Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 marzo 2011

Lampedusa, sbarcano più di cento al giorno
Ieri anche una tedesca: fuggiva con la figlia dal marito tunisino
La Stampa, 08-03-2011
FEDERICO GEREMICCA
Quasi ottomila in sessantacinque giorni. Vuol dire molti più di cento al giorno. E poi, la cifra che quaggiù rende tutti più nervosi: diciassette sbarchi e 1.620 nuovi arrivi nelle ultime ventiquattro ore. Quella tra domenica 6 e lunedì 7 marzo, insomma, è stata la peggior notte di Lampedusa da quando le fiamme della rivolta hanno avvolto il Maghreb. Dal grande schermo tv sistemato su una delle parenti dell'hotel Nautic - punto di ritrovo e pranzo per giornalisti, carabinieri e marinai - il volto e la voce del ministro Maroni sono quanto di meno rassicurante ci si possa aspettare: «L'allarme che avevamo lanciato era assolutamente fondato e c'è il rischio di una invasione di massa - dice -. Abbiamo segnalazione di migliaia e migliaia di persone, di ragazzi, che si dirigono verso i porti di Zarzis e Djerba, nel sud della Tunisia. Noi siamo pronti a fare quel che abbiamo fatto con l'Albania negli anni '80 - conclude - ma da soli non ce la possiamo fare...».
A Lampedusa, però, intanto ce l'hanno fatta. E in una nottata d'inferno - una nottata enfaticamente detta "dello sbarco dei mille" - ognuno per quel che gli competeva ha salvato vite in mezzo al mare, accudito i fuggiaschi arrivati fin qua, pattugliato la costa, schedato generalità, curato malati, fornito sigarette, monitorato via radar il Mediterraneo meridionale, accolto i profughi di notte, garantito l'ordine sull'Isola. Verrà pure il giorno in cui, finita l'emergenza e messi da parte paroloni, demagogie e chiacchiere da bar, toccherà raccontare la storia di questi uomini della prima linea: sono loro, in fondo, l'Italia che sta affrontando l'emergenza, mostrando alle tv di tutto il mondo il volto di un Paese che - nonostante tutto - è in campo per accogliere e assistere al meglio la disperazione che arriva dall'altra sponda del Mediterraneo.
Le prime avvisaglie s'erano avute di sera, mentre gli uomini di Lampedusa erano stipati nei bar per vedere la partita del Palermo - la migliore squadra siciliana - che giocava a Ro¬ma contro la Lazio. E mentre loro erano lì, sui radar della Capitaneria cominciavano a farsi sempre più vicini quattro, sei, otto, dieci "bersagli": cioè barche e barconi in avvicinamento dalle coste tunisine. Nella sala operativa c'era ehi cominciava a sudar freddo. E a fine nottata, infatti, i numeri "dello sbarco dei mille" saranno impressionanti: 81,14, 185,187, 54,12,135, 44,39,48,108. Sono le cifre degli uomini recuperati a bordo dei diversi barconi approdati sull'Isola nella sola notte. In totale    milleundici fuggiaschi. E una stupefacente sorpresa: tra loro, una donna tedesca con la sua figlioletta. Era sposata con un tunisino, poi si erano divisi e lei era tornata lì per riprendersi la bambina. Ha atteso per giorni un visto per partire che, naturalmente, non è arrivato mai: allora non ci ha pensato su due volte, è andata in un porto, ha pagato quel che doveva pagare, è salita su un barcone e ha portato sua figlia via dal padre, dalla guerra civile e dalle violenze che scuotono i Paese. Quando i carabinieri l'hanno aiutata a sbarcare sul molo, non credevano a quel che vedevano: dalla ricca Germania alla Tunisia, e poi a Lampedusa, su un barcone in mezzo ai disperati.
Ponti aerei, ricerca affannosa di posti liberi in altri centri d'accoglienza nel sud Italia, la vecchia nave che collega Lampedusa alla Sicilia che scarica merci e carica migranti. E' la seconda, affannosissima fase dell'emergenza lampedusana: smistare i fuggiaschi altrove per ridurre il numero di presenze nel Centro d'identificazione dell'isola (850 posti letto, anche se a volte ci hanno dormito in più del doppio). Il tentativo è quello di evitare disagi eccessivi ai migranti. E diciamoci la verità: ridurre i rischi e le tensioni. Nella memoria degli isolani è ancora viva, infatti, l'immagine del centro messo a ferro e a fuoco (letteralmente) da immigrati esausti dalla reclusio¬ne forzata. «Ho sentito il ministro Maroni e mi ha assicurato l'immediato trasferimento degli immigrati negli altri centri di accoglienza - spiega a metà giornata Dino De Rubeis, sindaco dell'Isola -. Chiamerò anche La Russa per chiedergli di inviarci almeno cento militari per presidiare il centro di accoglienza. Ieri sera una quarantina di ragazzi tunisini hanno scavalcato le reti - conclude il sindaco - e se ne sono andati in giro per l'isola: è una cosa che non può più succedere».
Come un tempo dalle coste isolane e meridionali si attendeva dalle torrette d'avvistamento un segnale dell"'arrivano i turchi", oggi l'umore e le speranze dell'isola pendono da quel che appare sugli schermi radar della Capitaneria di porto e da quel che osserva in volto l'Atr della Guardia di Finanza in perlustrazione quasi perenne. Le ultime ore di questo lunedì già duro di per sé - e segnato da sbarchi continui - non sono state per niente   rassicuranti.       «Cinque "bersagli" a 35 miglia», gracchia la radio. «I "bersagli" sono otto», comunica l'Atr alla nave militare "Lavinia" che incrocia a metà strada tra l'Isola e le coste tunisine. Cinque, otto, forse dieci... Ma uno in più o uno in meno, del resto, non fa grande differenza. Mentre il maestrale si fa più fresco, Lampedusa sa cosa l'attende: anche questa notte rischia di essere una notte da "sbarco dei mille"...
 

 
Maroni: «Ogni ora uno sbarco Da soli non possiamo farcela»

Il ministro rilancia l'allarme a Bruxelles: «Europa già invasa: non c'è solo disperazione,  a organizzare le tratte bande criminali»
il Giornale, 8-03-2011
Emanuela Fontana

Roma Sono arrivati a bordo di una dozzina di imbarcazioni, dalla costa della Tunisia. La sera di domenica, nel corso della notte, all'alba di ieri. Quasi 1200 extracomunitari dal tramonto alla mattina. Nella serata di ieri altri due barconi hanno raggiunto l'isola, cinque erano in avvicinamento. Venti sbarchi in poco più di 24 ore, quasi uno ogni sessanta minuti. La grande migrazione dal Nordafrica in rivoluzione sta partendo. Un ritmo del genere significa una prospettiva possibile di quasi 10rnila arrivi alla settimana di profughi sulle coste italiane. La cosa «che mi preoccupa», dice il ministro dell'Interno Roberto Maroni, è che dietro questi sbarchi non ci sia solo disperazione: «Sono riapparse quelle organizzazioni criminali che operavano prima in Libia». I trafficanti di uomini si sono spostati nei porti della Tunisia: «Abbiamo segnalazioni di migliaia e migliaia di giovani che si dirigono verso i porti di Zarzis e Djerba, nel sud della Tunisia». Macchine e camion carichi di ragazzi arrivano a Zarzis senza interruzione. L'accordo con i Caronti del Mediterraneo prevede il pagamento di 2500 dinari, circa 1400 euro, per raggiungere l'Italia. In un bar vicino alla spiaggia si raccolgono le adesioni. Per partire si aspetta sempre la notte. Dieci, dodici ore di traversata, prima di avvistare le spiagge di Lampedusa.
La richiesta di Maroni a Bruxelles diventa di ora in ora più preoccupata: «L'Europa è già invasa. Occorre un contingente di forze di sicurezza, un impegno maggiore dell'Unione Europea: noi siamo pronti a fare quello che abbiamo fatto con l'Albania agli inizi degli anni 80. Ma da soli non possiamo farcela».
C'è poi il piano della diplomazia: accanto alla gestione dell'emergenza l'Italia ha in corso colloqui continui con i Paesi dell'area del Mediterraneo e osserva l'evoluzione della rivoluzione libica. Ieri il ministro degli esteri Franco Frattini ha incontrato alla Farnesina il suo omologo israeliano, Avigdor Lieberman. Frattini ha annunciato che sono stati avviati «con discrezione» contatti con il consiglio provvisorio libico, gli oppositori di Muhammar Gheddafi. L'Italia è favorevole all'istituzione di una no-fly zone sulla Libia, assolutamente contraria a un attacco di terra. Il divieto di sorvolo dovrebbe avere il sì necessario «della Lega Araba e dell'Unione Africana». E' «assai difficile pensare» che aerei italiani saranno coinvolti, ma l'Italia «non potrà negare le sue basi». Un eventuale invasione di truppe statunitensi sarebbe invece «certamente un atto unilaterale».
A differenza di altri Paesi, l'Italia ha però la grande migrazione da gestire. Gli oltre mille arrivati sono tutti uomini tranne quattro donne e una bambina. Una bambina di 9 anni nata da mamma tedesca e da papà tunisino. La giustizia tunisina ha deciso di affidarla al padre, e la madre ha tentato il mare per sfuggire alla sentenza. Sette extracomunitari sono stati fermati a Pantelleria. I Cie, i centri di identificazione per immigrati, sono già sotto pressione. Nel centro di accoglienza di Lampedusa ieri mattina si trovavano quasi 1200 persone. Due aerei hanno trasferito a Crotone e Porto Empedocle 264 profughi. Ma le altre strutture, dal nord al sud, rischiano in breve tempo il collasso. In pochi giorni dovrebbe essere pronta la mappa degli edifici di supporto. Tre aree della Difesa sono state identificate al sud, e c'è poi il Villaggio della Solidarietà di Mineo. Ma sarà dedicato ai richiedenti asilo: una struttura non chiusa ma aperta. Il governatore siciliano Raffaele Lombardo, che pure guida una giunta di cui fa parte anche la sinistra, ieri si lamentava: «Non so se potrò andarmene in campagna serenamente e se non devo invece stare col mitra in mano, ma mitra non ne ho», sottolineando come i rifugiati saranno «liberi di circolare nelle nostre campagne». Le organizzazioni internazionali per ora non sembrano offrire grande aiuto morale. Il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury sostiene che «l'Italia è perfettamente in grado di gestire eventuali flussi di migranti». E  non si devono quindi usare «terminologie  allarmistiche come "esodo biblico" o "emergenza"».



Sbarchi senza sosta a Lampedusa  «Tornano i trafficanti di morte»
Avvenire, 08-03-2011
Con un nuovo sbarco registrato questa notte a Lampedusa, è salito a circa 1.700 il numero di persone arrivate dalla Tunisia da domenica sera, come riferisce la Guardia costiera. "Intorno alle 18 di ieri eravamo sui 1.400, poi è arrivato un barcone con a bordo 220 persone. E questa notte è arrivata un'altra imbarcazione con 83 migranti", spiega l'ufficio stampa della Guardia costiera, precisando che per il momento non ci sono nuove segnalazioni. Alcune delle barche sono arrivate da sole fino alle coste, altre sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera, che ha preso a bordo i passeggeri.
Da metà gennaio sono quasi 9.000 i migranti giunti sulle coste italiane dopo che in Tunisia è stato destituito il presidente Zine al-Abidine Ben Ali. Questa mattina è attesa la visita a Lampedusa del Prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l'emergenza immigrati.
Caruso incontrerà il sindaco Bernardino De Rubeis e i rappresentanti delle forze dell'ordine, tra cui il Questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, arrivato ieri sera a Lampedusa. Poi, il Prefetto andrà anche al Centro d'accoglienza di contrada Imnbriacola che al momento ospita oltre 1.200 migranti.
Ieri il ministro Maroni aveva parlato di un ritorno di quelle "organizzazioni criminali che operavano prima in Libia e che facevano partire da lì i clandestini».
In uno dei barconi giunto ieri a Lampedusa c'era anche una donna tedesca. Tina Rothkamm, 40 anni, originaria di Monaco, e sua figlia, di nove, hanno deciso ad agosto scorso che non c'era altro modo per sfidare il divieto di espatrio imposto alla bambina dalle autorità tunisine. Il padre della bambina, dopo la separazione dalla moglie tedesca, aveva portato con sé la figlia, impedendo alla madre di condurla con sè in Germania. "Sono felice - ha detto Tina ieri sera, improvvisando una conferenza stampa in un hotel di Lampedusa, dove è stata trattenuta insieme alla figlia dopo avere passato la mattinata al Centro di accoglienza -, stiamo imboccando una nuova strada per trovare fiducia nel futuro".
La donna ha detto che "non è stato facile prendere questa decisione, ma dopo che più volte ci hanno respinti alla frontiera tunisina, nonostante i documenti in regola, anche i miei avvocati mi hanno detto che non c'era altra possibilità legale per andare via dal paese". Tina, sorridente, con accanto la bimba, "che parla arabo e mi ha fatto da interprete", dice di non aver mai avuto paura durante la traversata: "siamo stati venti ore su una barca con oltre cento persone, e tutti sono stati estremamente gentili con noi. L'unico rischio che correvamo era quello il naufragio, ma dei miei compagni di viaggio mi sono sempre fidata".



Emergenza a Lampedusa
Altra ondata di immigrati L'Europa: li accoglieremo
In un mese arrivati 8mila clandestini. Tra loro una tedesca col figlio
Libero, 8-03-2011
ROBERTA CATANIA
??? È iniziata l'annunciata «emorragia» dalla Libia. In dodici ore, tra domenica notte e la giornata di ieri, a Lampedusa sono arrivati oltre mille nordafricani. E il centro di accoglienza è di nuovo al collasso, nonostante i continui trasferimenti disposti dal Viminale verso strutture sparse lungo l'Italia.
Tra i profughi approdati ieri c'è anche una donna tedesca con la figlia di 7 anni avuta da un tunisino. Ormai divorziata dal padre della bambina, la donna non riusciva ad avere il visto per lasciare la Tunisia. Così, dopo settimane di attesa, ha pagato gli organizzatori del viaggio e si è imbarcata su una delle "carrette del mare" con altre decine di tunisini a bordo. Sbarcata a Lampedusa, la donna ha spiegato alle forze dell'ordine la propria storia e adesso sarà  l'ambasciata  tedesca ad occuparsi del suo caso.
CENTRO AL COLLASSO
Gli ultimi approdi dei barconi, iniziati poco dopo la mezzanotte di domenica, sono andati avanti per tutta la giornata di ieri. Gli ultimi sei natanti sono stati scortati nel porto in serata.
Il sindaco, Bernardino De Rubeis, ha spiegato di essere «molto preoccupato non soltanto per i libici, ma soprattutto per l'arrivo di eritrei e somali». Proprio come accadde qualche anno fa «quando sbarcarono a Lampedusa migliaia di africani». Confidando apertamente i propri timori, il primo cittadino dell'isola ha raccontato che domenica sera, quando già era stata prevista l'affluenza di undici barconi, c'era stata una telefonata con il ministro dell'Interno. «Ho sentito Roberto Maroni per annunciargli che nella notte sarebbero arrivati circa mille immigrati, che si sarebbero andati ad aggiungere ai quasi 400 già presenti al centro di accoglienza. Ma il ministro mi ha assicurato l'immediato trasferimento degli immigrati in altri centri di accoglienza», ha spiegato ieri De Rubeis, «e infatti già oggi sono partiti molti dei tunisini presenti sull'isola. Tutto ciò», ha però aggiunto il sindaco, «nella consapevolezza delle enormi difficoltà di trovare posti liberi nei centri di accoglienza della Penisola».
AIUTI DALL'ITALIA
Nel frattempo è arrivata, nella parte nord-orientale della Libia, la nave con gli aiuti umanitari partiti dall'Italia. Ieri il pattugliatore Libra della Marina Militare è attraccato a Bengasi. La nave era salpata sabato scorso dal porto di Catania con un carico di attrezzature sanitarie, generi ali-mentari e di prima necessità per la popolazione.
Ma il ministro Maroni è intervenuto chiedendo alla Ue un aiuto anche per l'Italia: da soli non possiamo farcela. «L'Europa è già invasa», ha spiegato il titolare del Viminale, «in un mese sono arrivati 8 mila clandestini, più che in tutto il 2010. Gli ultimi sbarchi dimostrano che l'allarme lanciato era fondato, c'è il rischio di un'invasione di massa dovuta alla crisi perdurante del Maghreb». «Per questo», ha proseguito Maroni, «dobbiamo sviluppare un'azione diplomatica forte a livello europeo. L'Onu ha stimato in 200 mila persone quelle che si stanno spostando dalla Libia verso la Tunisia e l'Egitto». Quanto al costo delle operazioni per gestire gli sbarchi, Maroni ha quantificato in 100 milioni di euro il contributo chiesto all'Unione europea per affrontare la situazione straordinaria. «È evidente», ha concluso, «che più aumentano gli sbarchi e le cose da fare più aumentano i costi».
BRUXELLES RISPONDE
La risposta dell'Unione europea è arrivata in serata. «Tutti i paesi membri dell'Ue, eccetto Gran Bretagna e Danimarca, sono disposti ad accogliere profughi dalla Libia nel caso il conflitto in quel Paese degeneri in una guerra civile», ha chiarito ieri Kristalina Gheorghieva, commissaria Ue per la Cooperazione internazionale. Secondo la commissaria bulgara «l'Europa è già pronta per un simile scenario. Sono stati evacuati circa 10.000 europei».



Lampedusa, sbarchi senza fine: 1.700 in 2 giorni. Da Maroni sos alla Ue
Approdati nella notte altri quattro barconi. Il commissario straordinario per l'emergenza in mattinata nell'isola
Il Messaggero.it, 08-03-2011
ROMA - Altri quattro barconi sono approdati in nottata tra Lampedusa e Linosa, dopo i 224 migranti giunti ieri sera. I primi tre sbarchi, poco prima delle mezzanotte, sono avvenuti direttamente a terra: prima sono stati bloccati sette extracomunitari a Linosa, la più piccola delle Pelagie, poi altri 34 e ancora 36 a Lampedusa. L'ultimo arrivo all'1.50, quando la Guardia costiera ha soccorso una "carretta" con 83 immigrati a bordo. Sono 24 i barconi che negli ultimi due giorni hanno raggiunto le Pelagie, per un numero complessivo di circa 1.700 persone. Tutte le imbarcazioni sono partite dalle coste meridionali della Tunisia. Questa mattina a Lampedusa il commissario straordinario per l'emergenza, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, per un incontro con il sindaco Bernardino De Rubeis e con le forze dell'ordine.
Maroni: serve impegno della Ue, da soli non possiamo farcela. Già il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, aveva auspicato l'intervento di un contingente di forze di sicurezza e un impegno maggiore dell'Unione europea. «Noi siamo pronti a fare quello che abbiamo fatto con l'Albania agli inizi degli anni '80 - aveva detto il ministro - ma da soli non possiamo farcela. Gli ultimi sbarchi a Lampedusa dimostrano che l'allarme che avevamo lanciato era assolutamente fondato e c'è il rischio di una invasione di massa dovuta alla crisi perdurante del Maghreb: la Libia in fiamme, la Tunisia che non riesce più a controllare le coste, mentre in Egitto si torna a sparare. Dobbiamo sviluppare un'azione diplomatica forte a livello europeo sul fronte della sicurezza e sugli aiuti allo sviluppo per garantire la transizione verso regimi democratici. Confido per questo nella riunione del Consiglio dei capi di Stato e di governo di venerdì».



L'ex residence di Mineo aperto a 2mila profughi
Avvenire, 8-03-2011
DA MILANO
Ieri con l'arrivo delle forze dell'ordine è stato aperta a Mineo il «Villaggio della solidarietà». E ora il ministero dell'interno vuole riaprire l'ex base missilistica di Comiso, nel ragusano, per accogliervi probabilmente i giovani tunisini. Nella struttura di Mineo, secondo il progetto del ministro Maroni, dovrebbero confluire nei prossimi giorni, ma solo su base volontaria, 2000 richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza sparsi sul territorio nazionale.
A Comiso i posti dovrebbero essere 3000, ma la struttura è fatiscente e non è chiaro come si allestirà il centro. Resta infine da chiarire lo status dei tunisini, trattati in modo difforme. In alcuni casi sono stati inviati ai Cie, i centri di identificazione da dove si viene poi espulsi, in altri verso i Cara per i richiedenti asilo. Trattenere a lungo un cittadino non comunitario senza uno status giuridico preciso, commentano alcuni esperti, è un'anomalia. D'altro canto finché non si chiarisce il quadro politico a Tunisi, è difficile concedere la protezione umanitaria. E se cominciano i rimpatri dei 7 mila tunisini sbarcati si può certo raffreddare l'ondata di partenze sulla sponda maghrebina, ma si rischiano anche disordini nei centri di accoglienza. In attesa di sbrogliare la matassa, Maroni ha incassato ieri la bordata del presidente della regione siciliana Lombardo sulla trasformazione del Residence degli aranci di Mineo, osteggiata anche da cinque sindaci sui 15 della zona, compreso quello della cittadina.
«Da quelle parti ho una campagna, di proprietà di mio padre - ha commentato Lombardo - e non so se potrò andarci tranquillamente e serenamente e invece se non devo stare col mitra in mano, ma mitra non ne ho. Con la scusa degli sbarchi si stanno portando da dieci centri diversi 2.000 richiedenti asilo. Sono afghani piuttosto che iracheni, palestinesi che si sentiranno magari perseguitati dagli ebrei, qualcuno magari appartenente ad Hamas, e saranno li¬beri di circolare nelle nostre campagne». (P. Lam.)
 


Riprendono gli sbarchi. Emergenza a Lampedusa
Terra, 8-03-2011
Susan Dabbous
Oltre 1.600 persone negli ultimi due giorni sono giunte sull’isola. Il ministro Maroni lancia l’allarme sui trafficanti di uomini: «Si sono spostati dalla Libia alla Tunisia»
Lavora senza sosta la Guardia costiera di Lampedusa. Da due giorni sono ripresi gli sbarchi a ritmi serrati: 14 solo tra le 19:00 di domenica e l’alba di lunedì scorso, con a bordo un totale di 1.169 tunisini, tutti in buone condizioni di salute. Ieri, poi, gli arrivi sono continuati per tutto il giorno, almeno fino alle cinque del pomeriggio quando, contattato il Comandate Antonio Morana, ha dato notizia di altri sette avvistamenti. «Il numero delle persone a bordo potrebbe essere di 4 o al massimo 500. Quelli che arrivano a Lampedusa – dice il comandante – provengono tutti da rotte che partono dal Sud della Tunisia, chi invece è sbarcato a Pantelleria è partito da Nord». Il riferimento è a quella piccolissima imbarcazione con 7 persone trovate poi a girovagare per le strade di Pantelleria, non attrezzata per un’emergenza. Dal centro d’accoglienza di Lampedusa, invece, l’amministratore delegato della struttura, Cono Galipò, fa sapere che la situazione può rimanere sotto controllo, nonostante si ormai satura, «solo se si continuano i trasferimenti. Ieri – ha detto – ne sono partiti 360. Nel centro ne rimangono ancora 1.123. Ma i numeri cambiano di ora in ora.
La rapidità dei trasferimenti è strategicamente importante in vista del famigerato esodo biblico». Ovvero il flusso migratorio senza precedenti paventato dal capo del Viminale, Roberto Maroni, che ci è costato il rimprovero sui «falsi allarmismi» da parte dell’Unione europea. Ora però il ministro leghista sembra potersi prendere la sua piccola rivincita: «Gli sbarchi di questa notte – ha detto riferendosi a lunedì - dimostrano che l’allarme che abbiamo lanciato era assolutamente fondato». Maroni ha anche reso noto che sarebbero riapparse le organizzazioni criminali che in passato operavano in Libia, nel sud della Tunisia, notizia ancora non pervenuta ai media tunisini come confermato da Samira Khiari Kchaou, giornalista di uno dei quotidiani più diffusi nel Paese, el Chourouk. «Con il nuovo governo stanno aumentando i pattugliamenti delle coste», dice la cronista, «soprattutto a Zarzis, ma di fatto in Tunisia si continua a sminuire molto il fenomeno migratorio verso Lampedusa. Alcune associazioni umanitarie sono riuscite a dire addirittura che sull’isola ne sarebbero arrivati solo un migliaio». Da metà gennaio invece sono stati almeno 6mila. Tra questi anche tanti minori: nell’ultimo flusso, quello dei mille, ce ne sono almeno 25. «Ma potrebbero essere molti di più», avverte Tareke Brahane di Save The Children. «Siamo troppo impegnati nel soccorso degli sbarchi, al momento, le operazioni di individuazione dei minori vanno a rilento». Tranne che per qui tre piccoli di 4, 7 e 8 anni, arrivati con le loro mamme. Una bimba è europea. Frutto di un matrimonio misto finito male: sua madre, una cittadina tedesca, due giorni fa ha colto l’occasione per fuggire dal marito tunisino che l’avrebbe relegata in casa.



E nei centri sta per scattare il tutto esaurito
Avvenire, 8-03-2011
Il moltiplicarsi degli arrivi sta rendendo urgente la messa a punto del Piano B
DA MILANO
In poco più di due mesi nel nostro Paese, per lo più a Lampedusa, sono sbarcati quasi 8mila migranti, praticamente, ha sottolineato il Viminale, quanti ne sono arrivati nell'arco di tutto il 2010. E le strutture utilizzate per ospitare gli extracomunitari (un totale di 31 tra Centri di identificazione ed espulsione, Centri di accoglienza, Centri per richiedenti asilo e Centri di primo soccorso ed accoglienza) sono ormai al collasso. Nel 2008, comunque, uno degli anni con più sbarchi, gli arrivi furono 37mila. I Centri hanno una capienza complessiva di circa 8.500 posti; si intuisce così la fretta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, di approntare quello che ha definito il Piano B, nel caso di massicci arrivi dal Nordafrica. Finora il Viminale si è regolato così: i migranti appena sbarcati a Lampedusa vengono ospitati nel Centro di prima accoglienza dell'isola, che può contenere 800 persone, ma che è arrivato a ospitarne anche il doppio. Viene quindi fatto un primo screening, con l'identificazione e l'eventuale presentazione della richiesta di protezione internazionale o asilo. Una scelta, quest'ultima, fatta da 2.100 tunisini. Con ponti aerei e navali, i migranti vengono poi smistati negli altri centri della penisola. Che, a questo punto, sono già strapieni. I Cara hanno complessivamente 3.300 posti. Una capienza analoga hanno i Centri di accoglienza e quelli di primo soccorso, mentre i Cie possono ospitare 1.800 persone. Finora le destinazioni primarie dei voli da Lampedusa sono stati il Centro di Crotone, che funziona sia da Cie che da Cara e Cda e che ha una capienza di 1.300 posti, e quello di Bari, che ha gli stessi posti e le medesime caratteristiche. Entrambe le strutture sono però al completo. Nei Cie vengono trattenuti i clandestini che non hanno chiesto protezione e che, secondo le indicazioni di Maroni, dovranno essere rimpatriati non appena in Tunisia la situazione si sarà stabilizzata. Sta per entrare in funzione anche il Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania) - l'ex residence che ospitava gli americani di stanza nella base di Sigonella - in cui saranno trasferiti circa 2mila ospiti dei Cara. Ma, il moltiplicarsi degli arrivi potrebbe rendere urgente la messa a punto del Piano B, cioè trovare strutture in tutta Italia, in grado di ospitare fino a 50mila persone. Le prefetture hanno cominciato a individuare le disponibilità, ora Regioni ed enti locali dovranno scegliere le aree da predisporre per l'ospitalità, con campi attrezzati e tendopoli se necessario. Nel frattempo, la Francia ha segnalato un massiccio esodo di tunisini provenienti dalla frontiera italiana. Gran parte, infatti, di coloro che sbarcano a Lampedusa intendono andare Oltralpe, dove hanno spesso parenti e conoscenti e i Cara non sono strettamente controllati dalle forze dell'ordine come i Cie. Gli ospiti hanno una certa libertà di movimento e a volte abbandonano il Centro per tentare di raggiungere la Francia.
 

 
Lampedusa, assedio continuo diciassette sbarchi in 24ore Maroni: "E iniziata l'invasione"
Arrivati 1600 immigrati. Il ministro: da soli non ce la facciamo
la Repubblica, 08-03-2011
PAOLA COPPOLA

ROMA — Sbarchi senza fine, a Lampedusa è di nuovo emergenza. Dopo una breve tregua, è bastato un miglioramento delle condizioni del mare per riaprire la rotta dei barconi carichi di profughi che dalle coste tunisine raggiungono l'isola: in serata si contavano 17 imbarcazioni approdate in meno di 24 ore. Un'altra intercettata dalle motovedette e almeno cinque ancora al largo che fanno rotta verso la costa italiana dove potrebbero arrivare durante la notte.
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha lanciato l'allarme: «L'Europa è già invasa, in un mese sono arrivati 8000 clandestini, più di tutto il 2010». E ha avvertito: «C'è il rischio di un'invasione di massa dovuta alla crisi perdurante del Maghreb».
Non si arresta l'esodo, iniziato due giorni fa, quando un aereo della Guardia di finanza in volo sul canale di Sicilia ha avvistato i barconi che,nel giro di poche ore, hanno trasportato oltre 1000 profughi. Gli sbarchi sono proseguiti anche ieri, tutto il giorno. Nel pomeriggio un gruppo di 34 migranti è stato soccorso: rischiavano di affondare e la loro imbarcazione è stata trainata fino al porto. In serata una barca con altri 224 immigrati, tra cui due donne, è stata l'ultima a entrare in porto. Un mini-sbarco c'è stato anche a Pantelleria, dove i carabinieri hanno rintracciato sulla terra ferma sette tunisini.
I migranti viaggiano su vecchi pescherecci o piccoli scafi in legno: anche ieri centinaia di cittadini nordafricani si sono imbarcati al porto tunisino di Zarzis, altri sono partiti da Djerba, dove continuano ad affluire i profughi che cercano riparo dalla guerra in Libia. Arrivano a bordo di carrette del mare e gli sbarchi senza sosta mettono a dura prova il lavoro delle forze dell'ordine mobilitate per affrontare la nuova emergenza a Lampedusa, che è stata eletta a una sorta di porta d'ingresso verso l'Europa.
È sovraccarico il centro di primo soccorso e accoglienza dell'isola, che può contenere 850 persone e ne sta ospitando oltre 1000. Per decongestionarlo la macchina dei trasferimenti si è messa in moto: oltre 300 stranieri sono stati portati in altri Cpt, un centinaio con un volo diretto a Crotone (il centro ha una capienza di 1300 posti), altri a bordo di un traghetto di linea a Porto Empedocle.
Maroni ha fatto appello alla comunità internazionale per intervenire: «Occorre un impegno maggiore da parte dell'Ue: siamo pronti a fare quello che abbiamo fatto in Alba ma all'inizio degli anni '90, ma da soli non possiamo farcela», un tema questo affrontato anche durante il Consiglio federale della Lega.
In attesa del Consiglio europeo di venerdì che discuterà l'emergenza del Nordafrica, a Maroni ha fatto eco la senatrice della Lega Nord e vicesindaco di Lampedusa, Angela Maraventa-no: «Chiedo all'Europa di dare il massimo dell'aiuto e dell'assistenza alla Tunisia in quanto ora è questo Paese che ha bisogno». E ha aggiunto: «È giusto che l'Europa aiuti la Tunisia che si sta riprendendo ora dopo la lunga rivolta interna di questi mesi». L'allarme per i nuovi arrivi è alto. Anche il ministro degli Esteri Franco Frattini ha rilanciato la necessità di un «pattugliamento al limite delle acque territoriali» durante la trasmissione Porta a Porta. E oggi sull'isola arriverà il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, nominato commissario straordinario per l'emergenza per coordinare le misure da adottare per affrontare i nuovi sbarchi.



La testimonianza
Fuga da clandestino: meglio una vita di stenti che la fame
Il Mattino, 08-03-2011
Prezzi raddoppiati per scappare «In Europa c'è lavoro in Tunisia no.  L'Italia? La mia meta è la Francia»
Vittorio dell'Uva
ZARZIS. Lotfi e poi? «Loffi e basta. Non si chiede ad un clandestino il nome di famiglia». Sulla spiaggia di Ben Nana che si raggiunge da Zarzis attraverso un viottolo, un ragazzo ventitreenne ben messo consulta con una certa attenzione il display del telefonino soffermandosi alla voce messaggi. Domenica la sua partenza e quella di altri era stata annullata quando, tra molti abbracci, aveva già celebrato il rito dell'abbandono con i familiari che l'avevano accompagnato. Spera che lo informino con un sms che la Guardia costiera tunisina è impegnata più a nord a tappare falle da cui sono sgusciati i battelli che nelle ultime 48 ore hanno raggiunto l'isola di Lampedusa.
Allora, Loffi comincia la grande avventura senza pentimenti dell'ultima ora?
«Mi pento di non averlo fatto prima. Un paio di mesi fa invece di duemila dinari ne avrei pagati mille. La Tunisia nel caos non pensava a fermare i clandestini e si era scatenata la concorrenza tra i traghettatori. Adesso invece v' è persino la lista d'attesa che fa perdere dieci giorni». Ma è nata anche una Tunisìa democratica che potrebbe offrire ai giovani maggiori opportunità. «Chi lo dice? Agli occhi dell'Occidente siamo stati grandiosi con la nostra rivoluzione. Non saremo più derubati dalla famiglia Trabeisi, ma intanto mancano programmi concreti per nuovi posti di lavoro. Ho un diploma che non è servito a niente. Il futuro bisogna andare a costruirlo all'estero.
Parlo abbastanza bene il francese. Ho sperato di lavorare presso ivillaggi turistici della zona. Niente da fare. Le paure scatenatesi nei giorni della rivolta non sono state tutte assorbite. In ogni caso i salari raggiungono i 500 dinari soltanto durante l'alta stagione. Al cambio sono 250 euro e qui al mercato un chilo di arance costa un dinaro e mezzo». Le capacità di assorbimento dell'Italia sono limitate. «Non ho mai detto che voglio stabilirmi in Italia. La maggior parte dei tunisini che salgono sulle barche vuole raggiungere la Francia. È la nostra meta naturale. Lampedusa rappresenta solo una tappa anche se agli italiani facciamo tanta paura». Dove ha preso i soldi per il viaggio?
«Nella mia partenza si è discusso in famiglia. Ogni sera tornavo a casa a Zarzis e spiegavo che per me non c'erano prospettive. I miei genitori
hanno deciso di aiutarmi». Qualche rischio comunque, adesso, lo corre in mare e in Occidente.     
«La navigazione non rappresenta un problema anche se incidenti ne capitano. Non c'è mica da superare l'Atlantico. Lo pensano persino ragazzini di tredici o quattordici anni che si infilano, senza pagare, tra i clandestini. Mi sembra improbabile che gli italiani mi carichino subito su un'aereo e mi rispediscano in Tunisia. Se c'è da farsi furbo lo farò». Anche il prezzo della clandestinità può essere alto.
«Dipende dai punti di vista. Cinque o sette anni da sans papiers in Francia si possono sopportare perchè prima o poi il permesso di soggiorno lo concedono. Non credo che stia ad aspettarmi la fame. Da un lavoro anche da irregolare posso tirare fuori anche 1500 euro al mese. Me lo dicono gli amici che mi hanno preceduto».
Non ha messo nel conto anche la xenofobia?
«Già fatto Mi spiace dirlo, ma per fortuna la mia pelle è chiara».

 

Con i controlli già arrestati 26 scafìsti
il Sole, 8-03-2011
Marco Ludovico

ROMA - «Siamo pronti a qualunque impatto. Ogni immigrato sarà accolto e avrà un posto, com'è sempre accaduto finora». È ormai in allerta massima, 24 ore su 24, il prefetto Rodolfo Ronconi, alla guida della direzione centrale polizia dell'immigrazione e delle frontiere. «Nell'ultima tornata di immigrati dalla coste nordafricane abbiamo arrestati 26 scafìsti di origine maghrebina - fa sapere il prefetto - e molti di loro risultano collegati tra di loro». Si conferma con i numeri, dunque, l'avvertimento rilanciato ieri dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni: «Sono riapparse le organizzazioni criminali».
Il meccanismo di accoglienza e controllo è stato messo a punto in ogni particolare: «Siamo in un'emergenza umanitaria dove l'Europa ancora non fa la sua parte. Noi accogliamo subito, rifocilliamo, diamo vestiti e un posto dove dormire, in poche ore, a chiunque, in questo momento, sbarca a Lampedusa. Ma nelle stesse ore lo identifichiamo e passiamo ai controlli». Il timore che nell'esodo di massa ci possano essere delinquenti - lo stesso ministro ha parlato a più riprese di «rischio di infiltrazioni terroristiche» - è fondato, ma Ronconi ha messo in piedi un sistema capillare di filtri e riscontri.
«Proprio nelle prime ore dopo lo sbarco facciamo i rilievi dattiloscopici, foto e impronte digitali.
Ma all'arrivo siamo presenti subito, insieme alle associazioni uma-nitarie, con i mediatori culturali che lavorano con noi. I mediatori aprono il dialogo con i migranti e riconoscono la loro lingua. Così ci consentono di identificare rapidamente la loro nazionalità».
È questione di attimi. Nel gruppo dei naufraghi - «e nessuno può sfuggire» sottolinea Ronconi - bisogna trovare i soggetti sospetti, non farsi ingannare da chi dissimula, individuare gli scafìsti e i trafficanti di esseri umani. Capeggio, i possibili terroristi infiltrati.
«Partono i colloqui dei nostri uomini, con tutti. Tra noi c'è chi parla, ma soprattutto chi osserva: occhi e orecchie ben aperte. Pocchi agenti, massima osservazione». Colloqui decisivi «perché spesso, dai racconti, gli immigrati ci danno gli elementi per catturare gli scafìsti e non solo». Si dialoga, si spinge chi sa a collaborare
senza spaventarlo, si cerca di non mettere in allerta il possibile criminale. Coloro che danno ragionevole certezza dinon destare sospetto sono assegnati subito nei centri di accoglienza, trasportati quasi sempre con voli aerei.
«Siamo in un'emergenza umanitaria» ribadisce il prefetto, ma poi sottolinea che «ciò non significa rinunciare alla lotta all'immigrazione clandestina». Soprattutto quella agli stranieri delinquenti. Intanto, c'è il sistema dei controlli più importanti: quelli sui casi a rischio. Foto e impronte sono messe a confronto con tre banche dati: Interpol, Europoi ed Eurodac.
«Non basta: sul territorio abbiamo realizzato task force dei nostri agenti della polizia delle frontiere con i colleglli di digos e squadre mobili - spiega Ronconi - per l'ulteriore approfondimento informativo, nei casi più sospetti». Senza dimenticare «i contatti con i consolati di appartenenza, perle verifiche successive». Le informazioni, insomma, si incrociano sul piano nazionale e internazionale, «spesso basta il semplice riscontro fotodattiloscopico per catturare un criminale» aggiunge il capo della polizia delle frontiere, che annovera 260 uomini nella direzione centrale a Roma, in via Tuscolana, e oltre 5mila agenti distribuiti in otto «uffici di zona» in tutta Italia.
Insultati ci sono, anche se spesso nelle cronache sono superati dall'emergenza sbarchi. Ronconi, per il suo lavoro, può contare su un sistema straordinario di relazioni internazionali, testimoniato dalla conferenza euro africana che ha organizzato un mese fa a Napoli: erano presenti 45 stati dell'Africa.
E anche per questo che il ministro dell'Interno e il capo della Polizia, Antonio Manganelli, oggi hanno massima fiducia nell'azione della polizia delle frontiere e dell'immigrazione.



Profughi eritrei, è finito l'incubo
Avvenire, 8-03-2011
DI PAOLO LAMBRUSCHI
Oggi è finalmente previsto l'arrivo in Italia dei 54 profughi eritrei bloccati a Tripoli. Sono perlopiù donne e bambini e sono in possesso di una tessera rilasciata dall'Alto commissariato delle Nazioni unite che riconosce il loro status di rifugiati politici. A meno di inconvenienti dell'ultima ora, come è successo almeno due volte negli ultimi 15 giorni, stamattina alle otto ora locale ai 54 profughi è stato dato appuntamento davanti alla Cattedrale tripolina. Da lì, il vicario apostolico Martinelli ha predisposto un servizio automobilistico per accompagnarli all'aeroporto. Una volta raggiunto lo scalo, i rifugiati verranno presi in consegna dalle autorità italiane che li imbarcheranno su un volo umanitario predisposto dalla nostra aeronautica militare. La destinazione dovrebbe essere il Cara, centro di accoglienza per richiedenti asilo, di Crotone, dove era stato già preparato loro il posto la scorsa settimana nell'ala per l'accoglienza delle donne e dei «vulnerabili», i minori nel gergo umanitario. Si dovrebbe così sbloccare una situazione drammatica che nei giorni passati è stata  denunciata   a gran   voce   dalla chiesa di Tripoli. La quale in un drammatico appello del vicario apostolico Martinelli,   rilanciato in Italia dal Consiglio italiano per i rifugiati e dall'Agenzia  Habeshia di don Mosè Zerai,   chiedeva che venissero salvate le migliaia di disperati dal Corno d'Africa che avevano occupato la cattedrale  e i suoi dintorni perché presi di mira tanto dalle truppe fedeli al colonnello Gheddafi - che volevano arruolarli a forza - quanto dai ribelli, che li aggredivano scambiandoli per mercenari. Dramma nel dramma quello degli eritrei, circa 2000 a Tripoli. Giunti in Libia nel 2008 e 2009 per poi raggiungere il nostro Paese attraversando il Mediterraneo, vi erano poi rimasti intrappolati a seguito della chiusura delle coste dopo la firma del trattato di amicizia con l'Italia. Il regime di Gheddafi non riconosce il diritto di asilo, quindi si sono ritrovati clandestini. In diversi casi hanno trovato lavori saltuari per pagarsi l'affitto in stanze sovraffollate. Ma dopo lo scoppio del conflitto hanno perso il lavoro e alcuni sono stati sfrattati a causa del colore della pelle, troppo simile a quello dei miliziani arruolati dal regime. Gli altri, terrorizzati dalla violenza, si sono barricati in casa per sfuggire la caccia all'uomo. Poi, finite le scorte di cibo, hanno cercato scampo in chiesa. Da giugno è incaricato di seguirli don Sandro de Pretis. Il sacerdote, sorpreso mentre si trovava in Italia dallo scoppio della rivolta, è riuscito a tornare solo la scorsa settimana a Tripoli e sta organizzando il trasferimento del gruppo. Operazione giù sfumata due volte. La prima allo scoppio della rivolta, quando i rifugiati vennero scacciati dalle guardie libiche dall'aeroporto sovraffollato da lavoratori occidentali e asiatici in fuga. La seconda venerdì scorso, quando per mancanza di alcune autorizzazioni da Roma l'operazione umanitaria sfumò. Resta ancora da capire se e quando si potranno riunire alle mogli e ai figli in partenza oggi i padri, che invece rimangono nella capitale libica. «Né va dimenticata - ricorda don de Petris - la condizione delle altre migliaia di eritrei in Libia, i quali hanno lo stesso diritto di chiedere asilo in un paese occidentale di quelli in partenza. Ciascuno stato membro dell'Unione europea faccia la propria parte per accoglierli».
L'Alto rappresentante dell'Ue agli Affari esteri, la baronessa Catherine Ashton, ha detto che al vertice straordinario dei 27 capi di governo previsto 1' 11 marzo porrà la questione dei profughi eritrei nel Maghreb. Alcuni dei quali, dicono fonti dell'Acnur, sono riusciti a passare il confine tra Libia e Tunisia e si preparano a salire sulla prossima ondata di barconi diretta a Lampedusa.



SOLO TRE REGIONI ACCOLGONO CHI ARRIVA DAL MARE
LOMBARDIA
A Milano posti finiti: ci vuole un altro Cie
il Giornale, 8-03-2011
Milano «A Milano non c'è più posto. Abbiamo fatto abbondantemente la nostra parte». Il Comune fa la conta dei posti occupati e di quelli liberi nelle strutture di accoglienza. E decreta: non sappiamo dove mettere i profughi. Il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli è full: 132 posti, tutti occupati. «A Milano - spiega il vicesindaco Riccardo De Corato - contiamo già 218mila immigrati regolari e oltre 32mila irregolari. Sono i numeri più alti d'Italia, perfino rispetto a Roma». Per questo si torna a cavalcare la vecchia ipotesi di aprire un centro Cie vicino a uno degli aeroporti lombardi: o Orio al Serio (Bergamo) o, meglio ancora, Malpensa, la nuova Lampedusa lombarda. Solo così si riuscirebbe a gestire l'emergenza profughi. «Comincino a fare la loro parte i comuni che non hanno un Cie - incalza De Corato, spronando in primis le città di Toscana e Veneto -. Noi abbiamo fatto il nostro dovere e l'emergenza non può ricadere tutta su Milano e sulla Lombardia». Nel frattempo il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, sta facendo una ricognizione delle strutture migliori per far fronte a eventuali arrivi di massa: una caserma e una struttura di accoglienza in una zona periferica, al Gratosoglio, che già sfama 700 persone al giorno.



SOLO TRE REGIONI ACCOLGONO CHI ARRIVA DAL MARE
PUGLIA
Due voli quotidiani: centro di Bari al limite
il Giornale, 8-03-2011
Bari Gli ultimi sono arrivati ieri pomeriggio: si tratta di un centinaio di immigrati provenienti da Lampedusa che vanno ad aggiungersi agli altri numerosissimi arrivati nei giorni scorsi. La media qui degli sbarchi è di un paio di voli al giorno, un flusso continuo, una serie di trasferimenti quotidiani che hanno portato nuovamente al collasso il Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari.
Dalla prefettura fanno sapere che al momento la situazione è sotto controllo, ma ormai è stata superata la capienza massima della struttura allestita nella exfrazione Palese, lungo il litorale nord della città: gli immigrati sono 1361 mentre il limite è 1300. E, visto che siprevedono nuovi arrivi, domani sarà montato un tendone da altri 300 posti. Ma l'emergenza non riguarda solo Bari: altri immigrati vengono smistati infatti a Restinco, ex frazione di Brindisi sede di un Cara ma anche di un Centro di identificazione ed espulsione dove più volte si sono verificati gravi disordini. Proprio la provincia di Brindisi, in particolare l'area di San Pancrazio Salentino, è stata individuata dal governo come possibile luogo per una tendopoli che fa parte del cosiddetto piano «B» per l'accoglienza agli immigrati in fuga dall'Africa: qui potrebbero infatti trovare posto mille persone.



SOLO TRE REGIONI ACCOLGONO CHI ARRIVA DAL MARE
CALABRIA
Isola Capo Rizzuto in tilt: ottomila pasti al giorno
il Giornale, 8-03-2011
Crotone In Calabria il campo più usato per sistemare gli immigrati è quello di Isola Capo Rizzuto, proprio di fronte all'areoporto di Crotone Sant'Anna. Gli arrivi e le partenze si susseguono quasi tutti i giorni, e gli immigrati arrivano da Lampedusa, ma anche dagli altri posti della Calabria dove gli sbarchi sono all'ordine del giorno. Quindi non solo per dare una mano al centro di Lampedusa, ma qui si lavora anche per sistemare gli immigrati che arrivano nelle sponde calabresi. Il centro di accoglienza temporanea permanente di Isola capo Rizzuto è il più grande d'Europa.  Infatti, secondo i dati forniti, conta quasi 1500 posti. Al momento sono tutti occupati è la situazione è al limite della sopravvivenza. A gestire il campo di accoglienza è la Misericordia di isola capo Rizzuto, che continua a sfornare pasti caldi in quantità industriale. I responsabili fanno sapere che tra pranzo e cena cucinano circa per 4000 persone, compresi gli addetti alla sicurezza. Il campo è vigilato dalle forze dell'ordine, è conta tutte presenze maschili, è quasi tutte di nazionalità tunisina. Nelle scorse settimane un gruppo di 118 immigrati, che era da poco arrivato da Lampedusa, fuggì verso Bologna con un treno. Ma il gruppo rintracciato nel capoluogo Emiliano, venne rispedito in Calabria



L'analisi
In eredità un'ondata xenofoba
Il Mattino, 08-03-2011
Alessandro Campi
La crisi politica e sociale che sta sconvolgendo il mondo arabo-mediterraneo non accenna a risolversi. In Libia si sta scivolando sempre più verso una guerra civile: chi si aspettava un assalto risolutivo a Tripoli, la caduta repentina di Gheddafi e un rapido cambio al vertice del potere libico ha dovuto prendere atto chela situazione in quel Paese, che da sempre si regge su un delicato equilibrio tra clan e tribù, è assai più complessa del previsto. Ma anche in Egitto e Tunisi, dove il vento della rivolta sembrava placato, si registrano scontri e violenze. Senza contare i focolai di protesta nel Golfo Persico e i timori per le sollevazioni popolari che prima o poi potrebbero scoppiare in Marocco e in Algeria.
Siamo a un tornante della storia, si sostiene da più parti: sta crollando, esattamente come nel 1989, un assetto di potere decennale, senza che si ab¬bia cognizione esatta di ciò che potrebbe prenderne il posto. I regimi autoritari sostenuti dall'Occidente, che garantendo un ferreo controllo sulla ri¬spettive società riuscivano a contenere la spinta del radicalismo islamico, hanno perso di legittimità, ma che dalla loro implosione possano nascere democrazie di stampo liberale è, al momento, solo una speranza. Il rischio concreto è che si profili una lunga transizione all'insegna dell'instabilità, da cui potrebbero derivare numerosi effetti negativi: la destabilizzazione del mercato energetico mondiale, una ripresa del terrorismo internazionale (che avrebbe nuove aree fuori controllo in cui insediarsi) e, soprattutto, un'ondata migratoria, dall'Africa verso l'Europa, senza precedenti.
E per non parlare dei timori per le sollevazioni popolari che prima o poi porrebbero scoppiare in Marocco e in Algeria.
Siamo a un tornante della storia, si sostiene da più parti: sta crollando, esattamente come nel 1989, un assetto di potere decennale, senza che si abbia cognizione esatta di ciò che potrebbe prenderne il posto. I regimi autoritari sostenuti dall'Occidente, che garantendo un ferreo controllo sulla rispettive società riuscivano a contenere la spinta del radicalismo islamico, hanno perso di legittimità, ma che dalla loro implosione possano nascere democrazie di stampo liberale è, al momento, solo una speranza. Il rischio concreto è che si profili una lunga transizione all'insegna dell'instabilità, da cui potrebbero derivare numerosi effetti negativi: la destabilizzazione del mercato energetico mondia-le, una ripresa del terrorismo internazionale (che avrebbe nuove aree fuori controllo nelle quali insediarsi) e, soprattutto, un'ondata migratoria, dall'Africa verso l'Europa, senza precedenti.
Quest'ultimo è il pericolo che più di altri sta paventanto il rais libico: una previsio¬ne che è, al tempo stesso, una minaccia. Se i rivoltosi avranno la meglio nel suo Paese, come già è accaduto nelle altre nazioni arabe confinanti, il Vecchio Continente - apartire dall'Italia - potrebbe essere oggetto di un'invasione di massa, di un esodo biblico incontrollato, che in poco tempo potrebbe ingenerare nelle nazioni d'accoglienza tensioni sociali, conflitti economici e scontri razziali. Agli immigrati in cerca di benessere o più semplicemente di libertà si aggiungerebbero i fanatici della  Jihad, che - secondo il fosco scenario disegnato da Gheddafi -trasformerebbero il Mediterraneo in un teatro di guerra: il mondo tornerebbe all'età di Barbarossa, all'epoca della pirateria.
Che in questo momento Gheddafi abbia tutto l'interesse ad agitare tali fantasmi si  comprende facilmente: per sopravvivere - e per giustificare le violenze che sta commettendo - ha bisogno di presentarsi come l'unico ed estremo baluardo contro il caos. Che i governi lo prendano sul serio nel suo ruolo di salvatore dell'Occidente è difficile, dopo che per settimane ne hanno denunciato, le atrocità sulla popolazione civile e gli hanno chiesto di lasciare il potere. Resta però da capire l'impatto delle sue parole sull'opinione pubblica e sulle forze politiche di Paesi nei quali da anni la paura verso l'immigrazione clandestina e il terrorismo di marca islamica rappresenta viene agitata come un formidabile argomento propagandistico.
La politica che fa leva sulla retorica della sicurezza non ha bisogno di vedere realizzati i suoi incubi peggiori. Come si è visto in questi anni, le è sufficiente agitarli dinnanzi agli occhi dei cittadini. Ciò significa che nei mesi e negli anni venire, soprattutto se la crisi nel Maghreb arabo dovesse cronicizzarsi, dobbiamo aspettarci un ritorno di fiamma della xenofobia politica e un'ascesa elettorale dei partiti che la interpretano.
Tra i primi a paventare una simile possibilità è stato, nei giorni scorsi, Giulio Tremonti. Tra gli effetti di una globalizzazione sempre più incontrollata e difficile da governare, da lui raffigurata alla stregua di un mostruoso videogame, a suo giudizio va ascritta anche la crisi che sta scardinando il Nord Africa, frutto di due  fattori tra di loro molto diversi: la speculazione internazionale sui prezzi dei prodotti alimentari, che ha gettato nella povertà intere popolazioni, e il ruolo sempre più determinante assunto dai social network e dalla rete, che se da un Iato sono uno strumento di libertà e di dissenso che i governi non possono controllare, dall'altro si prestano facilmente ad essere manipolati e indirizzati. Il caos che ne sta derivando, sostiene Tremonti, potrebbe determinare tensioni nel sistema democratico dei Paesi europeo-occidentali, dove per reazione alle creccenti paure si potrebbe assistere ad un rafforzamento elettorale dei partiti d'estrema destra.
I segnali in questa direzione in effetti non mancano. Se è vero che i partiti cosiddetti "securitati", che denunciano la crescente islamizzazione dell'Europa ad opera degli immigrati dal Sud del mondo, sono da anni una realtà stabile, nelle democrazie scandinave come in quelle latine, è anche vero che nelle ultime settimane il loro consenso popolare è andato crescendo, come dimostra il caso esemplare della Francia. Il Front national fondato da Jean-Marie Le Pen è stato tra i primi partiti europei a costruire la sua fortuna sulla xenofobia (in particolare sull'islamofobia) e sul nazionalismo identitaria. Marine Le Pen, che ha ereditato dal padre la difesa dei valori della Francia profonda, secondo sondaggi recenti è in testa nelle intenzioni di voto per il primo turno delle elezioni presidenziali con il 23%.
E in Italia, cosa potrebbe accadere? La prima forza politica a lanciare l'allarme contro il rischio di un'invasione di clandestini dal Nord Africa, tra i quali potrebbero annidarsi terroristi e criminali comuni, è stata ovviamente la Lega, che attraverso il ministro Maroni presidia le politiche di sicurezza e d'ordine pubblico nel nostro Paese. Tutto lascia prevedere che potrebbe essere il Carroccio, a scapito prima del suo diretto alleato e poi di tutti gli altri partiti, ad avvantaggiarsi elettoralmente dei timori che si stanno profilando nella società italiana e che il suo gruppo dirigente ha tutto l'interesse ad alimentare.
Ma si può contrastare un simile esito?  Dobbiamo prepararci, come dice Tremonti, "ad una sterzata verso l'estrema destra"? La risposta dipende dall'atteggiamento che terranno le diverse forze politiche nei prossimi mesi in materia di immigrazione. Forse non avremo il temuto esodo biblico, ma l'arrivo di clandestini sulle nostre coste sembra procedere in modo incessante. Di fronte a questa realtà, che già sta creando non pochi problemi, cosa si intende fare? Ci si appellerà solo al dovere dell'accoglienza, per timore di non apparire politicamente irreprensibili, o si prenderà atto che movimentì incontrollati di popolazione   possono   determinare una condizione oggettiva di disagio sociale nelle nostre nazioni? Ci si limiterà a denunciare il rischio di una deriva xenofoba o si metteranno in atto politiche di controllo delle frontiere più rigorose delle attuali, senza il timore che ciò appaia un cedimento all'egoismo dei ricchi o una forma di intollerabile indifferenza verso le sofferenze degli ultimi? Le diverse forze politiche continueranno ad oscillare tra fumosi appelli ai doveri della comunità   internazionale   (che spesso è latitante o riottosa ad intervenire) e la segreta speranza che a risolvere il problema per nostro conto
possa essere una nuova generazione di dittatori illuminati o riformisti destinata a subentrare ai vari Mubarak, Gheddafi e Ben Alì?
Se l'estrema destra rischia di avanzare non è solo perché quest'ultima agita con maestria le peggiori paure, ma perché le altre forze politiche - conservatrici, moderate, di centro e progressiste - su certi temi continuano ad apparrire vittime di un'assoluta vacuità ideologica, di una retorica inconsistente e alla lunga insopportabile, che non tiene conto della gravità dei problemi e delle legittime ansie dei cittadini. Alimentare  l'allarme  sociale
per ragioni elettorali è un crimine, sottovalutarlo è un imperdonabile errore.



Schiavi cinesi dell'alta moda
Segregati in sartoria: due arresti
Il Tempo.it, 8-03-2011
Erano i clandestini dell'alta moda. Cucivano abiti con le targhette delle griffe «made in Italy». La scoperta è stata fatta in uno stabile al Villaggio Prenestino dai carabinieri del Radiomobile della Compagnia di Tivoli diretta dal capitano Emanuela Rocca. Due orientali sono stati arrestati, altri quattro lavoranti connazionali sono stati portati all'Ufficio Immigrazione per le pratiche di espulsione. Contando il numero delle postazioni, altri tre lavoranti mancherebbero all'appello. Sequestrati duecento vestiti, mille etichette col marchio della case di moda e trecento bobine di filo di cotone di vari colori. Proprietaria della sartoria una società regolarmente iscritta alla Camera di commercio. Titolare un ragazzo di 29 anni arrestato per sfruttamento della manodopera clandestina. La madre di 59 anni, invece, è l'altra persona tratta in arresto con l'accusa di favoreggiamento della permanenza di stranieri illegali sul territorio: sulla carta il suo compito era quello di pagare l'affitto dello stabile. I sarti cinesi lavoravano, mangiavano e dormivano qui, in 150 metri quadrati. All'interno dell'ambiente un solo bagno. I posti letto erano stati creati nelle piccole rientranze delle pareti. Madre e figlio, invece, risiedevano in una bella villa in zona. Le indagini sono partite a seguito di alcune segnalazioni. I carabinieri hanno lavorato per quindici giorni: si sono appostati, hanno verificato che veniva consegnata della merce senza mai vedere però qualcuno uscire dal laboratorio, se non i titolari. Il rapporto tra il laboratorio e le griffe era inesistente. La società cinese cuciva gli abiti in subappalto, su incarico di un altro soggetto che si era aggiudicato dalla casa di moda l'incarico di confezionare gli abiti.



"Denunciò violenza nel Cie ma la colpevole è lei"
Stefano Galieni
Una sentenza pronunciata “in nome del popolo italiano”che assolve un funzionario di polizia, l’ispettore Vittorio Addesso, accusato di aver tentato di violentare Joy, ragazza nigeriana detenuta all’epoca dei  fatti nel Cie di Via Corelli a Milano. Sembra partorita decine di anni indietro, quando lo stupro era un reato contro la morale, quando era la donna a dover portare prova dell’avvenuto stupro. È stata emessa il 2 febbraio scorso ma solo ieri ne sono state rese note le motivazioni.  Un testo che nessuna persona dotata di un minimo di senso civico, che nessun uomo degno di questo appellativo vorrebbe mai leggere.  10 pagine in cui si prova a demolire l’impianto accusatorio basandosi su un assunto: Joy non è credibile. È una “violenta ragazza nigeriana che ha capeggiato una rivolta e che ha tentato di salvarsi dall’espulsione denunciando il falso. Joy non è credibile perché la prima testimonianza resa in un italiano poco accademico, non collima perfettamente con quanto affermato in sede dibattimentale. Non è credibile perché la testimonianza della sua amica Hellen era “un po’ disordinata” e quindi non perfettamente aderente a quanto da lei affermato, perché contro di lei ci sono due testimoni sicuramente più attendibili: il responsabile per la Croce Rossa del centro, Massimo Chiodini e un altro funzionario di polizia l’ispettore Tavelli, condannato poi in primo grado a 7 anni per aver costretto una transessuale brasiliana ad un rapporto sessuale in cambio della promessa di un permesso di soggiorno. Joy non è credibile, perché non ci sono le altre testimoni che confermerebbero la sua versione dei fatti, peccato che almeno 2 siano già state deportate in Nigeria prima di poter parlare. 10 pagine che grondano di razzismo e maschilismo allo stato puro. Si legge infatti che “le dichiarazioni della persona offesa nei delitti di abuso sessuale possono costituire da sole prova sufficiente per l’affermazione delle responsabilità penale dell’agente , ma che ciò può avvenire solo dopo avere doverosamente e rigorosamente vagliato l’attendibilità della persona offesa stessa”. “Joy, essendosi costituita parte civile, è portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico”. Un ribaltamento vero e proprio dell’onere della prova. Ma non basta, Joy è stata condannata per una rivolta scoppiata alcuni giorni dopo il tentativo di violenza e siccome l’ispettore Addesso è risultato testimone a suo carico Joy si è vendicata. La prova? Avrebbe potuto denunciare le violenze mentre era in Via Corelli, nelle mani dello stesso ispettore (e di altri funzionari come Tavelli) e non l’ha fatto, aspettando di essere al sicuro, dopo la scarcerazione. Avrebbe dovuto, secondo i giudici, fidarsi anzitempo degli operatori sociali presenti nel centro. La stessa testimonianza di Chiodini, che ha negato qualsiasi abuso, lascia interdetti:«Un tale comportamento (quello di Addesso) avrebbe costituito un autogol inimmaginabile». Uno degli elementi su cui si è aggrappata la difesa riguarda la presenza o meno di altre detenute nel cortile del centro teatro dell’aggressione. La frase riportata si commenta da sola “nessuna amica di razza bianca né alcuna nigeriana è stata citata”. Chiaro, la testimonianza di due uomini bianchi e in divisa conta più di quella di due donne nigeriane. Certo non si afferma direttamente questo. Si  dice che era “quasi impossibile che due uomini fossero presenti nel reparto femminile”, che Chiodini  non può essere stato complice o connivente di Addesso per garantirsi la pace del Centro e la tutela della propria posizione di responsabile. Una strana condizione in cui chi controlla e chi è controllato parla con voce sola. Hellen non è invece attendibile a priori perché con Joy condivide “amicizia, nazionalità e sorte processuale” oltre che per il “disordine” con cui ha testimoniato. Una pagina oscena della magistratura insomma, che sembra retaggio puro di un passato coloniale mai sopito e dimostra il livello dello Stato di Diritto quando ad alzare la testa sono donne, per lo più immigrate e oggetto di tratta. Una sentenza in perfetta linea con la cultura del premier, in cui non si lascia neanche il minimo spazio al dubbio, si ignora totalmente il contesto concentrazionario in cui avvengono questa come altre nascoste violenze. Una sentenza che sintetizza perfettamente cosa sono i Cie e perché non sono riformabili. A chi scrive resta il beneficio del dubbio: ma davvero si tratta di una sentenza scritta in nome del Popolo italiano?

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