Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 aprile 2012

Stop al nullaosta per chi usa il lavoro nero
Permesso di soggiorno al clandestino che denuncia l'impresa
Il premier: riforma più ampia e incisiva
Corriere della sera, 17-04-2012
Roberto Bagnoli
ROMA - Gli imprenditori che usano lavoratori extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno d'ora in poi rischiano grosso: se condannati anche con sentenza non definitiva, oltre a una sanzione pecuniaria, non otterranno il via libera a successive attività mentre lo straniero che presenta denuncia sarà premiato con la possibilità di rimanere in Italia per tutto il periodo della durata del processo. Lo ha deciso il Consiglio dei ministri di lunedì approvando un decreto che recepisce una direttiva comunitaria di tre anni fa. Il dispositivo tuttavia, è stato approvato in forma preliminare in attesa di un parere delle commissioni parlamentari.
Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro la corsa alle modifiche e agli emendamenti comincerà domani dopo l'incontro previsto per martedì tra il presidente del Consiglio Mario Monti e i partiti di maggioranza. La tormentata riforma, che ieri il premier è tornato a difendere definendola «più ampia e incisiva del previsto perché prevede una maggiore flessibilità per tutti i lavoratori e non solo per i nuovi assunti», torna a dividere in modo radicale le parti sociali mentre i tecnici del Senato ravvisano alcuni dubbi sull'articolo 18 il cui «nuovo rito processuale sui licenziamenti non assicura al lavoratore maggiori garanzie».
Anche il ministro del Welfare Elsa Fornero scende di nuovo in campo contro i critici alla «sua» riforma e, replicando alle imprese, spiega che «nessuno è stato tradito» e che con le modifiche all'articolo 18 «non si è data alle aziende la libertà di licenziare». Ma le distanze restano. La Cgil, in una dura nota, ha sostenuto che «il testo nel passaggio dal governo al Senato è peggiorativo per i lavoratori» e accusa la Confindustria di «utilizzare di tutto, anche la norma sui licenziamenti disciplinari illegittimi, pur di intervenire contro il reintegro». Per viale Astronomia invece, secondo le parole del direttore generale Giampaolo Galli, la «riforma va cambiata e in moltissimi punti, l'impianto è quello burocratico e del sospetto nei confronti dell'impresa».
Nonostante questo quadro surreale della situazione, non c'è molto tempo per evitare di fornire ai mercati altri argomenti per spingere lo spread verso l'alto. Maurizio Castro, relatore per il Pdl in commissione Lavoro del Senato è ottimista: «Con il vertice tra Monti e la maggioranza la partita al 95% si chiude, poi dovremo metterci a correre per mettere a punto le modifiche». La difficoltà tuttavia starà nel tradurre nel linguaggio complesso dei giuslavoristi l'accordo politico. I nodi più importanti riguardano le partite Iva, i contratti a tempo determinato, i contributi per gli autonomi, gli stagionali, le procedure per l'apprendistato e la formazione.



Immigrati, permesso temporaneo per chi denuncia lo sfruttamento
Il Messaggero 17-04-2012        
Carlo Mercuri
ROMA - Nella lotta senza quartiere al lavoro nero spicca il decreto legislativo varato ieri sera dal Consiglio dei ministri, che recepisce una direttiva comunitaria del 2009 espressamente diretta a «favorire l’emersione degli illeciti». Il provvedimento va ad integrare il Testo unico dell’immigrazione del 1998 e sarà inviato al parere delle Commissioni parlamentari.
Il nuovo regime sanzionatorio prevede che il datore di lavoro che sia stato condannato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da impiegare in attività illecita, di sfruttamento del lavoro o di assunzione di lavoratori privi di permesso di soggiorno, non potrà poi ottenere il nulla-osta per successive attività imprenditoriali. Il provvedimento, spiega una nota di Palazzo Chigi, prevede anche un sistema di sanzioni pecuniarie che vanno a colpire pure le persone giuridiche che si siano avvantaggiate ricorrendo all’impiego di cittadini stranieri il cui soggiorno è irregolare.
Ma non è finita qui. «Al fine di favorire l’emersione degli illeciti - dice il comunicato di Palazzo Chigi - si prevede, per le sole ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, che lo straniero che presenta denuncia o coopera nel procedimento penale possa ottenere, a talune condizioni, il rilascio di un permesso di soggiorno di durata temporanea».
Quindi, sanzioni dure nei confronti dell’imprenditore che sfrutta manodopera clandestina e nel contempo un premio, sotto forma di permesso di soggiorno, per l’immigrato che denunci la situazione illegale.
Il Consiglio dei ministri ha varato il provvedimento ma non tutti i ministri sono d’accordo nella sostanza. Ce n’è almeno uno, il ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi, che non più tardi di 48 ore fa aveva pubblicamente dichiarato in un’intervista che non era affatto soddisfatto di come si stava affrontando la questione. Riccardi aveva affermato che, beninteso, «l’utilizzo senza scrupoli di manodopera straniera irregolare è massiccio in molti settori e va combattuto e sanzionato senza cedimenti». Ma, aveva proseguito, sarebbe «opportuno definire norme di transizione, anche breve, come di solito avviene in questi casi».
Poi il ministro aveva spiegato: «Adesso è prematuro pensare a un sistema di emersione del lavoro nero attraverso una regolarizzazione dei clandestini». Il regime di «prudente transitorietà», come ha detto ancora Riccardi, andrebbe invece applicato «proprio per evitare contenziosi e conflitti tra soggetti deboli», riferendosi in particolare «alla figura delle badanti». Perché «le norme allo studio, se non calibrate bene, rischiano di fornire uno strumento di contenzioso, se non peggio di intimidazione contro l’anziano o il disabile, che potrebbe diffondersi a dismisura».
Teme, in sostanza, il ministro, che il provvedimento possa mettere sullo stesso piano l’imprenditore che sfrutta manodopera clandestina, non regolarizzando i pagamenti di decine e decine di lavoratori immigrati, con gli anziani e i disabili che si avvalgono della collaborazione delle badanti e che magari presentano qualche scollatura o qualche ritardo o qualche innocente imperfezione nei pagamenti del loro lavoro.
Il provvedimento varato ieri è invece molto severo e non ammette norme transitorie. Prevede addirittura una programmazione annuale dell’attività di vigilanza sui luoghi di lavoro e la comunicazione annuale da parte del Ministero del Lavoro.



Aborti, paura e violenze al Centro rifugiati
Avvenire, 17-04-2012
Nello Scavo
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Venne presentata come una Disneyland per extracomunitari: villette, aree giochi, comfort e qualche lusso. Ma ora dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania) si levano le voci di chi non ci vede chiaro. Solo nei primi tre mesi del 2012, sulle 32 interruzioni volontarie di gravidanza avvenute nel comprensorio, 7 riguardavano donne migranti. Ancor più grave sarebbe se questi episodi fossero collegati «ai casi di prostituzione e di violenze di cui tanti sanno», denuncia un medico.
La percentuale di gravidanze interrotte (confermata da fonti sanitarie), è altissima se si pensa che l’ospedale "Gravina" di Caltagirone serve un bacino di oltre 200mila assistiti, mentre al Cara sono ospitate circa 1.800 persone, meno di 600 le donne.
Non dev’essere un caso se domenica, visitando le quattrocento case del villaggio degli immigrati, monsignor Calogero Peri ha invocato «la tutela della dignità della donna e della vita». «I più deboli, pagano sempre i costi più alti. La vita – ha esortato il vescovo di Caltagirone – sia tutelata dal suo concepimento alla sua fine». Perciò il presule siciliano ha invitato a pregare «per i tanti bambini non nati, e per i numerosi giovani che hanno concluso la loro esistenza in terra straniera». Nell’ultimo anno si sono contati due decessi a seguito di «problemi di salute» e un ragazzo è finito in coma dopo una violenta scazzottata. Le storie più allarmanti riguardano le donne in gravidanza.
Michele Giongrandi, ostetrico nel nosocomio di Caltagirone e presidente dell’organizzazione non governativa Cope, conserva memoria di ogni episodio anomalo. L’ultimo è di pochi giorni fa: «Un’immigrata è stata accompagnata al pronto soccorso. Si è scoperto che era già alla 44esima settimana di gravidanza», ben due oltre il termine. «Purtroppo la bambina – spiega Giongrandi –. Era già morta». Le donne «andrebbero portate in ospedale periodicamente e – insiste l’operatore sanitario – andrebbero inquadrate in un percorso diagnostico di accompagnamento al parto. Ma poi, regolarmente, arrivano in sala parto donne di cui manca ogni riferimento clinico».
Qualche tempo prima era arrivata una telefonata insolita. «Stavano accompagnando quattro donne, tutte insieme per chiedere l’interruzione della gravidanza. Quando è stato chiesto come fosse possibile – racconta l’ostetrico –, la risposta di un operatore del Cara è stata disarmante: "Purtroppo non ci arrivano i profilattici". Ma possibile, mi domando, che si pensi di affrontare una questione come questa solo distribuendo preservativi?».
Quali problemi si intreccino dietro una vita non nata, in questi casi nessuno sa dirlo con esattezza. Certe domande, però, bisogna farsele. «So che ci sono episodi di abusi, di violenze – denuncia Giongrandi –. Ma se capitano, vengono nascosti. Sappiamo anche che all’interno del centro vi sono donne che si prostituiscono per quattro soldi. Le situazioni poco chiare, insomma, non mancano».
La conformazione del Cara rende difficile la sorveglianza metro per metro. Una volta quello era il villaggio dei marines americani di stanza nella base di Sigonella. Controllare cosa accade nel perimetro di ogni singola villetta è impossibile, e sarebbe perfino invasivo. «Purtroppo – si lamenta un operatore del Cara, che chiede l’anonimato – viene rifiutato l’accesso a tante associazioni di volontariato che, senza far elevare i costi di gestione, potrebbero darci una mano nel migliorare la qualità della vita degli ospiti e la prevenzione di violenze e disagio».
Al vescovo Peri sono bastate sei parole per definire questa condizione: «Esistenze sospese in un futuro incerto». Argomento che ha dato impulso ad altre denunce. «A concorrere al drammatico logoramento psicologico dei richiedenti asilo – commenta Margherita Marchese, presidente dell’Azione cattolica diocesana – , sono la segregazione e l’isolamento del Cara rispetto alla realtà urbana di Catania (distante oltre 40 Km) e al comune di Mineo (a 11 km)».
Agli «ospiti» resta un paesaggio «che immobilizza e svuota le esistenze, una "prigione di arance" che circonda il campo e in un certo modo – insiste Marchese – rimarca la sua distanza da ogni altro luogo».



Quei figli negati. Allarme immigrate
Avvenire, 17-04-2012
Viviana Daloiso
I dati più recenti sono quelli presentati lo scorso agosto in Parlamento e relativi al biennio 2009-2010. Ma medici e associazioni sono convinti siano già ampiamente superati: nel senso che la situazione, da allora, non può essere che pesantemente peggiorata. Stiamo parlando delle donne straniere e dell’aborto, un binomio che nel nostro Paese assomiglia sempre più a una emergenza sociale.
I numeri parlano chiaro: sul totale delle interruzioni di gravidanza praticate nel nostro Paese, oltre il 33% dei casi riguarda immigrate (nel 1998 erano appena il 10%). Una cifra in progressivo, esponenziale aumento, a fronte della graduale diminuzione delle interruzione di gravidanza tra le italiane. E si tratta solo dei dati ufficiali, al netto cioè degli aborti clandestini, sempre più diffusi grazie al fiorire del mercato illegale di farmaci abortivi e alla mancanza di informazioni da parte delle immigrate.
Che, in un caso su tre secondo la Società italiana di ostetricia e ginecologia, considerano l’interruzione di gravidanza alla stregua di un contraccettivo. Alle origini dell’emergenza, il dramma della prostituzione e soprattutto le condizioni di vita e di lavoro non facili: situazioni che rendono difficile portare avanti una maternità. Non è un caso se la percentuale di aborti tra adolescenti (proprio come tra le donne italiane), è molto bassa: quasi la metà delle immigrate che vi ricorrono, anzi, sono coniugate e nel 43,8% dei casi con occupazione lavorativa, per lo più precaria, preoccupate che la gravidanza possa compromettere il loro status, e quello della loro famiglia, già di per sé incerto. Il resto lo fa la scarsa conoscenza della lingua e delle leggi italiane, che rende loro difficile anche il rapporto con il personale sanitario e con le istituzioni. Situazioni con cui ogni giorno si scontrano le centinaia di Centri di aiuto alla vita sparsi sul territorio nazionale, dove l’80% e più delle donne che si presentano chiedendo aiuto sono proprio straniere.
Qui i volti cambiano, ma le storie si ripetono: le immigrate, soprattutto di origine sudamericana (anche se secondo la Relazione presentata in Parlamento a ricorrere all’Ivg sono soprattutto le donne dell’Est Europa) arrivano spaesate, spezzate dall’idea di dover rifiutare la vita che portano in grembo e tuttavia certe che gli ostacoli economici siano insormontabili. Sono arrivate alla gravidanza quasi inconsapevolmente: conoscevano i metodi contraccettivi, ma non pensavano potesse succedere a loro. Un’ingenuità disarmante. Alla scoperta della presenza di qualche sussidio, di associazioni di appoggio e di gruppi di immigrate pronte a sostenerle (come nel caso della struttura gestita a Torino da un gruppo di donne rumene, o le collaborazioni fiorite in Toscana tra comunità peruviana e Cav) eccole pronte a cambiare idea e a portare avanti quella gravidanza tanto temuta.
Peccato che in tempi di crisi, quegli stessi sussidi stiano pericolosamente venendo meno. Spingendo le straniere a scelte sempre più frettolose. Tra le più diffuse, quelle dei farmaci clandestini: pillole vendute online a basso prezzo per curare gastriti e ulcere e che assunte in caso di gravidanza provocano contrazioni uterine che espellono il feto, causando un aborto spontaneo con una buona percentuale di successo, ma anche con tanti possibili effetti indesiderati per la donna, molti dei quali fatali. La pratica sarebbe in uso soprattutto nelle comunità cinesi e indiana, dove peraltro starebbe prendendo piede un fenomeno altrettanto inquietante:quello degli aborti selettivi. La scelta, vale a dire, di eliminare il figlio nel caso si venga a scoprire che è femmina: eventualità “punita”, nei clan di provenienza proprio come nei Paesi d’origine, con violenze e soprusi.



Peri: «Prego per i bambini non nati»
Avenire, 17-04-2012
Maria Gabriella Leonardi
 «Occorre passare dalla fase dell’accoglienza a quella dell’integrazione. Il territorio del Calatino è un esempio di tutto questo, nonostante stiamo vivendo momenti di forte depressione economica e produttiva».
Lo ha detto domenica il vescovo di Caltagirone, Calogero Peri, nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo. In questo luogo, che monsignor Peri considera il sedicesimo comunale della Diocesi è, infatti, iniziata la terza peregrinazione diocesana della Madonna del Ponte. Nel suo vibrante saluto ha detto di pregare «per i bambini non nati», evidenziando l’importanza dell’accoglienza verso i minori stranieri, «che oggi giocano e crescono insieme ai nostri figli», non nascondendosi i momenti difficili e le soluzioni trovate insieme.
«La Chiesa di Caltagirone – ha detto – vuole offrire le competenze che ha ed il contributo proprio per un percorso, che auspichiamo ancora una volta condiviso, e che sia finalizzato alla formazione delle coscienze e di quella tanto anelata cultura dell’amore e della fratellanza». Peri ha quindi avanzato alcune richieste per questi fratelli: interventi coordinati e nuove politiche migratorie, a partire da tempi certi per il rilascio dei documenti previsti per legge; la tutela della famiglia e della sua unità; la tutela della dignità della donna e della vita «dal suo concepimento alla sua fine»; la tutela dei minori; il rispetto del diritto alla salute, azioni concrete di integrazione, che favoriscano la formazione (anche lavorativa), l’alfabetizzazione e l’orientamento alla cittadinanza degli ospiti del Cara.
Secondo monsignor Peri, finita la fase dell’emergenza, è tempo per rifondare un nuovo patto sociale fra istituzioni e comunità civile, fra ospiti ed ospitanti, per un integrazione interculturale, ma anche per valorizzare le potenzialità di risposta di chi è in difficoltà. «Non esistenze sospese  in un futuro incerto – ha detto con forza il pastore – in un tempo da trascorrere forzosamente, in uno spazio marginale, in uno "spazio-vuoto" per alcuni, in un "non-luogo" per altri. Ma esistenze creative, impegnate, partecipi!».
Poi il vescovo ha lanciato un appello accorato alle istituzioni ed ai governanti, affinché la vita degli ospiti del Cara sia qualificata e non quantificata. «Il mio auspicio – ha detto – è che non si indugi, e che agli ospiti ed ai cittadini giunga un messaggio nuovo di speranza, di amicizia, di solidarietà nella casa comune che vuole essere la nostra isola, che nel tempo si è sempre distinta per la sua capacità di accoglienza e di integrazione».



«È vero, assistenza da migliorare»
Avvenire, 17-04-2012
?Maria Gabriella Leonardi - Nello Scavo
 «È vero, quello sanitario è un aspetto che dobbiamo aggiustare». Giuseppe Castiglione oltre ad essere il presidente della Provincia di Catania è il "soggetto attuatore", ovvero l’organismo che il governo ha incaricato per la gestione del Cara di Mineo.
«Sul piano sanitario – spiega dopo aver appreso dell’inchiesta di Avvenire – vogliamo rafforzare il sistema di assistenza e prevenzione. La Croce Rossa nel momento dell’emergenza ha fatto un lavoro eccezionale, ma adesso che la situazione non è più di prima emergenza bisogna guardare avanti». All’Asl di Catania Castiglione ha chiesto di predisporre «uno speciale progetto pilota, perché oltre al pronto soccorso e alla presenza ordinaria serve lavorare sulla prevenzione e l’educazione». Le proposte dell’Azienda sanitaria arriveranno «entro fine mese».
Quanto alla prostituzione che si praticherebbe al chiuso di alcuni alloggi, Castiglione preferisce scegliere la prudenza: «Si, abbiamo ricevuto segnalazioni di questo tipo, ma dobbiamo dire che la vigilanza è assoluta, sebbene non possiamo certo sapere cosa accade in ogni singolo villino». Per Castiglione (che è anche coordinatore regionale del Pdl) i duemila ospiti del Centro per richiedenti asilo è un po’ come se si trattasse del 59esimo comune della Provincia, «è non è, per così dire, un Comune "normale", ma bisognevole di attenzioni speciali». Tra queste l’impegno per l’integrazione. «Vogliamo continuare a determinare percorsi di buona integrazione – assicura Paolo Ragusa, presidente del consorzio Cara Mineo –, dall’insegnamento della lingua all’attività di orientamento professionale, passando dall’inserimento scolastico dei minori che è già avvenuto con successo».
Nonostante gli iniziali disagi, con le periodiche proteste degli immigrati, talvolta sfociate in blocchi stradali, l’arrivo degli richiedenti asilo ha portato vantaggi, «come i 250 nuovi posti di lavoro al servizio del Cara, in una zona – riconosce Castiglione – fortemente provata dalla crisi economica». Anche per questo il presidente della provincia rivolge un appello al governo, e specialmente al ministro dell’Interno Cancellieri (che fu prefetto di Catania) e a quello per la Cooperazione Riccardi: «Abbiamo affrontato l’emergenza, ci siamo messi a disposizione, l’accoglienza è stata il nostro credo e – chiarisce l’esponente del Pdl –, possiamo dire di aver fatto un buon lavoro, ma adesso vorremmo conoscere il futuro di questa struttura, che era nata come centro per richiedenti asilo ma che adesso assorbe anche gli sbarcati da Lampedusa».
Il Centro immigrati di Mineo porta in sé un’altra particolarità: è tra i pochi la cui gestione non è affidata al prefetto ma un presidente di Provincia: «Se mi chiedessero di cedere la responsabilità al prefetto – conclude Giuseppe Castiglione –, non ne farei un dramma, avrei qualche motivo d’ansia in meno»



Rivolte nei Cie. Ribellione al disumano
l'Unità, 16-04-2012
Una rivolta ha coinvolto, la scorsa notte, il Cie di Bologna. Un gruppo di persone ha cercato di fuggire arrampicandosi sulle inferriate e sulle alte grate che tentano di celare questa disumana realtò all’opinione pubblica. Queste rivolte nei Cie e nei Cara non devono stupire, perché sono ribellione ai “trattamenti degradanti e disumani”, come specifica il “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti”. Approvato il 6 marzo scorso con il voto unanime di tutti i gruppi parlamentari, il Rapporto era stranamente uscito nel  silenzio stampa e delle coscienze.
Invece, come ha dichiarato il presidente della Commissione diritti umani del Senato Pietro Marcenaro: “La situazione dei Cie è inaccettabile. Per certi aspetti sono in una situazione peggiore delle carceri: costituiscono una vera e propria violazione della legalità”. Una denuncia che arriva appena dopo quella del Tribunale civile di Bari, che ha chiesto l’immediata chiusura del Cie del capoluogo pugliese, “per accertata violazione dei diritti fondamentali dell’uomo”.
Nelle “gabbie”, infatti, finiscono bambini, minorenni, potenziali richiedenti asilo e cittadini italiani da più di dieci anni in Italia – persone detenute illegalmente senza aver commesso alcun reato, solo quello di cercare una vita migliore o di aver perso il lavoro. Esseri umani ridotti a oggetti. Maltrattamenti quotidiani, perquisizioni che tolgono la dignità, uomini in mutande di fronte a militari in tenuta anti-sommossa. La pelle è nera o olivastra, quella di giovani che fuggono da violenze, povertà, dittature, per gettarsi, nudi, in un‘altra forma di violenza. A tratti razzista. E la delusione diventa rabbia violenta, alla quale risponde quella dalle forze di polizie coinvolte in un sistema carcerario e speculare che disumanizza tutti.
Questa “filosofia” della detenzione amministrativa non rappresenta alcuna soluzione, anzi è inutile.  Come ricordava Marcenaro questi Cie non servirebbero a controllare l’immigrazione cosiddetta “irregolare”, ma trattenendo alcune migliaia d’individui a fronte dei veri flussi migratori, sono destituiti di ogni praticità e utilità. Mera reclusione arbitraria di persone.
Pura violenza dello Stato. Derubare, senza un motivo, uomini della loro libertà e delle loro vite, dei loro sogni. Per 18 mesi, una parte non trascurabile della vita di una persona, senza nemmeno informarla del tempo previsto di detenzione e lasciarla al buio sul suo futuro. Vuoto, tempo sospeso, riempito dal solo impazzimento sicuro… Che cosa avviene alla psiche della persona illegalmente trattenuta? Domande che i politici istituendo i carceri per migranti non si sono mai poste, anzi il governo Monti procede e costruisce due nuovi Cie di SantaMaria Capua Vetere e Palazzo S. Gervasio, come unica capacità di pensare l’immigrazione.
Ed ecco che uomini ancora liberi tentano di sfuggire. Perché dietro quelle grate avviene questo: cure negate, in mancanza di un presidio del servizio sanitario nazionale, ma abnorme quantità di psicofarmaci e droghe somministrate; pestaggi, stupri e dolori. Che rivelano i corpi: reazioni di autolesionismi, braccia tagliuzzate, lamette lampadine ingoiate, suicidi sempre più numerosi. Il grido soffocato della libertà derubata; la ribellione di esseri umani cui è negata la loro irriducibile identità umana.



La scomparsa di Lê Quyên Ngô Ðình responsabile dell’Area immigrati della Caritas di Roma.
Un grave lutto per tutti coloro che si impegnano nella tutela degli immigrati e per il rispetto dei diritti umani.
Immigrazioneoggi, 17-04-2012
Un grave lutto per tutti coloro che si impegnano nella tutela degli immigrati e per il rispetto dei diritti umani. È scomparsa ieri a Roma, a seguito di un grave incidente stradale, Lê Quyên Ngô Ðình, responsabile dell'Area Immigrati della Caritas diocesana. Lê Quyên era una cara amica di ImmigrazioneOggi e più volte aveva contribuito con scritti e pareri ai nostri notiziari, in questo momento di tristezza siamo vicini alla sua famiglia ed a tutti i suoi colleghi della Caritas di Roma.
Nata a Saigon il 26 luglio 1959, Lê Quyên Ngô Ðình era arrivata in Italia con lo status di rifugiata nel 1990. Dal dicembre 1992 al novembre 1996 era stata responsabile del Centro ascolto stranieri della Caritas romana.
Nel dicembre 1996 era diventata responsabile dell’Area immigrati della Caritas, con il ruolo di coordinamento e supervisione dei servizi e dei progetti destinati ai cittadini stranieri immigrati, rifugiati e vittime di tratta: centri di ascolto, sportelli informativi, centri di accoglienza per uomini, donne e famiglie, asili nido. Dal luglio del 2000 al dicembre del 2007 era stata anche responsabile del Coordinamento nazionale Asilo della Caritas italiana e del Progetto rifugiati, coordinando le attività in materia di asilo di 46 Caritas diocesane. Membro della Commissione migrazioni di Caritas Europa, di cui era stata anche presidente, dal giugno 2009 era presidente sella sezione italiana dell’Associazione per lo studio del problema mondiale dei rifugiati, organizzazione non governativa a carattere internazionale, con status consultivo presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa.
Per gli “eminenti servizi resi all’Italia”, su proposta del Ministero dell’interno nel 2008 è stata la prima in Italia a ricevere la cittadinanza italiana con decreto del Presidente della Repubblica. La motivazione: «Eccezionale interesse dello Stato».
Per monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, “Lê Quyên è stata un esempio. La sua opera a favore degli ultimi e dei poveri, che per tanti anni ha svolto con entusiasmo e fede, è stata per noi un motivo di crescita umana e professionale. Sapeva coniugare le sue doti umane, l’esperienza che le derivava dall’essere una rifugiata, a una profonda fede in Dio e un radicato rispetto per l’uomo”.

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