Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 maggio 2014

Accoglienza profughi. Alfano: “I posti della rete Sprar diventeranno ventimila”
Il ministro dell’Interno annuncia un potenziamento del sistema gestito dagli enti locali. “Rivedere il principio di primo ingresso previsto dal regolamento di Dublino”
stranieriinitalia.it, 29-05-14
Roma -29 maggio 2014 - L'obbligo di accogliere le persone che chiedono protezione fuggendo da condizioni di vita drammatiche nei loro paesi è “soprattutto un obbligo dell'Europa come soggetto politico e istituzionale, e non di un singolo Paese”.
Lo ha ribadito ieri mattina il ministro dell'interno Angelino Alfano di fronte al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.
Di fronte ai quasi 40.000 sbarchi registrati nei primi 5 mesi dell'anno, e alla previsione che “il trend migratorio sia in crescita”, anche a causa della maggior instabilità politica del Nord Africa  e della situazione di frammentarietà in Libia, Alfano chiede alla comunità internazionale di “farsi carico di andare in Africa per fare l'accoglienza primaria in loco, prima che i richiedenti asilo partano”.
Va poi rafforzato il ruolo di Frontex con Europol circa il coordinamento degli Stati membri in materia di immigrazione. In quest'ottica, portare la sede di Frontex  “al centro del Mediterraneo” candidando l'Italia ad essere il paese ospitante “sarà uno dei temi che lanceremo nel semestre (di presidenza Ue)”.
Sempre sul fronte europeo, il ministro ha detto che porterà avanti nel semestre di presidenza targato Italia “una decisa azione di revisione del principio di primo ingresso previsto dal regolamento di Dublino”.
Intanto, 'in casa', si sta lavorando per ampliare la ricettività del Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) gestito dagli enti locali “che, in breve, eleveremo a circa 20.000 posti”. Alfano ha inoltre dichiarato che «gli accordi con gli enti gestori dei centri statali presentano condizioni contrattuali tali da consentire margini di flessibilità collegati a un eventuale incremento delle presenze”.
Massima attenzione, infine, alla situazione del territorio di Prato, nel quale gli stranieri sono il 17% della popolazione, con una prevalenza netta di cittadini cinesi (26mila su 40.000 immigrati regolari). In questa realtà sono 4.400 le aziende al conduzione cinese.
La realtà imprenditoriale è attentamente monitorata, ha detto il ministro, con una “intensa attività ispettiva: negli ultimi cinque anni sono stati svolti più di 4 mila controlli ad immobili, 1.200 verifiche su ditte, ci sono stati oltre 600 sequestri e 1.600 sanzioni amministrative”.
 


Di nuovo emigranti: più italiani in fuga che stranieri in arrivo
A partire sono soprattutto 40enni laureati o diplomati.
La svolta nel 2014: dopo decenni bilancio migratorio negativo
La Stampa, 29-05-14
Andrea Rossi
Torino
A lungo siamo stati un popolo d’emigrati, un po’ per spirito d’avventura molto per necessità. Siamo anche stati - ed è storia recente - terra promessa per chi fuggiva dalla miseria, dalle dittature o dal crollo dei regimi. Ora siamo di nuovo in fuga.
L’Italia non piace più. Né agli stranieri, che fino a qualche anno fa si catapultavano dentro i nostri confini in cerca di una vita migliore, né agli italiani che sempre più spesso fanno le valigie senza sapere se e quando torneranno. Il 2014 sarà il primo anno a saldo migratorio negativo, sostiene la Caritas Migrantes. Fuori dalle definizioni statistiche, significa che i nostri connazionali in fuga dalla crisi saranno più degli stranieri in cerca di lavoro e dei disperati che sfidano la morte affrontando strazianti viaggi nel Mediterraneo. La bilancia penderà verso i fuggiaschi per almeno 20-30 mila persone. Non era mai successo. Non da qualche decennio, almeno.  
Mentre i barconi rovesciano profughi al largo della Sicilia - secondo Frontex, l’agenzia europea che monitora le frontiere, ne sono già arrivati 25 mila - il flusso di stranieri verso l’Italia per ragioni di lavoro (i cosiddetti «migranti economici») si è quasi arrestato: dai 300 mila e più degli anni scorsi ai 30 mila che si prevedono quest’anno. «La capacità attrattiva dell’Italia è certamente diminuita, anche perché la crisi qui ha penalizzato gli immigrati più degli italiani», spiega Ferruccio Pastore, direttore del Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione. «La domanda di lavoro immigrato esiste ancora, ma oggi è in parte assorbita da stranieri che sono già in Italia e hanno perso il lavoro. Per chi arriva da fuori, quindi, le opportunità si sono ridotte».  
Nel Sud Europa, dalla Spagna alla Grecia, è già accaduto: il saldo migratorio si è invertito un paio d’anni fa, anche perché molti stranieri sono tornati ai Paesi d’origine. L’Italia ha resistito ancora un po’, ma oggi fronteggia lo stesso fenomeno. Nel 2011, 90 mila italiani hanno cercato rifugio all’estero, l’anno dopo erano solo 60 mila, poi 75 mila. Quest’anno sfonderanno la soglia dei 100 mila. «Numeri calcolati per difetto», precisa Sergio Durando della Caritas Migrantes, perché si basano su statistiche ufficiali, ad esempio dell’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero, «e non considerano chi si trasferisce senza cambiare residenza o senza comunicarlo alle autorità italiane».  
L’anno scorso l’Aire ha tracciato un identikit degli italiani espatriati: sono oltre 4 milioni, in media quarantenni, senza sostanziali differenze tra uomini e donne. Quasi la metà ha una laurea o un diploma. L’altra metà no, ed è il segno che l’emigrazione si è estesa - come accadeva decenni fa - alla manodopera. Lo dimostrano i 3500 italiani che nel 2013 sono emigrati in Cina: imprenditori, laureati ma anche cuochi, attratti dal boom della ristorazione italiana in Oriente che cresce a due cifre. L’Asia è la nuova frontiera: nell’ultimo anno gli approdi sono cresciuti di quasi il 20 per cento.  
Metà di chi scappa si ferma però in Europa, immaginando di poter tornare. Anche qui però la geografia sta cambiando. Un tempo era la Spagna, invasa negli anni scorsi da 90 mila italiani. Oggi si guarda a Est. Quasi un contrappasso: siamo noi a emigrare in Romania, Ungheria, Polonia, Russia, a lungo terre di tumultuosi flussi migratori. Nei primi mesi del 2014 oltre 6 mila italiani sono andati ad abitare a Mosca. Dal 2011, gli italiani che vivono a Budapest sono decuplicati, da 400 a 4 mila. Una volta sognavano l’Italia. Oggi siamo noi a bussare a casa loro.



L’Italia è una “Terra di transito” dove i migranti non vogliono restare
Corriere.it, 29-05-14
Stefano Pasta
«Qui muoio ogni giorno», così un hazara afghano in fuga dalla persecuzione della sua etnia racconta la condizione dei richiedenti asilo bloccati dove non vogliono restare: in Italia. È la prospettiva spiazzante del documentario di Paolo Martino, Terra di transito, prodotto dall’associazione A Buon Diritto. Parte dalla storia di Rahell, un curdo scappato da bambino dall’Iraq in Siria, quando nel 1988 Saddam Hussein ordinò un attacco chimico sulla città di Halabja. Nel 2010, costretto a lasciare Damasco, una nuova fuga, senza visti né passaporto, lo conduce in Europa, attraverso la Turchia e la Grecia, fino a Roma, da dove spera di raggiungere la Svezia per ricongiungersi con i suoi familiari. Ma all’arrivo in Italia, scopre che a dividerlo dalla sua meta c’è il regolamento di Dublino, legge europea che impone ai rifugiati di fare domanda di asilo e risiedere nel primo paese d’ingresso in Europa. Come per migliaia di coetanei, il “punto di non ritorno” nel suo progetto migratorio è il rilascio delle impronte digitali. Da lì, ogni tentativo di espatrio verso la meta desiderata si trasforma in un rinvio nel nostro Paese, quello che a cui la legge affida la competenza della pratica di Rahell ma che per lui è soltanto una Terra di Transito.
«Un luogo – spiega Paolo Martino – non per arrestare la lunga corsa, ma solo per tirare il fiato e poi portarsi avanti. L’Italia, un tempo meta ambita, è ridotta ormai a un luogo di attesa, di sosta indesiderata prima del salto al cuore d’Europa». Nella sua odissea personale, Rahell incontra altri ragazzi in fuga dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq, bloccati, come lui, in un Paese che non vogliono e che spesso è incapace di accogliere e di garantire un percorso di vita autonomo alle persone che dovrebbe proteggere. È raccontata un’Italia senza una legge organica sul diritto d’asilo e con un sistema d’accoglienza fondato sull’emergenza e l’improvvisazione. Centri che ospitano centinaia di persone, poca attenzione all’insegnamento dell’italiano e quasi nessun percorso d’inserimento lavorativo. «Siamo costretti a mangiare nelle mense delle chiese, camminiamo tutto il giorno, passiamo il tempo nelle stazioni dei treni», spiega un ragazzo che dorme nella “tensostruttura di prossimità di transito afghani”, realizzata nel febbraio 2012 nel quartiere Tor Marancia di Roma per i rifugiati che dormivano nel piazzale della Stazione Ostiense. Nella tensostruttura, nota come “il tendone degli afghani”, sono ospitate anche persone senza documenti, tra cui si distinguono due categorie, “i transitanti” e “i dublinati”.
    La prima comprende chi si definisce in transito, ovvero persone che si riposano per qualche giorno, cercando di sfuggire ai controlli di polizia, per poi ripartire alla volta del Nord Europa. La seconda, invece, include sia le persone rimandate in Italia, in quanto Stato competente all’esame della loro domanda di protezione, sia chi deve essere trasferito dall’Italia in un altro Stato europeo dove è già avvenuta l’identificazione. Spesso è la Grecia: secondo Medici per i diritti umani, nel 2013 l’Italia ha rimandato nel paese ellenico tre migranti al giorno.
Nei racconti degli ospiti del “tendone”, l’assenza italiana di quella protezione che spetterebbe ai rifugiati, stride con l’accoglienza scandinava e nordica. «Qui ti aiutano a fare un piano», spiega lo zio di Rahell, da anni in Svezia, elencando i sussidi economici ricevuti, i corsi di formazione obbligatori, l’aiuto per la casa e il lavoro, l’assistenza sanitaria e legale. Si potrebbe pensare che l’Italia, in quanto paese di sbarchi, sopporti dei numeri di richiedenti asilo molto maggiori rispetto agli altri stati europei, ma non è così. La Germania accoglie attualmente 572 mila rifugiati, la Francia 220mila, l’Italia appena 58mila. Ma queste nazioni – che offrono sì un trattamento migliore – sono le stesse che hanno promosso il regolamento di Dublino, che sfavorisce gli stati di frontiera (Grecia, Italia e Spagna). È in fondo proprio quest’accordo europeo il grande protagonista del documentario.
Giunto al venticinquesimo anno di vita e alla sua terza versione (Dublino III è entrato in vigore da pochi mesi), per il regista «ha mostrato tutta la sua iniquità», per esempio impedendo di ricongiungersi con la famiglia che già vive in uno Stato e accentuando così l’insicurezza delle persone in fuga che potrebbero invece contare sulla rete familiare. Visto dal tendone di Tor Marancia, il regolamento di Dublino è un paradosso. È l’immagine di un’Italia travagliata dalla crisi, inerte e incapace di sostenere politiche e logiche non emergenziali quando si tratta di immigrazione. Un Paese che si sente invaso da cittadini stranieri. I quali, come Rahell e tanti altri, sognano di andare altrove.



FRANCIA • Al confine della zona Schengen, nella città che ha dato il 31,75% al Front national
Calais, sgombero «sanitario» di migranti
«Rischio scabbia» che potrebbe contagiare anche i residenti, con questa scusa la prefettura smantella due campi di fortuna
abitati da 600 persone. In maggioranza siriani, afghani e nord africani, erano in attesa di attraversare la Manica per arrivare
clandestinamente in Gran Bretagna, ora sono senza un alloggio né assistenza ma nessuno di loro vuole allontanarsi dal porto
il manifesto, 29-05-14
Anna Maria Merlo
PARIGI
Calais, Europa, confine della zona Schengen. In questa città, che ha dato il 31,75% al Fronte nazionale il 25 maggio, ieri ha avuto luogo un`espulsione di due campi improvvisati di immigrati senza documenti. Due accampamenti situati in centro: uno sul bordo di un canale l`altro sul porto da dove partono i ferries per la Gran Bretagna, la destinazione sognata. Su ordine del Prefetto, all`alba i poliziotti hanno circondato le zone occupate da tende di recupero, dove avevano trovato rifugio 550-600 persone, provenienti da paesi in guerra: Siria, Afghanistan, Sudan, Eritrea. In maggioranza sono giovani uomini, anche minorenni, disposti a rischiare sempre di più per passare clandestinamente sull`altra sponda della Manica.
L`espulsione era stata annunciata il 21 maggio. La motivazione data dal Prefetto, Denis Robin: si sta diffondendo un`epidemia
di scabbia, i migranti vivono in condizioni deplorevoli e la malattia rischia di contagiare anche gli abitanti di Calais. Ci sono montagne di immondizia, c`è il fango, non c`è acqua potabile non ci sono sanitari. Le associazioni che si occupano di migranti, del resto, il 27 maggio avevano inviato una lettera al primo ministro Manuel Valls per denunciare il degrado
della situazione sanitaria, in campi di fortuna cresciuti a dismisura, dove non esiste nessuna struttura di accoglienza e dove vivono più di 800 persone. Chiedevano di trovare una soluzione di alloggio decente. Gli agenti ieri hanno proposto ai migranti di salire sui pullman, promettendo dí portarli non si sa bene dove, in un centro dove poter fare «una doccia». È stata data loro una compressa contro la scabbia, per la profilassi ne dovrebbero prendere un`altra tra una settimana, ma sembra difficile perché nessuno al momento sa `dove trovare rifugio. Il Prefetto ha affermato che una soluzione sarà trovata per i minorenni.
Ha promesso che non ci saranno controlli di documenti né arresti, salvo in caso di ribellione. Secondo Cécile Bossy di Médecins du Monde, la scusa sanitaria è «un simulacro di cura» messo in scena dalla Prefettura. Per Vincent Deconinck del Secours catholique, «la concomitanza dell`evacuazione con l`annuncio della cura per la scabbia è indegna». La tensione è stata molto forte ieri, ci sono stati scontri tra polizia e militanti in difesa dei diritti umani.
Un folto gruppo di migranti ha cercato di barricarsi in una zona chiusa, dove la sera viene distribuito dalle associazioni il solo pasto della giornata. Nel pomeriggio, senza che si profilasse nessuna soluzione al problema, il Prefetto ha dato il permesso ai migranti di restare sul posto per passare la notte.
Anche se dal 2012 c`è una circolare che impone di trovare una soluzione di accoglienza, la Prefettura del Pas de Calais non ha alcuna proposta da fare ai migranti.
Nessuno vuole allontanarsi dalle vicinanze del porto, per non perdere la possibilità di tentare il passaggio clandestino in Gran Bretagna. I migranti in genere non avviano le pratiche per ottenere l`asilo in Francia, lunghe e complicate, ma corrono sempre più rischi per passare la Manica. Quest`anno, ci sono già stati sette morti.
L`ultimo è un giovane sudanese, schiacciato da un camion il 24 maggio, mentre tentava di nascondersi nel cofano accanto al motore. Prima, due giovani erano stati travolti da camion in manovra. Altri due sono morti annegati, mentre cercavano di raggiungere un ferry a nuoto. Un altro è stato schiacciato dal carico di auto, a causa di una frenata improvvisa del veicolo dove era riuscito a nascondersi. Anche le risse con i passeurs hanno fatto dei morti di recente.
È da più di dieci anni che a CaJais esiste questa situazione. Nel 2002, Nicolas Sarkozy, che era ministro degli interni, aveva chiuso con grande spettacolarità ìl campo di Sangatte, gestito non lontano da Calais dalla Croce rossa.
Concepito per 200 persone, alla fine vi avevano trovato rifugio fino a 1600-1800 migranti. Secondo la Croce Rossa dal `99 al 2002 almeno 67mila persone erano passate per Sangatte. Ma, smantellato il campo, i rifugiati sono rimasti. Si erano concentrati nelle dune vicine, in una zona che era stata soprannominata la «giungla», sgomberata nel 2009 dal ministro degli interni Eric Besson.
Ma anche questa volta i migranti sono rimasti e hanno cercato altre sistemazioni di fortuna.
A Calais esistono varie associazioni che si prendono cura dei migranti, ma con il passare del tempo la stanchezza sta prendendo il sopravvento, anche perché alcuni militanti hanno avuto problemi con la giustizia, accusati di favorire l`immigrazione clandestina.



Il Papa: "Basta immigrati schiavi, la tratta è un crimine contro l’umanità"
“È inaccettabile che, nel nostro mondo, il lavoro fatto da schiavi sia diventato moneta corrente”. Messaggio per la conferenza dell’Ilo
stranieriinitalia.it, 29-08-14
Città del Vaticano -28 maggio 2014 - È preoccupante che tante persone debbano lasciare il loro Paese in cerca di lavoro, è inaccettabile che diventino schiavi. Tra tratta è un crimine contro l’umanità, bisogna unire le forze per sradicarla.
Lo scrive papa Francesco in un messaggio per la 103ª sessione della conferenza dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che inizia oggi a Ginevra.
Oltre alla disoccupazione, sottolinea Bergoglio, “un altro grave problema, correlato al precedente, che il nostro mondo deve affrontare è quello della migrazione di massa: già il notevole numero di uomini e donne costretti a cercare lavoro lontano dalla loro Patria è motivo di preoccupazione. Nonostante la loro speranza per un futuro migliore, essi frequentemente incontrano incomprensione ed esclusione per non parlare di quando fanno l’esperienza di tragedie e disastri”.
“Avendo affrontato tali sacrifici – continua il Papa -  questi uomini e donne spesso non riescono a trovare un lavoro dignitoso e diventano vittime di una certa “globalizzazione dell’indifferenza”. La loro situazione li espone ad ulteriori pericoli, quali l’orrore della tratta di esseri umani, il lavoro coatto e la riduzione in schiavitù. È inaccettabile che, nel nostro mondo, il lavoro fatto da schiavi sia diventato moneta corrente”.
“Questo non può continuare! La tratta di esseri umani è una piaga, un crimine contro l’intera umanità. È giunto il momento di unire le forze e di lavorare insieme per liberare le vittime di tali traffici e per sradicare questo crimine che colpisce tutti noi, dalle singole famiglie all’intera comunità mondiale” esorta Francesco.
Poi, il papa chiede di “rafforzare le forme esistenti di cooperazione e di stabilire vie nuove per accrescere la solidarietà”. Tra le altre cose, serve “uno sforzo coordinato per incoraggiare i governi a facilitare gli spostamenti dei migranti a beneficio di tutti, eliminando in tal modo la tratta di esseri umani e le pericolose condizioni di viaggio”.

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