Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 gennaio 2012

UNA SOLUZIONE DI BUON SENSO
Corriere della sera, 26-01-2012
GIOVANNI SARTORI
Non sappiamo se l'Europa verrà sottoposta nei prossimi anni a migrazioni bibliche a seguito della «primavera araba» che senza dubbio ha rotto le dighe che sinora la frenavano. Il fatto è che l'esplosione demografica dell'Africa è già avviata; e siccome gli affamati non cercano la salvezza tra altri affamati, è piuttosto ovvio che un numero sempre crescente di povera (poverissima) gente cercherà la salvezza in Europa.
È un problema, questo, che sinora abbiamo affrontato in chiave ideologica (di razzismo o no), che è un modo di renderlo insolubile o comunque mal risolto. Ma due giorni fa Beppe Grillo lo ha inopinatamente risollevato. Tanto vale, allora, ricominciare a pensarci. E avrei un'idea, una proposta.
Inghilterra e Francia sono a oggi i Paesi più «invasi» (anche per via della loro eredità coloniale) e oramai accomodano una terza generazione di immigrati da tempo accettati come cittadini. La sorpresa è stata che una parte significativa di questa terza generazione non si è affatto «integrata». Vive in periferie ribelli e ridiventa, o sempre più diventa, islamica. Si contava di assorbirli e invece si scopre che i valori etico-politici dell'Occidente sono più che mai rifiutati.
Che senso ha, allora, trasformare automaticamente in cittadini tutti coloro che nascono in Italia, oppure, dopo qualche anno, chi risiede in Italia?
Questa è stata, finito il comunismo, la tesi della nostra sinistra, sostenuta dall'argomento che chi lavora e paga le tasse in un Paese si paga, per ciò stesso, il diritto di cittadinanza. Ma non è così. Le tasse pagano i servizi (polizia, pompieri, manutenzione delle strade e simili) dei quali qualsiasi residente usufruisce e che non paga, o meglio che paga, appunto, pagando le tasse.
E vengo alla mia idea. Da sempre il diritto di cittadinanza è fondato sui due principi del ius soli (diventi cittadino di dove nasci) oppure del ius sanguinis (mantieni la cittadinanza dei tuoi genitori). Vorrei proporre un terzo principio: la concessione della residenza permanente trasferibile ai figli, ma pur sempre revocabile. Chiunque entri in un Paese legalmente, con le carte in regola e un posto di lavoro non dico assicurato ma quantomeno promesso o credibile, diventa residente a vita (senza fastidiosi e inutili rinnovi). In attesa di scoprire quanti saremo, se li possiamo assorbire o meno, questa formula dà tempo e non fa danno. Certo, se un residente viene pizzicato per strada a vendere droga, a rubare, e simili, la residenza viene cancellata e l'espulsione è automatica (senza entrare nel ginepraio, spesso allucinante, della nostra giurisprudenza).
Insisto: l'inestimabile vantaggio di questa formula è che dà tempo. Quanti saremo? Quale sarà il punto di saturazione invalicabile? L'unica privazione di questo status è il diritto di voto; il che non mi sembra terribile a meno che i residenti in questione vogliano condizionare e controllare un Paese creando il loro partito (islamico o altro). Se così fosse, è proprio quel che io raccomanderei di impedire.



Il day after di Grillo: con l’uscita "razzista" ha perso tutti i suoi
Cittadinanza agli stranieri nati in Italia, la rete non perdona il no del comico. E lui si sfoga con Le Iene. Napolitano insiste: follia non concederla
il Giornale, 26-01-2012
Andrea Cuomo
Roma - Non bastavano i suoi grillini. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rimborottato Beppe Grillo per le sue parole sulla cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri, definita dal comico «senza senso».
Napolitano, che a novembre aveva già espresso il suo favore verso una modifica della normativa, ieri ha recapitato non a caso uno sperticato elogio al presidente della Provincia di Pesaro-Urbino, che ha promesso la cittadinanza onoraria a 4mila figli di lavoratori stranieri («follia non concederla»). Sul web intanto continua a infuriare la rivolta interna al Movimento 5 Stelle contro il suo leader, del quale stasera andrà in onda su Italia 1 dalle 21.10 l’intervista della Iena Enrico Lucci, nel quale il capopopolo genovese spara a zero sulla politica tradizionale («i partiti sono morti come il comandante Schettino che guardava all’asciutto la nave e dirigeva all’asciutto»), su Mario Monti («penso che sia un’esorcista al contrario. Esorcizza le vittime invece che i carnefici») e sulle agenzie di rating («le triple A... Io li mando tre volte aff... dov’erano prima?»).
Dicevamo della rivolta sul web. Il nervo scoperto probabilmente lo tocca tal Paolo Bellini, che alle 16,28 di ieri scrive sul forum del sito www.beppegrillo.it: «I più credono che Beppe Grillo sia di sinistra. Io non lo credo: Grillo è un uomo che ragiona con la sua testa. Il problema nasce tutto da qui: la maggioranza del movimento è di sinistra e ragiona secondo certi schemi. Questo è un nodo destinato a venire al pettine». In attesa del parrucchiere molti seguaci delusi continuano a dissociarsi dalle parole di Grillo. «No Beppe, così non va... e non è nemmeno la prima volta. È perfettamente inutile che la base del Movimento si smazzi tanto per farlo crescere se poi ci fai fare simili figure. Nel programma nazionale dovremo discutere molto bene il tema immigrazione», piagnucola Luca Donazzon. «Ti serve qualche voto legaiolo?? Ti voglio ricordare che il M5S non sei tu. Ma tu ci guadagni vero? Fin quando ci sarà il tuo nome stampato sopra a farti pubblicità e la possibilità di usare solo questo sito, dire movimento 5 stelle o movimento di Grillo non farà nessuna differenza», scrive acido Davide. Grillini pentiti a stento arginati da Bruno, che avverte: «Beppe ha semplicemente ragione ed alcuni di voi, i meno attenti direi, ci cascate come polli nel giochino di distrazione di massa dei palazzi della politica fatto ad hoc per raggiungere i loro sporchi scopi».
Ma che succede nel movimento che avrebbe voluto portare aria nuova nella politica italiana e che a ogni occasione buona manifesta i più infestanti difetti della stessa, primo fra tutti il gruppettarismo della sinistra? Tra le mille voci sparse ci sono quelli che forse non ci siamo capiti («Per favore Beppe, devi dare spiegazioni più chiare riguardo questo post, c’è il rischio di fraintendimenti», scongiura Hellfire); quelli che sfidano Grillo sul terreno comico («Tu non paghi manco il rilascio di un certificato di residenza. Sei genovese», fa il battutone E. Murgia); e quelli che tutto questo bailamme in fondo è buon segno («la stampa getta fango perché ci danno al 7.3 e i loro padroni hanno paura. Avanti così!», esulta Paolo L.). E pensare che l’unica discussione seria tra quelle proposte sul forum, ad opera di tale Sasà, non ha nemmeno un commento.
Forse perché la domanda è di troppo difficile risposta: «Amici di 5 Stelle, 5 Stelle che cos’è?».



Un grillo reazionario
minimaetmoralia, 26-01-2012
Alessandro Leogrande
Alla fine Beppe Grillo ha squarciato il velo e si è mostrato per quello è: uno xenofobo reazionario.
Ci sarebbero tanti modi per spiegare che il populismo di Beppe Grillo è speculare, per niente alternativo, al populismo berlusconiano (che – detto per inciso – solo gli stolti oggi possono dare per scomparso in Italia). Altro che nuova forma di partecipazione! La sua foga forcaiola, i suoi aspetti duceschi, l’uso calibrato del turpiloquio, l’intensificazione del culto della personalità (la propria) a me hanno sempre ricordato quegli oscuri figuri che a partire dalla metà degli anni ottanta hanno spopolato sulle emittenti private meridionali, spesso riuscendo a fare il salto verso la politica ed elaborando un misto di qualunquismo, micro-rivendicazioni territoriali, odio per la casta, sfascismo forcaiolo. Grillo ha portato tutto questo nell’era del web, e in molti ci sono cascati. Ne ha parlato molto bene Alessandro Lanni in Avanti popoli! Piazze, tv, web: dove va l’Italia senza partiti (Marsilio), Un libro a cui rimando.
Ci sarebbero tanti modi per spiegare che Grillo è un fenomeno para-leghista. Ne scelgo uno recente: un post di qualche giorno fa apparso a sua firma sul suo blog. Grillo alza la voce contro “la liberalizzazione delle nascite” e scrive:
La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite.
Grillo si scaglia contro lo ius soli e contro la campagna “L’Italia sono anch’io” che promuove una riforma del diritto di cittadinanza in base alle quale anche i bambini nati in Italia da genitori stranieri regolari possano essere cittadini italiani. Si scaglia, e lo fa nel più bieco dei modi. A me ricorda certa stampa missina del passato. A suo dire questo elemento essenziale della cittadinanza (negare l’apartheid nei confronti degli stranieri nati e cresciuti in Italia – non solo i famosi Balotelli, ma tutti, proprio tutti – cosa che oggi è un passaggio cruciale, e che avviene già in altri paesi…) non solo è secondario e senza senso, ma distrarrebbe gli italiani dai problemi reali. Gli distrarrebbe in buona sostanza dal principale obiettivo del suo movimento: denunciare cioè – come si evince da tutto il resto del blog – il complotto demo-pluto-massonico che si annida alle spalle del governo Monti.
Sentire Grillo parlare di “liberalizzazione delle nascite” come una cosa di cui diffidare e da bloccare a me inquieta un po’. Non solo rivela, da parte sua, una totale ignoranza del problema; mette in luce un grumo linguistico funesto di cui peraltro il suo blog è pieno, avvitato su se stesso, pienamente in sintonia con la nuova destra del paese. Gratta gratta sotto le tirate a favore dell’acqua pubblica ed emerge tutto questo.
Il post ha avuto molti commenti. In molti hanno sconfessato il padre-padrone (del blog e del movimento). Alcuni invece lo hanno sostenuto in toni ancora più triviali. Come in questo caso:
Bene, così arriveranno barconi di donne gravide solo per far aver la cittadinanza ai loro figli. Mi spiace, ma questo non mi va bene!
Chissà perchè non arrivano mai norvegesi, danesi, australiani, ecc a chiedere la cittadinanza italiana, ma sempre quelli con le pezze al culo da mantenere. Svegliatevi!!!
Che dire? Il movimento 5 stelle non è un oggetto sconosciuto. A me i suoi tratti distintivi paiono abbastanza chiari. Chi ha una simile idea sulla cittadinanza starà sempre dall’altra parte. Esattamente come i leghisti, che pensano e dicono le medesime cose.



Immigrati, Pesaro anticipa la legge "I loro figli saranno cittadini onorari"
Attestato ai 4.536 bambini nati negli ultimi dieci anni in provincia. In regalo una bandiera tricolore, una copia della Costituzione e una maglia della Nazionale. Napolitano: "Un esempio da imitare"
la Repubblica, 26-01-2012
JENNER MELETTI
PESARO - Piange come un disperato, Marhio, nato 3 mesi fa. Aspetta la poppata, non gliene importa nulla di diventare "cittadino onorario" di questa città sul mare. Ma sarà invitato anche lui, assieme al papà e alla mamma romeni, alla festa che si terrà presto, forse al palazzo dello sport. A 4.536 bambine e bambini nati nel pesarese negli ultimi dieci anni verranno consegnati un "attestato" che dichiara la loro cittadinanza italiana, una bandiera, una copia della Costituzione e anche una maglietta della Nazionale di calcio. L'attestato non sarà purtroppo un documento ufficiale, perché quel "ius soli" che negli Stati Uniti e in Francia dà diritto di cittadinanza a chi viene alla luce in quelle terre, in Italia viene annullato dallo "ius sanguinis". Ma è un passo avanti, è la firma di un impegno. "Quando ho proposto questa iniziativa - dice Matteo Ricci, 37 anni, presidente della Provincia di Pesaro - ho utilizzato le stesse parole del Presidente: "Chi nasce in Italia è italiano". E dal Quirinale adesso è arrivata una risposta che ci spinge ad andare avanti". "La vostra - questo il messaggio di Giorgio Napolitano - è una iniziativa di grande valore simbolico. C'è da augurarsi che questo esempio possa essere seguito anche da altre realtà territoriali".
Certe idee, come le piante, nascono solo se il terreno è quello giusto. "Mio nonno Luciano -
racconta il presidente della Provincia - ha lavorato per otto anni nelle miniere di carbone del Belgio. Quasi tutta la periferia di Pesaro è stata costruita da emigranti partiti subito dopo la guerra per lavorare in Svizzera e in Germania e poi tornati a casa quando qui si è avviata l'industria del mobile. Operai che sabato e domenica diventavano muratori e pagavano pietre e cemento con i soldi guadagnati negli anni dell'emigrazione. Come i romeni, gli albanesi, i marocchini di oggi". Ci sono 34.700 residenti stranieri su 360.000 abitanti, in questa provincia. Impegnati alla Scavolini e alla Berloni e anche nell'edilizia. "Ma quest' ultima è quasi ferma - dice Ricci - e tanti albanesi e romeni sono tornati a costruire case nella loro terra. Non è un caso che il Presidente abbia pronunciato quella frase così netta mentre stava aprendo la strada al nuovo governo. Dare la cittadinanza a chi nasce in Italia è una questione di civiltà - e con la nostra iniziativa faremo pressioni sul Parlamento - ma anche un segnale contro la crisi. Da questa si può uscire con più egoismo e solitudine oppure con più giustizia e solidarietà. Bisogna puntare sui valori, non solo sui numeri".
Si aspetta il ministro Andrea Riccardi, al grande incontro con i nuovi piccoli italiani. "L'altro giorno siamo stati assieme ai senegalesi, per un abbraccio dopo la strage di Firenze. Alla fine una bimba senegalese, avrà avuto cinque o sei anni, ha cantato "Fratelli d'Italia", e conosceva tutte le parole. Meglio dei miei due figli, Camilla e Giovanni. Come puoi dire, a quella bambina, che non è italiana? Come può, un Beppe Grillo, negare il "ius soli" a un milione di bimbi che sono nati nel nostro Paese? E' solo un populista che parla alla pancia degli italiani, non al cervello e al cuore".
Marhio non piange più, nella sua casa di via Agostini, vicino al mare. Di fronte a lui abita Jurghen - nome tedesco perché suo papà Ardian, partito dall'Albania, ha lavorato anche in Germania - che è nato a Pesaro, frequenta la quinta elementare e dice subito che l'idea della cittadinanza onoraria gli piace molto. "E' una cosa giusta - dice pesando le parole come se scrivesse un tema a scuola - anche perché io sono italiano. E anche albanese. Ho fatto l'asilo, la materna, il prossimo anno comincerò le medie. Con i miei compagni parlo anche in dialetto, e nessuno mi ha mai detto "albanese" come fosse un insulto". Il papà e la mamma Valbona, operaio e aiuto cuoca, raccontano che Jurghen "faceva ridere" i nonni, quando d'estate tornava a Tirana. "Provava a parlare albanese e nessuno capiva". "Ma adesso sono più bravo. Ogni tanto guardo la televisione dell'Albania, e anche i dvd con i cartoni animati, così imparo nuove parole. E poi sono ancora giovane, imparo presto. Quando vado dai nonni, dopo un paio di settimane riesco a parlare quasi come gli altri, e non li faccio più ridere". Una bandierina con l'aquila nera su fondo rosso in cucina, una grappa albanese da offrire agli ospiti. "Ma noi in casa parliamo italiano - dicono Valbona e Ardian - perché questo è il nostro Paese. Nostra figlia più grande sta facendo l'università a Urbino". La cittadinanza per i figli dovrebbe essere "una cosa naturale". "Vorremmo che i nostri figli fossero considerati una ricchezza, non un problema. Andando a scuola con loro si potrebbero imparare tante lingue, che al giorno d'oggi sono così utili per trovare lavoro". Solo qualche volta, nell'appartamento di via Agostini, si ascoltano parole arrivate dall'altra parte dell'Adriatico. "Quando mi arrabbio con Jurghen, lo sgrido in albanese. "Riurtè, mjaft", stai fermo, basta. E lui ride, fa finta di non capire".



IMMIGRATI: APPELLO SINDACO P. TORRES PER CITTADINANZA
(AGI) - Sassari, 26 gen. - Una lettera-appello e' stata inviata oggi dal sindaco di Porto Torres Beniamino Scarpa al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ai presidenti di Camera e Senato e a tutti i sindaci della Sardegna per chiedere l'approvazione di una legge che conceda la cittadinanza italiana agli stranieri nati in Italia. A Porto Torres, scrive Scarpa, vivono 68 bambini e ragazzi di otto nazionalita' diverse, che pur frequentando le scuole, i centri di aggregazione e i luoghi d'incontro dei giovani locali "non possono vedere riconosciuta la loro legittima aspirazione a diventare cittadini italiani". Scarpa, riprendendo l'appello espresso in questo senso dal capo dello Stato, invita il parlamento "a raccogliere l'invito del presidente della Repubblica e portare avanti questa battaglia di civilta', uguaglianza e integrazione". Nei giorni scorsi il consiglio comunale di Porto Torres ha approvato all'unanimita' una mozione per riformare le norme sull'acquisizione della cittadinanza. Nel documento, Scarpa invita quindi i sindaci di tutta la Sardegna ad aderire all'iniziativa e promuovere iniziative per una rapida approvazione della legge. (AGI)


Grillo, cuore di destra
l'Unità, 26-01-2012
Michele Prospero
Incontenibile slavina, alla caduta di Berlusconi è seguita la contestazione di Bossi. E dopo i fischi in piazza al leader leghista, è scoppiata la rivolta della rete contro le grossolane sparate di Grillo. Non corrono più tempi tranquilli per i capi che riducono la politica, da grande vicenda collettiva, a meschina faccenda privata, spesso coincidente con il loro capriccio.
Che il leader sia un rude capo territoriale o un comico che dimora nel virtuale spazio della rete, poco cambia: il re è ormai nudo e proprio dal suo pubblico di fedeli non trova più la scontata conferma della supremazia e quindi la reiterata disponibilità all’obbedienza.
In nome della rete celebrata come un luogo di libertà assoluta, in omaggio della partecipazione diretta attuata con scambi di mail, Grillo ha definito un inquietante processo politico di concentrazione assoluta del potere. Nel suo movimento personale, la potestà suprema risiede nel suo computer. Grazie a un centralismo computerizzato, il comico può decidere quello che vuole, può lanciare sfide a piacimento, può scagliare invettive alla cieca, può comminare scomuniche. Al movimento non resta che approvare la sortita imprevista o lanciare in rete timidi mormorii di disapprovazione o segnali più espliciti di scontento quando il comico l’ha combinata grossa. L’essenza del fenomeno è che il capo comico gestisce sempre lui i tempi, progetta come meglio crede le provocazioni pronte a rimbalzare dalla rete ai vecchi media.
Ammiccando il pubblico con una colorita fraseologia iperdemocratica, agitando un lessico infarcito di metafore orizzontali e spolverando i caldi miti di una costruzione sempre dal basso dell’agenda, Grillo ha in realtà allestito una macchina del tutto sregolata e leggera ma pur sempre impermeabile e poco trasparente. Con il miraggio della rete come veicolo della discussione infinita e della condivisione totale, il movimento si inaridisce nella vita quotidiana e approda nel meccanismo disarmante della assoluta delega in bianco alla persona. Il capo innalza così il proprio sbalzo d’umore a dottrina politica e chiude, nella sua imponderabile possibilità di deviare da un programma evanescente, una esperienza di politica che non garantisce apprendimento collettivo, che non dispone sanzioni verso scelte sbagliare, che non è in grado di imporre al capo sfuggente ed enigmatico degli impegni precisi, dei vincoli ravvicinati, degli atti politici gestiti con coerenza.
Sono evidenti, nel modello verticale e unidirezionale di conduzione del movimento, i tratti di una cultura populistica a sfondo autoritario che inneggia alla solitudine di un capo refrattario a convivere con regole, organi, mediazioni. L’immediatezza del capo populista, che si rapporta con il suo semplice corpo con il pubblico irrelato e sguarnito della fisicità dei luoghi di incontro, ha condotto stavolta Grillo a gettare la maschera. Il verbo ultrademocratico della rivolta contro la casta si colora delle tinte più accese della cultura politica reazionaria. Le parole insulse contro il diritto di cittadinanza a favore dei figli degli immigrati si spingono persino oltre le posizioni di una destra decente.
Nessun leader di destra in Europa si azzarderebbe a sostenere le ambizioni retrograde di Grillo. Il cancelliere Merkel ha sì annunciato il fallimento del multiculturalismo. Ma il suo governo non ha mai smesso di incoraggiare le politiche di integrazione e ha radunato in Parlamento 200 migranti per dire loro grazie in nome della Germania. Il presidente Sarkozy ha concesso ai migranti il diritto di voto amministrativo. Proprio su una materia che abbraccia i grandi principi etico-politici, Grillo assume invece le coordinate dei movimenti del populismo xenofobo (che esulta dinanzi alle cifre dei respingimenti e alle espulsioni collettive, agli accompagnamenti coattivi).
Il ricco comico ha un arido cuore di destra che pulsa non solo nella radicale venatura antipolitica del suo messaggio indirizzato contro la rappresentanza, ma anche nella profonda insensibilità culturale ed etica verso un tema, come quello della cittadinanza ai figli dei migranti, che abbraccia la dignità della persona umana. La retorica della rete aperta si chiude così nella cupa nostalgia dei solidi confini. Per Grillo si può navigare solo nella rete, non nel mondo reale dove non c’è posto per uno ius migrandi e tanto meno possono spalancarsi le porte dello status activae civitatis per i figli dell’errore. Per fortuna nella rete c’è ancora chi si indigna dinanzi a questa follia.



Il diritto del sangue, la lezione dell'antica Roma
Corrriere della sera, 26-01-2012
EVA CANTARELLA
Di fronte alle proposte di modifica delle regole in vigore sul diritto di cittadinanza e alle reazioni suscitate, credo sia tutt'altro che inutile tornare indietro nel tempo e chiedersi che soluzione diedero, al problema, i nostri più lontani antenati. Back to the Romans, quindi, torniamo ai romani. Per i quali la soluzione era chiara: la cittadinanza si acquistava iure sanguinis. Come scriveva il giurista Gaio, nel II secolo d. C., nel suo celebre manuale di Istituzioni, erano cittadini romani i figli legittimi di un cittadino, ovvero quelli naturali di una cittadina. La regola, infatti, voleva che i figli nati da un matrimonio legittimo seguissero la condizione del padre al momento del concepimento, e che quelli nati fuori del matrimonio seguissero la condizione della madre al momento della nascita. E regola analoga era in vigore in Grecia dove, peraltro, a opera di un famoso decreto di Pericle (451 a. C.) il diritto di cittadinanza venne ulteriormente ristretto. A partire da quel momento infatti non bastava essere figlio di padre ateniese, come fino ad allora: era necessario che anche la madre fosse tale.
La nostra tradizione giuridica, dunque, privilegia la soluzione del sangue. E la tradizione è certamente importante nel determinare l'atteggiamento verso un problema come questo, tra l'altro fortemente legato a quello della cosiddetta identità nazionale. Ma a prescindere dal fatto che esistono altri fattori che contribuiscono a modificare questo atteggiamento, tra i quali ovviamente i flussi migratori (e lasciando comunque questo aspetto del problema a chi ne ha più competenza), torniamo alla tradizione romana. Certamente, come dicevo, legata al principio del sangue. Ma dir questo non basta, bisogna anche vedere il modo in cui questo principio venne declinato. E qui le sorprese non mancano: a differenza che in Grecia, infatti, a Roma il principio del ius sanguinis fu sempre aperto, sin dalle origini, alla possibilità di molte inclusioni. L'identità greca, come ben noto, era delineata dalla totale esclusione dell'altro. Un esempio per tutti: alla sopravvivenza dell'economia ateniese, che si basava sullo scambio marittimo, era fondamentale la presenza in città di stranieri chiamati «meteci», che come dice il loro nome (da metoikein, vivere insieme) risiedevano nella città. Ma erano e rimasero sempre privi dei diritti politici, non potevano possedere terra, non potevano sposare una donna ateniese, non potevano partecipare ai processi senza l'assistenza di un cittadino che garantisse per loro (il prostates).
I romani, invece (come il mito delle origini troiane della fondazione di Roma ricordava), riconoscevano che la loro comunità nasceva come un'unione di genti diverse, da un incrocio di mondi e culture. Già all'età di Romolo — scrive Dionigi di Alicarnasso (I,9,4) — i romani tendevano ad assimilare altre genti, nonché gli schiavi ai quali veniva concessa la libertà, (che acquistavano automaticamente la cittadinanza). Polibio scrive che essi erano più pronti di ogni altro popolo a cambiare i loro costumi, adottando i migliori (VI,25,11). Simmaco ricorda che avevano adottato le armi dei Sanniti, le insegne dagli Etruschi, e le leggi dei greci Licurgo e Solone (Sym., Ep, III,11,3). E nel corso dei secoli concessero la cittadinanza ai popoli conquistati con generosità pari alla lungimiranza politica. Alle nostre spalle, insomma, sta una declinazione del ius sanguinis che dovrebbe farci riflettere: e, io credo, pure vergognarci di quel che a volte accade di sentir dire. Conoscere il passato può essere utile anche per questo.



Immigrazione: difendo Beppe Grillo
Agoravox, 26-01-2012
Paolo de gregorio
Non arriveremo mai ad una valutazione seria del fenomeno immigrazione se non lo faremo nel suo insieme sommando tutti i fattori, e non estrapolandone uno, come quello della cittadinanza italiana automatica di chi nasce in Italia, che appare umanamente giusto anche se crea rifiuti di cui bisogna tener conto.
Anzitutto ricordiamo che il fenomeno immigrazione in Italia è cominciato da più di 30 anni con la benedizione della Chiesa e delle classi dominanti, che avevano bisogno di un esercito di riserva con cui ricattare la classe operaia sindacalizzata e protetta dalle conquiste del ’68, ma soprattutto di disporre di lavoro nero con salari e metodi da schiavisti per lavori saltuari o stagionali.
La recente vicenda di Rosarno ci ricorda quale sia effettivamente il ruolo della immigrazione, che dà profitti ai latifondisti e problemi alle popolazioni residenti. Naturalmente, con la nota doppiezza italica, si è propagandato fino alla nausea che si è stati obbligati a ricorrere alla immigrazione perché gli italiani certi lavori non volevano più farli, brutta menzogna per coprire cinismo e avidità degli imprenditori che hanno aperto le porte all’assunzione di questa gente così laboriosa e sottomessa.
Abbiamo anche dovuto sopportare le lezioncine di economisti della domenica che sostenevano che questa immigrazione era preziosa per la nostra economia, e a vedere i risultati di recessione e quasi bancarotta in cui siamo precipitati la dice lunga sulla capacità di politici e capitalisti di capire come stanno veramente le cose.
Naturalmente i vantaggi, temporanei, del fenomeno immigrazione sono andati agli imprenditori senza scrupoli e tutte le contraddizioni si sono scaricate sui quartieri popolari e sui salariati, con problemi di rigetto che, impropriamente e subdolamente, sono stati etichettati come razzismo. Disagio diffuso che è stato immediatamente strumentalizzato dalle destre con grande fortuna politica.
Ma qui il “razzismo” c’entra come i cavoli a merenda, e neanche le varie religioni. Milioni di persone sono arrivate in poco tempo, creando uno “tsunami” sociale che si è scaricato completamente sui soggetti delle classi subalterne e più recentemente anche sui piccoli imprenditori, con una miriade di piccole e medie imprese in mano ad immigrati di tutte le razze.
E’ un fatto che a Napoli donne napoletane vanno a fare le badanti o le baby sitter di benestanti cinesi, e a Olbia, dove abito io, circa 200 piccoli negozi di olbiesi sono stati chiusi a fronte dell’apertura di due mega-store di imprenditori cinesi, che trattano generi provenienti dalla madrepatria. Se tu parli con la gente comune e non con gli acchiappanuvole intellettuali, ti dicono che si sentono invasi, che così non si può andare avanti e qualcuno comincia a prendersela direttamente con gli immigrati, con furti, aggressioni, danneggiamenti.
Se in certe realtà ti metti a sostenere che i figli degli immigrati hanno diritto naturale di diventare italiani devi temere seriamente per la tua salute. La “complessità” nella quale dobbiamo immergere il nostro pensiero sulla immigrazione e sul “razzismo” deve essere quella della globalizzazione e della crisi finanziaria e capitalistica globale, dove è evidente che il fenomeno migratorio in Italia è un poderoso ostacolo ad una necessaria “decrescita”, e ad una altrettanto urgente uscita dalla globalizzazione e dal debito.
I capitalisti ed i “tecnici”, che hanno sostituito i politici, non fanno altro che parlare di una inesistente e impossibile “crescita”, in quanto è l’unica dinamica socio-economica che capiscono, in cui hanno una fede che assomiglia più al dogmatismo religioso che alla razionalità, che invece indica solo fallimenti, disuguaglianze, inquinamento insostenibile, strapotere bancario, sovrappopolazione, diminuzione drammatica di risorse alimentari e delle falde acquifere, picco del petrolio.
Io chiedo a Grillo di collocare il suo rifiuto alla “liberalizzazione delle nascite” in una strategia politica complessiva che oggi nessun partito contempla, che è quella di sostituire una chimerica “crescita” all’interno delle regole della globalizzazione, FMI, BCE, NATO, con una prospettiva di decrescita che poggi su due assi portanti fondamentali: la autosufficienza energetica (con le rinnovabili) e quella alimentare, che dia risposte occupazionali alle centinaia di migliaia di lavoratori espulsi dal ciclo produttivo capitalista, che ha delocalizzato all’estero migliaia di fabbriche senza nessuna responsabilità verso coloro che hanno perduto il lavoro.
E’ la più lungimirante strategia che si possa avere. Deve essere basata sul piccolo modo di produrre, diffuso sul territorio, che siano al contempo fattorie elettriche ed agricole, con sistemi di collocamento del fotovoltaico su piccoli pali (il che non toglie un solo metro quadro all’agricoltura), in mano a singoli, famiglie, o piccole cooperative, con l’esclusione di grandi gruppi speculativi e mafiosi.
Naturalmente in questa scelta strategica non vi è spazio per la immigrazione e continuare a far entrare stranieri sarebbe da cretini irresponsabili. In alcuni decenni si potrebbe arrivare ad una autosufficienza alimentare ed energetica completa, il che ci metterebbe al riparo da crisi internazionali e da speculazioni sulle derrate alimentari, finanziata dalla abolizione delle spese militari, dal taglio del mantenimento dei partiti politici, dell’editoria, dell’8 per mille alle Chiese, da un rigore fiscale, dal taglio di tutti gli sprechi della cosa pubblica, in testa l’abolizione delle province.
Grillo deve chiedere il consenso su questa visione d’insieme, poiché anche lui è in difficoltà in quanto le proteste non servono se non ci sono proposte alternative possibili e credibili. Decenni di immigrazione non hanno risolto alcun problema nemmeno per i paesi degli emigranti, paesi che sono aumentati di numero, irresponsabilmente, senza porsi mai il problema della sostenibilità e di un corretto rapporto tra numero di abitanti e risorse del territorio.
L’Italia potrebbe vivere benissimo con trenta milioni di abitanti (come all’inizio del 900), autosufficiente nei settori fondamenti della energia e della agricoltura, decrescendo gradualmente fino ad avere spazio e risorse per tutti, tendenza che si era manifestata spontaneamente nella popolazione italiana, prima dello “tsunami” immigratorio.



Gdf ferma imbarcazioni con quasi 100 clandestini
Bloccato sbarco di immigrati, presi sei scafisti
Corriere del Gi
orno.com, 26-01-2012
Taranto -Fermati nella notte nel golfo di Taranto un peschereccio e un gommone con 99 clandestini di origine egiziana a bordo. In manette 6 scafisti: si tratta di due uomini di Barletta, Spiridione Dibenedetto di 54 anni e Ettore Stella di 44 anni e di quattro uomini trovati senza documenti, che hanno affermato di essere egiziani.
I sei, in arresto per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina saranno giudicati per direttissima già oggi a Taranto.
I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto, unitamente a personale della Questura di Taranto, dell’Ufficio di PS dello scalo marittimo, della Capitaneria di Porto, hanno in tarda mattinata ultimato le operazioni di identificazione dei migranti.
Il peschereccio era stato avvistato nel pomeriggio di lunedì scorso. Le operazioni di pattugliamento delle coste avevano consentito ad un aereo della Guardia di Finanza di notare, nel mar Ionio, l’imbarcazione di circa 25 metri in navigazione verso le coste italiane.  Il monitoraggio del peschereccio è andato avanti nel corso dell’intera giornata, poichè mancavano elementi identificativi del natante. Alle 22.45, a circa 3 miglia a largo tra le località di Ginosa Marina e Scanzano Jonico, il peschereccio ha fermato la navigazione ed è stato raggiunto da due gommoni provenienti dalla  costa che hanno iniziato, affiancandosi al natante, il trasbordo di  alcuni migranti, per poi dirigersi immediatamente verso terra. A quel  punto è scattato il blitz delle Fiamme Gialle: due Guardacoste del  Gruppo Aeronavale di Taranto hanno raggiunto e fermato il peschereccio che tentava di riprendere il largo per allontanarsi verso le acque  internazionali.     Vedette veloci del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza si sono lanciate all’inseguimento dei due gommoni che  ripetutamente hanno tentato di sfuggire alla cattura con manovre  pericolose, dirigendosi a forte velocità verso la costa. Uno è  riuscito a far perdere le tracce, l’altro è stato fermato col suo  carico di 6 clandestini e due scafisti italiani. Complessivamente, tra peschereccio e gommone, sono 99 i clandestini di presunta nazionalità egiziana fermati, tutti maschi tra cui alcuni minori. Il peschereccio  e i due gommoni, visto che quello sfuggito al fermo è stato poi  rintracciato ma senza uomini a bordo, sono stati condotti nel porto di Taranto e sottoposti a sequestro.
g. sva.



«Ora basta tollerare Alemanno chiuda con i nuovi fascisti»
«È un momento molto pericoloso», avvertono i due testimoni: «Come negli anni 30 la gente non ha fiducia nelle forze politiche. Qualcuno può avere la tentazione di scaricare le tensioni sociali sulle minoranze».
l'Unità, 26-01-2012
MARIAGRAZIA GERINA  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
«Un po' di forza ce l'abbiamo ancora per combattere anche se in veneranda età e lo faremo fino all'ultimo», si schermiscono Piero Terracina e Adolfo Perugia, che, alla tenera età di 83 e 80 anni, alla giornata della memoria si preparano come due combattenti in servizio permanente. Pronti a imbracciare ancora una volta l'arma della testimonianza. Contro i fascismi di ogni tempo e natura.
«Se non ora quando?», si infervora Adolfo, ex bambino cacciato dalle scuole di tutta Italia, che, a capo dell'associazione Miriam Novitch, ha più di una volta ha dato del filo da torcere anche al presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. «Io con quelli che gli altri definiscono post-fascisti mi sono rifiutato di andare ad Auschwitz. E non mi pento. Perche per me non sono post per niente e lo hanno dimostrato», rivendica dal canto suo Piero Terracina, che da quando Alemanno è sindaco ha smesso di partecipare ai viaggi della memoria organizzati dal Campidoglio insieme alla comunità ebraica di Roma. «Furono due fascisti ad accompagnare le SS fin sulla porta di casa nostra», spiega tornando a quel giorno del '44 in cui lui fu preso e deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia. «Mi dispiace solo per i ragazzi», aggiunge: «Ormai noi sopravvissuti ci contiamo sulle dita di una mano, dei 2091 deportati di Roma siamo rimasti in cinque o sei e stiamo facendo una gara contro il tempo per andare ovunque c'è qualcuno disposto ad ascoltare la nostra storia». Due tipi difficili da ricondurre dentro una celebrazione stereotipata. Il succo di ciò che hanno da dire questi due anziani signori, che in un pomeriggio di gennaio deci- dono di convocare l'Unità («che dice l'Unità?», scherza Piero) è che «abbiamo tollerato anche troppo», sbotta Piero: «Siamo arrivati quasi alla ricostituzione del partito fascista». E poi: «Questo è un momento particolarmente pericoloso», avvertono, pensando a quello che sta accadendo nel paese. Ai consiglieri della Lega che invocano i forni, a quelli che se la prendono con i gay, alla spedizione contro i rom di Torino.
COME NEGLI ANNI TRENTA
«Stiamo attraversando una crisi molto brutta. Come negli anni Trenta la gente non ha fiducia nelle forze politiche. Temiamo che la storia possa ripetersi. Perche quando in una società si creano delle tensioni e non c'è fiducia nelle istituzioni è facile che le colpe di quello che non va bene vengano addossate alle minoranze, che non hanno nessuna o pochissime possibilità di difendersi», dispiegano il filo del loro ragionamento. Già suffragato da troppi esempi. «Non importa se riguardano gli ebrei, gli zingari, che come noi sono stati sterminati ad Auschwitz, o gli immigrati: noi abbiamo detto "mai più" e quello per noi è un impegno contro il rinascere di ogni forma di fascismo».
Compreso quello più becero, che trionfa nella capitale. Il cuore di ciò che ai due testimoni della Shoah preme dire riguarda proprio la città in cui vivono. Loro che il fascismo vero l'hanno guardato negli occhi non possono sopportare la fascisteria, le nostalgie, le faide persino, risorte all'ombra del Campidoglio, spiegano passando da un ritaglio di giornale a un documento recuperato dagli archivi. «Questa Pha scritta Almirante a una deputata, il 17 novembre 1986», dice Piero agitando un foglio autografo: «Puoi stare certa che il mio ultimo respiro sarà fascista nel nostro senso dei termine». «Ma come fa Alemanno a dire che su Almirante c'è bisogno di un supplemento di indagine storica?», si inalberano i due sopravvissuti: «Se Storace lo in- calza sulla via da intitolare al segretario del Msi, da sindaco di una città che è Medaglia d'oro della Resistenza dovrebbe dire no e basta. E invece la questione non è ancora archiviata e alla fine quella via proveranno la farla: per noi è inaccettabile».
Dei tentennamenti di Alemanno non si fidano Piero e Adolfo. «Alemanno è inaffidabile», ripetono tirando fuori altri fogli. Documentano un Premio intitolato a una ausiliaria scelta e a un comandante della X Mas che da due anni si svolge in Campidoglio, pochi giorni prima del 4 giugno, Liberazione di Roma. Ospiti anche Gabriele Adinolfi, ex terza posizione, e io neo fascista Mario Merlino. «Non ci piacciono i balletti di chi da una parte celebra la Resistenza e dall'altra omaggia chi ha combattuto dall'altra parte».
LE PROMESSE Dl ALEMANNO
Più del passato, però, a tormentarli è il presente. «Questi gruppi anche dichiaratamente antisemiti e razzisti, che imperversano su internet», dice Piero, aggiornatissimo. Lui e Adolfo, intanto, tirano fuori altri fogli. Parlano dei «Fascisti del Terzo Millennio» e di Casapound, "ospitati" in uno stabile di proprietà del Comune di Roma. «La loro capacità di penetrare nelle istituzioni locali è tale che persino in Germania li stanno studiando», dicono, leggendo un report: «Nel 2010 - recita - la formazione di estrema destra Npd ha anche organizzato nel nord della Sassonia una conferenza su Casapound».
Ecco, proprio del movimento che ha sede nel multietnico quartiere Esquilino Adolfo e Piero avevano parlato con Alemanno. «Fu Pacifici a dirci che il sindaco voleva incontrarci, non potevamo rifiutarci», raccontano i due che durante una conferenza stampa avevano tuonato contro un finanziamento a Casapound scoperto in quei giorni. «Alemanno cercò di sminuire le sue responsabilità», ricorda Adolfo: «spiegò che era stata la Destra di Storace a dare quei soldi. Noi, che non ci fidavamo, senza dargli la mano, gli consegnammo dieci punti che avrebbe dovuto rispettare come premessa a ogni dialogo. In sostanza gli chiedevamo di interrompere ogni rapporto con Casapound».
Strabuzzano gli occhi se gli chiedi se l'impegno è stato rispettato. «Non siamo noi a dirlo, è cronaca di questi giorni», rispondono: «Il consigliere diplomatico di Alemanno, che lo ha accompagnato ad Auschwitz, è salito sul palco di Casapound per inneggiare alla repubblica di Salò e lo stesso figlio del sindaco milita in quel movimento». ?

 

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