Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 gennaio 2014

Oggi il voto sul reato di clandestinità
il manifesto, 21-01-2014
Carlo Lania
I tentativi di trovare un accordo si sono esauriti senza portare a nulla. Questa mattina, quando al Senato riprenderà la discussione del disegno di legge sulla messa in prova, il Pd voterà per l'abrogazione dei reato di clandestinità senza tener conto della richiesta, avanzata dagli alleati del Nuovo centrodestra, di stralciare la norma rimandandone la discussione. Salvo sorprese, dunque, una delle norme simbolo della legge Bossi-Fini sull'immigrazione già oggi potrebbe essere archiviata definitivamente grazie ai voti di Pd e Movimento 5 Stelle. «Per quanto ci riguarda non prevediamo nessun tipo di accordo con il Ncd di Alfano, e quindi voteremo per l'abrogazione del reato», spiega nel pomeriggio il senatore Giuseppe Lumia, che ha sostituito il relatore Felice Casson assente perché malato.
Il disegno di legge è slittato a oggi dopo le protesta messe in atto la scorsa settimana dalla Lega, quando è arrivata a occupare gli ufflci della presidenza di palazzo Madama per bloccare l'imminente abrogazione del reato di clandestinità. Ma insieme alle proteste del Carroccio, attuate anche con l'ostruzionismo, in realtà c'era anche il tentativo di evitare una pericolosa spac- catura nella maggioranza, con Pd e Ncd schierati su posizioni opposte. Per il partito di Alfano la cancellazione del reato di clandestinità rappresenta una sconfitta agli occhi del suo elettorato, specie se si tiene conto che a difesa dell'intero impianto della Bossi-Fini, e quindi anche del reato, si è speso più volte lo stesso vicepremier. Da qui la necessità di raggiungere a tutti i costi con il Pd un accordo che permettesse al Ncd di salvare la faccia. Ë una possibile soluzione sembrava essere stata trovata nella scelta di eliminare il reato di clandestinità ma solo nel caso di mancata reiterazione. Mantenendolo quindi per l'immigrato fermato per due volte senza documenti o che non abbia rispettato l'obbligo di rimpatrio. Ma il capogruppo dei senatori Ncd, Maurizio Sacconi, aveva anche chiesto di non arrivare proprio alla discussione, stralciando la norma e rinviando cosi ogni decisione.
Trattative che, però, sembrano essere naufragate, vista la volontà del Pd di arrivare al più presto al voto. Del resto è stato proprio Matteo Renzi a indicare tra le priorità delle nuovo corso democratico anche l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina.
Intanto è arrivato alla commissione Affari costituzionali della Camera il disegno di legge di riforma della cittadinanza. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge. Non si tratta di un disegno di legge dei governo» bensï di una proposta (primi firmatari Pierluigi Bersani, Kalid Chaouki e Roberto Speranza oltre alla stessa Kyenge, e uguale a un'analoga ddl presentato al Senato da Luigi Manconi) che partendo dalla proposta di legge di inizíativa popolare avanzata dal comitato «L'Italia sono anch'io» potrebbe rappresentare un buon punto di mediazione con tutte le altre proposte di legge in materia presenti in parlamento. Il testo, nell'ottica di uno ius soli temperato, prevede che la cittadinanza italiana venga riconosciuta a chi è nato nel territorio nazionale da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia o vi risieda legalmente e senza interruzioni da non meno di un anno; a chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda legalmente da almeno cinque anni; ai bambini nati nel nostro territorio da genitori stranieri o che vi abbiamo fatto ingresso entro il decimo anno di età a condizione che abbia completato un ciclo di studi.



Senza insulti
Appunti critici sukka strana idea che il professor Panebianco ha dell'accoglienza conveniente
IL Foglio, 21-01-2014
Luigi Manconi
Va da sé che definire Angelo Panebianco "un razzista" è, prima ancora che un insulto, un'assoluta idiozia. Perché, oltretutto, rischia di compromettere la franchezza di una discussione e, quando necessario, di una critica che esigono la massima libertà, anche psicologica, in chi vuole contestare l'autore e i suoi argomenti con altri argomenti. Il tema della polemica è la politica italiana dell'immigrazione e, nell'affrontarlo (Corriere della Sera del 13 gennaio), Panebianco incorre, a mio avviso, in tre errori. Tutto l'articolo, infatti, sembra ruotare intorno all'opposizione inconciliabile tra accoglienza e convenienza. Il politologo definisce accoglienza "il dovere di accogliere i meno fortunati di noi", sostenuto da "certi cattolici" e da "un bel pò di laici; convenienza, invece, corrisponderebbe al "bisogno di contrastare l'invecchiamento della popolazione", e al "bisogno... di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori". Ebbene, penso che sia proprio la contrapposizione tra quelle due categorie a essere sbagliata. L'accoglienza può essere agevolmente motivata con argomenti tutti correlati a una valutazione di convenienza: o, come forse è meglio dire, di utilità sociale. E così è stato, nei fatti, nell'ultimo quarto di secolo. L'accoglienza, pur così tragicamente insufficiente, si è rivelata un'importante risorsa per il nostro sistema economico: e la bassa qualificazione di una parte della forza lavoro immigrata ha consentito la sopravvivenza, per quanto grama, della nostra arretrata struttura produttiva e della nostra manifattura. E ciò spiega anche come sia stato possibile che, nel corso di questi decenni, non si verificasse un solo episodio rilevante di concorrenza tra italiani e stranieri per il posto di lavoro. La concorrenza c'è stata, sì, intorno a due questioni importanti come il livello dei salari e lo spazio (abitazioni, mezzi di trasporto, convivenza), ma non intorno alla disponibilità di lavoro. Questo significa forse che è "conveniente" accogliere addirittura "tutti"? Ciò che sappiamo è che finora si è operato in senso esattamente opposto. Panebianco, infatti, non considera che, nel corso degli ultimi anni, sono state adottate proprio quelle politiche di "selezione", delle quali lamenta l'assenza e che vorrebbe costituissero il fondamento delle strategie future. La "Bossi-Fini" è esattamente una normativa di selezione degli ingressi e di discriminazione nell'accesso al mercato del lavoro, che ha dominato finora e che al presente non prevede apprezzabili mutamenti. E quella selezione è avvenuta, a partire dal 2002, attraverso la riformulazione dei flussi, adottati sempre con ritardo e a scadenze sempre più ampie e sulla base di tre criteri tassativi: numero massimo consentito, mestieri richiesti, nazionalità scelte. Il tutto è reso più complicato dal fatto che il lavoratore, pur se presente in Italia, deve ritornare al proprio Paese per poi rientrare nel nostro con un nuovo visto d'ingresso. A ciò si aggiunga la macchinosità di tutte le procedure di inserimento lavorativo e, ancor più, quelle relative all'ottenimento della cittadinanza italiana. Tutto questo, peraltro, si è rivelato largamente inadeguato e ha portato a periodiche "sanatorie" per adattare le richieste del mercato del lavoro alla scarsità di manodopera regolare disponibile. E' accaduto così che la "selezione" si è rivelata troppo rigida rispetto alle mutate esigenze della nostra economia e, allo stesso tempo, inadeguata a regolamentare la questione nel suo complesso e ad affrontare quella che è una vera e propria "emergenza demografica". Negli ultimi venticinque anni è diminuito di circa cinque milioni il numero degli italiani nati in Italia da genitori italiani e, senza l'arrivo di cinque milioni di stranieri, avremmo avuto un'autentica rovina economico-sociale. E tra vent'anni? Non sarà forse conveniente, allora, aver accolto un numero adeguato di badanti, ma anche di braccianti e mungitori, operai dell'edilizia e della siderurgia, infermieri e operatori sanitari, addetti alla pesca, ai servizi, alla ristorazione e a chissà quanti altri mestieri e professioni? Il che vuol dire "Accogliamoli tutti"? Non necessariamente, ma quasi. E le eccezioni, non è nemmeno il caso di richiamarle tanto sono evidenti. Infine, Panebianco attribuisce opzioni diverse dalle sue a un vizio ideologico, proprio di "certi cattolici" e di "un bel po' di laici" che dominerebbe la cultura nazionale. In realtà, si tratta di una minuscola componente (che mi è capitato di criticare più di quanto abbia fatto chiunque altro), assai poco rilevante rispetto al peso davvero significativo che ha un'opinione pubblica di segno opposto (che ha prodotto, non a caso, un ministro dell'Interno come Roberto Maroni). Le posizioni che Panebianco attribuisce a "ideologia" propongono, al contrario, una politica di "accoglienza conveniente", sulla base di dati demografici, giuridici, economici e sociali. Si contestino questi, piuttosto. Infine, tra i criteri di "selezione" indicati c'è quello di "favorire l'immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito... di quella proveniente dal mondo islamico". Panebianco è troppo intelligente e colto per paventare una "invasione musulmana", ma non è inutile ricordare che l'Italia secolarizzata sta correndo il rischio di una vera e propria "conquista cristiana". Tra gli immigrati presenti nel nostro Paese, infatti, le varie confessioni cristiane rappresentano quasi il 54% del totale.



La proposta Kyenge: uno ius soli temperato
?Avvenire, 21-01-2014
Paolo Lambruschi
Partirà a fine gennaio il percorso parlamentare della riforma sulla cittadinanza voluto dal Governo. Sarà uno ius soli «temperato», accompagnato dal progressivo allontanamento dei detenuti dai Cie che farà seguito al decreto svuota carceri. Lo ha ribadito ieri a Milano il ministro per l’integrazione Cécile Kyenge, durante la visita alla Casa della Carità voluta dal Cardinale Martini e prima dell’incontro con il sindaco Pisapia.
In mattinata la Kyenge aveva incontrato gli studenti delle scuole superiori di Saronno, accolta come di consueto da un presidio di protesta di una trentina di militanti leghisti. Nel varesotto aveva annunciato per i prossimi giorni un piano strategico per l’integrazione. «Il disegno di legge sulla riforma della cittadinanza – ha detto a Milano – è già stato calendarizzato e, a fine gennaio, inizierà la discussione nella prima Commissione attività istituzionali della Camera». Corsia parlamentare scelta «perché il percorso deve essere il più possibile condiviso da parte delle forze politiche e non deve cambiare anche se cambia il governo». Delle 20 proposte di legge giacenti in Parlamento sul tema, ha ricordato Kyenge, nessuna porta la sua firma «perché al ministero dell’Integrazione spetta il compito di coordinare e sensibilizzare alla materia, più che muoversi in prima persona».
Il Ddl sarà una sintesi che confida nel percorso in aula per trovare un’intesa il più possibile trasversale che modifichi la normativa attuale,  una delle più severe in Europa. Ma se Cécile Kyenge ha puntualizzato che «lo ius soli è per me una priorità, ho cominciato il mio mandato proprio su questo», ieri ha sgomberato una volta per tutte il tavolo da strumentalizzazioni: «Quando si parla di questo tema, anche per propaganda politica, viene spesso fatto passare che le nostre proposte sono di uno ius soli secco, cioè quello per cui è italiano chiunque nasca nel nostro paese». Invece la posizione della Kyenge e del governo è quella di non concedere automaticamente la cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, ma di porre nel Disegno di legge due condizioni: «Noi parliamo di ius soli temperato. Per chi è nato in Italia, la cittadinanza si ottiene quando i genitori immigrati hanno fatto un percorso di integrazione. Oppure, se i bambini arrivano in Italia, possono diventare italiani dopo un certo percorso scolastico. Il nostro paese sta andando sempre più verso questa posizione, non vogliamo dare immediatamente la cittadinanza ai nuovi arrivati».
Il ministro ha ripetuto che il reato di clandestinità «non dovrebbe esistere. Ora la politica deve fare la sua parte  perché la giurisprudenza ci ha già fatto capire l’anomalia».
Al riguardo ha fatto notare come il 70% degli immigrati presenti nei Cie per venire identificato ed espulso sia detenuto. «Il decreto svuota carceri prevede già che il riconoscimento venga fatto nel carcere stesso». Quindi quale sarà la sorte dei Centri di identificazione ed espulsione? Kyenge non si è sbilanciata ammettendo, però, che «il mio ministero sta valutando soluzioni alternative ai Cie che prevedano il rispetto della legge, l’accoglienza e, nel caso di chi infrange la legge, la punizione del crimine, ma non la criminalizzazione dello straniero o addirittura di un’etnia».
Dichiarazioni corollario di una giornata di polemiche con la Lega. Kyenge ha replicato al Carroccio, che l’ha messa da tempo nel mirino anche con insulti razzisti: «Piuttosto che focalizzarsi su quello che ho fatto in questi mesi – ha dichiarato – occorre dare risposte ad altre domande, e cioè alle richieste economiche scomparse negli anni, ai tanti anni in cui si lotta contro l’immigrazione e poi si investe in Tanzania e ci si ritrova a prendere un diploma in Albania».



APPELLO AL SINDACOKyenge: «I figli degli immigrati lavorino per Expo»
il Giornale, 21-01-2014
Stranieri di seconda generazione coinvolti nell'accoglienza per Expo. È uno dei progetti di cui il ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge ha discusso nel suo incontro con il sindaco Giuliano Pisapia a Palazzo Marino. Un incontro su «progetti importanti per le politiche per l'integrazione» ha sottolineato Kyenge. I giovani figli di migranti nati in Italia possono rappresentare un valore aggiunto proprio perché parlano tutti più di una lingua. Per questo motivo potranno essere utili nel servizio di interpretariato. Andranno ad affiancarsi ai mediatori e agli interpreti professionisti». Polemica la Lega, che teme un'opportunità di lavoro in meno per i lombardi.



Immigrazione, Chaouki: ‘Migranti tenuti in condizioni disumane. Dopo Lampedusa nuove leggi’
il Fatto, 21-01-2014
Erika Farris
È passato quasi un mese da quando, il 22 dicembre 2013, il deputato Khalid Chaouki è entrato nel centro di prima accoglienza di Lampedusa per richiedere il trasferimento di oltre 200 immigrati trattenuti in condizioni totalmente inaccettabili e ben oltre i tempi previsti dalla legge.
Nato a Casablanca (Marocco) nel 1983, Khalid Chaouki è arrivato in Italia all’età di 8 anni insieme alla propria famiglia. Musulmano praticante, sin da giovanissimo si è impegnato nelle attività di volontariato e nell’associazionismo. Giornalista professionista con studi in scienze politiche e cultura orientale, è attualmente deputato della Camera col Partito democratico.
Interpellato sull’attuale situazione al centro di Lampedusa, Khalid spiega: “Al momento sono rimaste solo 16 persone che ancora attendono di essere ascoltate dai magistrati e già abbiamo sollecitato le due procure per accelerare i tempi. In compenso, adesso la struttura è dotata di un’equipe della Croce rossa con psicologi e medici che controllano la situazione psicofisica degli ospiti. E dopo il trasferimento di questi ultimi l’obiettivo è migliorare le condizioni della struttura, che al momento sono assolutamente disumane. Non c’è neppure una mensa e queste persone sono costrette a mangiare sui propri letti o sui marciapiedi all’aperto. Ogni volta che piove ci sono infiltrazioni d’acqua nelle camerate e i bagni sono numericamente insufficienti e spesso totalmente inagibili. Peggio di un carcere, perché qui mancano anche gli spazi per svolgere attività durante la giornata, quindi i tempi si dilatano senza peraltro conoscere né il motivo per cui si è tenuti là dentro né quanti altri giorni doverci restare. Una condizione che aumenta il senso di frustrazione, a cui neppure la buona volontà degli operatori può porre rimedio”.
“Nel Cpa di Lampedusa – prosegue – ho incontrato anche alcuni superstiti della tragedia del 3 ottobre, ancora sotto shock dopo quello che hanno dovuto affrontare. Parlando con loro e altri ho avuto modo di conoscere le storie e le prospettive di queste persone. La maggioranza vuole partire in altri Paesi europei, soprattutto Germania e Scandinavia, dove li attendono parenti o amici. Per questo non vogliono farsi identificare in Italia, perché a causa degli accordi di Dublino, il Paese in cui vengono avviate le procedure di identificazione è lo stesso che si occupa di esaminare la domanda d’asilo e quindi lo stesso in cui l’immigrato deve soggiornare. Una legge totalmente sbagliata, perché limita la libertà di scelta dei migranti e scarica tutto l’onere della questione verso i primi Paesi in cui sbarcano (e quindi Italia, Grecia e Spagna, ndr). Per questo riteniamo prioritaria una riforma degli accordi di Dublino, perché da soli non siamo in grado di gestire una situazione così complessa…”.
La seconda questione che Khalid Chaouki ritiene fondamentale riguarda il sistema di accoglienza: “Bisogna aumentare il numero dei centri come i Cara per i richiedenti asilo, rendendoli più piccoli e sparsi sul territorio nazionale, per evitare che rimangano tutti concentrati nel sud del Paese, incentivando gli interessi locali e le speculazioni sulla gestione. Si dovrebbero inoltre stringere più accordi con le ambasciate per procedere a una identificazione più rapida. Questo permetterebbe anche agli eventuali detenuti stranieri di poter scontare la pena nel proprio Paese di origine, o almeno di essere identificati all’interno della struttura carceraria, così da poter uscire da regolari e non dover finire in un Cie“.
L’abolizione della legge Bossi-Fini rientra anch’essa fra i temi di riforma che il deputato Khalid Chaouki è intenzionato ad affrontare. “Entro fine mese dovrebbe uscire una bozza di disegno di legge che riveda il diritto di cittadinanza con uno ius soli temperato e che imposti un sistema di ingresso regolare degli stranieri in Italia. L’idea sarebbe di creare una sorta di osservatorio indipendente che stabilisca il fabbisogno nazionale di presenza straniera, tenendo anche conto delle esigenze del mondo del lavoro e delle ricerche di settore. Un modello che permetta anche garanzie a livello di accoglienza e stato sociale per gli immigrati. Inoltre, per gli irregolari che lavorano e sono già inseriti nel tessuto sociale ed economico italiano, bisogna prevedere delle modalità di emersione automatiche, senza dover puntualmente ricorrere alle sanatorie d’emergenza.
Perché proprio il centro-destra è stato costretto ad ammettere la necessità di regolarizzare ben 700 mila immigrati tra badanti, operatori agricoli ed edili che fino a quel momento erano considerati dei clandestini fuori legge. L’obiettivo finale sarebbe di procedere verso la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione, incentivando il rimpatrio volontario dei migranti nei casi in cui non vi siano le condizioni per una regolarizzazione. Per fare questo stiamo studiando anche altri modelli europei e valutando il modo di accelerare i tempi di identificazione degli stranieri. E servirebbero anche meno fondi economici, perché si eviterebbe la reclusione, che dovrebbe essere applicata solo per chi commette reati”.
“L’ultimo capitolo su cui il partito con la nuova segreteria di Renzi ha deciso di impegnarsi – conclude Chaouki – è quello dell’integrazione. Serve un percorso di inclusione delle donne e formazione dei figli degli stranieri nati in Italia, anche a livello di studio, dove al momento si registrano dati drammatici a livello d’insuccesso scolastico. Altrimenti ci ritroveremo una generazione di nuovi italiani che si sentiranno però emarginati e non avranno le carte in regola per immettersi nel mondo del lavoro e nella società civile”.


    
La “gente che brucia”. Migranti in fuga dall’Algeria alla Sardegna
Melting Pot Europa, 21-01-2014
Riccardo Bottazzo
“Harraga" in arabo significa letteralmente “colui che brucia”. Termine che non va interpretato tanto come “gioventù bruciata” in stile James Dean ma riferito piuttosto ad una persona che arde del bisogno o, se preferiamo, dal desiderio di qualcosa di cui non può fare a meno. In Algeria con questa parola si indicano i ragazzi che decidono di giocarsi la carta dell’immigrazione irregolare e dai porti di Algeri, Sidi Salem, Annaba o El Bettah salpano nottetempo verso capo Teulada e le coste della Sardegna.
Una rotta migratoria lontana dai riflettori dei mass media, al contrario di quella che dalla Libia passa per Lampedusa, ma non per questo meno battuta. Su queste acque, l’agenzia Frontex nel 2007 svolse uno delle sue prime operazione in grande stile con l’impiego di sei navi corvetta supportate da elicotteri ed aerei. Il risultato di questo mese di pattugliamento a tappeto fu l’intercettazione di una trentina di migranti. Il costo: poco meno di un milione e 900 mila euro. Tutti soldi che avrebbero potuto essere spesi meglio.
Come c’era da aspettarsi, il grande dispiegamento di forze militari messo in campo da Frontex non riuscì neppure per sbaglio a far calare sensibilmente il numero di migranti in fuga dal nord africa e diretti in Sardegna.
Secondo fonti dell’Unhcr, tra il 2007 e il 2009, sarebbero perlomeno duemila all’anno le persone che hanno traghettato abusivamente da una parte all’altra delle due sponde. Sponde che, val la pena di ricordarlo, distano in alcuni punti meno di 200 chilometri. Come dire: una breve notte in gommone.
Considerata l’impossibilità economica e l’assurdità militare di mantenere una intera flotta a sorvegliare un confine che non si può sorvegliare, l’Europa optò per la politica del “facciamo finta di niente”. Tutto filò liscio sino al 9 luglio del 2013, quando un motore fuoribordo decise di mettersi a fare le bizze lasciando una barca con 13 persone e 4 bambini alla deriva. Il pronto intervento della Guardia Costiera di Sant’Antioco riuscì ad evitare l’ennesima “tragedia del mare” ma riportò prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica che anche la Sardegna, e non solo Lampedusa, era una porta d’entrata sfondata per la “fortezza Europa” e che le politiche sicurtarie volte a militarizzare il confine avevano come unico sbocco il fallimento.
Lo stesso concetto di “confine” inoltre, impone come minimo una riflessione. Prendiamo ad esempio l’Algeria. In qualsiasi atlante, viene dipinta con un unico colore che sta ad indicare che quel territorio è governato da un solo Stato sovrano. Nessuno confine interno quindi. Beh… io l’ho girata qualche settimana e di “confini” ne ho trovati perlomeno tre. Il sud del Paese è in mano alle tribù berbere. Semplicemente, là comandano loro. Il centro è una terra di nessuno, dove non puoi girare se non scortato dalla polizia e dalla gendarmeria. Sostengono che lo fanno per la tua sicurezza ma nei fatti dimostrano solo di non avere il controllo del territorio. I frequenti rapimenti di viaggiatori che si avventurano nel deserto, quasi sempre ad opera di gruppi berberi, lo testimoniano. Inoltre, le aree desertiche dell’Erg sono attraversate da bande armate provenienti dal Niger o dalla Libia che fanno il bello ed il cattivo tempo. Solo nella zona costiera possiamo parlare di Algeria.
Proprio alle tribù berbere che controllano il meridione, debbono pagare dazio i nuovi “harraga”. Quelli neri. Perché, negli anni, anche “coloro che ardono” hanno cambiato pelle. Le guerre interne che stanno macellando la fascia sub sahariana hanno costruito una nuova figura di migrante “harraga”: il profugo di guerra. Dal Niger, dal Malì, centinaia di disperati marciano verso nord. Li ho trovati nelle periferie di Touggourt, di Guerara, di Ghardaia e El Atteuf. Cittadine berbere dove le donne possono girare solo mostrando un occhio alla volta. Siedono in cappanelli sui marciapiedi, attendendo che il caporale di turno li scelga per una giornata lavorativa che gli sarà pagata meno di 50 centesimi. Scavano pozzi, fanno i muratori o altri mestieri di fatica. Qualche volta, quando vedono un europeo come me, prendono coraggio e ti chiedono una monetina promettendoti che, quando ti ritroveranno in Europa - dove, si sa, tutti guadagnano bene, anche i più poveri - te la restituiranno. La cosa più sorprendente è che ci credono davvero. E quando ti salutano ringraziandoti ti guardano fisso come per imprimersi bene in mente la faccia cui sono debitori di una preziosa moneta che non vale neppure 10 centesimi di euro.
Per arrivare sino ad Algeri o agli altri porti mediterranei ci impiegano dai 3 ai 5 mesi. Quando va bene.
Si nascondono nella casbah che nelle città costiere sono abbarbicate sopra i promontori marini dove le organizzazioni berberi li mettono in contatto con la malavita locale (trovatelo voi un berbero che accetti di fare il marinaio!) e cercano un lavoro, più o meno onesto, sino a racimolare i soldi per pagarsi la traversata notturna verso la costa sarda. L’Europa, finalmente. Il “biglietto” costa un migliaio di euro. Ed è una “crociera” che potremmo definire “low cost” rispetto ai barconi libici che chiedono dieci volte tanto. Il dinaro algerino, lo si sa, non vale un fico secco. Questo è il motivo per il quale molti migranti dalla Libia preferiscono spostarsi verso ovest, per tentare la sorte su quest’altro angolo di Mediterraneo e scrivere, dall’Algeria alla Sardegna, altre storie di inutili, sanguinose frontiere.

    
    
Cnr, la crisi sta riducendo flussi di immigrazione
Da paese di migrati a meta dei grandi flussi internazionali, per l'Italia la difficoltà economica è un punto di svolta: "Il saldo migratorio è ancora positivo ma è sceso dalle 493 mila unità del 2007 alle 245 mila del 2012. La bilancia migratoria interna del Mezzogiorno è negativa da più di un secolo"
Repubblica.it, 20-01-2014
ROMA - Da paese di migranti, negli ultimi decenni l'Italia è diventata una delle mete principali dei grandi flussi migratori internazionali. Ma l'attuale crisi sta aprendo una nuova fase, con una riduzione del fenomeno immigratorio. A dirlo, Corrado Bonifazi, ricercatore dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpps-Cnr) e autore del libro L'Italia delle migrazioni (Il Mulino), che sarà presentato domani alle ore 15 a Roma, presso l'aula Marconi del Cnr (piazzale Aldo Moro, 7).
"La prima globalizzazione, tra 1870 e 1914, ha spinto a espatriare 14 milioni di italiani, che gettarono le basi delle nostre comunità all'estero che ancora contano 4,2 milioni di componenti. La seconda globalizzazione dei giorni nostri ha fatto salire il numero di stranieri residenti dai 356 mila del 1991 ai 4,3 milioni attuali", ha spiegato Bonifazi. "Questa crescita ha pochi riscontri nella storia delle migrazioni internazionali. Le ragioni stanno nella crescita economica del nostro Paese, soprattutto al Centronord, ma anche nelle carenze strutturali del mondo del lavoro e nel declino demografico", ha aggiunto. Gli italiani in età lavorativa nazionale sono diminuiti di 3,2 milioni di unità tra il 1991 e il 2011, nel contempo il numero degli ultraottantenni è raddoppiato da 1,9 a 3,6 milioni. "La crisi economica potrebbe rappresentare un punto di svolta. In questi ultimi anni si registra un aumento dei pur contenuti flussi degli italiani verso l'estero, dalle 40 mila unità del 2010 alle 68 mila del 2012", ha proseguito il ricercatore Irpps-Cnr.
"Il saldo migratorio è ancora positivo ma è sceso dalle 493 mila unità del 2007 alle 245 mila del 2012. In particolare, la bilancia migratoria interna del Mezzogiorno - ha aggiunto - è negativa da più di un secolo, con una perdita annua nell'ultimo periodo di 40-50 mila unità annue". Contrazione degli arrivi e aumento delle partenze interessano del resto tutta l'Europa in recessione. In Spagna il saldo migratorio positivo per 731 mila unità nel 2007 è diventato negativo nel 2011 con una perdita di 50 mila persone, anche in Irlanda si è passati a valori negativi. "Lo scenario mondiale potrebbe cambiare, poiché i poli di sviluppo del Terzo mondo, mantenendo l'attuale trend di crescita, sono destinati a diventare a loro volta mete migratorie", ha detto Bonifazi.
"Le maggiori difficoltà potrebbero incontrarle paesi come l'Italia, dove i cittadini in età lavorativa sono destinati a diminuire di 4 milioni di unità tra il 2015 e il 2030 e di altri 7 milioni dal 2030 al 2050, mentre gli ultraottantenni aumenteranno rispettivamente di 1,4 e 2,2 milioni. Uno scenario insostenibile senza un adeguato apporto migratorio, per il quale c'è però bisogno che l'Italia mantenga un livello di reddito elevato che non è scontato", ha concluso Bonifazi.
Alla presentazione intervengono con l'autore: Luigi Nicolais, presidente del Cnr; Riccardo Pozzo, direttore del Dipartimento scienze umane del Cnr; Antonio Golini, presidente dell'Istat; Gianpiero Dalla Zuanna, senatore e professore ordinario dell'Università di Padova; Berardino Guarino, Fondazione centro Astalli. Modera Marco Ferrazzoli, capo ufficio Stampa Cnr.

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