Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 maggio 2014

Alfano scivola sui rifugiati: boccia le norme fatte da lui
Il ministro dell'Interno contesta l'Europa che impone al paese di approdo di farsi carico degli immigrati irregolari. Ma è stato lui a firmare l'intesa capestro che lascia sola l'Italia
il Giornale, 05-05-14
Francesca Angeli
Prima firma un accordo e poi se ne lamenta. Forse non c'è da stupirsi se il personaggio in questione è Angelino Alfano, attuale ministro dell'Interno del governo Renzi ma già responsabile del Viminale nel giugno del 2013 per il governo Letta.
Ovvero quando l'Italia ha sottoscritto gli accordi Dublino 2 adottati dal Consiglio Ue. Accordi che prevedono appunto che debba essere il paese di «primo approdo» a farsi carico dell'immigrato illegale, rispondendo a tutte le sue necessità: dalla prima assistenza sanitaria all'eventuale concessione dello status di rifugiato. Gli altri paesi Ue possono sì essere coinvolti ma soltanto su base volontaria. Ovvio che la ratifica di un simile accordo sia manifestamente penalizzante per i paesi di frontiera come il nostro.
Adesso, dopo aver totalizzato 20.550 arrivi illegali dall'inizio dell'anno, il ministro dell'Interno si è risvegliato ed è partito all'attacco dell'Europa alla quale chiede maggiore impegno e non solo. «È assurda un'Europa che imponga all'Italia che il diritto d'asilo venga esercitato soltanto nel paese di primo ingresso, cioè il nostro», pontifica Alfano. Bene. Ma dove era quando questo accordo è stato accettato dal nostro paese? Al governo. Eppure allora non ha detto una parola. Adesso dice pure che Mare Nostrum, operazione sempre voluta da Alfano, «non può durare all'infinito». Intanto però l'Italia per sostenerla spende circa 9 milioni di euro al mese.
A sottolineare la mancanza di coerenza e la scarsa credibilità di Alfano quando avanza richieste come questa alle Ue è l'eurodeputato Carlo Fidanza, candidato alle prossime europee per Fratelli d'Italia con Giorgia Meloni. «Questo principio andava fatto valere al momento di sottoscrivere quell'accordo - dice Fidanza - ovvero nel giugno del 2013 quando al Viminale c'era già Alfano che non ha battuto ciglio. Rifiutare l'accordo forse non era possibile ma si poteva almeno prendere tempo per una riflessione approfondita sui ruoli dei vari paesi europei, invitandoli ad una condivisione delle responsabilità. E invece niente. Oggi quindi Alfano non ha credibilità quando attacca l'Europa».
Gli accordi di Dublino furono stipulati la prima volta nel 2003, durante la presidenza europea di Romano Prodi, e poi vennero riformulati lo scorso anno. Per evitare confusioni e infiniti rimpalli di responsabilità da un paese ad un altro gli accordi prevedono appunto che venga individuato un solo stato membro competente che si faccia carico del richiedente asilo. In caso di ingresso illegale lo Stato di primo approdo è quello competente, ovvero quello che si deve fare carico dell'immigrato. Lo straniero può chiedere di essere accolto in un altro paese ma l'eventuale risposta favorevole è del tutto volontaria, una questione di solidarietà insomma mentre per lo stato di approdo è un obbligo.
L'Europa nega di aver lasciato sola l'Italia a fronteggiare l'emergenza e sottolinea l'impegno per promuovere il reinsediamento per il quale ha stanziato 6.000 euro a rifugiato da destinare al paese che decide di accoglierlo. Bruxelles fa anche notare come nel 2013 il numero di richiedenti asilo più alto sia stato registrato in Germania, 127.000, e l'Italia sia soltanto al quinto posto con 28.000 domande.
«Un paragone insostenibile perché quello che conta è la modalità d'arrivo - ribatte Fidanza - I rifugiati arrivano in Germania per vie ufficiali mentre l'Italia accoglie gli stranieri in condizioni di emergenza assoluta, come naufraghi bisognosi prima di tutto di assistenza sanitaria. Ora poi con l'operazione Mare Nostrum praticamente li andiamo a prendere a casa loro, una situazione insostenibile nella quale siamo stati lasciati soli».
Uno spiraglio c'è: il semestre europeo di presidenza italiana che partirà in luglio prossimo, dopo le elezioni del 25 maggio. Un'occasione da non perdere, conclude Fidanza, «per chiedere di introdurre un meccanismo obbligatorio e non più volontario per coinvolgere anche gli altri stati membri nell'accoglienza degli irregolari nel momento dell'emergenza»



CHE RAZZA DI STATO
Quei diritti fondamentali negati per legge
Fanno scandalo i cori da stadio e le violente campagne sui socialnetwork. Ma la prima discriminazione degli immigrati avviene per legge. Dall’iscrizione all’asilo, all’assegnazione di un alloggio, una serie di norme e regolamenti li trasformano in cittadini di serie B. Eppure sono proprio i lavoratori stranieri a garantirci le pensioni oltre a contribuire all'11% del Pil
la Repubblica.it, 05-05-14
VALERIA FRASCHETTI

ROMA - Producono l’11% del Pil (Prodotto interno lordo), ma lo Stato non è incline ad assumerli. Ci stanno pagando le pensioni, ma per la previdenza sociale sono figli di un Dio minore. Mantengono il nostro bilancio demografico positivo, ma non sempre hanno diritto a bonus bebè e alloggi popolari. Versano le tasse, ma sono costretti a pagare altri balzelli per il semplice fatto di non essere italiani. Potrebbero salvarci dalla crisi economica, ma ci sono parlamentari che gioiscono nel vedere i barconi affondare.
Non c’è bisogno di andare allo stadio per trovare un’Italia razzista: basta osservare lo Stato. Scandagliare leggi nazionali e ordinanze locali, affacciarsi nelle questure, registrare dichiarazioni politiche, monitorare la burocrazia. È una forma di intolleranza più subdola, non sempre evidente. Ma ha un nome: discriminazione istituzionale. Uno scandaloso insieme di politiche, norme e negligenze che designa una linea di demarcazione tra italiani e stranieri, in barba ai principi sanciti dalla Costituzione. Per chi sceglie l’Italia come casa, i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) sono solo il primo assaggio di un percorso fatto di privazioni di diritti e di doveri “ad immigratum”. Come evidenzia anche nel suo ultimo rapporto l’Unar, l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali che dal suo call center raccoglie decine di segnalazioni ogni giorno, “nonostante la robusta legislazione anti-discriminazione posta in essere a livello nazionale con il Testo Unico Immigrazione, hanno trovato largo spazio forme di discriminazione istituzionale che hanno gravemente minato una politica di pari opportunità”. Forme di discriminazione provocate da un atteggiamento corsaro dello Stato, che sfrutta l’ambiguità delle leggi, credendo magari di far proprie le istanze dell’opinione pubblica.
La prima linea è quindi quella delle amministrazioni comunali. Nel ricco almanacco delle iniziative municipali dal sapore discriminatorio è finito ad esempio il Comune di Tolentino, Macerata, che a settembre 2013 ha deciso di dare punteggi aggiuntivi per le graduatorie d’accesso agli asili nido comunali ai lungo-residenti, danneggiando indirettamente gli stranieri che, statisticamente, hanno meno anzianità di residenza. Nel frattempo a Pordenone una delibera (sinora inapplicata) ha stabilito un tetto del 30% per gli stranieri nei nidi d’infanzia. Sempre sul tema accesso ai nidi, basta richiedere il codice fiscale nella domanda per escludere i figli dei clandestini dal diritto all’istruzione a loro teoricamente garantito. Il diritto a ricevere la Social Card è stato esteso invece anche ai titolari di Carta di soggiorno Ce, ma sul sito di Poste Italiane, che accoglie le domande, tra i requisiti necessari appare ancora quello della cittadinanza italiana.
Anche di fronte al diritto al lavoro, articolo 4 della Costituzione, lo Stato pare a volte soffrire di amnesia. Benché sia noto che gli sbarramenti nell’accesso al lavoro per ragioni etniche, religiose o di provenienza geografica violino regole nazionali, comunitarie e internazionali, fino a pochi mesi fa il pubblico impiego era “un ambito off-limits per gli extra-comunitari”, per dirla con Angela Scalzo di Uil Immigrazione. A settembre, la Legge Europea 2013 ha finalmente parificato agli italiani i lungo-soggiornanti, che per anni erano stati tagliati fuori per via del requisito della cittadinanza italiana previsto nei bandi. Tuttavia la nuova normativa continua a escludere i regolari con permessi più brevi. Abolita solo da pochissimo anche la legge sul trasporto pubblico locale che prevedeva la cittadinanza italiana tra i requisiti per l’assunzione. Era un Regio decreto di epoca fascista, del 1931, che le aziende dei trasporti (a capitale pubblico) hanno usato per anni nonostante vari giudici lo abbiano dichiarato discriminatorio.
Lo Stato sbatte la porta in faccia agli immigrati anche quando vogliono fare volontariato. È il caso del bando per il Servizio Civile, che ancora nel 2013 prevedeva la solita clausola della cittadinanza, nonostante il Tribunale di Milano l’avesse dichiarata illegale già nell’edizione 2012. Solo dopo un altro ricorso e una nuova sentenza di accoglimento, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha modificato a dicembre i termini della gara.
Contro il muro di gomma della cittadinanza si scontrano persino disabili e bambini. Tempo fa, durante una gita al Colosseo, uno scolaro di nove anni di origini peruviane si è sentito un “paria” quando è stato l’unico tra i suoi compagni a dover pagare il biglietto. A maggio 2013 l’allora ministro Bray, preso atto della gabella per extracomunitari, ha chiesto alle istituzioni culturali di farli entrare gratis come gli altri. Peccato che ci siano musei che guardano ancora al passaporto, come quelli di Roma Capitale, dove se sei un bambino italiano, polacco o di altro paese comunitario hai diritto alla riduzione, se sei turco o brasiliano no.
Ai regolari invalidi o disabili, invece, l’Inps ha negato per anni le prestazioni assistenziali in chiara violazione dei diritti fondamentali della persona, come ammoniva già nel 2009 la Corte Costituzionale. Solo a settembre, dopo quattro anni e nuove sentenze, l’ente si è finalmente adeguato. “Quattro anni in cui l’ente ha risparmiato qualche soldino sulla pelle degli stranieri”, osserva Piero Bombardieri di Ital Uil, segnalando un’altra disparità di trattamento targata Inps e figlia della legge Bossi-Fini. Può essere riassunta così: addio Italia, addio pensione. Ovvero, se un immigrato torna nel paese d’origine perde il diritto alla liquidazione dei contribuiti versati, in mancanza di accordi di reciprocità. E sempre l’Inps ha stabilito che ad avere diritto agli assegni per famiglie numerose sono solo i possessori di Carta di soggiorno Ce, escludendo così chi è in Italia da altrettanti anni ma con permessi più brevi. Immigrati di serie A e B, insomma.
Il fatto è che gli stranieri che avrebbero diritto all’upgrading, Carta di soggiorno o cittadinanza, a volte rinunciano a chiederlo. A causa di un altro ostacolo: la burocrazia. Così letargica da generare essa stessa nuove discriminazioni. I tempi per il rilascio dei permessi di soggiorno sono talmente lunghi che a volte i documenti arrivano scaduti. “Per di più l’attesa spalanca altri limiti”, evidenzia la giurista Clelia Bartoli, autrice del saggio Razzisti per legge. “Ad esempio l’impossibilità di accettare un lavoro in un altro Comune, perché se la questura ti chiama e non sei reperibile rischi di essere depennato”. I tempi per la cittadinanza invece? Due anni per legge: quattro in media, a volte di più. Il risultato, come ricorda il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani, è che in Italia si naturalizza solo l’1,2% del totale degli immigrati, a fronte di una media Ue del 3,7%.
Negligente e farraginosa, la burocrazia arriva a scoraggiare persino chi vorrebbe chiedere l’equipollenza dei titoli di studio e il ricongiungimento familiare. Per riunirsi ai propri figli come per ottenere la carta Ce, infatti, è necessario presentare tra le tante carta, anche il certificato d’idoneità abitativa. Ovvero, provare la conformità della propria abitazione a dei criteri stilati come “non vincolanti” per i costruttori di case popolari, ma diventati vincolanti per gli immigrati. “È una chiara discriminazione diretta poiché a nessun italiano che aumenta il nucleo familiare viene richiesto un simile documento”, nota l’avvocato Dario Belluccio dell’Associazione Studi giuridici sull’Immigrazione.



L'INTERVISTA: PARLA LUIGI MANCONI
“La clandestinità perno del razzismo”
la Repubblica.it, 05-05-14
ROMA - “Il reato di clandestinità è la vera matrice del razzismo istituzionale”. “I Cie, luoghi feroci e insensati”. “I rom? Vittime di una segregazione programmata”. Per Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, sono numerosi e variegati gli ambiti in cui l’Italia mostra un approccio all’immigrazione “approssimativo e anti-garantista” che contribuisce a trasformare un “sistema di cittadinanza che, da inclusivo quale era, sta diventando escludente”.
Senatore, le leggi che comprimono i diritti degli immigrati sono varate dallo stesso Stato che sancisce l’uguaglianza nella Costituzione. Come si spiega la contraddizione?
“Esistono quelli che 25 anni fa, con Laura Balbo, definimmo ‘imprenditori politici dell’intolleranza’, quelli che trasferiscono la xenofobia nella sfera pubblica e ne fanno risorsa elettorale. Esiste poi un’irresistibile tendenza dello Stato a limitare gli accessi e di conseguenza a selezionare quanti debbano essere inclusi ed esclusi nel sistema di cittadinanza. Inoltre, la crescita dei flussi e la crisi economica rattrappiscono ulteriormente la capacità e la volontà di accoglienza. Ma questa è una tendenza che riguarda tutti i paesi europei”.
Sui diritti degli immigrati l’Italia si adegua all’Ue sempre in ritardo, dopo le strigliate di Bruxelles. Sciatteria o negligenza calcolata?
“Sciatteria e camurria, trasandatezza e dolo. Il nostro paese è connotato da lentezza e contraddittorietà normativa, ha un approccio insieme cialtronesco e canagliesco, approssimativo e anti-garantista. Lo si vede con i Cie. Quando si chiamavano Cpt la permanenza prevista era 30 giorni, più eventuali 30. Nel decennio successivo si è passati a 12 e poi agli attuali 18 mesi, che è il tetto più alto indicato dall’Ue. Quindi il limite massimo europeo diventa nel nostro ordinamento la norma”.
I tempi medi necessari per l’identificazione invece quali sono?
“45 giorni. Il che comporta 16 mesi e mezzo di pena superflua, inutile, non comminata da alcun tribunale. Un’iniquità che il Parlamento deve rapidamente correggere, riducendo al minimo i tempi di permanenza”.
Quali forme di discriminazione istituzionale vanno affrontate con più urgenza?
“Ci sono varie leggi con conseguenze negative, ma il vero perno del razzismo istituzionale è il reato di clandestinità perché produce un insidioso effetto ideologico. Non sanziona il delitto che la persona compie, come prevede lo Stato di diritto, ma ciò che è, la sua mera condizione umana di migrante. È come se si sanzionasse la povertà. E il risultato è che nel sentimento comune l’irregolare è percepito come una minaccia, un criminale. Questa è la vera produzione del razzismo istituzionale, le altre forme si collocano su altri livelli”.
I campi rom, per esempio. La loro chiusura è prevista nella ‘Strategia d’inclusione di rom, sinti e camminanti’ che la sua Commissione monitora. A che punto è?
“È solo a una prima e molto diseguale applicazione. Proprio perché i rom sono il soggetto di cui meno ci si interessa e che meno viene tutelato, come Commissione intendiamo dedicare loro un particolare lavoro di analisi”.
Nel suo libro ‘Accogliamoli tutti’, scritto con Valentina Brinis, evidenzia l’esistenza di un sotto-sistema penale speciale per gli immigrati. Esempi?
“Gli immigrati sono costantemente oggetto di un trattamento diseguale. Ne è un esempio lampante il fatto che la convalida dell’espulsione è affidata ad un giudice di pace e non ad un tribunale, come richiederebbe un provvedimento così delicato, che incide sulla libertà personale”.
La sovra-rappresentazione degli stranieri nelle carceri è un effetto di questo sotto-sistema penale?
“Uno straniero avrà sempre più probabilità di essere arrestato di un italiano, meno possibilità di essere prosciolto, di ottenere la libertà condizionata e così via. Fatalmente la percentuale di stranieri reclusi risulterà sempre assai alta”.
Il discrimine tra i diritti degli extracomunitari e i nostri è spesso definito dal possesso della cittadinanza italiana. Un figlio di stranieri a quali condizioni dovrebbe accedervi?
“Non amo la formula di ius soli temperato, ma condivido il concetto che la ispira: l’acquisizione di cittadinanza non come automatismo assoluto, ma come processo fatto di passaggi di integrazione. E il percorso scolastico è la via maestra, quella più razionale e intelligente”.



Un disastro ereditato dalla Bossi-Fini
la Repubblica.it, 05-05-14
VLADIMIRO POLCHI
Se sei un immigrato hai mille ostacoli da superare. Li incontri quando cerchi un lavoro, quando devi curarti, quando vai a iscrivere i tuoi figli a scuola, quando affitti casa. Sì, perché la vita può essere dura per tutti, ma per un “nuovo italiano” c’è un sadismo istituzionale in più: un intricato cespuglio burocratico, che ti impone una costante via crucis.
Sul banco degli imputati siede da 12 anni la Bossi-Fini, legge che guarda all’immigrazione solo attraverso le lenti deformi dell’ordine pubblico. In sostanza lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, rende più complesse le procedure per il suo rinnovo, favorisce l’immigrazione temporanea e scoraggia la stabilizzazione. Una legge che non argina le ondate di ingressi irregolari, ma in compenso dissuade i flussi di immigrati qualificati.
Da anni si parla della sua abolizione o almeno di un “tagliando”. Nell’estate 2007 ci avevano provato i ministri Amato e Ferrero. Nulla di fatto. Poi una serie di proposte, fino all’ultima: un mese fa è toccato al responsabile del Pd, Welfare e Scuola, Davide Faraone, proporre l’ennesima riforma. Intanto, solo grazie alle sentenze dei tribunali ordinari e della Consulta, sono caduti alcuni dei pezzi più discriminatori del suo impianto. Stesso discorso per la cittadinanza. Impelagati tra ius soli temperato e ius culturae, i testi di riforma (ben 48 nella scorsa legislatura) sono fermi nei cassetti delle commissioni parlamentari competenti da anni.
Eppure, limitandosi a ragionare col portafogli, la presenza dei migranti è utile al sistema Italia. Certo, la crisi ha rimescolato un po’ le carte in tavola, e la frase «gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare» può apparire una fotografia sfuocata (per esempio, sul fronte del lavoro domestico). Ma facciamo un gioco e chiediamoci: cosa accadrebbe all’Italia senza di loro? Sarebbe la paralisi per molti settori produttivi. Basta leggere i numeri. Oltre il 50 per cento degli operai delle fonderie è immigrato. Nella provincia di Brescia un metalmeccanico su 5 è straniero. Non mancano casi particolari, ma emblematici: in Abruzzo, il 90 per cento dei pastori è macedone. In Val d’Aosta, a fare la fontina sono solo i migranti: nei trecento alpeggi della regione, gli italiani sono infatti meno del 10 per cento. In Emilia-Romagna, tra gli addetti al Parmigiano Reggiano, uno su tre è indiano. E così via.
Non solo. Stando a un’indagine condotta dall’economista Tito Boeri per la Fondazione Rodolfo Debenedetti, perfino gli irregolari sono «funzionali alla nostra economia»: lavorano di più e guadagnano di meno. Insomma, una risorsa per molti imprenditori privi di scrupoli. Non manca, è vero, il lato oscuro. Un esempio? Oggi nello spaccio oltre un denunciato su tre è immigrato. Il mercato della droga parla sempre più straniero. Questo va detto con chiarezza. Ma il problema non si risolve con leggi discriminatorie.
La verità è che il nostro Paese non ha mai elaborato un suo modello d’integrazione. Non si è mai chiesto: «Come pensiamo di governare una società che sarà sempre più multietnica?». Seppure con molti fallimenti, la Francia si è affidata all’assimilazione, la Gran Bretagna al multiculturalismo. E noi? Nell’attesa che la politica si muova, restiamo ancorati al vecchio modello dell’integrazione fai-da-te, che nasce dall’incontro tra persone di buona volontà.



Augusta, nel centro per minori “totale abbandono. Situazione inaccettabile”
Seconda tappa della visita di Chaouki in Sicilia: “200 minori senza alimentazione adeguata né servizi di alcun tipo. Solo un impiegato comunale come custode e un volontario della protezione civile. Alcuni non hanno ancora parlato con le proprie famiglie. Inaccettabile, intervenga subito governo”
Redattore sociale, 05-05-14
ROMA - “Circa 200 minori, alcuni giovanissimi, completamente abbandonati a se stessi. A occuparsi di loro, solo un impiegato comunale con buona volontà, che fa da custode, e un volontario della protezione civile. E' inaccettabile che questo sia il trattamento riservato ai minori accompagnati dalla nostra civilissima Italia”: Khalid Chaouki, coordinatore dell'intergruppo parlamentare sull'immigrazione, esce pieno di sdegno dal centro per minori ricavato in una scuola dismessa di Augusta, visitato in queste ore dopo la prima tappa a Pozzallo.
augusta bagni
“La maggior parte dei bambini e dei ragazzi arriva dall'Eritrea, dall'Africa centrale e dall'Egitto. Alcuni sono qui da un mese, dormono in condizioni fatiscenti, nei corridoi, uno attaccato all'altro: non svolgono alcuna attività, né ricevono alcuna assistenza medica, se non qualche visita saltuaria. Mancano docce e perfino l'alimentazione è inadeguata”, riferisce Chaouki a Redattore sociale. “E' un abbandono totale, che non avrei mai immaginato d'incontrare tra i minori non accompagnati. Alcuni di loro non sono ancora riusciti a contattare le proprie famiglie, per comunicare almeno il proprio arrivo. E' inaccettabile – denuncia indignato Chaouki – e mi attiverò subito per capire il ruolo della prefettura e delle autorità governative, che verso i minori dovrebbero manifestare la massima attenzione. Chiederò un intervento immediato, già da stasera o domattina al massimo, perché il governo si dia da fare per superar equesta fase e trovare una collocazione umana e dignitosa a questi ragazzi. Quello che abbiamo visto è intollerabile”. (cl)



Papua Nuova Guinea, un centro detentivo per richiedenti asilo gestito da privati
Sono persone che, esponendosi ad estorsioni e soprusi, attraversano paesi ostili verso i rifugiati come Thailandia, Malesia e Indonesia, per sbarcare in Australia: il mare che la divide dall'Asia sud-orientale è una delle tre "frontiere" d'ingresso nel "mondo ricco", come il Mediterraneo e il confine tra Usa e Messico. Negli ultimi 6 anni, oltre 50.000 rifugiati abbiano tentato questo viaggio
la Repubblica, 03-05-14
STEFANO PASTA
MILANO - Sull'isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, sorge un centro detentivo gestito da una compagnia privata e fatto costruire dall'Australia nel 2012. Gli "ospiti" sono profughi asiatici e africani che, nel 90% dei casi, potrebbero chiedere lo status di rifugiati. A marzo, erano 1.296, tutti uomini: la maggioranza dall'Iran (553), hazara dall'Afghanistan (134), dal Pakistan (104), dall'Iraq (94), dal Sudan (90), e poi dalla Somalia, dal Bangladesh, dal Myanmar, dal Libano, dallo Sri Lanka e dalla Siria. Sono stati segnalati anche alcuni minorenni, ma normalmente donne e bambini sono tenuti in un altro centro, nell'isola-Stato di Nauru, la più piccola Repubblica del mondo (21 km quadrati), in un'altra parte remota del Pacifico.
Un migliaio di morti durante la fuga. Si tratta di persone che, esponendosi al rischio di estorsioni e soprusi, attraversano paesi particolarmente ostili verso i rifugiati come Thailandia, Malesia e Indonesia, per sbarcare in Australia: il mare che la divide dall'Asia sud-orientale è, infatti, una delle tre "frontiere" di ingresso nel "mondo ricco", come il Mediterraneo e il confine tra Usa e Messico. Si stima, che negli ultimi sei anni, oltre 50.000 rifugiati abbiano tentato questo viaggio e che almeno mille di loro abbiano perso la vita. A seconda del tragitto, il costo può arrivare fino a 15mila dollari: Ayaan, per viaggiare dalla Somalia all'Indonesia su un aereo con un passaporto falso e su una barca per l'ultimo tratto, ha pagato 8mila dollari.
Il debole governo della Nuova Guinea. Tuttavia, dall'agosto 2013, l'Australia, dove dal 1992 è in vigore la detenzione obbligatoria per tutti i "non-cittadini illegali", ha firmato un accordo con il debole Governo della Papua Nuova Guinea: in cambio di aiuti economici per le infrastrutture, l'accoglienza dei rifugiati che entrano illegalmente in Australia è affidata a Papua, che deve esaminare la loro situazione e decidere se rimpatriarli o eventualmente inserirli nel locale programma di assistenza per chi ha ottenuto l'asilo politico, ad oggi praticamente inesistente. In base a quest'accordo, non appena i migranti sbarcano all'isola Christmas, il primo approdo in territorio australiano (a 360 chilometri dall'indonesiana Giava e a più di 2000 dalle coste australiane), sono trasferiti in aereo al centro di detenzione di Manus. Pervez, 17 anni, racconta: "Arrivato, mi hanno detto che mi avrebbero portato a Papua. Io ho detto che ero venuto per chiedere asilo, perché in Pakistan la mia vita era in pericolo. La situazione era molto dura là, ma anche qui la mia vita è ora in pericolo".
I richiedenti asilo da due anni senza risposte. Il centro di Manus è circondato da barriere metalliche e sorvegliato da personale di un'agenzia di sicurezza pagata dal governo australiano. Dalla fine 2012 ad oggi, non sono state prese decisioni riguardo alle poche domande di asilo presentate; l'incertezza sul futuro, l'assenza di informazioni, le procedure lunghissime, le condizioni di detenzione, causano rabbia e frustrazione: ad una delegazione di Amnesty International, il personale medico ha riferito che oltre il 30% dei detenuti ha problemi di salute mentale. In particolare, il 16 e 17 febbraio, ci sono stati degli scontri tra i rifugiati e le guardie del centro: un giovane iraniano, Reza Barati, è stato ucciso e più di 60 persone sono rimaste ferite, alcune in maniera grave. È ora in corso un'inchiesta per stabilire se ci sia stata una violazione dei diritti umani.
Il deciso parere contrario delle Chiese di Papua. Nel frattempo, il Consiglio delle Chiese di Papua ha preso una forte posizione contro la decisione australiana di "esternalizzare" la gestione dei rifugiati, sottolineando come a Nauru siano detenuti anche i bambini. Padre Victor Roche, Segretario della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, ha visitato il centro di Manus a marzo e spiega: "I migranti hanno denunciato le dure condizioni del campo: uno ha parlato di pane con i vermi, altri di stanze minuscole e senza privacy, della mancanza di libertà. Alcuni hanno paura del personale di sicurezza del campo; i bagni e le latrine vengono puliti sono quando si attendono dei funzionari in visita. Insomma, sono trattati male solo per scoraggiare altre persone dal navigare verso le coste australiane. Ma in questo processo vengono umiliati oltre ogni limite".
112 uomini sotto un tetto li lamiera. Conferme arrivano anche dall'Unhcr, Agenzia dell'Onu per i rifugiati, che nel 2013 chiedeva maggior attenzione "per la salute, la privacy, l'igiene e l'accesso ai servizi medici". In un dettagliato Rapporto di Amnesty International del novembre scorso, si sottolinea invece il sovraffollamento dei tre settori del centro, che non proteggono dal caldo asfissiante, dai rovesci di pioggia e dall'umidità. Nel settore Oscar, l'acqua potabile viene fornita per un decimo della quantità necessaria, mentre nel dormitorio P del settore Foxtrot, costruito durante la Seconda guerra mondiale e dove ora sono ammassati 112 uomini, il tetto è di lamiera ondulata, non ci sono finestre e l'aria è mossa da due mini-ventilatori.
Casi di violenza sessuale. Sono stati denunciati casi di violenza sessuale tra i detenuti e Amnesty segnala anche la scarsità di indumenti, il mancato aiuto ad un detenuto disabile e a malati di asma, diabete, epilessia, gastroenterite. Si legge in una testimonianza del Rapporto: "È molto caldo di notte, l'odore è intenso, perché sudiamo profondamente e puzzano i nostri vestiti, le lenzuola, i materassi". Ma, soprattutto, aggiunge un iracheno di 43 anni: "Ho vissuto in una zona di guerra, tra bombe e attentati, ma non ho mai provato qualcosa del genere. Se fossi morto annegato nell'oceano, sarebbe stato meglio. Vorrei sapere quale sarà il mio destino, così da poter almeno dormire la notte".
 


Quei profughi siriani alla stazione di Milano
Avvenire, 03-05-14
Ilaria Sesana
Seconda notte sui marmi della Stazione Centrale di Milano. Per decine di famiglie siriane in fuga dalla guerra, il mezzanino dello scalo ferroviario è diventato riparo per la notte, luogo dove mangiare, spazio d'attesa. Milano come Lampedusa, punto di snodo lungo le rotte che portano dalla Siria alla Libia, attraverso il Mar Mediterraneo fino alla Sicilia per poi risalire lungo la penisola: destinazione finale, Germania e Svezia.
“Questa mattina ci sono circa 220 persone. Alcune famiglie arrivate ieri sono già ripartite”, spiega Alice Stefanizzi di Fondazione Progetto Arca, una delle associazioni che collabora con il Comune di Milano per la gestione dell'emergenza. Un altro centinaio di arrivi è previsto per il pomeriggio di oggi e il flusso, molto probabilmente, continuerà nei prossimi giorni.
“Stiamo chiedendo la possibilità di allestire un posto permanente in Stazione”, commenta l'assessore alle politiche sociali del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino. In mattinata sono intervenuti anche i medici del 118 per prestare assistenza medica ai bambini: già ieri sera molti avevano la febbre, presentavano segni di insolazione e di bruciature per essere rimasti troppo tempo sotto il sole cocente.
“Milano non può essere lasciata sola” è l'appello lanciato dall'assessore alla Sicurezza, Marco Granelli. Che torna a chiedere un intervento da parte della Regione Lombardia e del ministro degli Interni: “Alfano parli con i suoi omologhi europei per
Un appello che viene rilanciato anche da Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: “Mi auguro che il Governo intervenga con una strategia di accoglienza che tenga conto anche della breve permanenza dei siriani sul nostro territorio”. Un'esigenza tanto più urgente se si pensa che il flusso di profughi in fuga dalla Siria è destinato a crescere nei prossimi mesi: “Si stima che
I numeri dell'emergenza
I centri di via Aldini e viale Toscana, oltre alle due strutture gestite dal consorzio “Farsi Prossimo” sono al collasso: sono oltre 500 le persone accolte in questi giorni. Ben al di sopra di quanto previsto dalla convenzione sipulata dal Comune di Milano con la Prefettura che prevede una capienza massima di 240 posti. Da ottobre a oggi, sono più di 5mila le persone (tra cui 1.300 bambini) che hanno trovato accoglienza temporanea a Milano. Si fermano per pochi giorni, giusto il tempo di riposarsi, raccogliere le energie e pianificare le tappe successive del loro viaggio. Vogliono chiedere asilo in Svezia o in Germania, molti hanno dei familiari da raggiungere e in ogni caso sanno che lì le condizioni di accoglienza saranno migliori. Per questo motivo, al momento dello sbarco in Sicilia, hanno chiesto con forza e ottenuto di non essere identificati.



Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso
In base al regolamento della Figc (sulla base delle norme Fifa), per centinaia di adolescenti in tutta Italia impossibile partecipare ai tornei ufficiali perché i genitori non hanno il permesso di soggiorno. L’Asgi: “E’ discriminazione, questi bambini non hanno nessuna colpa”
Radattore sociale, 05-05-14
FIRENZE - Sono ragazzini e vorrebbero giocare a calcio. Vorrebbero partecipare ai tornei ufficiali in cui gareggiano molti loro coetanei. Ma devono rinunciare perché la legge del calcio lo vieta. Sono i tantissimi adolescenti tagliati fuori dalle competizioni della Figc (Federazione italiana gioco calcio) perché i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno. Centinaia in tutta Italia, alcuni nati nel nostro Paese. Su questo punto le regole della Federcalcio sono chiare: i calciatori stranieri minorenni che richiedono il tesseramento per una società della Lega Nazionale Dilettanti, devono presentare “il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia e il permesso di soggiorno che dovrà avere scadenza non anteriore al 31 gennaio dell’anno in cui termina la stagione sportiva per la quale il calciatore richiede il tesseramento”. Il permesso di soggiorno a cui si fa riferimento è quello dei genitori, visto che la regolarità in suolo italiano del minore straniero dipende dalla posizione giuridica della madre e del padre.
Una norma che ricalca il regolamento internazionale della Fifa e che intende essere fedele alle leggi statali sull’immigrazione irregolare, ma che spesso finisce per condannare i bambini, tutti quei bambini che avrebbero diritto allo sport ma che non possono giocare a causa della situazione legale dei genitori. Una norma che è finita al centro del mirino di numerose società calcistiche, spesso costrette a rifiutare tesseramenti di adolescenti stranieri ma perfettamente integrati in Italia, e di varie associazioni tra cui l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la quale parla esplicitamente di “discriminazione”.
Secondo Alberto Guariso dell’Asgi, “la Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori”. Secondo Guariso “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”. Tanto più che, aggiunge Guariso, “i minorenni non possono essere espulsi dall’Italia in base all’articolo 19 del Testo Unico. Un paradosso – precisa l’avvocato – visto che il minore può restare in Italia ma contestualmente non può praticare sport”.
Un principio su cui sostanzialmente si è espressa anche la magistratura. Nello specifico il tribunale di Lodi, che nel 2010 aveva accolto il ricorso presentato da un calciatore togolese richiedente asilo in Italia. In questo caso la magistratura ha dichiarato discriminatorie le norme della Figc che impongono ai cittadini stranieri che richiedono il tesseramento il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione sportiva corrente. Il tribunale di Lodi aveva tra l’altro affermato come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso di essa trova espressione la personalità dell'individuo e l'attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.
E proprio in base a questi principi, risulterebbero esclusi dai tornei ufficiali anche i minori non accompagnati, quelli cioè presenti in Italia senza genitori e non ancora adottati. Anche in questo caso, esiste una sentenza del tribunale di Pescara datata giugno 2011 che giudica discriminatorio il rifiuto del tesseramento a una società calcistica del minore straniero non accompagnato affidato in Italia. In questo caso si trattava di un minore senegalese in affido ad una coppia di italiani in attesa di regolarizzarsi. (js)



Storia di Lu, primo presidente cinese di una squadra di calcio italiana
Corriere.it, 05-05-14
Roberto Rizzo
Un anno prima che l’indonesiano Erick Thohir divenisse presidente dell’Inter e in netto anticipo sugli ipotetici businessman asiatici interessati ad acquistare quote del Milan. Lu Rong Yi è il primo, e ad oggi unico, presidente cinese di una squadra di calcio italiana. Il club, fondato dallo stesso Lu insieme a soci italiani, si chiama Sesto 2012 gioca in seconda categoria e, a due giornate dal termine, è in corsa per i playoff che portano alla Prima categoria:
     “Sarebbe la seconda promozione in due anni”, dice questo signore di 53 anni, nato nello Zhijing in Cina, da trent’anni in Italia, proprietario di un bar a Sesto San Giovanni dopo aver gestito ristoranti a Milano, Genova e Parigi.
Lung Rong Yi, che i calciatori della Sesto 2012 (280, dai 6 anni alla prima squadra) chiamano “pres” mentre per gli amici ha adottato l’italico Alberto, aveva un sogno nel cuore: “La passione per il calcio italiano è nata quando ero ancora in Cina e sognavo di vedere le partite di Serie A dal vivo”.
 Tifoso del Milan (“Ho ammirato il Berlusconi imprenditore e come ha trasformato la squadra rossonera in un simbolo dell’Italia”), rispettando gli stereotipi, Lung Rong Yi è un’instancabile lavoratore (“Chiudo il bar solo una settimana l’anno”), che ora finalmente può dedicarsi anima e corpo alla passione per il football:
    “I figli sono grandi, il mutuo è pagato, ora metto le mie energie nel club. La società è finanziariamente sana, senza debiti, abbiamo vinto il bando del Comune per il centro sportivo di via Manin (dove la squadra gioca le partite casalinghe, ndr), ora vorrei mettere in atto il mio piano di espansione: sto stringendo accordi con Genoa, Parma, Brescia e Albino Leffe per creare partnership con i club calcistici cinesi. Portare le squadre del mio Paese qui per stage o camp per i settori giovanili. Il console cinese di Milano, che spesso assiste alle partite del Sesto 2012, mi ha garantito il suo appoggio. Lo dico sempre ai mie figli: non contano i soldi ma avere un pensiero ricco. E poi portare la Cina a Sesto può essere una grande opportunità per tutta la città”.
Intanto il presidente Lu raccoglie sponsor tra la comunità cinese di Milano: ristoranti e negozi. “Mi aiutano a coprire le spese, il budget per far funzionare una società come la nostra è di 50 mila euro l’anno”. I premi partita sono invece le cene che il “pres” offre ai suoi ragazzi:
    “Ogni cinque vittorie di fila, tutti al ristorante”.
I dirigenti del Sesto 2012, italiani come i calciatori, spendono belle parole per il boss: “Ha grande passione, è generoso e non fa mai mancare nulla ai ragazzi”. Il mister Giuseppe Pelosi siede in panchina dallo scorso dicembre, dopo che Lu ha esonerato il precedente allenatore: “La società è una famiglia e il presidente ne fa parte”, dice mister Pelosi. “Non è invadente, mi ha chiamato chiedendomi di praticare un calcio veloce e bello da vedere”. Tant’è che con la nuova gestione tecnica il Sesto 2012, che a fine 2013 navigava nella parte bassa della classifica, ora è terzo. “Con il precedente allenatore non ci capivamo, la sua visione del calcio non è la mia”. Nello stemma della società ci sono il tricolore e bandiera cinese e, assicura Lu, su QQ, il Facebook cinese, il logo ha 18 milioni di like.
    Lu, seppur milanista, spera anche di incontrare Erik Thohir: “Veniamo dall’Asia e abbiamo la stessa visione del calcio, sarebbe interessante avere uno scambio di opinioni. Seppur in piccolo, io conosco il calcio italiano più di lui”



Affonda barca in Grecia, due morti e decine di dispersi
Internazionale, 05-05-14
(ASCA) – Roma, 5 mag 2014 – Due morti e decine di dispersi sono il bilancio del naufragio di un’imbarcazione di immigrati clandestini al largo delle coste della Grecia. A bordo si trovavano circa 65 persone di nazionalita’ sconosciuta, che hanno cercato di attraversare l’Egeo partendo dalla vicina Turchia. Finora sono stati messi in salvo 36 degli immigrati che si trovavano a bordo. (fonte AFP).

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