Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

3 agosto 2010

Sbarcati in 10 a Pantelleria,c'e' anche neonata
Fermati nel porto di Scauri,bimba e mamma ricoverate in ospedale
03 agosto
(ANSA) - PANTELLERIA (TRAPANI), 3 AGO - Dieci migranti, tra cui una neonata e una donna, sono stati intercettati la scorsa notte a Pantelleria.
Gli extracomunitaru stavano entrando nel porto di Scauri a bordo di una imbarcazione di 5 metri con motore fuoribordo. I migranti hanno dichiarato di essere tunisini e di essere partiti sei ore prima da una localita' vicino Monastir, in Tunisia.
La giovane donna e la figlioletta sono state trasportate in ospedale per accertamenti. (ANSA).



Ecco il parmigiano fatto dagli immigrati

LA VOCE REPUBBLICANA 3 agosto 2010
"C'abbiamo messo più tempo a gustare il Parmigiano che a capi're come si facesse" ammette Sendi davanti a una punta di formaggio fresco, quello stagionato è ancora troppo forte per il palato abituato al "panir", la ricotta indiana. Papà Singh Ninnai si è appena congedato dalle 200 vacche dell'azienda Vecchi, una ventina di chilo¬metri da Parma. Quando lasciò il Punjab, nel 1999, Nimal sapeva a malapena mungere il latte per la famiglia: oggi, insieme a qualche centinaio di sikh, custodisce l'antica tradizione casara loca¬le. Per raccontarsi in italiano ha bisogno della figlia venticinquenne Sandi, leggins e brillantino al naso, ma senza questo allevatore con la maglietta arrotolata in testa a mo' di turbante l'eccellenza gastronomica Made in Italy sarebbe un glorioso ricordo.
Parma, la Mecca
Secondo il VII rapporto sull'integrazione del Cnel Parma è la Mecca italiana degli immigrati. Centrafricani, maghrebini, albanesi, romeni sono manodopera preziosa qui, dove di questi tempi il lavoro scarseggia meno che altrove: guadagnano bene, vivono con la famiglia, si mescolano con¬fondendosi più facilmente nonostante siano ormai quasi il 13 per cento della popolazione. "Prima di arrivare a Parma, nel 2000, raccoglie¬vo i pomodori a Foggia e le arance a Rosarno, condizioni di schiavismo identiche a quelle che avete visto a gennaio in tv" racconta Cleofas Dioma, 38 anni, educatore al centro per adole¬scenti Samarcanda. Per capire il percorso di que¬sto metro e novanta di burkinabé in sandali e pan-taloni alla turca che parla come Gene Gnocchi e apprezza Fini, bisogna osservarlo mangiare gli spaghetti nel dehors del wine bar Dolcevita men¬tre si interrompe ogni cinque minuti per salutare un amico italiano. A casa, a Ouagadougou, lo considerano un bianco perché alla sua età non è sposato. Qui nessuno dimentica che è nero ma l'abitudine ha vinto sulla diffidenza: "Mia mamma diceva che se i tuoi ospiti caniminano sulle mani devi adeguarti. In Italia l'ho fatto ma ho imparato a 26 anni e c'è sempre qualcuno che bota quanto sia ancora impreciso". E pazienza se legge Saviano come da ragazzo africano leggeva Camus, l'integrazione è un processo dialettico che assorbe le similitudini anche sottolineando le differenze. Un passo avanti e due indietro, modello globale, Parma ha staccato il resto d'Italia. Merito di quel terreno fertile che fece fiorire l'innesto tra Peppone e Don Camillo? "La città beneficia della situazione economica favo-revole all'occupazione straniera, come il Nord-Est, ma ci aggiunge la tradizione cooperativista e sindacale che la vaccina dalle tentazioni leghi-

ste", osserva il sociologo Giorgio Triani. La prova? Basta fare un giro in piazza Inzani, quar¬tiere Oltretorrente, la kasba dove fino a due anni fa gli abitanti che oggi - dopo il recupero del Comune - conversano amabilmente sotto gli alberi non si fermavano neppure per un piatto di tortellini al ristorante Aldo. Certo, la settantunen-ne Bianca Castani confessa che a un certo punto chiese al Comune di togliere le panchine perché "gli stranieri" non ci dormissero sopra. Ma ora si sente a suo agio anche circondata dall' Africa Market, il Kebab Duzgun, la frutteria Singh e la scuola elementare Cocconi, con il suo 65% di bambini non italiani: "Non siamo mica razzisti, se gli extracomunitari rispettano le regole, sono puliti, lavorano onestamente, sono benvenuti".
Primato
L'amministrazione si fregia del primato naziona¬le, ma il termometro è l'umore dei cittadini. "Il segreto è tenere insieme il Dna cittadino tagliato sull'accoglienza e un approccio politico non ideologico" spiega il sindaco Pietro Vignali, elet¬to con una lista cìvica che comprende Pdl, Udc e una componente riformista del Pd. Discontinuità postmoderna nella continuità, più d'un cerino nelle profonde viscere del Belpaese messo all'in¬dice sulle prime pagine dei giornali internaziona¬li dopo la guerriglia di Rosarno. Perché la notte, quando cala, è buia. Anche nella tollerante Parma che menziona a bassa voce il nome di Emmanuel Bonsu, lo studente ghanese scambiato per un pusher e picchiato a sangue dai vigili a settembre di due anni fa. Molti si consolano all'idea che qui quell'episodio, forse non unico nell'Italia 2010, sia venuto alla luce, prova d'un ambiente non ostile che incoraggia i deboli alla denuncia. Altri, come il parroco di Santa Cristina don Luciano Scaccaglia, mettono in guardia dal make-up mul¬ticulturale sotto cui si cela, nella migliore delle ipotesi, il fardello dell'uomo bianco. "Come si può definire accogliente una città che una notte del 2006 mise per strada trenta immigrati che occupavano una casa vuota? Dal momento che la mia risposta fu permettere loro di occupare la chiesa, i miei parrocchiani meno aperti hanno cominciato a disertare la messa" racconta don Luciano, polo a righe e chinos, nell'ufficio tap¬pezzato di foto del Che Guevara. Sulla scrivania il libro del teologo dissidente Hans Kung, "Ciò che credo": "Parma è ricca, ovvio che gli stranie¬ri qualificati s'integrino, ma gli altri? C'è un 1,5% che non ce la fa e cede alla droga, all'al¬col". Qualche ora dopo, sotto i portici rinasci¬mentali della Pilotta, il diciannovenne marocchi¬no Mustafà si stringe nella coperta regalata da don Luciano insieme ai 2 euro che gli passa ogni domenica per un panino. L'integrazione è lonta¬na come le stelle ma, dice, "io resto qui". Da qualche parte, lo sa, l'indiana Sendi ce l'ha fatta e oggi è organica alla città come il parmigiano prodotto dal suo papà.
Francesca Baci/laStampa" 2 agosto 2010



Tra gli schiavi dei pomodori senza tetto né legge

La Stampa 3 agosto 2010
Francesca Paci
INVIATA A PALAZZO SAN GERVASIO (Pz)
Ho paura, alla fine ci spareranno dalle case anche qui», ammette il diciannovenne ivorense Gibril riavvolgendo il sacco a pelo nella masseria abbandonata tra i campi che circondano Palazzo San Gervasio, al confine tra Basilicata e Puglia, dove secondo il Cnel il livello d'integrazione sfiora i minimi nazionali.

Gibril è al suo debutto agrario, ma sullo sfondo incombe il fantasma di Rosarno, la rivolta, tutti contro tutti. Quando due mesi fa ha perso il posto da saldatore a Vicenza, dov'era emigrato nel 2007, si è rimboccato le maniche e ha raggiunto l'esercito di sanculotti che, seguendo il ciclo delle stagioni, raccoglie i frutti maturi del tacco dello stivale. Spalle indispensabili, nell'Italia in cui l'invecchiamento della popolazione è direttamente proporzionale alla voglia di zappare la terra. Eppure quei mille centrafricani, magrebini. rumeni, che come Gibril «campeggiano» alle porte di Palazzo San Gervasio, sono una bomba a orologeria: per quanto il paese chiuda gli occhi, il tic tac turba le languide notti estive.

Sebbene affrontata sempre come un'emergenza, l'alluvione agostana di braccianti stranieri investe da 20 anni questo Comune lucano di 4500 anime adagiato sulle alture del Vulture che continua a spopolarsi al ritmo di 50 addii ogni sei mesi. Nel 1999, orgogliosa d'aver dato i natali a Lina Wertmuller ma non al primo sciopero d'immigrati d'Europa, l'amministrazione destinò ai raccoglitori di pomodori, che fino ad allora avevano soggiornato davanti alla fontana del fico, il casale sequestrato a un clan della Sacra Corona Unita. Peccato che nei 15 mila metri quadri senza servizi igienici dove faticherebbero a pernottare in 250 se ne ammassino oltre mille. Chi sgozza l'agnello per il Ramadan, chi beve in barba al Corano, chi rivende a prezzo da strozzino le sigarette e chi è pronto a impugnare il coltello per comprarne una. In 11 anni la loro permanenza è costata ai cittadini 800 mila euro ed è ancora emergenza piena.

«Quel centro è un non luogo, una città ambulante, impossibile pensare all'integrazione di centinaia di persone che si fermano un mese e si spostano dietro alla maturazione di olive, angurie, arance», nota l'imprenditore agrario Domenico Cancellara. Gibril e i suoi amici, spiega, sono indispensabili specialmente quando piove: «Il pomodoro è il più deperibile dei frutti. Le macchine, che presto sostituiranno il lavoro umano, non funzionano se il campo è bagnato e l'unica alternativa è la raccolta a braccia». Riempiendo 10 cassoni da 30 quintali l'uno i braccianti possono ambire a 35 euro al giorno ma, pompando come presse, i maciste africani guadagnano anche quattro volte tanto. Basta chiamare «lavoro a progetto» l'ingaggio a cottimo, ufficialmente vietato, e il gioco è fatto con la soddisfazione di padrone e caporale.

Quanto ci vorrà prima che a Palazzo San Gervasio l'umiliazione degli sfruttati e il disagio degli sfruttatori loro malgrado si combinino alla maniera di Rosarno, come paventato dalla presidente del Comitato Shengen Margherita Boniver durante la visita al centro? Secondo Gervasio Ungolo, ex assessore ambientalista e proprietario del vivaio Verde Idea, il vaso è colmo: «Oltre ai mille immigrati del centro ce ne saranno altrettanti sparsi nelle masserie abbandonate, sgobbano per almeno 10 Comuni lucani, ma Palazzo San Gervasio è l'unico ad accoglierli». Passeggiando sotto il sole che gli ha cotto la pelle vagheggia la soluzione: «Il paese si spopola ed è pieno di case vuote, mettiamoci dentro i braccianti e, uscendo dalla logica del ghetto, vinceremo la paura». Sì, perché i palezzesi non sono affatto rilassati. D'accordo, il centro si trova 4 chilometri fuori dal centro ma è poca roba e, come diceva il lucano Beniamino Placido, il razzismo è inversamente proporzionale alla distanza.

«Sono tutti uomini, giovani, forti, io ho paura», confessa il falegname R. uscendo dal bazar del marocchino Yassin, alle spalle del Municipio. Passi per lo straniero che conosci: ma il resto è buio pesto. «Il tempo stringe e non sappiamo come sistemare questi ragazzi, quel posto non è degno», concede il vicesindaco Paolo Palumbo. Dei 190 mila euro stanziati quest'anno poco meno della metà sono stati assegnati a un'associazione privata che ha recuperato 17 case: «Possiamo sistemare 300 persone, per gli altri abbiamo bisogno d'un coinvolgimento maggiore della Regione».

Solo che da queste parti, dove la disoccupazione è al 12,5%, i soldi non ci sono. «L'unica soluzione è ammettere che quella struttura con sei bagni alla turca per mille persone è un'infamia e rinunciare», chiosa Luciana Forlino, volontaria della Caritas. Mancano 10 giorni alla raccolta: vincerà il fantasma di Rosarno o l'economia dell'emergenza farà saltare la miccia?



Fra 10 anni i ventenni saranno tutti stranieri

Lorenzo Mascheroni
il Giornale 3 agosto 2010
Si parla molto di immigrazione. Numeri, percentuali, pro e contro. Nessuno analizza il fenomeno dal punto divista della incidenza per fasce d'età. Se dai 60 anni in su è quasi nulla, nella fascia 40-60 più che accettabile, sotto i 30 comincia ad essere imbarazzante, soprattutto al Nord. Chi ha a che fare col mondo della scuola e dell'adolescenza si accorge di numeri spaventosi. In ogni classe a scuola ci sono dal 30 al 50 fino 70/80 per cento di stranieri. Tenendo conto dell'evasione scolastica tra molte etnie, i numeri sono da brividi. Tra dieci anni la percentuale dei ventenni stranieri andrà dal 50 al 70%, saranno estranei alla nostra cultura, mentalità, storia. Questo pone una serie di interrogativi molto preoccupanti e che non si possono affrontare con la superficialità o col cinico interesse di bottega di chi pensa di potere trarne dei vantaggi personali e politici, da Fini, a Bersani, a D'Alema e a tutto l'arcobaleno della sinistra.



Immigrati, 4.500 in più in città in due anni

Massimo Tedeschi
Brescia. Nuovo balzo all'insù della presenza straniera a Brescia. Al giugno scorso (dati Istat) risultavano residenti in città 35.046 immigrati. Una cifra che - su una popolazione residente di 192.557 unità - porta l'incidenza al 18,2%.
In due anni l'aumento secco è stato di 4.596 unità. Il che vuol dire che in Loggia possono pure cambiare le alleanze di governo, in Comune può pure insediarsi chi prova a fare la faccia un po' più truce, ma i meccanismi profondi che regolano l'immigrazione - e l'immigrazione verso la città in particolare - non cambiano.
Qualche confronto? Nell'ultimo biennio di governo del centrosinistra, fra giugno 2006 e giugno 2008, i nuovi ingressi in città di immigrati erano stati di 4.682 unità, il che aveva portato l'incidenza dal 13,5 al 15,9 per cento della popolazione cittadina. Nel penultimo biennio di governo-Corsini l'incremento di immigrati era invece stato di 3.094 unità (passando dall'11,7 al 13,5%).
Spogliato delle sue implicaziooni (e strumentalizzazioni) politiche, il fenomeno conferma tutta la sua portata e tutto il suo impatto sulla composizione demografica della città. Infatti, a fronte di una popolazione che (secondo i datio dell'anagrafe) ormai da anni oscilla fra i 192 e i 195mila residenti, e dunque è sostanzialmente stabile, aumentano gli immigrati e diminuiscono gli italiani, con un rapporto che si avvicina rapidamente a quello di 1 a 5 (un immigrato ogni cinque residenti).
Peraltro anche la dinamica degli ultimi anni offre più di uno spunto di riflessione. Negli ultimi 24 mesi infatti i dati Istat hanno fatto registrare ben 5.259 arrivi di immigrati direttamente dall'estero: si tratta di persone che hanno ovvi problemi di inserimento linguistico, sociale, culturale. Il movimento inverso, invece, non c'è: a dispetto di alcuni boatos giornalistici, il movimento in direzione opposta è minimale. Non è vero che la crisi sta inducendo gli immigrati a rimpatriare in fretta e furia mogli e figli. Negli ultimi mesi l'Istat ha registrato l'esodo da Brescia verso i Paesi di provenienza di soli 362 immigrati: un dato pressochè fisiologico, che non registra balzi anomali negli ultimi mesi.
Molto significativo, tuttavia, anche il movimento da e verso altre aree della provincia o del Paese: dal giugno 2008 al giugno 2010 in città sono arrivati 3.237 stranieri provenienti da altri Comuni italiani, mentre 2.713 stranieri hanno voltato le spalle al capoluogo per andare a vivere in altri centri italiani (spesso bresciani).
ANCHE la distribuzione territoriale in città induce a più di uno spunto di riflessione. L'Ufficio Statistica ha elaborato i dati (stavolta dell'anagrafe al dicembre 2009, che differiscono leggermente da quelli Istat) relativamente alle Circoscrizioni Centro e Sud. La radiografia dimostra che, accanto all'ormai storica concentrazione in centro storico, altri quartieri dell'immediata periferia sono interessati a una presenza sempre più massiccia di immigrati. Al record del 33,9% del Carmine (un residente su tre è dunque straniero) fanno da contraltare il 22,9% del centro storico sud (stazione e dintorni) ma anche il 21% di porta Milano e l'insospettabile 18% di porta Venezia (con l'apporto, particolarmente significativo, della zona di viale Piave).
Più di una sorpresa anche nella Circoscrizione Sud dove gli stranieri sono il 25,4% nel quartiere don Bosco, il 22,5% a porta Cremona e il 20,1% a Chiesanuova. Il centro storico non basta più a contenere una presenza che sta cambiando Brescia.



Blitz anti lavavetri, fermati 22 cittadini extracomunitari

Palermo, 3 ago. - (Adnkronos) - Blitz della Polizia a Palermo contro i lavavetri. Ventidue cittadini extracomunitari sono stati fermati ieri sera in viale Regione siciliana all'incrocio con via Perpignano. Nell'operazione sono stati impiegati circa 50 agenti, appartenenti all'ufficio Prevenzione generale e soccorso pubblico ed al reparto Prevenzione crimine. L'intervento e' stato pianificato nei minimi dettagli con un presidio capillare di tutte le possibili vie di fuga, controllate anche dall'alto da un elicottero.
Dei 22 cittadini stranieri identificati nei locali dell'ufficio Immigrazione, tutti di nazionalita' bengalese, 9 sono risultati non in regola con il permesso di soggiorno. Quattro sono stati cosi' espulsi, mentre agli altri 5 e' stato notificato un provvedimento del Questore di abbandonare il territorio nazionale entro 5 giorni. I blitz della Polizia proseguiranno anche nei prossimi giorni. In via Perpignano e' intervenuta anche la Polizia municipale con alcune sue pattuglie che hanno provveduto a regolarizzare il traffico, a quell'ora, particolarmente congestionato.



La Francia apre ai lavoratori extracomunitari altamente qualificati: i Ministri dell’immigrazione e della ricerca varano una serie di misure per “attirare cervelli”.

Predisposta una carta di soggiorno “scientifique” con particolari agevolazioni per i movimenti in ambito Ue e per il ricongiungimento.
Immigrazione Oggi 3 agosto 2010
La Francia apre le porte ai ricercatori stranieri e facilita l’ingresso dei “cervelli” extracomunitari. Il Ministro dell’immigrazione d’oltralpe – insieme a quello di istruzione e ricerca – ha infatti inviato ai prefetti una circolare ad hoc con le “istruzioni” per rendere più semplice l’entrata nel Paese degli studiosi. A loro sarà data una carta di soggiorno speciale, su cui sarà apposta la scritta “scientifique” (scienziato).
Le nuove regole, oltre a ridurre le pratiche burocratiche, permettono anche ai familiari di ottenere soggiorni temporanei che li autorizzano anche a lavorare. I ricercatori che godono di un permesso di soggiorno in un altro Paese europeo avranno diritto di mobilità in Francia, mentre l’istituzione scientifica in cui lavorano gli scienziati stranieri non dovrà pagare per loro la tassa prevista per i lavoratori. “È nostro dovere – ha detto il ministro dell’Immigrazione, Eric Besson – 'attirare' il più alto potenziale scientifico, riservandogli la migliore accoglienza possibile. I ricercatori stranieri contribuiranno, al loro ritorno in patria, alla diffusione dell’immagine della Francia nel mondo”.



Quell’attacco di Peres agli «antisemiti» inglesi

Il difficile rapporto tra Londra e Stato ebraico
Corriere della Sera 3 agosto 2010
Dicono gli inglesi: «L’antisemita è uno che odia gli ebrei più del necessario». Battuta assai british, ma in bocca al presidente israeliano Shimon Peres — soprattutto mentre accusa i sudditi di Sua Maestà proprio di quello spiacevole vizietto — diventa, ovviamente, uno scandalo internazionale. Il vecchio Shimon si è dunque fatto un bel regalo di compleanno (è nato a Višneva, attuale Bielorussia, cognome Perski, il 2 agosto di 87 anni fa): la lunga intervista con lo storico Benny Morris per il sito Tablet, un’infinità di «rospi» sputati fuori dopo una vita all’insegna della diplomazia che si addice agli statisti nonché premi Nobel (per la Pace, 1994).
Paul Newman in «Exodus» e l’attentato all’hotel King David sede del mandato britannico in Palestina (1946)
L’ex delfino del mitico David Ben Gurion, uno dei pochissimi rappresentanti viventi del primo establishment ashkenazita socialista — i pionieri — ha detto papale papale che «gli inglesi sono antisemiti da sempre», che «il prossimo problema è/sarà la Gran Bretagna, dove ci sono milioni di elettori islamici che fanno la differenza tra eleggere e non eleggere un deputato». Sotto accusa è il premier David Cameron, colpevole di avere pronunciato davanti al Parlamento turco la frase «Gaza è un campo di prigionia» durante una recente visita di (troppa?) cortesia al collega Erdogan.
In realtà, è da qualche anno che la comunità ebraica inglese denuncia la miscela esplosiva fra tradizionale antigiudaismo tory e trend antisionista laburista. Risultato: ortodossi aggrediti per le strade, vetrine di negozi «riconoscibili» prese a sassate, il consueto film. La storia, insomma, è lunga, e va dall’espulsione del 1290 alla raffica di boicottaggi odierni, passando per Il mercante di Venezia di William Shakespeare (fine Cinquecento) e, soprattutto, per l’intricata vicenda del Medioriente post-coloniale.
Si dirà che il boicottaggio anti-israeliano degli armchair socialist, sinistra «da poltrona» tanto radicale quanto salottiera, non è di per sé antisemitismo. Però se la furia antisionista di molti intellettuali porta a colpire proprio le università e le Accademie di Tel Aviv, Haifa o Gerusalemme — fucine di ricerca, cultura, ambienti in prima linea nel dialogo israelo-palestinese stile Peace Now — è palese che un problema esiste. Tanto che Anthony Julius, uno dei più famosi avvocati londinesi si è recentemente sentito in dovere di pubblicare il voluminoso saggio Trials of the Diaspora: a History of Anti-Semitism in England.
La Storia — diciamolo — si assomiglia un po’ ovunque. Di là i leftists, di qua la Chiesa conservatrice (anglicana o cattolica poco importa), l’aristocrazia che da secoli mal digerisce coloro ai quali sir Nathaniel de Rothschild, primo lord ebreo, aprì la strada nel 1885, il neo-conservatorismo tory. Shimon Peres tutto questo lo sa — perché c’era. Sa la storia degli ebrei come lui che hanno voluto e costruito Israele. Contro gli inglesi.
Contro gli inglesi che sono sempre stati filo-arabi. Il Presidente israeliano se lo ricorda: «Nel 1947, si astennero durante la risoluzione dell'Onu sulla divisione del territorio del mandato, di fatto il via libera internazionale alla nascita dello Stato ebraico... proprio loro che avevano firmato la dichiarazione Balfour del 1917 riconoscendo la necessità di stabilire "un focolare ebraico" — Jewish home — in quella terra... Loro che mantennero l’embargo contro di noi per tutti gli anni Cinquanta, che strinsero un patto militare con la Giordania, che hanno sempre lavorato contro di noi».
Rapporti aspri. Con un Regno Unito che si «inventa» la Transgiordania, ovvero il 70% del territorio del mandato britannico, e la regala al fidato Abdallah I (nascita della dinastia hashemita che tuttora governa la regione). Gli inglesi nominarono Gran Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini, futuro amico e alleato di Hitler, già allora fervido antisemita. Gli inglesi combatterono l'immigrazione — ricordate il film Exodus? — e ancor prima nulla o quasi fecero per reprimere i pogrom organizzati dagli arabi, per esempio a Hebron (1929). Infine, quando il consesso internazionale proclamò la nascita dello Stato di Israele aiutarono l’Alleanza araba che cercò di soffocare sul nascere lo Stato ebraico nel 1948. Sono questi i «rospi» che Shimon Peres ha deciso di sputare parlando con Benny Morris.



Il Brasile offre l’asilo all’«adultera» iraniana

Lula: «Lo faccio per affetto verso Ahmadinejad»
Corriere della Sera 3 agosto 2010
PARIGI — La sua storia ha fatto il giro del mondo. Il suo volto è diventato simbolo di una campagna per liberarla, ma ancor più di un imponente movimento internazionale contro le lapidazioni in Iran e ovunque, contro la pena capitale. E ora Sakineh Ashtiani, 43 anni, due figli, «adultera» non confessa in attesa d’esecuzione (dopo 99 frustate, la condanna a morire a pietrate è stata sospesa ma rischia l’impiccagione) è al centro di un caso diplomatico.
Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile, ha infatti offerto pubblicamente asilo all’iraniana: «Se la mia amicizia e il mio affetto per il presidente dell’Iran contano qualcosa e se questa donna là sta creando problemi — ha detto —, ebbene noi siamo pronti a riceverla in Brasile». Un svolta dalla politica di aperto sostegno seguita finora dal leader sudamericano verso lo scomodo «fratello» Ahmadinejad. Soprattutto, un’inedita ingerenza negli affari della Repubblica Islamica che fino ad ora Lula aveva accuratamente evitato. Ormai in uscita suo malgrado (in ottobre non potrà ripresentarsi e ha candidato la pupilla Dilma Rousseff), il presidente aveva tentato in maggio il colpo grosso: mediare con Teheran sul nucleare e passare alla Storia, con il turco Erdogan, come il politico che aveva risolto una delle maggiori crisi internazionali.
Missione fallita, come è noto, che aveva invece dato il via a fortissime proteste in Brasile, dove il presidente uscente resta popolare non solo per la gestione dell’economia ma per essere laico e «femminista». Caratteristiche non certo condivise da Ahmadinejad. L’esplodere del caso Sakineh aveva peggiorato le cose: richieste di intercessione, proteste, media indignati, celebrità come Chico Buarque, Caetano Veloso e l’ex presidente Cardoso schierate con le moltissime altre del mondo per salvare l’iraniana. Fino a pochi giorni fa Lula aveva resistito («un leader non può intromettersi nelle leggi di un altro Paese»). Poi ha cambiato idea.
«E’ chiaro che si è mosso perché è in difficoltà con la sua opinione pubblica, ma è comunque positivo quanto ha fatto», dice al Corriere da Colonia l’esule iraniana Mina Ahadi, fondatrice delle campagna Stop alla lapidazione e promotrice di quella per Sakineh. «E mi auguro che altri leader internazionali seguano il suo esempio. Ma sarà difficile che l’Iran accetti: Teheran è ora in una posizione molto delicata, visto che il Brasile è uno dei rari Paesi con cui ha buoni rapporti e non vorrà inimicarselo, ma la sua opinione pubblica non accetterebbe di consegnare Sakineh». Previsione già confermata in via ufficiosa da Teheran, dove un’agenzia di notizie vicina al governo ha parlato ieri di «chiara interferenza».




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