paesi, con un'unica croce, chiedersi perché si trovasse lì, senza trovare risposta". Gli avvocati penalisti dell'Osservatorio Carcere scrivono in poche parole le loro impressioni dopo avere visitato tre Centri di identificazione e di espulsione, quelli di Milano, Roma e Gradisca d'Isonzo. Non avere il permesso di soggiorno è solo un problema amministrativo e la detenzione di un anno e mezzo nei Cie non è penale, perché è una reclusione senza reato e senza condanna. Ma l'Unione camere penali, associazione dei penalisti, ha deciso di occuparsene perché "sono peggio del carcere". Michele Passione, dell'Ucp, spiega che "il trattenimento nei Cie è assimilabile a un ergastolo bianco". Il motivo è che arrivati al limite massimo di 18 mesi, chi non è stato rimpatriato viene rilasciato ma resta irregolare, quindi al successivo controllo delle forze dell'ordine finirà di nuovo in un Cie.
Quell'idea di inasprire i CIE. Parole pesanti che arrivano nel corso della conferenza stampa convocata dalla campagna LasciateCIEntrare per bocciare senza appello il documento programmatico sui Cie scritto dalla task force del sottosegretario Saverio Ruperto, inviata a fare un'indagine sui centri da Anna Maria Cancellieri quando era a capo del Viminale. Della campagna fanno parte moltissime sigle e singoli, dall'Asgi alla Cgil, dai Medu all'Fnsi e l'Ordine dei giornalisti, per citarne alcune. Anche il neo ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge Kashetu sostiene la campagna fin dalla sua nascita due anni fa. LasciateCIEntrare, per bocca della coordinatrice Gabriella Guido, si rivolge al governo Letta per chiedere che "non si tenga conto del documento Ruperto, perché manifesta la totale ignoranza delle effettive criticità della detenzione amministrativa". La posizione della società civile sul tema è chiara: chiudere i Cie e istituire una commissione mista tra associazioni e parlamentari per trovare un sistema diverso per l'identificazione degli stranieri che devono essere rimpatriati nel Paese d'origine.
Un "testamento" del vecchio governo. Il timore delle associazioni è che proprio dal testo Ruperto, visto come una sorta di testamento dal vecchio governo al nuovo, si parta a livello governativo per affrontare la spinosa questione di questi centri, divenuti nel tempo un buco nero per i diritti umani e per la mole di spese che comportano. "E' in questa situazione che si colloca la decisione di pubblicare un documento programmatico sui Cie da parte di un governo tecnico dimissionario, quasi a voler tracciare un programma ammantato di apparente tecnicismo, e quindi buono per tutte le incerte stagioni che verranno" scrivono le associazioni. Le soluzioni prospettate da Ruperto porterebbero i Cie ad essere sempre più simili alle carceri, con un inasprimento delle misure repressive e celle di isolamento, senza contare il notevole giro d'affari, pari a circa 20 milioni di euro l'anno, che andrebbe in mano a un ente gestore unico per tutti i centri, come suggerito dal documento.
Il reimpatrio come prevenzione. "Incredibilmente questo rapporto mette nero su bianco che l'estensione a 18 mesi della detenzione introdotta nel 2011 era giustificata dall'esigenza di scoraggiare il calcolo di convenienza compiuto dagli stranieri trattenuti  -  dice ancora Passione - questo dimostra che la direttiva rimpatri è usata nei Cie per un meccanismo di prevenzione generale". Secondo Passione gli avvocati dovrebbero sollevare l'incostituzionalità dei Cie. Due avvocati baresi ci hanno pensato già un anno fa. Si tratta di Luigi Paccione e Alessio Carlucci che con una class action hanno chiesto al tribunale di Bari la chiusura urgente del Cie barese perché viola i diritti umani ed è nei fatti un 'carcere extra ordinem'. Il giudice però sta prendendo tempo (la sentenza era attesa ad agosto 2012). Ancora non si è pronunciato, in attesa di verificare la legalità del centro. Nel frattempo, il ministero dell'Interno sta facendo i lavori di ristrutturazione dei moduli detentivi. In un'ala del Cie ci sono i trattenuti, nell'altra i muratori all'opera.
L'ostruzionismo delle Prefetture. Anche la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa ha fatto un'indagine sui Cie e sul reato di immigrazione irregolare, riscontrando ostruzionismo a ottenere dati dalle prefetture. "La conclusione generale è che si tratta di un sistema incostituzionale, perché è assimilabile a quello penitenziario, ma non ci sono regolamenti uniformi in grado di dire quali sono i diritti e i doveri dei trattenuti" afferma Ilaria Boiano per la Sant'Anna. Infine, l'Asgi sottolinea la differenza fra il rapporto Ruperto e l'indagine De Mistura del 2006. "Mentre la commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all'associazionismo e ha fatto un lavoro pubblico e trasparente - scrive Asgi in una nota - il rapporto è stato realizzato esclusivamente da funzionari del Ministero dell'Interno che hanno lavorato in assoluta segretezza".
La petizione per Karim. La campagna LasciateCIEntrare ha lanciato anche una petizione per Karim, il giovane milanese con passaporto egiziano che rischia l'espulsione in Egitto di cui Repubblica. it ha raccontato la storia. L'appello, nato da una lettera della compagna incinta, Federica, 21enne, per dire che "Karim non deve partire" perché ha la sua famiglia in Italia, ha raccolto 10mila firme in poche ore. Il 10 maggio la commissione territoriale dovrà valutare se Karim può avere un permesso di soggiorno umanitario. Intanto il giovane rischia sempre di essere imbarcato su un volo per Il Cairo.
 


I richiedenti asilo "di ritorno" Il centro per la "Sindrome di Dublino"
A Roma per iniziativa dell'Università Cattolica e la Croce Rossa. Un centro pilota che da assistenza integrata ai più deboli fra i migranti: i richiedenti asilo che si sono spostati in un paese diverso da quello in cui erano entrati in Europa e che una volta individuati vengono rispediti dove gli erano state prese le impronte digitali
la Repubblica, 09-05-2013
EMANUELA STELLA
ROMA - Un centro pilota che fornisce assistenza integrata ai più deboli fra i migranti: i richiedenti asilo "di ritorno", quelli che si sono spostati in un paese diverso da quello in cui erano entrati in Europa e che una volta individuati vengono rispediti dove gli erano state prese le impronte digitali, e dove questo popolo di "invisibili" (cha a Roma è valutato in duemila persone) è costretto a sopravvivere in condizioni di indigenza e abbandono. Il progetto A. M. I. C. I. per l'accoglienza di soggetti vulnerabili richiedenti protezione internazionale trasferiti in Italia in applicazione del Regolamento di Dublino, finanziato con fondi europei per i rifugiati 2011-2012 e cogestito da Università Cattolica del Sacro Cuore e Croce Rossa di concerto con Unione Europea e ministero dell'interno, è diretto dal professor Emanuele Caroppo.
Assistenza sanitaria ma non solo. Il centro per Dublino-vulnerabili di Roma fornisce assistenza integrata, non solo sanitaria ma allargata a tutti gli aspetti della vita sociale e dell'integrazione: la Cattolica è la prima università che mette a disposizione il proprio policlinico per la tutela della salute di questa specifica categoria di migranti. "Ci siamo resi conto, dopo anni di pratica quotidiana trascorsi a  verificare fattori di stress e vulnerabilità, che i dublinanti sono particolarmente vulnerabili alla malattia fisica o psichica - sottolinea il professor Caroppo. - Tra loro vi sono vittime di tortura con gravi conseguenze psicofisiche, donne con complicanze da mutilazioni genitali, gruppi familiari monoparentali. L'idea è creare un centro specifico per queste persone, forti della struttura di eccellenza e della capacità di intervento del Policlinico Gemelli.
Tre necessità essenziali. Quando arrivano in Italia - paese tra i meno ricettivi in materia di accoglienza ai richiedenti asilo - queste persone hanno tre necessità: di tipo legale (e abbiamo istituito un ufficio che aiuta a farsi strada tra gli obblighi burocratici per quanto riguarda per esempio i ricongiungimenti familiari), di tipo sociale, che attiene alla possibilità di integrarsi grazie a una mediazione in grado di appianare problemi linguistici e culturali, e relativa alla salute (arrivano persone con situazioni quali cardiopatie, diabete, fratture, ma anche con problemi di tipo psicologico). E non ci occupiamo solo di adulti ma anche di bambini, compresi quelli non accompagnati". Al momento sono una dozzina i bambini presi in carico, e otto gli adolescenti. A giugno partirà un progetto di prevenzione della depressione post partum (metodo Milgrom) per le donne migranti, che subiscono in modo devastante lo stress di un parto medicalizzato e vissuto lontano dagli affetti familiari e dalla propria casa.
Un aiuto concreto che serve a vivere. Complessivamente al centro di via Orti della Farnesina fanno capo una quarantina tra psicologi, assistenti sociali, mediatori: "Si tratta di un centro ad alta intensità di assistenza, una risposta  all'Europa che ci accusa di non fornire adeguata assistenza ai migranti", sottolinea il professor Caroppo.
Quando una persona deve far riferimento a vari servizi dispersi in diverse sedi, il tempo di "sospensione" si moltiplica.  "La nostra scommessa è creare un centro specialistico che in due-tre giorni esegua tutti gli esami necessari per formulare una diagnosi e avviare le persone alle terapie, ma fornisca anche in tempi brevissimi le certificazioni medico-legali necessarie per avanzare la richiesta di asilo alla commissione che valuta lo status di rifugiato", spiega il direttore del centro.
"Accogliamo fino a 90 persone". "Siamo in grado di accogliere fino a 90 persone contemporaneamente, con un limite di permanenza di tre mesi. Abbiamo snellito al massimo  le pratiche mediche e siamo pronti a mandarli in commissione più rapidamente. A tutti è assicurato il sostegno psicologico per stress migratorio: abbiamo messo a punto una ludopedagogia che prevede  attività non solo nel centro ma in altre strutture esistenti nel territorio, a partire dall'inserimento scolastico dei bambini fino alla formazione al lavoro per gli adulti, attraverso contatti con una rete di centri di ristorazione, vivai e altre strutture in grado di fornire impiego".
Positiva l'integrazione con il territorio. Tenendo sempre d'occhio il fattore umano, non solo la prestazione sanitaria. "Per noi non c'è peggior nemico della  solitudine, del sentirsi abbandonati in un mondo difficile e spesso ostile: basti pensare alle reazioni che ha scatenato in una opinione pubblica poco sensibile la nomina del ministro Kyange e il suo impegno per  riconoscere la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia. Il territorio in cui il centro è inserito risponde molto positivamente, i nostri ospiti si sono integrati bene. La nostra attività procede a pieno ritmo da gennaio: accogliamo persone da tutte le parti di Africa e medio oriente".
Il talento di un giovane iracheno. L'idea è far sì che questi ospiti manifestino di "esserci", riuscendo ad esprimersi: "Abbiamo conosciuto un giovane iracheno arrivato qui da Londra che possiede un talento eccezionale per il disegno: vorremmo avviarlo a una scuola di pittura per consentirgli di esprimere appieno le sue capacità. La 'sindrome dublinese', nel suo caso, è evidente nel diverso carattere dei disegni che crea oggi rispetto a quando era a Londra: ora i colori sono più cupi e il disegno esprime amarezza e incertezza". Una regista sta girando un videoracconto su questo ragazzo, per far conoscere la sua storia. Ospite del centro è anche un giovane richiedente asilo che si è dato fuoco all'aeroporto di Fiumicino per resistere alla deportazione: è già stato affidato al chirurgo plastico e verrà avviato a un trattamento per eliminare le cicatrici.



Rossano, oltre 70 immigrati tratti in salvo dalla guardia costiera
Reggio tv.it, 07-05-2013
Rossano (Cosenza). Operazione di soccorso in mare da parte della Guardia Costiera al largo della costa di Rossano. Nella serata di ieri da un’utenza satellitare che ha chiamato il 112, è stata segnalata alla sala operativa della Capitaneria di porto di Corigliano Calabro un’emergenza da parte di un’imbarcazione di soli 10 metri in legno che si trovava al largo della costa tra Rossano e Corigliano Calabro con a bordo oltre 70 immigrati in pericolo di vita.
Sono scattate le operazioni di ricerca dell’imbarcazione con tre unità navali, un aereo ed un elicottero della Guardia Costiera nonché due unità navali della Guardia di Finanza. Il tutto coordinato dalla Centrale Operativa della Direzione marittima di Reggio Calabria.
Nel frattempo a terra pattuglie della Capitaneria di porto, dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza cercavano di avvistare gli immigrati.
Fortunatamente la motovedetta della Guardia Costiera CP874 ha avvistato l’imbarcazione a circa 10 miglia dalla costa di Rossano e l’ha “scortata” fino al porto di Cariati dove ad attendere gli immigrati c’erano anche gli operatori del 118, della Protezione civile e del Comune di Cariati.
Provvidenziale è stato anche l’intervento del personale della locale Guardia Costiera che si è avvicinato ad uno dei migranti finito in mare e che stava affogando e, a bordo di una unità navale, l’ha miracolosamente afferrato e tratto in salvo.
I migranti sono in gran parte di nazionalità palestinese ma ci sono anche cittadini del pakistan, curdi, siriani, egiziani e si presentano in buone condizioni anche se stremati dal viaggio. Alcuni feriti sono stati ricoverati presso gli ospedali vicini. Per gli altri sono comunque in corso le visite mediche di routine. I minori potrebbero essere 20.
Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza stanno procedendo anche alle laboriose operazioni di fotosegnalazione e identificazione, che potranno durare tutta la notte.
Uno degli scafisti è stato già individuato tra i disperati sbarcati sulla banchina del porto.
I migranti sono ospitati in una struttura messa a disposizione dal Comune per la prima accoglienza in attesa del successivo trasferimento.

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