Una polemica ricorrente
Saleh Zaghloul
La ricorrente polemica a proposito del burqa si  aggroviglia, di frequente, intorno al nodo rappresentato dalla concezione della donna e del suo ruolo nei paesi  islamici. In realtà, nel mondo arabo la situazione è diversificata.
Le fiction americane, nella programmazione delle emittenti arabe, hanno lo stesso ampio spazio dedicato loro dalla tv italiana. I format di successo nel mercato internazionale vengono riproposti  quasi uguali, dai quiz ai reality show. L’ingresso sulla scena politica araba dei movimenti islamici ha modificato la situazione: non so se nel mio popolarissimo quartiere di Amman sarebbe possibile vedere oggi, come nel 1971, quella minigonna (nata a Londra appena sei anni prima) indosso a una donna araba. E succede che una giornalista di Al Jazeera decida, da un giorno all’altro, di presentare  velata il telegiornale più visto nel mondo arabo. Qui, come in Italia, ci sono donne e uomini, che lottano contro il controllo del corpo femminile da parte dei maschi e delle autorità, difendendo al contempo il diritto di ogni donna di scegliere cosa indossare, cosa far apparire e cosa nascondere. I mezzi d’informazione italiani ignorano queste controversie e danno la massima visibilità a posizioni generalizzanti sostenute preferibilmente da italiane convertite, avvalorando così una visione che vuole le donne tutte sconfitte e vittime. Questo conferma che la via subalterna dell’assimilazione, che prevede la rinuncia alla propria cultura, è più agevole di quella dell’integrazione matura che aspira, faticosamente, a coltivare la propria identità. Quest’ultimo è un percorso accidentato e dall’esito incerto, ma va assolutamente intrapreso. Pena la banalizzazione delle biografie individuali e collettive.

Unità 21 novembre 2009
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