Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 dicembre 2012

Oggi in piazza a Trapani per dire no al razzismo. Immigrati in rivolta a Milo anche a Natale
Oggi, Venerdì 28 dicembre con inizio alle ore 17.00, diverse realtà individuali e collettive riunite nella sigla di Antirazzisti trapanesi, manifesteranno per ricordare il tredicesimo anniversario della strage del CPT "Serraino Vulpitta".
Marsala.it, 28-12-2012
Antirazzisti trapanesi
L'appuntamento è a piazza Vittorio Veneto. Successivamente, i manifestanti si incammineranno per una passeggiata antirazzista lungo le vie del centro storico per poi fermarsi in un presidio di controinformazione davanti Palazzo Cavarretta.
Intanto c'è stata un'altra rivolta, la notte di Natale, al centro di identificazione ed espulsione di contrada Milo, a Trapani, dove vengono ospitati gli immigrati clandestini sbarcati lungo le coste della Sicilia occidentale e non solo. Una ventina di extracomunitari ha tentato di fuggire dalla struttura, ma sono stati bloccati dall'intervento, in forze, di carabinieri e agenti di polizia. Negli scontri sono rimasti feriti due poliziotti del Reparto mobile.
Di seguito, documento politico di promozione dell'iniziativa.
28 dicembre 2012
    L'anniversario della strage del Centro di Permanenza Temporanea "Serraino Vulpitta" in cui morirono sei immigrati in seguito a un incendio durante una rivolta, resta una data importantissima per la memoria civile della città di Trapani.
    Dopo tredici anni, il "Serraino Vulpitta" è ancora un centro di internamento per immigrati. Funziona a regime ridotto, perché adesso c'è il nuovo Centro di Milo, ma la sostanza non cambia.
    Atti di autolesionismo, tentativi di fuga, proteste drammatiche, repressione poliziesca, condizioni di vita insostenibili sono il pane quotidiano per l'umanità rinchiusa a Milo e al Vulpitta, così come in tutti CIE d'Italia.
    Nel nuovo Centro di Identificazione ed Espulsione di Milo c'è una situazione di rivolta permanente. Negli ultimi mesi, in centinaia si sono ripresi la libertà. Quelle sbarre, quei cancelli, quei muri alti e infami non sono poi così impossibili da superare, per fortuna.
    Le rivolte e le fughe di massa non sono solo una risposta alle oggettive condizioni di invivibilità del CIE di Milo, ma rappresentano l'inevitabile prodotto dell'insofferenza di esseri umani che si ritrovano privi della libertà solo perché non hanno un pezzo di carta che gli consenta anche solo di esistere.
    Se foste al loro posto, se anche voi foste nati dalla parte "sbagliata" del mondo, cosa fareste?
    Il 28 dicembre rimane una data fortemente simbolica ed estremamente attuale. Perché è doveroso ricordare i morti del "Vulpitta" e tutte le persone che continuano a morire durante le traversate per raggiungere il nostro paese, anch'esse vittime del razzismo di stato. Perché è doveroso denunciare lo sfruttamento degli immigrati, il ricatto del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro, la ferocia dei governi sui soggetti più deboli.
    E perché è fondamentale, in questi tempi terribili, ribadire che la solidarietà tra gli individui e tra i popoli è il migliore antidoto per fare fronte alla crisi voluta dai padroni, alla repressione ordita dai potenti, al razzismo alimentato dall'ignoranza.
    • Per ricordare Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti, Nasim morti nel rogo del 1999 e tutti i migranti vittime delle frontiere e del razzismo di stato.
    • Per la chiusura del Centro di Identificazione ed Espulsione "Serraino Vulpitta" e del CIE di contrada Milo, e di tutti i CIE.
    • Per l'abolizione delle leggi razziste (Turco-Napolitano, Bossi-Fini, Pacchetto sicurezza).
    • Per l'eliminazione del legame obbligatorio tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno.
    • Per la libertà di movimento di tutte e tutti, in Italia e nel mondo.
    • Per la solidarietà e la giustizia sociale, contro il razzismo e la repressione.

   

"Non mi converto all'islam". E loro gli tagliano la lingua
Il giovane, di nazionalità indiana, è stato bloccato la notte di Natale in una strada di Bonn. Gli aggressori: "Di che religione sei?". Poi lo sfregio
il Giornale, 28-12-2012
Diana Alfieri
Ha rifiutato di convertirsi all'Islam, il giorno di Natale e per questo gli hanno tagliato la lingua.
L'orrore del fanatismo religioso, il corto circuito di un'integrazione che non c'è. É successo a uno studente indiano a Bonn, in Germania, vittima di un gruppo di estremisti islamici. Gli aggressori hanno prima chiesto alla vittima di che religione fosse, e poi davanti al suo rifiuto di convertirsi all'Islam, sono passati all'azione, mettendo in pratica ciò che pochi minuti prima avevano solo minacciato di fare. La polizia non ha diffuso le generalità dello studente, che è stato soccorso da un passante. Ricoverato in ospedale, è stato dimesso il giorno dopo.
Anche se può considerarsi soltanto un episodio non è sempre facile in Germania la convivenza tra tedeschi e comunità musulmana. É ancora fresca la polemica su Thilo Sarrazin, ex ministro delle Finanze e membro del consiglio direttivo della Bundesbank, che nel suo libro «Deutschland schafft sich ab» («La Germania si distrugge da sola») aveva scritto scatenando un putiferio che gli immigrati islamici «sono diversi, ignoranti, bloccano la Germania», e, soprattutto, che a differenza di tutti gli altri immigrati «non si integrano». E poi: hanno ottenuto dal welfare tedesco più di quanto abbiano dato, sono poco istruiti e, riproducendosi in maniera superiore alla media, contribuiscono all'impoverimento intellettuale della Germania.
Poi ci furono le proteste, le risse, le manifestazioni per la proiezione pubblica, poi vietata, del film anti-islamico «Innocence of Muslims», iniziativa lanciata da un piccolo movimento di estremisti ultra-conservatori. Toccò alla cancelliera tedesca Angela Merkel ammorbidire la situazione per evitare tensioni e violenze. Disse: «Ci sono buoni argomenti legali per un divieto» e poi «la libertà d'espressione conosce anche dei limiti». Frase che scatenò altre discussione ma che non impedì alla cancelliera di ribadire pochi giorni dopo che «l'islam è parte integrante della Germania» e che non bisogna confondere i musulmani tedeschi con gli islamisti pronti alla violenza: «Si deve fare grandissima attenzione a non mettere tutti in un gruppo».
Di certo nel mondo occidentale gli episodi di violenza contro chi non si piega ai dettami del corano si stanno moltiplicando. In Francia un uomo è stato condannato a sei mesi di prigione, per avere aggredito un'ostetrica ed avere rotto la porta di un blocco operatorio per rimettere il velo alla moglie che stava per partorire, mentre un ristoratore è stato aggredito per essersi rifiutato di chiudere per il Ramadan. Episodi, ma anche fenomeni. Donne rapite e costrette a sposarsi con un estraneo. Oppure stuprate, torturate, se non addirittura brutalmente uccise dai loro stessi familiari. Più di 17mila le donne che in Gran Bretagna subiscono violenze di ogni tipo per una questione d'onore legate ai principi religiosi. E c'è l'Italia da Rachida Radi, uccisa nel reggiano a martellate perché si stava convertendo al cattolicesimo, a Hina Saleem a Brescia e Sanaa Dafani a Pordenone, perchè volevano vivere come un'occidentale. L'ultima frontiera del vivere civile.



New York Times: il paradosso italiano sui rifugiati
CIRDI, 28-12-2012
Roma – Ufficialmente sono “protetti” dallo Stato, in realtà sono abbandonati a loro stessi, spesso in condizioni disumane. È “il paradosso italiano sui rifugiati” descritto oggi dal New York Times.
Una lunga corrispondenza firmata da Elisabetta Povoledo descrive la vita di ottocento rifugiati africani ammassati nel Salaam Palace, un edificio abbandonato alla periferia sud di Roma. Un esempio del “fallimento dell’Italia nell’assistere e integrare le persone alle quali ha riconosciuto l’ asilo in base alle sue leggi”.
L’Italia e’ piuttosto brava nelle procedure di richiesta di asilo, riconoscendo il 40 per cento delle domande, anche fino al 50 per cento in alcuni anni, quello che non funziona e’ quanto avviene dopo”, dice al New York Times Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr in Italia. Il nostro Paese riesce a garantire assistenza a poco più di tremila persone, “se non hai la fortuna di essere una di queste – denuncia Boldrini – sei solo. Devi trovare come sopravvivere, imparare la lingua, trovare una casa o un lavoro”.
L’assistenza ai rifugiati, sottolinea il New York Times, non è tra le priorità del governo in tempi di crisi economica, mentre gli italiani sono assorbiti dai loro problemi. “Certo sarebbe uno sforzo finanziario, ma servirebbe a trasformare i rifugiati in cittadini che pagano le tasse, quindi sarebbe un investimento utile” nota Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati.
Intanto, al Salaam Palace, la vita è sempre più difficile. E Yakub Abdelnabi, un rifugiato sudanese che ha lasciato il suo paese nel 2005, commenta amaro: “Siamo scappati da una guerra per trovarne un’altra, ottocento persone accalcate in un palazzo”.
Fonte: Stranieri in Italia.it



Illegittimo il decreto di espulsione al minore egiziano se non ha compiuto 21 anni.
Provvedimento del Giudice di pace di Roma che riconosce la normativa egiziana in cui la maggiore età è al compimento dei 21 anni.
Immigrazioneoggi, 28-12-2012
Il Giudice di pace di Roma, con la sentenza del 5 dicembre scorso, ha annullato l’espulsione di un diciottenne cittadino egiziano, in quanto trova applicazione anche in Italia la normativa egiziana secondo cui la maggiore età viene raggiunta al ventunesimo anno.
A darne notizia è stato l’avvocato Salvatore Fachile che ha assistito il minore, giunto in Italia a diciassette anni e per un anno ospite di strutture di accoglienza della Capitale.
Secondo il Giudice di pace, il decreto di espulsione è considerato illegittimo per violazione dell’art. 19 del d.lgs. 286/98 (divieto di espulsione dei minori).
Nel recente passato si erano espressi in tal senso anche il Tribunale di Roma e il Tar Lazio sezione Roma.



Non so più dove seppellire i migranti morti in mare
l'Unità, 27-12-2012
Giusi Nicolini
Sindaca di Lampedusa
SONO IL NUOVO SINDACO DELLE ISOLE DI LAMPEDUSAEDILINOSA.Eletta a maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa, e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Proprio in questi giorni abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai sindaci della Provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115 e il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel per la pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, e avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umani a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.



Clochard alla stazione
Mario “Binario 12” e gli altri invisibili
il Fatto, 27-12-2012
Veronica Tommasini
Sono in stazione centrale, a Milano. Cerco un uomo che proviene dall’Est Europa, è un senza fissa dimora. Quest’uomo ha bisogno di cure. So che si accompagna a un italiano qualche volta. L’italiano è un certo Mario. Mi dicono che sta al binario 12 o 14. Me lo indicano i suoi compagni, un paio di arabi, un ucraino, stanno tutti in giro a mezzogiorno, Mario sta al binario 12 o 14 e infatti lo chiamano Mario Binario dodici o quattordici. Viene da Andria. Sale e scende dal treno quando è fermo, ha un cellulare carico con un sacco di minuti gratuiti. Mario è un uomo di mezza età. Non so altro. La sera vanno al Greco Pirelli, dicono così, dormono al Greco Pirelli, una volta stavano in sala d’attesa, adesso non più. La festa è finita dice un bresciano, un tossico, “fanno casino, e poi ci mandano via”. Fanno casino quelli che bevono, dice il bresciano.
Ombre, sottopassaggi e storie lunghe
Ognuno ha la sua zona. Gli underground si somigliano tutti. Penso a Christiane Felscherinow, al suo diario, la kurfustendamme, i sottopassaggi del Bahnhof Zoo. Si somigliano tutti. L’uomo dell’Est che ha bisogno di cure potrebbe riparare al Greco Pirelli, detto al maschile, nel gergo dei senza tetto. “Tranquilla, non stanno da soli” mi spiega il bresciano, “non preoccuparti, il tuo amico non muore di freddo”. Che ne sai dico. E poi non è un mio amico, è una storia lunga. Temo di non riuscire a salvarlo. Il bresciano ride. Salvarlo. Chi sei tu, sua madre?
Una tizia cercava il marito, il marito stava a Monza. Sapeva molto meno di me, non un indirizzo, al limite un non meglio identificato dormitorio in una via ics del centro. Chiamava dalla Puglia, il marito le rispondeva a giorni alterni, se non era troppo ubriaco. Chiamate inutili, insulse se vogliamo. Se un marito blatera ubriaco non serve starlo a sentire, non gli serve manco un cellulare. Minacciava di gettarsi da un ponte. Esistono ponti a Monza? La tizia era davvero spaventata, tremava poveretta, prendeva per buone tutte le balle che il marito le raccontava. Chiamò il commissariato. Così trovarono il marito, la tizia al telefono dalla Puglia, i minuti scorrevano, e tanto poco credito le restava. Finì tutto bene, se non fosse per una frase sfuggita a qualcuno al di là del cavo, due parole sommesse, dette di passaggio, uno stigma, una lapide, la tizia ancora in attesa: “È un barbone”. Barbone, ripeté la tizia che chiamava dalla Puglia.
L’uomo dell’Est non è in stazione. Noto il teatro degli Arcimboldi. Torno in centrale. Incontro Mario, è un omone. Mi stende la mano, sono Mario binario dodici forse quattordici. Ecco quel forse mi ha fatto commuovere. Sono all’altezza di piazza Andrea Doria. Mario sta con una polacca, so che è polacca, “Jak sie masz”, dobrze, tak, dobrze. È polacca, sì. Parla al cellulare. Dorme in stazione, non so dove. Non dorme con Mario. Quarantina d’anni, suvvia, portati benino, salvo tutto il resto, cioè l’alcol, la stazione, i cartoni. La morte di un immigrato l’ho appena letta sulle notizie meteo. Gli effetti del freddo, le gelate sulle campagne, un indiano che muore in un quartiere di Roma, muore assiderato, il lancio nelle news del meteo. Io sono a Milano però, all’altezza di piazza Andrea Doria. L’uomo dell’Est che ha bisogno di cure è ovunque, non esiste. Penso alla segreta costernazione con cui ho fissato il teatro degli Arcimboldi. È tutto così tragico, certo. Il bresciano, il tossico, mi avvicina di nuovo, chiede d’accendere, mi dà una dritta. “Prova in mensa a San Francesco, domani”. Qui, mi urla dietro poi, inspiegabilmente, non moriremo mai mai mai. In che senso, di freddo, di fame? Ci sono le navette dei volontari, le associazioni, io cerco un uomo e non lo trovo. E se per caso ascoltassi una frase lapidaria, lo stigma, la vergogna, qualcuno al di là dal cavo che sussurra “è un barbone”, non inorridirei. No, per niente.
Tre minuti e giù nel sonno perenne
Tutti gli anni si fa la conta dei morti assiderati, e tutti gli anni a legger i necrologi sui giornali, che poi son notizie, penso a Orhan Pamuk e al suo romanzo Neve. Scrive Pamuk che bastano tre minuti per scivolare nel sonno perenne. Morire di freddo, come un tale Miroslaw che morì dalle mie parti, una città del sud, sopra una pietra, una notte piena di stelle, nel mese di dicembre. Miroslaw Dobek, polacco, 58 anni, passaporto ancora nella giubba. Qualche giorno di troppo in dormitorio, nessuno che se lo venisse a prendere. Dunque, il bresciano mi avverte di star tranquilla, la mattina c’è il Pane Quotidiano, quell’uomo lì, dice il bresciano, va al Pane Quotidiano. Al Pane Quotidiano distribuiscono alimenti. È un pellegrinaggio, avvilente, al contrario, è nobile invece. Il tossico chiede spicci, io mi faccio, dice. Sì come no, eroina anfetamine coca. Non bevo. Lascia perdere. Alcune ossessioni non ti mollano, fino alla fine, Christiane Felscherinow ad esempio, era un diario maledetto. E penso a Riboldi Gino, che era la pietà di Testori tutto sommato. In exitu. In stazione centrale.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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